La nonviolenza e' in cammino. 1025



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1025 del 17 agosto 2005

Sommario di questo numero:
1. Amelia Rosselli: Questo e' il mare oggi
2. Nicole Itano: Troppo povere per vivere
3. Giobbe Santabarbara: Come fare un buon notiziario in dieci facili lezioni
4. Domenico Jervolino: Filosofia e liberazione
5. Jean Chesneaux: Quando uno stato uccide un fotografo
6. Lida Menapace: La sinistra europea tra complessita' e frammentazione
7. Stefania Astarita presenta "L'harem e l'occidente" di Fatema Mernissi
8. Alessandro Marescotti presenta "Breve storia del pacifismo in Italia" di
Pietro Pastena
9. Tiziano Tissino presenta "Truth against truth" di Uri Avnery
10. Riletture: Elisabeth Burgos (a cura di), Mi chiamo Rigoberta Menchu'
11. Riletture: Rigoberta Menchu' Tum, Rigoberta i maya e il mondo
12. Riletture: Ufficio dei diritti umani dell'arcivescovado di Guatemala,
Guatemala: nunca mas
13. La "Carta" del Movimento Nonviolento
14. Per saperne di piu'

1. POESIA E VERITA'. AMELIA ROSSELLI: QUESTO E' IL MARE OGGI
[Da Amelia Rosselli, Le poesie, Garzanti, Milano 1997, 2004, p. 521. Amelia
Rosselli (Parigi 1930 - Roma 1996), poetessa, figlia dell'eroe antifascista
Carlo Rosselli; una delle voci piu' intense ed originali della poesia del
Novecento, una delle testimonianze piu' intime e sofferte della storia del
secolo. Opere di Amelia Rosselli: Variazioni belliche, Garzanti, Milano
1964; Serie ospedaliera, Mondadori, Milano 1969; Documento, Garzanti, Milano
1976; Primi scritti 1952-63, Guanda, Parma 1980; Impromptu, San Marco dei
Giustiniani, 1981; Appunti sparsi e persi, Aelia Lelia, 1983, 1996; La
libellula, SE, Milano 1985; Diario ottuso, 1996; la sua opera poetica e' ora
raccolta ne Le poesie, Garzanti, Milano 1997, 2004]

questo e' il mare oggi
in ondate piu' serene che squarciano
quel tuo grido quel tuo affanno deliberatamente

fondendosi la
visione di uno strazio con uno strazio
tutto si rifa',

e da capo e di nuovo

2. MONDO. NICOLE ITANO: TROPPO POVERE PER VIVERE
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per
averci messo a disposizione nella sua traduzione il seguente testo di Nicole
Itano. Nicole Itano, corrispondente per "WeNews", vive a Johannesburg in
Sudafrica; sta scrivendo un libro sull'aids in Africa: la storia di
Charlotte Musi fa parte di questo lavoro]

Maseru, Lesotho. Quando Charlotte Musi sposo' un commerciante piu' anziano
di lei di dieci anni, nel 2001, si considerava fortunata di aver trovato un
uomo gentile e con un buon lavoro.
Nelle foto che mi mostra, suo marito mostra un sorriso accattivante. "Mi
amava tanto", dice Charlotte, e ride ricordando come suo marito Quenehelo
tento' di insegnarle a guidare l'automobile mentre lei era incinta del loro
bambino, Sekabatho, che ora ha due anni. La prima moglie di Quenehelo era
morta e fu solo dopo il matrimonio che Charlotte comincio' a sentire dai
suoi nuovi parenti dei pettegolezzi su come la donna che l'aveva preceduta
fosse stata lentamente consumata dalla malattia.
Quenehelo rifiuto', quando la nuova moglie chiese che entrambi si
sottoponessero al test per l'Aids. Era spaventato, e non voleva sapere se
era sieropositivo o no. Sekabatho non aveva ancora un anno, quando Charlotte
si trovo' a dover fare da infermiera a un marito malato. La sala da pranzo
di cui era stata cosi' fiera ospitava ora solo i suoi sogni infranti.
Infine, quando era cosi' malato da non poter piu' camminare, Quenehelo
acconsenti' a sottoporsi al test. Risulto' che la causa della sua malattia
era l'Aids e questo fu un colpo mortale per la piccola famiglia. In Lesotho,
allora, le medicine anti-retrovirali erano accessibili solo ad una
privilegiata minoranza di benestanti.
Charlotte seppelli' il marito nell'aprile 2003, prendendo in prestito da una
donna anziana 1.800 maloti (circa 300 dollari) per la bara, i riti funebri e
il cibo da fornire ai parenti. Questi vennero, cantarono e piansero,
mangiarono il pranzo funebre e la lasciarono sola a Naledi, un sobborgo
malsano della capitale.
*
Il mese successivo Charlotte, ancora sconvolta ma anche preoccupata per il
proprio futuro, ando' al Maluti Hospital per fare il test. Le sue paure
ebbero conferma: era sieropositiva.
Il suo medico le prescrisse una combinazione di tre sostanze, ma Charlotte
non poteva permettersi di comprarle tutte. Sottoponendosi ad una terapia
incompleta, rischiava che i farmaci non avessero effetto su di lei, ma una
dose mensile delle tre medicine costava la meta' del salario di Charlotte,
che lavorava nel settore tessile: dieci ore al giorno ad una macchina che
cuce magliette con i marchi Gap e Old Navy per l'esportazione negli Usa. "Se
non prendo queste pillole, muoio. Se non mangio, muoio, dice Charlotte
stancamente, Sono troppo povera per vivere".
I mesi passarono ed il suo corpo era sempre piu' debole. Spesso saltava i
pasti per pagare le rate del debito contratto per il funerale del marito.
Del suo stipendio, che oscillava fra i 650 ed i 1.000 maloti a seconda di
quanto lavoro straordinario faceva, la sua creditrice si prendeva 500 maloti
al mese: un anno dopo la morte del marito, Charlotte stava ancora pagando
debito e interessi. Ogni mese pagava inoltre 200 maloti alla ragazza che
badava al suo bambino mentre lei era al lavoro. E altri 100 se ne andavano
per pagare i mezzi di trasporto.
Suo nonno comincio' a darle una mano, passandole mensilmente parte della
propria pensione, ma Charlotte non aveva mai abbastanza cibo ne' denaro per
i vestiti necessari a tenere al caldo il figlio durante il freddo inverno di
quella regione montagnosa. Charlotte aveva un solo paio di scarpe rotte, che
le ferivano la pelle quando doveva andare al lavoro a piedi perche' le
mancavano gli 80 centesimi per i trasporti pubblici.
Mentre il virus distruggeva il suo sistema immunitario, Charlotte dimagriva
e cominciava a soffrire per le eruzioni cutanee e le piaghe. Si ammalo' di
tubercolosi e per tre settimane giacque nella stessa stanza che aveva
attrezzato come ospedale domestico per il marito. I parenti e gli amici
della vicina chiesa venivano le domeniche pomeriggio a farle visita, ma si
limitavano a guardarla quietamente. "La maggior parte di loro pensava che
stessi andando a raggiungere mio marito. Non lo dicevano, ma vedevo che lo
pensavano. Almeno questa cosa e' finita".
*
Charlotte si riprese, ma la malattia l'aveva terrorizzata. Non voleva
morire. Alla fabbrica dove lavorava un'infermiera, Palesa Motsoneng, le
parlo' di un nuovo medicinale, il Videx, che poteva aiutare le persone
sieropositive. Charlotte non sapeva nulla delle lotte a livello globale che
erano state condotte per anni allo scopo di abbassare i prezzi dei farmaci
come il Videx (nome commerciale dell'anti-retrovirale Didansosine) nei paesi
poveri quali il Lesotho. Ma a meta' del 2004, quando la giovane donna ando'
al Maluti Hospital in cerca del Videx, i prezzi di queste medicine erano
vistosamente calati. Le compagnie farmaceutiche avevano accettato di
abbassare i prezzi o avevano rinunciato ai brevetti, cosi' i produttori di
farmaci generici potevano produrre e vendere le sostanze nei paesi in via di
sviluppo.
Tuttavia, per Charlotte come per altri pazienti, tirare fuori i necessari 50
dollari per la dose mensile era ancora un problema. Risparmio' in qualche
modo per pagarsi due mesi di terapia, ma a novembre dovette interromperla.
La sua creditrice stava ancora mungendo il suo salario, ed i suoi parenti
non avevano piu' intenzione di aiutarla.
Natale fu triste, per Charlotte. Non aveva potuto permettersi neanche un
regalo per il bambino. Ando' alle celebrazioni in chiesa, ma non fece visita
a nessuno, e non festeggio'.
All'inizio del 2005 torno' in fabbrica, ma era ogni giorno piu' stanca.
L'infermiera Motsoneng temeva che stesse soffrendo di depressione, o di
demenza correlata all'Aids, e voleva organizzarle l'incontro con uno
psichiatra, ma prima che potesse farlo Charlotte si licenzio'.
Aveva finalmente estinto il debito per i funerali del marito. Decise che
avrebbe potuto guadagnare la stessa cifra che otteneva in fabbrica vendendo
mele al mercato, e visto che non doveva piu' essere al lavoro alle sette del
mattino, poteva iscriversi al programma di cure gratuito garantito dal
governo. Il programma ha un processo complicato, e prevede che le persone
siano a disposizione per giorni interi.
Il 18 marzo scorso, Charlotte si e' alzata prima dell'alba ed e' andata
all'ospedale di stato, chiamato "Queen 2". Mentre aspettava il suo turno, ha
ascoltato le chiacchiere ed i pettegolezzi. Le donne parlavano dell'aglio
come cura per le piaghe della bocca, mentre un uomo si lamentava dei vicini
che venivano ad assisterlo e nel contempo gli rubavano il sapone e la
farina. Ma Charlotte non prestava molta attenzione. Il suo pensiero era
concentrato sulla cura. Era determinata, decisa a sopravvivere.
Lo e' tuttora. Il suo piu' grande problema oggi, mi dice, e' trovare 80
maloti per comprare un ombrellone. Le servirebbe per ripararsi dal sole e
dalla pioggia mentre vende le sue mele al mercato.
*
Per maggiori informazioni:
- Care Lesotho: www.caresa-lesotho.org.za/hiv.htm
- Maluti Adventist Hospital: www.maluti-adventist-hospital.com/programs.htm

