Nonviolenza. Femminile plurale. 23



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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
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Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino"
Numero 23 del 4 agosto 2005

In questo numero:
1. Federica Giardini legge "Speculum" di Luce Irigaray
2. Wanda Tommasi: L'intelligenza dell'amore: Simone Weil e Etty Hillesum

1. RIFLESSIONE. FEDERICA GIARDINI LEGGE "SPECULUM" DI LUCE IRIGARAY
[Dalla rivista "Per amore del mondo" (nel sito: www.diotimafilosofe.it)
riprendiamo il testo della relazione tenuta da Federica Giardini al
seminario di Diotima svoltosi presso l'Universita' di Verona il 5 novembre
1999.
Federica Giardini e' docente di filosofia politica presso l'Universita' Roma
Tre. Tra le opere di Federica Giardini: Relazioni. Fenomenologia e pensiero
della differenza sessuale, Luca Sossella Editore, Roma 2004.
Luce Irigaray, nata in Belgio, direttrice di ricerca al Cnrs a Parigi, e'
tra le piu' influenti pensatrici degli ultimi decenni. Opere di Luce
Irigaray: Speculum. L'altra donna, Feltrinelli, Milano 1975; Questo sesso
che non e' un sesso, Feltrinelli, Milano 1978;  Amante marina. Friedrich
Nietzsche, Feltrinelli, Milano 1981; Passioni elementari, Feltrinelli,
Milano 1983; Etica della differenza sessuale, Feltrinelli, Milano 1985;
Sessi e genealogie, La Tartaruga, Milano 1987; Il tempo della differenza,
Editori Riuniti, Roma 1989; Parlare non e' mai neutro, Editori Riuniti, Roma
1991; Io, tu, noi, Bollati Boringhieri, Torino 1992; Amo a te, Bollati
Boringhieri, Torino 1993; Essere due, Bollati Boringhieri, Torino 1994; La
democrazia comincia a due, Bollati Boringhieri, Torino 1994; L'oblio
dell'aria, Bollati Boringhieri, Torino 1996]

Speculum viene pubblicato a Parigi nel 1974. E' uno dei testi maggiori del
pensiero della differenza sessuale. In Europa come negli Stati Uniti, in
tempi e modi diversi (1), Speculum e' stato accolto come un testo
fondamentale, cioe' imprescindibile, che apre a un nuovo modo di pensare
all'essere donna nella nostra tradizione di pensiero.
Con Speculum Irigaray da' voce a un periodo particolarmente vivo per la
filosofia, la psicoanalisi e il movimento delle donne (2). Ma in questo
testo non c'e' solo l'aria del tempo, c'e' una grande scommessa.
In quegli anni Irigaray era allieva dello psiconanalista Jacques Lacan e
psicoanalista a sua volta, attiva nel gruppo di donne psych.et.po.
(psicoanalisi e politica) fino al 1970. All'uscita di Speculum, nell'ottobre
1974,  Irigaray viene sospesa dagli incarichi di insegnamento che ricopriva
fino a quel momento all'universita' di Vincennes - universita' che era stata
al centro del '68 e aveva dunque fama di luogo di liberta' politica. C'e'
anche questo in Speculum, uno scontro per la liberta' femminile che i
protagonisti del '68 non sono stati in grado di reggere (3).
*
Speculum si puo' dunque leggere come un atto di guerra - e' questo che
vorrei mettere in luce in questa lettura, vorrei leggere quest'opera come
atto di guerra. Una guerra simbolica, condotta da Irigaray con  un uso
magistrale del discorso, della teoria e dei suoi meccanismi, che ha avuto
delle ricadute di fatto, come quell'espulsione.
Si tratta di un aspetto, questo atto di guerra, che fa la grandezza del
testo e insieme indica qualcosa di poco convincente, qualcosa che e' rimasto
non detto.
Filosofia e psicoanalisi, una psicoanalisi che nella versione lacaniana da'
molta attenzione al linguaggio, sono gli assi portanti che Irigaray mette a
frutto e scompiglia nel suo magnifico testo. Sui suoi rapporti con la
politica delle donne Irigaray stessa fa risalire la fine della propria
appartenenza al movimento e alle sue "fazioni" al 1970 (4). Dunque alcuni
anni prima dell'uscita di Speculum.