3. DIBATTITO. GIOBBE SANTABARBARA: COME FARE UN BUON NOTIZIARIO IN DIECI
FACILI LEZIONI

Una premessa, una volta per tutte
Si puo' anche pubblicare un foglio in bianco, e' gia' un buon notiziario.
E' un'idea di ascendenza leopardiana: se ben ricordo, una volte deve aver
detto o scritto che per avere una buona biblioteca bastava che non ci
fossero le opere di X (ahime', nella mia leopardilatria per anni e anni mi
sono rigorosamente astenuto dal leggere le opere di X, poi trovai su una
bancarella i due candidi volumi dell'edizione sansoniana, e mi ci immersi, e
trovai che aveva ragione Giacomo Debenedetti, come sempre. Corollario:
neanche Leopardi va preso alla lettera quando esprime i suoi malumori.
Corollario del corollario: per altri autori vale invece l'opposto principio:
che solo quando esprimono i loro malumori vale la pena di ascoltarli).
Ma come puo' essere un buon notiziario un foglio bianco? Per due motivi
almeno: primo, poiche' il silenzio e' preferibile al frastuono, e gia'
l'invito al silenzio e' una parola profonda. Secondo: perche' un foglio
bianco chiede all'interlocutore di esprimersi lui: lo chiama alla presa di
parola, lo convoca alla responsabilita'.
O anche, altrimenti: che su quel foglio restato bianco chi di solito legge
possa scrivere le sue parole d'amore e di sconforto, o disegnare la sua luna
e il suo pozzo, o registrare il suo silenzio, nel vuoto ritrovando il suo
sguardo, la sua propria voce, e' assai piu' che un buon notiziario.
*
1. Non pubblicare nulla di autori che abbiano fatto uso di violenza e
inganno, o se ne siano fatti apologeti.
Poi si puo' anche pubblicare un foglio in bianco, e' gia' un buon
notiziario.
*
2. Non pubblicare nulla che sia falso o esagerato o reticente.
Poi si puo' anche pubblicare un foglio in bianco, e' gia' un buon
notiziario.
*
3. Non pubblicare nulla che sia solo sperpero di tempo.
Poi si puo' anche pubblicare un foglio in bianco, e' gia' un buon
notiziario.
*
4. Non pubblicare nulla che sporchi o offenda.
Poi si puo' anche pubblicare un foglio in bianco, e' gia' un buon
notiziario.
*
5. Non pubblicare nulla che sia scritto male.
Poi si puo' anche pubblicare un foglio in bianco, e' gia' un buon
notiziario.
*
6. Non pubblicare nulla che sia confuso o poco chiaro.
Poi si puo' anche pubblicare un foglio in bianco, e' gia' un buon
notiziario.
*
7. Non pubblicare nulla che emargini o umili o frastorni anche un solo
lettore o una sola lettrice.
Poi si puo' anche pubblicare un foglio in bianco, e' gia' un buon
notiziario.
*
8. Non pubblicare nulla che possa suonare piaggeria, o divertimento, o
meschinita'.
Poi si puo' anche pubblicare un foglio in bianco, e' gia' un buon
notiziario.
*
9. Non pubblicare nulla che non sia ordinato alla lotta contro il male, che
non sia adeguato alla lotta contro il male, che non sia consapevole e
persuasivo del dovere e dell'urgenza della lotta contro il male; non
pubblicare nulla che non contrasti la violenza nel modo piu' nitido e piu'
intransigente; non pubblicare nulla che non difenda nel modo piu'
intransigente e nitido l'umana dignita'.
Poi si puo' anche pubblicare un foglio in bianco, e' gia' un buon
notiziario.
*
10. Non pubblicare nulla che possa suonare come un ordine o un codice o un
dogma, ad esempio un decalogo.
Poi si puo' anche pubblicare un foglio in bianco, e' gia' un buon
notiziario.
*
Una postilla, naturalmente
Ed anche questo si potrebbe dire: non pubblicare nulla.
Risparmia il tuo e di tutti spazio e tempo, e foreste, e respiro,
l'Amazzonia fuori e dentro di te.
Ma non sia il tuo silenzio complicita'. Meglio il silenzio che il rumore di
fondo che copre ed occulta il lavoro dei carnefici nella stanza della
tortura; ma meglio l'urlo di dolore che il silenzio di fronte alla violenza,
alla menzogna, all'ingiustizia. Della parola usa per chiamare alla lotta
contro ogni oppressione, contro ogni vilta'.

4. INCONTRI. DOMENICO JERVOLINO: FILOSOFIA E LIBERAZIONE
[Ringraziamo Domenico Jervolino (per contatti: djervol at tin.it) per averci
messo a disposizione il seguente articolo pubblicato sul quotidiano
"Liberazione" del 23 luglio 2005. Domenico Jervolino, nato a Sorrento nel
1946, discepolo di Pietro Piovani, studioso ed amico di Paul Ricoeur e Hans
Georg Gadamer, due fra i maggiori filosofi del Novecento, insegna
ermeneutica e filosofia del linguaggio all'Universita' di Napoli Federico
II. Fa parte degli organismi dirigenti dell'Associazione internazionale per
la Filosofia della  Liberazione (Afyl) e della International Gramsci Society
(Igs). E' stato recentemente eletto membro della Consulta filosofica
italiana (organismo rappresantivo della comunita' scientifica nel campo
degli studi filosofici). Nell'ambito dell'impegno politico e nelle
istituzioni e' stato consigliere regionale della Campania dal 1979 al 1987 e
membro della presidenza del Consiglio regionale. E' stato anche nel corso
degli anni tra i promotori del movimento dei Cristiani per il socialismo,
dirigente delle Acli e della Cisl Universita', membro della direzione
nazionale della Lega delle Autonomie Locali e della segreteria nazionale di
Democrazia Proletaria di cui e' stato a lungo responsabile nazionale cultura
e scuola. In Rifondazione Comunista e' attualmente membro del Comitato
politico nazionale e responsabile nazionale Universita'. Assessore
all'educazione del Comune di Napoli dal marzo 2000 al marzo 2001. E' autore,
nel campo degli studi filosofici, dei volumi: Il cogito e l'ermeneutica. La
questione del soggetto in Ricoeur, Procaccini,  Napoli 1984, Marietti,
Genova 1993  (tradotto in inglese presso Kluwer nel 1990); Pierre Thevenaz e
la filosofia senza assoluto, Athena, Napoli 1984; Logica del concreto ed
ermeneutica della vita morale. Newman, Blondel, Piovani, Morano, Napoli
1994; Ricoeur. L'amore difficile, Studium, Roma 1995; Le parole della
prassi. Saggi di ermeneutica, Citta' del sole, Napoli 1996 (in una collana
dell'Istituto italiano per gli studi filosofici); Paul Ricoeur. Une
hermeneutique de la condition humaine, Ellypses, Paris 2002; Introduzione a
Ricoeur, Morcelliana, Brescia 2003. Ha curato e introdotto l'antologia
ricoeuriana Filosofia e linguaggio, Guerini, Milano 1994, e una scelta di
scritti di Ricoeur sulla traduzione: La traduzione. Una scelta etica,
Morcelliana, Brescia 2001. Ha curato, inoltre, i volumi: Filosofia e
liberazione, Capone, Lecce 1992 (con G. Cantillo); e Fenomenologia e
filosofia del linguaggio, Loffredo, Napoli 1996 (con R. Pititto); L'eredita'
filosofica di Jan Patocka, Cuen, Napoli 2000. Ha partecipato ai principali
volumi collettivi pubblicati su Ricoeur negli ultimi anni in Francia,
Spagna, Inghilterra  e Stati Uniti e continua, attualmente, i suoi studi,
lavorando in particolare sull'opera di Jan Patocka e sugli sviluppi della
fenomenologia di lingua francese nonche' sul raporto ermeneutica-traduzione.
Complessivamente i suoi saggi e articoli di filosofia sono circa ottanta in
italiano o tradotti in sette lingue straniere. Nel campo della saggistica
politica e' autore dei volumi: Questione cattolica e politica di classe,
Rosenberg & Sellier, Torino 1969; Neoconservatorismo e sinistra alternativa,
Athena, Napoli 1985; e di una vasta produzione pubblicistica. Collabora a
numerose riviste italiane e straniere, tra cui  "Concordia" di Aachen,
"Actuel Marx" di Parigi,  "Filosofia e teologia" e "Studium" di Roma, "Segni
e comprensione" di Lecce; dirige la  rivista "Alternative" di Roma. E'
condirettore della rivista "Il tetto" di Napoli, di cui fa parte da circa
trent'anni]