Per dire come si configura la guerra di Speculum citero' in particolare i
due capitoli "Ogni teoria" e "Il volume senza contorno" che aprono e
chiudono la seconda sezione di Speculum e che presentano in modo piu'
generale gli intenti di Irigaray. Sono capitoli in cui Irigaray presenta una
sorta di manifesto della guerra condotta contro il pensiero occidentale e il
suo fallocentrismo, e insieme da' delle tracce per aprire a un pensiero
differente sull'essere donna.
*
Penso che Speculum sia noto a molte di voi, ma dare un breve cenno sulla
struttura dell'opera (5) mi aiuta nello sviluppo del discorso, penso che lo
renda piu' chiaro.
Speculum si divide in tre sezioni, la prima e' dedicata a una critica di
Freud, soprattutto al suo scritto tardo sulla femminilita'.
La seconda inaugurata dal capitolo di cui dicevo, "Ogni teoria", e' un
excursus attraverso i momenti piu' importanti del pensiero occidentale, da
Platone fino a Hegel, e sui modi in cui viene trattato il femminile, dalla
donna, alla madre, alla materia, alla natura. La sezione si chiude con il
capitolo "Il volume senza contorno". Infine la terza sezione e' dedicata a
una lunga analisi del mito della caverna, quel mito con cui Platone nella
Repubblica illustra il rapporto degli uomini con la conoscenza (6).
*
Dice dunque Irigaray:
"Ogni teoria del 'soggetto' si trova sempre ad essere appropriata al
'maschile'" (p. 129).
"E cosi' la donna non ha ancora avuto luogo" (p. 210).
Sono le frasi d'inizio dei due capitoli che aprono e chiudono la seconda
sezione, quella dell'excursus sui momenti del pensiero occidentale. Sono
dichiarazioni nette, perentorie. Non c'e' luogo teorico, non c'e' concetto
che una donna possa mettere a frutto per se', per far parlare la propria
differenza.
Irigaray sta facendo pulizia delle illusioni. In un'intervista su un
quotidiano francese (7) Irigaray critica le donne "sapienti", quelle che
pensano di poter entrare nell'ordine del sapere costituito. Bando a queste
illusioni, dice, nella teoria una donna, la donna, non ha posto, o meglio ha
un posto predefinito, quello che l'uomo e il suo discorso le riserva.
Ed e' a quest'opera di disillusione che Speculum e' soprattutto dedicato.
Ne' Freud, grande scopritore dell'inconscio, ne' i vari filosofi sono capaci
di creare uno spazio di pensiero in cui la donna, una donna, possa dire
liberamente la propria esperienza, darle una forma. Anzi, e di qui il
titolo, il femminile, in tutte le figure che assume, la donna castrata, la
madre fallica, la materia informe, la natura gratuita, l'esclusa etc., e' lo
specchio, il supporto, il suolo perche' il soggetto maschile possa
ritrovarsi, possa riconoscersi uguale a se stesso.
Mi fermo per segnalare un paradosso: Irigaray ribadisce continuamente che la
donna ha per destino il mutismo, non puo' produrre un pensiero che sia suo,
che faccia riferimento a un proprio ordine, eppure, lei stessa, donna che
denuncia questo mutismo, gli muove guerra, parlando, con grande finezza e
maestria.
Irigaray rivela dunque una trappola simbolica che si chiude sulla
soggettivita' femminile, la rivela e la articola nei minimi dettagli, eppure
in questo gesto di disvelamento della trappola lei e' altrove, non vi rimane
chiusa dentro. Insomma, si potrebbe fare un esercizio di immaginazione:
Speculum avrebbe potuto essere solo un libro di denuncia, di denuncia
dell'oppressione, stavolta non solo materiale ma simbolica, relativa alla
possibilita' di pensarsi di pensare la realta', e credo che sarebbe stato un
testo fra gli altri (all'epoca ce ne sono stati molti altri di questo tipo)
(8). La grandezza di questo testo, la sua fecondita', sta nel fatto che il
grande e imponente disvelamento dei meccanismi di esclusione che regolano il
pensiero occidentale viene in qualche misura smentito nel testo stesso. La
trappola descritta e' una trappola in cui Irigaray non sta gia' piu'.