Una filosofia che sappia parlare agli abitanti dei grandi barrios, dei
quartieri popolari che sono la roccaforte del movimento bolivariano che
sostiene il presidente Chavez, ai giovani che popolano le universita' di
Caracas, e infine a tutti coloro che lottano per riscattare i loro paesi da
una condizione di subalternita' che attanaglia ancora una buona parte
dell'umanita'. Questo il sogno che ha animato il primo forum di filosofia
del Venezuela che si e' concluso la scorsa settimana, con una serie di
incontri svoltisi tra il 6 e il 12 luglio non solo nella capitale ma anche
in altri centri di quel vasto paese. Fra i temi all'ordine del giorno i
processi di globalizzazione e le loro conseguenze sul piano della cultura e
della comunicazione, il ruolo e la responsabilita' degli intellettuali in
tale contesto, e la prospettiva di una filosofia solidale coi processi di
liberazione.
La lotta per riappropriarsi della ricchezza nazionale, destinandola al
conseguimento di grandi finalita' sociali (diritto alla salute e
all'istruzione, redistribuzione della proprieta' della terra, riassetto
urbano, uso pubblico dei beni comuni ecc.) sta rinnovando e attualizzando lo
spirito originario della repubblica fondata da Simon Bolivar. La grande
stampa e i mezzi di comunicazione internazionali hanno offerto un'immagine
distorta del processo politico in atto in questo grande paese di 26 milioni
di abitanti, che sta invece diventando uno straordinario laboratorio
politico dove antiche tradizioni di lotta popolare si saldano col tentativo
di realizzare una democrazia sociale avanzata e un esperimento di socialismo
umanistico proiettato verso il futuro. Questa realta' dinamica e' stata
presente fisicamente al congresso che ha compreso nel suo programma anche
visite e incontri con realta' di base, centri sociali, ambulatori popolari e
cooperative.
Al dialogo hanno partecipato senza particolari orpelli esponenti del governo
di sinistra come il ministro della cultura Sesto e la sua consigliera
culturale, la filosofa Carmen Bohorquez, principale organizzatrice
dell'incontro: quest'ultimo ha avuto uno dei suoi momenti culminanti nella
partecipazione di una delegazione di congressisti alla trasmissione
televisiva gestita come ogni domenica dallo stesso Chavez, che ha affrontato
i temi del momento, dall'uragano che ha colpito Cuba, agli attentati
terroristici di Londra condannati con un discorso di grande chiarezza ed
efficacia dal presidente in nome di una solidarieta' nei confronti di tutte
le vittime e soprattutto di un socialismo concepito come progetto di vita e
non di morte. Nelle parole di Chavez - soldato e forse proprio per questo
impegnato nella lotta per la pace - ho sentito una profonda consonanza con
la ricerca di una politica nonviolenta e radicalmente alternativa alla
logica della guerra. Chavez ha, tra l'altro, una grande ammirazione per
Gramsci, come mi e' stato confermato dai compagni del circolo bolivariano
"Antonio Gramsci", fondato da italiani residenti a Caracas, coi quali mi
sono incontrato nel corso del forum. Egli si appresta a venire a Roma in
agosto per ricordare il giuramento di Monte Sacro di Bolivar, che
rappresenta una memoria fondamentale della storia dei processi di
liberazione dell'America Latina.
*
I lavori hanno visto impegnati studiosi di 16 paesi, tra cui alcuni dei
grandi protagonisti del pensiero latinoamericano e della filosofia della
liberazione, da Enrique Dussel ad Arturo Roig, da Horazio Cerutti-Gulberg a
Joseph Comblin e Franz  Hinkelammert, insieme a colleghi cubani come la
combattiva Isabel Monal e Pablo Guadarrama, il brasiliano Sirio Lopez
Velasco, il cileno Ricardo Salas e la direttrice della rivista Chiapas Ana
Esther Cecena, mentre la presenza europea e africana, oltre a esponenti noti
al grande pubblico come Gianni Vattimo, al drammaturgo spagnolo Alfonso
Sastre e ai francesi Marc Blanchard e Georges Labica, era dovuta soprattutto
all'attivita' della rivista "Concordia" di Aquisgrana, fondata e diretta del
cubano Raul Fornet-Betancourt e che e' diventata negli ultimi anni il centro
di una rete di filosofia  interculturale, presente al convegno, tra l'altro,
con Lidia Procesi, di Roma Tre, studiosa di filosofia africana, e con la
congolese Albertine Tshibilondi. Significativa nel suo complesso la
partecipazione italiana, e in particolare quella delle universita'
napoletane e campane, con Giuseppe Cacciatore, direttore del dipartimento di
filosofia della Federico II, e di Antonio Scocozza, dell'universita' di
Salerno, presidente dell'Istituto di Studi Latino Americani. A Napoli e a
Pagani, nei pressi di Salerno, si sono del resto svolti anche di recente
incontri coi filosofi venezuelani, e in particolare  con Victor Martin
dell'Universita' di Maracaibo che da anni e' tramite fra Italia e Venezuela.
Saranno le riviste "Concordia" e "Alternative", col supporto
dell'Associazione Alternative Europa,  insieme all'Istituto di Studi Latino
Americani, che si faranno carico in Italia e in Europa di organizzare la
risposta al forum di Caracas. Questo e' l'impegno che abbiamo assunto
lasciando il Venezuela insieme a quello di tornare a Caracas per il secondo
forum.
Nel documento finale viene ribadito l'impegno per "una pratica della
filosofia intesa come strumento razionale di analisi integrale della
realta' con l'obiettivo di contribuire alla sua migliore comprensione e
trasformazione. Questo esige... lo sviluppo di un pensiero creativo
autenticamente rivoluzionario, che deve nutrirsi di due fonti: il sapere
accumulata dall'umanita' nel corso della storia e le esperienze popolari che
lo legittimano, lo interpellano e lo rinnovano".

5. CRIMINI. JEAN CHESNEAUX: QUANDO UNO STATO UCCIDE UN FOTOGRAFO
[Dal quotidiano"Il manifesto" del 30 luglio 2005. Jean Chesneaux, illustre
intellettuale impegnato nella solidarieta' con gli oppressi, contro il
colonialismo e per la difesa della biosfera, storico, esperto dell'Asia
contemporanea, professore emerito all'Universita' Paris VII, direttore di
studi all'Ecole des hautes etudes en sciences sociales, presidente onorario
di Greenpeace Francia, membro del consiglio scientifico di Attac,
consigliere di redazione della rivista "Ecologie & politique", membro del
comitato di redazione de "La Quinzaine litteraire". Tra le opere di Jean
Chesneaux: oltre a vari libri sulla storia dell'Asia, segnaliamo
particolarmente Du passe' faisons table rase?, Maspero, 1976;
Transpacifiques, observations et considerations diverses sur les terres et
archipels du Grand Ocean, La Decouverte, Paris 1987; La France dans le
Pacifique, La Decouverte, 1992; Tahiti apres la bombe. Quel avenir pour la
Polynesie francaise, L'Harmattan, 1995; Habiter le temps, Bayard, 1996;
L'art du voyage, Bayard, 1998; Carnets de Chine, Quinzaine litteraire, 1998;
Mouvement ouvrier chinois de 1919 a 1927, Ecole Des Hautes Etudes En
Sciences Sociales, 1999; Jules Vernes, un regard sur le monde, Bayard, 2001;
L'engagement des intellectuels (1944-2004). Itineraire d'un historien
franc-tireur, Privat 2004]