Perche' non ci sta piu'? La lettura che voglio dare e' che questo "non
esserci gia' piu'" accade in virtu' dei suoi rapporti politici con altre
donne, quelli che aveva avuto fino al 1970 in modo costante (9). Reali
rapporti con altre donne, rapporti che venivano elaborando un pensiero, al
di la' di uno stato di guerra che registra un'oppressione. Ma di questo nel
testo non si dice. E' il non detto.
Insomma, voglio sottolineare come la grandezza di questo testo e' data dalla
tensione tra l'atto di guerra dichiarata e qualcosa che il testo non riesce
a dire, le condizioni che hanno reso possibile quell'atto (10).
*
Tornando al testo. Nelle pagine del capitolo "Ogni teoria" troviamo i punti
della posta in gioco di questa guerra e il modo in cui l'autrice vuole
condurla: "L'Altro serve a mantenere in lui decaduto l'organizzazione di un
universo sempre identico a se'... un universo che sta dietro la
rappresentazione (di se')... la somiglianza riprende a proliferare, in una
quantita' di analogie. Il 'soggetto' allora si fa molteplice, plurale, a
volte dif-forme, ma continuera' a postularsi come causa di tutti questi
(suoi) miraggi... il soggetto, il modello (del) medesimo. Al confronto del
quale tutto cio' che e' fuori resta sempre condizione di possibilita'
dell'immagine e della riproduzione di se'" (p. 131).
Insomma ci sono motivi di guerra tra una donna che cerca uno spazio di
discorso e un ordine, quello maschile o fallocentrico, che glielo nega. Si
tratta di una questione di vita o di morte, simbolica. La donna in posizione
di questo altro del medesimo, del soggetto maschile che cerca sempre e solo
se stesso, il proprio valore, diventa il rovescio della medaglia, di
un'unica medaglia. E non c'e' luogo del discorso, delle teorie in cui questo
non avvenga, a sentire Irigaray (11): Freud definisce la donna come
castrata, dunque come qualcosa si', ma come un non-uomo; quanto alla madre e
allo scompiglio che porta nella coppia attivo e passivo, visto che una
qualche attivita' bisogna pur riconoscergliela, la madre sara' allora
definita fallica, cioe' dotata di un'attivita' che comunque appartiene al
modello maschile, e via dicendo.
Con i filosofi non va meglio. Oltre a tutti i passi delle opere platoniche
dove alle donne sono attribuiti gli stereotipi classici: le donne sono piu'
passionali, si esprimono con minore proprieta', etc., troviamo Aristotele e
come trasforma il femminile in materia, e dice che la donna tende all'uomo
come il brutto tende al bello; insomma la lista e' lunga.
Arrivata a Plotino Irigaray radicalizza questa verita' che va scoprendo -
cioe' che non c'e' posto per una parola di donna nella teoria occidentale.
Nelle pagine dedicate a Plotino Irigaray  non dice niente, ci sono solo le
parole del filosofo e dei punti di sospensione. Questo capitolo permette di
vedere, di percepire proprio, cosa sarebbe stato il libro se Irigaray avesse
effettivamente coinciso con la donna suolo muto di cui lei dice: una serie
di frasi e discorsi sulla donna intervallata da espedienti grafici per
segnalare che lei c'e' ma non parla, non puo' parlare. Pensate se tutto
Speculum fosse stato cosi', sarebbe stata una performance, particolarmente
forte, drammatica, ma non sarebbe stata un'opera, quell'opera che ha
generato il lavoro teorico e che ha potenziato il lavoro politico di tante
altre donne.
Quanto agli elementi di apertura che pure Speculum ha, la possibilita' di
leggerli e svilupparli appartiene a una posizione diversa. E' da un'altra
posizione che li si potranno rendere significativi.
*
Tornando ancora al testo. Di fronte a questa chiusura cosi' compatta, dice
Irigaray: "perche' non rinforzare, fino all'esasperazione, il malinteso?"
(p. 138).