Esattamente vent'anni fa, nel luglio del 1985, degli agenti militari
francesi agli ordini di un ministro della guerra "socialista", Charles
Hernu, hanno fatto esplodere in mezzo al porto di Auckland, nella lontana
Nuova Zelanda, il Rainbow Warrior, un'ammiraglia della flotta pacifista di
Greenpeace. Un fotografo dell'organizzazione ecologista venne ucciso.
Con questo atto di guerra aperta perpetrato nelle acque territoriali di un
piccolo paese discreto, la violenza di stato francese ha mostrato il
disprezzo che provava nei confronti del diritto internazionale piu'
basilare.
L'ex capo dei servizi segreti francesi, l'ammiraglio Lacoste, ha appena
rivelato che tutta l'operazione sarebbe stata concepita con l'accordo
esplicito del presidente "socialista" dell'epoca, Francois Mitterrand.
L'attentato, nella strategia francese, era motivato dalla convinzione -
immaginaria - che il Rainbow Warrior, dopo un periodo di riposo in Nuova
Zelanda, avrebbe fatto scalo a Tahiti per imbarcare dei militanti
indipendentisti di questo territorio francese, con lo scopo di portarli fino
all'atollo di Mururoa, allora sacrosanta base nucleare del dispositivo
militare francese. Bisognava quindi difendere contro di essi una "terra
francese". Nei fatti, anche se gli indipendentisti tahitiani non hanno mai
nascosto l'ostilita' sia alla dominazione francese che agli esperimenti
nucleari nelle loro isole, non avevano mai previsto un tale progetto.
Oggi la Francia ha dovuto rinunciare agli assurdi esperimenti di Mururoa, e
il nostro mondo inquieto affronta ben altre minacce. Ma aspettiamo ancora un
pentimento francese nei confronti della Nuova Zelanda e nei confronti di
Greenpeace.

6. RIFLESSIONE. LIDIA MENAPACE: LA SINISTRA EUROPEA TRA COMPLESSITA' E
FRAMMENTAZIONE
[Dal quotidiano "Liberazione" del 5 maggio 2004 riprendiamo il seguente
articolo. Lidia Menapace (per contatti: lidiamenapace at aliceposta.it ) e'
nata a Novara nel 1924, partecipa alla Resistenza, e' poi impegnata nel
movimento cattolico, pubblica amministratrice, docente universitaria,
fondatrice del "Manifesto"; e' tra le voci piu' alte e significative della
cultura delle donne, dei movimenti della societa' civile, della nonviolenza
in cammino. La maggior parte degli scritti e degli interventi di Lidia
Menapace e' dispersa in quotidiani e riviste, atti di convegni, volumi di
autori vari; tra i suoi libri cfr. Il futurismo. Ideologia e linguaggio,
Celuc, Milano 1968; L'ermetismo. Ideologia e linguaggio, Celuc, Milano 1968;
(a cura di), Per un movimento politico di liberazione della donna, Bertani,
Verona 1973; La Democrazia Cristiana, Mazzotta, Milano 1974; Economia
politica della differenza sessuale, Felina, Roma 1987; (a cura di, ed in
collaborazione con Chiara Ingrao), Ne' indifesa ne' in divisa, Sinistra
indipendente, Roma 1988; Il papa chiede perdono: le donne glielo
accorderanno?, Il dito e la luna, Milano 2000; Resiste', Il dito e la luna,
Milano 2001; (con Fausto Bertinotti e Marco Revelli), Nonviolenza, Fazi,
Roma 2004]

Proporsi di ridurre la frammentazione politica della sinistra in Europa e'
una decisione molto importante e "puntuale", cioe' che capita quando la
crisi delle forme politiche, e il rinsecchimento delle istanze e dimensioni
nazionali e' di tutta evidenza: pensare pero' di porre rimedio a una
situazione cosi' preoccupante con piccoli cabotaggi rivelerebbe corta vista
e non comprensione di cio' che serve.
Serve dunque coraggio, rimettersi in gioco e in discussione, fantasia,
calcolato senso del rischio e insieme pazienza, capacita' di tessere
relazioni, di spianare ostacoli, ridurre diffidenze e via dicendo.
In primo luogo - sto per dire - sarebbe necessario fare un buon corso di
pedagogia e di relazioni. Puo' supplire la voglia, il senso della occasione
storica, che non si puo' perdere. Ma soprattutto un rapporto affettuosamente
laico e amabilmente critico con tutti i nostri passati: questo mi pare
importante per evitare forme "religiose" ed "ecclesiastiche", litanianti,
liturgiche di rapporto con le proprie storie.
Se non si esce dal rapporto di chiesa con la tradizione politica succede
che - caduta la chiesa - i piu' eretici tendono a ridare fiato
all'ortodossia, dato che senza chiesa non sanno vivere. Avere in Europa una
sinistra differenziata non sarebbe un dramma, bisogna essere capaci di
gestire il molteplice e non pensare di ridurre la complessita', operazione
autoritaria.
Ma avere forze politiche senza relazioni con la realta', disancorate dalla
realta', e' lamentevole. Per proporsi di ovviare a tale situazione occorre
certo avere alcune certezze "non disponibili", alcune scelte non mediabili
(una lettura della societa' che si ponga dal punto di vista di chi e'
sfruttato/a oppresso/a, una chiara pratica di riconoscimento dei generi, una
cultura del rispetto delle risorse, una posizione per la pace, ad esempio) e
il massimo di capacita' di fantasia per trovare forme che consentano il
pieno dispiegarsi di tali soggettivita' politiche differenziate, molteplici,
non riducibili...

7. LIBRI. STEFANIA ASTARITA PRESENTA "L'HAREM E L'OCCIDENTE" DI FATEMA
MERNISSI
[Dalla rivista on-line di critica filosofica "Kainos", n. 3/2003 (sito:
www.kainos.it) riprendiamo il seguente articolo di Stefania Astarita che
presenta il libro di Fatema Mernissi, L'harem e l'Occidente, Giunti, Firenze
2000, pp. 190, euro 12,50.
Stefania Astarita, studiosa di estetica, fa parte della redazione dela
rivista on line di critica filosofica "Kainos".
Fatema Mernissi (ma il nome puo' essere traslitterato anche in Fatima) e'
nata a Fez, in Marocco, nel 1940, acutissima intellettuale, docente
universitaria di sociologia a Rabat, studiosa del Corano, saggista e
narratrice; tra i suoi libri disponibili in italiano: Le donne del Profeta,
Ecig, 1992; Le sultane dimenticate, Marietti, 1992; Chahrazad non e'
marocchina, Sonda, 1993; La terrazza proibita, Giunti, 1996; L'harem e
l'Occidente, Giunti, 2000; Islam e democrazia, Giunti, 2002; Karawan. Dal
deserto al web, Giunti, 2004. Il sito internet di Fatema Mernissi e'
www.mernissi.net]

Cosa pensano gli Occidentali dell'harem? Quale idea di donna e' comunemente
associata a quell'esotico luogo orientale? A queste domande, cariche di
valenze culturali e politiche, risponde la sociologa marocchina Fatema
Mernissi nel suo libro L'harem e l'Occidente, che smonta progressivamente il
sogno tutto occidentale di una comunita' di donne avvenenti, succubi e
devote, sempre a disposizione del loro uomo-padrone, che ha solo l'imbarazzo
della scelta per soddisfare tutti i suoi desideri. Nulla di piu' distante
dalla cultura musulmana, che riconosce invece al gentil sesso grandi doti di
intelligenza e coraggio, unite a un profondo senso di liberta'.
Il racconto della donna il cui vestito di piume le consente di volare e di
liberarsi quindi dei vincoli matrimoniali, con i quali il marito ha creduto
di legarla a se' per sempre, riprende l'immagine dell'originaria dea-madre
Ishtar, che sceglie i propri partners liberamente, distinguendo in tal modo
la maternita' dalla fedelta' coniugale. Sarebbe proprio l'incontrollabile e
minaccioso potere delle donne, libere di autodeterminarsi, a spiegare
l'origine di uno spazio delimitato da alte mura, quale appunto si configura
l'harem, a loro destinato esclusivamente al fine di circoscriverne il raggio
d'azione. Evidenti le implicazioni politiche di una simile segregazione, che
mette in scacco un possibile ruolo pubblico della donna, costretta al velo
fuori dell'harem.
Si istituisce cosi' un regime di ineguaglianza, all'interno del quale e'
difficile immaginare obbedienza e abnegazione. La poligamia
istituzionalizzata non fu accolta pacificamente dalle donne musulmane, e
infatti non poche furono le regine che uccisero il proprio marito, pur di
evitargli di unirsi ad un'altra consorte.
D'altra parte e' sufficiente interrogare la tradizione letteraria e
iconografica dell'Islam per verificare la presenza di modelli di
comportamento femminile ben lontani da quelli immaginati in Occidente.
Fatema Mernissi ci guida in questo viaggio alla scoperta del ruolo
riconosciuto alla donna nella cultura musulmana, attraverso la storia di due
eroine del mondo islamico, Shahrazad, protagonista delle Mille e una notte e
Shirin, vera e propria icona delle miniature orientali.
*
Shahrazad accetta, come e' noto, di sposare un re crudele, che per vendicare
il tradimento della prima moglie, dopo averla messa a morte, ha deciso di
iterare i suoi crimini per punire l'infido genere femminile: dopo la prima
notte di nozze, tutte le sue spose seguono il triste destino della prima.
Facendo ricorso alla sua sconfinata cultura, unica arma delle donne recluse
nell'harem, Shahrazad riesce ad opporre alla logica maschile della forza la
magia della parola, lucida e ammaliante a un tempo, con cui tesse nella
notte trame di racconti avvincenti, che inducono il re a differire di giorno
in giorno l'esecuzione. L'arte del narrare contiene in se' un'evidente
funzione civilizzatrice, che, notte dopo notte, cambiera' lentamente il re,
fino alla sospensione della crudele legge, scaturita dall'odio. E proprio
per aver sconfitto l'ordine della violenza, Shahrazad e' considerata il
"simbolo dei diritti umani nell'Oriente moderno" (p. 49). Tale definizione
e' altresi' sufficiente a comprendere la connotazione politica dell'eroina
che, mediante il dialogo e l'ascolto, sconfigge il regime cieco della forza
dispotica maschile.
La narrazione e' riconosciuta, quindi, come un'arte tutta femminile ("chi
narrava le storie nella famiglia era la nonna piuttosto che il nonno", p.
49) e propria della tradizione orale, la stessa che ha consentito la
trasmissione delle storie delle Mille e una notte al riparo dalle elite
maschili al potere, che controllavano piuttosto i testi scritti, attribuendo
poco significato a quanto le masse di illetterati continuavano a tramandarsi
oralmente. La legge come trascrizione della verita', fissata mediante la
scrittura nel Corano e tale da istituire le gerarchie di potere, si
contrappone quindi al racconto, frutto dell'immaginazione ogni volta
all'opera nella trasmissione orale, tipica delle fasce piu' deboli della
popolazione e, al loro interno, del mondo femminile. La carica eversiva di
quest'ultimo e' testimoniata dalla stessa nonna della Mernissi, la quale
stravolge, nella narrazione orale, proprio la storia della donna dal vestito
di piume, a favore della liberta' e dell'autodeterminazione della donna.
Nuovamente e' in gioco la dimensione politica e la giusta rivendicazione di
un ruolo pubblico, quello che Shahrazad ha inaugurato e che le donne del
mondo musulmano oggi si apprestano a riconquistare: basti pensare che in
Egitto la presenza femminile nel mondo accademico e' maggiore che in Francia
e in Canada.
*
Shirin e' l'equivalente di Shahrazad nella pittura musulmana. L'iconografia
tradizionale la ritrae a caccia, al bagno, e sempre comunque col suo
cavallo, che le consente di viaggiare, muovendosi liberamente verso terre
sconosciute, alla ricerca di un amore che si configura come superamento di
una linea di confine. "Nella psiche musulmana, amare e' imparare a superare
una linea di confine, per raccogliere la sfida della differenza" (p. 144).
Il cavallo di Shirin rappresenta metaforicamente la possibilita' di superare
i confini mediante l'intelligenza e la cultura, che consentono di viaggiare
con la mente, come fa Shahrazad.
*
La sfida della differenza e' sottesa anche alla lotta per il riconoscimento
del pluralismo negli stati musulmani, ed e' per tale motivo che Fatema
Mernissi giunge a collegare la questione politica, della trasformazione dei
regimi islamici in moderne democrazie, alla battaglia del femminismo.
"Qualsiasi riflessione sulla modernita' come chance di liberarsi dalla
violenza dispotica assunse la forma, nel mondo musulmano, di una necessaria
presa di posizione dei filosofi a favore delle donne" (p. 46). La dualita'
dei sessi costringe a confrontarsi con l'altro da se', ed e' solo a partire
dal riconoscimento e dall'ascolto della prima differenza che costituisce il
genere umano, quella tra i sessi, che sara' possibile aprirsi al pluralismo
e conseguire gli esiti piu' avanzati delle moderne democrazie occidentali.
Ne e' un esempio emblematico la Turchia, in cui Ataturk fu artefice di una
grande svolta innovativa, che prese le mosse proprio da importanti riforme
femministe, quali l'abolizione della poligamia, nel 1926, e il
riconoscimento alle donne del diritto al voto politico, nel 1934. Dunque il
tema dell'incontro tra i due sessi si intreccia alla questione politica, e
il mondo islamico offre elementi importanti di riflessione su questo snodo,
a partire dalla concezione della donna libera, intelligente, capace di
autodeterminazione e di ascolto dell'altro.
*
E tuttavia l'Occidente continua ad associare all'harem l'immagine di
odalische belle e lascive, dimenticando che, nella tradizione musulmana, ben
altre sono le caratteristiche del fascino femminile, sostanzialmente legato
al potere incontrollabile, alla forza di volonta', alla cultura. Niente e'
piu' intrigante nell'harem della sfida intellettuale tra uomo e donna.
"Essere intellettualmente sfidati dalle donne - sostiene l'autrice - dava
agli uomini un brivido sensuale" (p. 106). Perche' il solo tratto che invece
ossessiona gli occidentali e' quello della bellezza inevitabilmente legata
al sesso e alla passivita'? La Mernissi inizia, con questa domanda,
un'analisi originale dell'immaginario maschile occidentale, che viene
indagato a partire dalla filosofia di Kant, attraverso i quadri di Ingres e
Matisse, per poi approdare al mito contemporaneo della linea perfetta, o
meglio della taglia 42.
Secondo l'autrice, l'autorevole filosofo tedesco, nelle sue Osservazioni sul
sentimento del Bello e del Sublime, associando la bellezza al femminile e il
sublime alla razionalita' propria del maschile, realizzerebbe una cesura,
tale da rendere inconciliabili bellezza e intelligenza. "Se l'intelligenza
e' monopolio maschile, le donne che osano appropriarsene saranno private
della loro femminilita'" (p. 97). Ne deriva l'impossibilita' per la donna di
avere fascino grazie alla sua cultura e alle sue doti intellettive, e la
conseguente esaltazione della bellezza, ridotta a mera esteriorita'. "La
donna ideale di Kant e' senza parole" (p. 79): questo il filo rosso che
guida la Mernissi alla scoperta di celebri immagini di odalische, ritratte
da Ingres e Matisse secondo una mentalita' tutta occidentale, che traduce la
bellezza in nudita' silenziosa e passiva. Tuttavia, negli stessi anni in cui
Matisse dipingeva, i Giovani Turchi rivoluzionavano il mondo musulmano
mettendo al bando gli harem e riconoscendo alla donna diritti pari a quelli
che, fino ad allora, erano rimasti esclusivo appannaggio maschile. Ma se
tutto cio' non ha inciso minimante sull'idea occidentale dell'harem, ancor
oggi popolato di odalische seminude, allora si puo' concludere "che
l'immagine sia l'arma principale usata dagli occidentali per dominare le
donne" (p. 153). I quadri di Matisse, infatti, hanno potuto piu' dei dati
storici, e consentono agli occidentali di continuare a sognare donne che non
sono mai esistite, perpetrando modelli puramente fantastici.
*
L'attenzione spasmodica alla bellezza fisica rappresenta una vera e propria
trappola per la donna occidentale, che e' costretta a percepire l'eta' come
una svalutazione e a dedicare quindi le sue energie migliori alla cura della
propria immagine, senza poter mai vincere, naturalmente, la sfida contro il
tempo. "Gli atteggiamenti degli occidentali sono decisamente piu' pericolosi
e sottili di quelli musulmani perche' l'arma usata contro la donna e' il
tempo" (p. 173). La taglia 42 si rivela, in conclusione, come il confine di
un harem tutto occidentale, quello della bellezza, appunto, che finisce per
rendere schiave proprio le donne considerate piu' emancipate e moderne,
mentre, lontano dai riflettori maschili, le sorelle musulmane continuano
decise il loro cammino di liberazione.