"Ma come fare? poiche' le parole 'sensate' - di cui tra l'altro dispone
soltanto per mimetismo - sono impotenti a tradurre cio' che e' pulsante,
sospeso e sfocato... Allora... mettere ogni significato sotto sopra, dietro
davanti, alto basso. Scuoterlo radicalmente, riportandovi, reintroducendovi
quelle convulsioni che il suo 'corpo' patisce... Insistere inoltre e
deliberatamente su quei vuoti del discorso che ricordano i luoghi della sua
esclusione, spazi bianchi che con la loro silenziosa plasticita' assicurano
la coesione, l'articolazione... Bisogna che per un tempo non si possa piu'
prevedere da dove, verso dove, quando, come, perche'... queste cose
succedono..." (p. 137).
Irigaray sta qui proponendo il da farsi. Un discorso e' fatto anche di quel
che non dice, di cio' che permette il dire. Altrove in Speculum Irigaray
dimostra che questa condizione gli uomini l'hanno trovata nella madre, nella
donna, nel femminile. Propone dunque di rintracciare quella condizione, ma
non stando alla lettera di quello che gli uomini effettivamente dicono della
madre, della donna, del femminile, ma piuttosto cercando i punti dove non
riescono piu' a dire, si contraddicono, saltano a delle conclusioni la cui
necessita' sfugge, la' dove ci sono dei vuoti.
E' questa la strategia del mimetismo, che e' stata evidenziata soprattutto
da una certa lettura statunitense, come strategia dello scontro con l'ordine
dominante del discorso (12). Mettere in scena quello che l'altro dice di me,
donna, per farne esplodere le contraddizioni. Irigaray fa riferimento alla
figura dell'isterica e al modo in cui mette in scena il desiderio del padre:
la messa in scena e' cosi' eccessiva che produce uno svelamento di quello
che invece le convenienze sociali vogliono nascondere.
Insomma, Irigaray sta proponendo una guerra all'ordine costituito del
discorso che intrappola la parola di donna. E per fare questo propone di
assumersi il ruolo di fattore di disordine, di perturbante che l'occidente
ha attribuito al femminile. Ma stavolta si tratta di assumerlo
deliberatamente per far saltare l'ordine stesso.
*
A questo punto vorrei tornare al paradosso di cui dicevo. Irigaray sta
parlando di una guerra, questa guerra va mossa contro un ordine, assumendo
deliberatamente il disordine di quell'ordine. Uno dei modi in cui lei nomina
questo disordine femminile e' la figura dell'isterica, con i suoi sintomi,
con la ripetizione caricaturale di "cosi' come tu mi vuoi", come eccesso.
Questa figura Irigaray la riprende per delineare una figura possibile della
soggettivita' femminile, in "Il volume senza contorno", come qualcosa di
fluido che rifugge dall'ordine dalla formalizzazione.
Ma c'e' una grande obiezione da fare. Se la donna rimane disordine, e'
disordine, coincide con esso, che guerra puo' mai fare? Speculum e' il
grande esempio di un conflitto agito, mirato, dove la padronanza di se', di
cio' che si vuol dire, di cio' cui si mira, ha la sua parte.
Troviamo infatti una frase di Irigaray, che dice: "questo sconcerto del
linguaggio si presenta ben anarchico nel suo programma, ma nondimeno
richiede un paziente rigore" (p. 138).
In effetti, il lavoro di Irigaray e' tutt'altro che disordinato e informe,
la maestria della scrittura in Speculum smentisce quel preteso disordine.
Irigaray piuttosto lo assume deliberatamente e, talora, la sua maestria e'
tale che la scrittura esemplifica la fluidita' di cui lei parla (13). Di
nuovo, e' gia' fuori da quel disordine, e anche da quell'ordine. Altrimenti
non avrebbe potuto muovergli guerra.
Approfondisco allora quanto dicevo sull'atto di guerra e sulle sue
condizioni. Dicevo che secondo me la dimensione simbolica dell'atto di
guerra che e' Speculum e' stata resa possibile da qualcosa che nel testo non
c'e', non e' detto.