8. LIBRI. ALESSANDRO MARESCOTTI PRESENTA "BREVE STORIA DEL PACIFISMO IN
ITALIA" DI PIETRO PASTENA
[Ringraziamo Alessandro Marescotti (per contatti: a.marescotti at peacelink.it)
per questo intervento.
Alessandro Marescotti, insegnante, amico della nonviolenza, e' presidente di
Peacelink, il piu' importante punto di riferimento pacifista italiano nella
rete telematica (sito: www.peacelink.it), ed autore di varie pubblicazioni.
Un profilo di Alessandro Marescotti da lui stesso generosamente scritto su
nostra richiesta e' nel n. 441 di questo foglio.
Pietro Pastena, gia' obiettore di coscienza, vive a Palermo, dove insegna e
si occupa di criminalistica particolarmente come esperto di perizie
giudiziarie nel campo dell'identificazione delle scritture. Tra le opere di
Pietro Pastena: Giallo tricolore, Dharba, 1990; La scienza delle tracce.
L'identificazione scientifica dell'autore di un crimine, Bonanno, 2003;
Breve storia del pacifismo in Italia. Dal Settecento alla guerra del Golfo,
Bonanno, 2005]

Breve storia del pacifismo in Italia e' un libro di 175 pagine piu' una
quindicina con gli utili indici delle associazioni e dei nomi citati.
L'autore e' Pietro Pastena, gia' obiettore di coscienza. La casa editrice e'
Bonanno (www.bonannoedizioni.it).
Il libro parte dal 1700 e giunge al 1991, concludendosi con la prima guerra
del Golfo. A dispetto di quanto possa far intendere il titolo, l'analisi non
si limita al pacifismo italiano ma si avvale di ampi riferimenti storici
internazionali. E, nonostante la modestia del titolo ("breve storia"), cio'
che si trova e' veramente tanto, considerando le molteplici note a pie' di
pagina.
Un'analisi ben articolata del contesto europeo permette di comprendere come
i pacifisti italiani non si siano formati dal nulla ma siano stati
influenzati dalle idee di personaggi e filosofi ben precisi. Nomi come
Saint-Simon, Spencer o Tolstoj, solo per fare degli esempi, ricorrono nel
testo. Sono ben descritte, con tanti particolari ed una narrazione
scorrevole, le interrelazioni fra il pacifismo italiano e i congressi
europei che, fra fine Ottocento e inizio Novecento, hanno dato impulso al
movimento per la pace.
La caratteristica che balza subito agli occhi e' il carattere di particolare
cura nella documentazione, davvero ricca, che rende non solo utile ma
veramente prezioso il libro. Infatti dai tanti nomi e riferimenti
bibliografici citati si puo' partire per un ulteriore approfondimento,
ricorrendo ai motori di ricerca su Internet e alle biblioteche
specializzate.
Il testo e' asciutto e doverosamente critico verso le carenze storiche del
pacifismo e le furberie di chi ha voluto cavalcarlo. L'impostazione e' laica
ma prende in considerazione con interessante precisione filologica il
primissimi passi del "pacifismo" cattolico, ben prima di don Mazzolari e don
Milani, frutto di un lavoro certosino su archivi e documenti storici in gran
parte poco conosciuti e su una vasta gamma di testi molto mirati.
In conclusione lo si puo' considerare un libro di livello elevato, utile a
chi compia studi universitari in ambito storico, che completa e
approfondisce conoscenze di base gia' acquisite. Cio' nonostante l'autore di
volta in volta illustra i personaggi citati, senza dare per scontato nulla.
Non e' un libro fatto di ragionamenti ma di fatti, e se vi sono delle
considerazioni esse vengono dopo i fatti. Importante: assenza totale di
paroloni difficili. Al contrario il libro "si fa leggere" per il suo stile
in buona parte narrativo basato su riscontri oggettivi e fatti documentati.
L'arco di tempo considerato, ben tre secoli, offre una profondita' storica
per superare una visione del pacifismo tutta schiacciata sul presente. Il
libro e' stato scritto in particolare per tutti coloro che si considerano
pacifisti ma non conoscono la storia del pacifismo. Cosi' spiega l'autore
nell'introduzione. Ci auguriamo che possa essere letto proprio per colmare
questa lacuna che, chi piu' chi meno, un po' tutti noi che siamo impegnati
nel movimento per la pace, ci portiamo dietro.

9. LIBRI. TIZIANO TISSINO PRESENTA "TRUTH AGAINST TRUTH" DI URI AVNERY
[Ringraziamo Tiziano Tissino (per contatti: t.tissino at itaca.coopsoc.it) per
questo intervento.
Tiziano Tissino e' impegnato nei Beati i costruttori di pace, nella Rete di
Lilliput, ed in numerose altre esperienze ed iniziative nonviolente.
Uri Avnery e' nato ad Hannover nel 1924, ed e' emigrato in Palestina
all'avvento del nazismo; gia' militante dell'Haganah e combattente nella
guerra del 1948; piu' volte parlamentare, giornalista, impegnato
nell'opposizione democratica e nel dialogo col popolo palestinese; e' tra le
voci più vive del movimento pacifista israeliano. Opere di Uri Avnery:
Israele senza sionisti, Laterza, Bari 1970; Mio fratello, il nemico,
Diffusioni 84, Milano 1988]

Grazie ad una cara amica, ho scovato un documento molto interessante sul
sito dell'organizzazione pacifista israeliana Gush-Shalom. E' un opuscolo di
Uri Avnery in inglese (la cui versione pdf puo' essere scaricata dal sito
www.gush-shalom.org) dal titolo "Truth against truth: A Completely Different
Look at the Israeli-Palestinian Conflict" ("Verita' contro verita'. Una
visione completamente differente del conflitto israeliano-palestinese).
Per darvi un'idea del contenuto dell'opuscolo, riporto una traduzione della
seconda e quarta pagina di copertina:
"Gli arabi credono che gli ebrei siano stati trapiantati in Palestina
dall'imperialismo occidentale, per soggiogare il mondo arabo. I sionisti,
d'altro canto, sono convinti che la resistenza araba all'iniziativa sionista
sia semplicemente la conseguenza della natura assassina degli arabi e
dell'Islam.
L'opinione pubblica israeliana deve riconoscere che al di la' degli aspetti
positivi dell'iniziativa sionista, una terribile ingiustizia e' stata
inflitta al popolo palestinese.
Questo richiede una disponibilita' all'ascolto e alla comprensione della
posizione dell'altro in questo conflitto storico, in modo da costruire un
ponte tra le due esperienze nazionali ed unificarle in una narrazione
comune".
"Attenzione! Questo e' un testo sovversivo, che mina i fondamenti su cui si
basa il consenso nazionale. Questi 101 punti demoliscono i miti, le bugie
convenzionali ed i falsi storici su cui si basano gran parte degli argomenti
della propaganda sia israeliana che palestinese. Le verita' di entrambi i
lati sono intrecciate in una ricostruzione storica che rende giustizia ad
entrambi. Senza questa base comune, la pace e' impossibile".
*
Secondo Uri Avnery, autore dell'opuscolo, l'incapacita' da parte di Israele
(anche della sua sinistra, e di parte del movimento pacifista), di cogliere
il punto di vista, le ragioni e le aspirazioni del popolo palestinese ha
finora impedito di intraprendere un vero percorso di pace. Per far questo,
Avnery ricostruisce la storia di questo lacerante conflitto, partendo dalle
sue radici e passando per tutti i momenti piu' significativi (le varie
guerre e le varie fasi del cosiddetto "processo di pace") fino ad arrivare
ad illustrare quello che potrebbe essere un piano di pace alternativo, in
grado di soddisfare le esigenze di sicurezza di entrambi i popoli, su basi
di equita', mutuo rispetto e cooperazione. Ovviamente, concordo in pieno con
lui. Non solo: credo che il suo lavoro possa indicare un metodo da
utilizzare anche in altri conflitti, piu' o meno latenti, anche qui da noi.
Ne consiglio quindi la lettura non solo agli amici di Israele e di
Palestina, ma un po' a tutti.

10. RILETTURE. ELISABETH BURGOS (A CURA DI): MI CHIAMO RIGOBERTA MENCHU'
Elisabeth Burgos (a cura di), Mi chiamo Rigoberta Menchu', Giunti, Firenze
1987, pp. XXIV + 304, lire 15.000. Il libro che ha fatto conoscere Rigoberta
al mondo.

11. RILETTURE. RIGOBERTA MENCHU' TUM: RIGOBERTA I MAYA E IL MONDO
Rigoberta Menchu' Tum, Rigoberta i maya e il mondo, Giunti, Firenze 1997,
pp. X + 350, lire 22.000. Con la collaborazione di Dante Liano e Gianni
Mina', e contributi di Humberto Ak'abal ed Eduardo Galeano, il secondo
grande libro di testimonianza della donna india guatemalteca premio Nobel
per la pace nel 1992.

12. RILETTURE. UFFICIO DEI DIRITTI UMANI DELL'ARCIVESCOVADO DI GUATEMALA:
GUATEMALA: NUNCA MAS
Ufficio dei diritti umani dell'arcivescovado di Guatemala, Guatemala: nunca
mas. Rapporto Remhi, Fondazione Guido Piccini - La Piccola Editrice, Celleno
(Vt) 1998, pp. 344, lire 30.000. Il rapporto conclusivo del progetto "per il
recupero della memoria storica" sul trentennale genocidio guatemalteco. Una
lettura fondamentale. Per richieste: La Piccola Editrice, via Roma 5, 01020
Celleno (Vt), tel. e fax: 0761912591, e-mail: convento.cel at tin.it, sito:
www.conventocelleno.it/lapiccola.index.htm

13. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

14. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1025 del 17 agosto 2005

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