Che cos'e' questa cosa? Questa lettura rivela che sono i rapporti di sapere,
le parole teoriche che Irigaray ha scambiato nei suoi rapporti politici con
altre donne (14). Questi rapporti hanno creato lo spazio extrateorico, di
esperienza, di vita, uno spazio che non e' gia' piu' selvaggio, fatto com'e'
anche di parole teoriche, di conoscenze e letture, che hanno permesso a
Irigaray di lottare si' contro le teorie dominanti, cercando di farle
esplodere dal loro interno, ma senza esserci tutta, senza coincidere con
quel che loro dicevano.
C'e' dunque alle origini di Speculum la mediazione di un sapere di donne che
permette a Irigaray di non essere schiacciata, ammutolita dal corpo a corpo
con la teoria. Insomma, sto parlando del rapporto tra teoria e politica nel
pensiero di una donna, di Irigaray, un rapporto in cui uno dei due termini,
la politica, in questo grande testo, e' rimasta non detta.
Mi spingo oltre, secondo me l'atto di guerra di Speculum e' stato possibile
perche' l'autrice ha vissuto, sperimentato, la possibilita' di un amore
delle donne per loro stesse (15). E con "amore" non intendo il compiacimento
o una statica accettazione di se'.
In altri termini, solo sperimentando il riconoscimento, uno scambio che
rende amabili a se' e all'altra (16), e' possibile portare la guerra fuori
di se', non coincidere con essa, non stare ai suoi termini, e' possibile
agire lo scontro anziche' essere il terreno di quello scontro.
Se non fosse stato cosi', Speculum sarebbe rimasto un grido di indignazione,
doloroso quanto sterile, un "non e' vero" urlato agli autori che si arrogano
la pretesa di dire la verita' sulla donna.
L'amore in questo caso puo' allora essere inteso come cio' che genera la
capacita' di discernimento, cio' che rende capaci di mirare la rabbia, la
rivolta, sapendo insieme cio' che si vuole, cio' che vale per se'. Insomma
l'amore, di se', dell'altra, e' la condizione per condurre una guerra che
sia simbolica.
*
Tornando ancora una volta al testo, torno un po' indietro. Irigaray  ha
detto che la donna non ha ancora avuto luogo, ma tuttavia da' delle
indicazioni di come potrebbe essere questo volume, questo luogo senza
contorno. Siamo infatti al capitolo "Il volume senza contorno".
"La donna non e' ne' chiusa ne' aperta. indefinita, in-finita, in essa la
forma non e' completa. Non e' infinita e nemmeno una unita'...
L'incompletezza della sua forma, della sua morfologia, le permette di
diventare altra cosa, in ogni momento, il che non vuol dire che sia mai
univocamente niente" (p. 211).
E ancora: "(La/una) donna fa segno verso l'indefinibile, il non numerabile,
il non formulabile, l'informalizzabile" (p. 212).
Cito questi due passi, che mostrano un po' il tono generale del capitolo. Ed
e' qui che mi sembra che Irigaray si sia fatta prendere la mano dalla forza
d'inerzia del suo discorso e dalla contrapposizione all'ordine che vuole
combattere.
Il tutto fluido della soggettivita' femminile, lo scompiglio permanente,
l'irriducibilita' a qualsiasi forma, mi sembrano essere piu' una definizione
in negativo di quel che puo' darsi per una soggettivita' femminile,
piuttosto che delle aperture a un pensiero a venire. Tanto piu' che questa
avversione della donna per la forma entra in flagrante contraddizione con la
possibilita' di Irigaray di frequentare autorevolmente le teorie. A
prenderla alla lettera si cadrebbe in quella contraddizione di cui dicevo a
proposito delle pagine su Plotino.
Le aperture in Speculum ci sono, ma non in questa parte che proclama la
fluidita' e l'indefinitezza femminile. Eppure e' una delle indicazioni che
piu' hanno avuto ascolto, nella lettura di Speculum (17), e sta
all'intelligenza pratica e politica di alcune lettrici, l'aver saputo
cercare e mettere in valore dell'altro rispetto a cio' su cui l'indice di
Irigaray puntava in modo insisitito.
Ma questo fa parte degli sviluppi del pensiero della differenza sessuale
(18). Su questi sviluppi voglio piuttosto lasciare in sospeso una questione:
l'ultima parte del lavoro di Irigaray, almeno da Amo a te, quando tratta di
politica, utilizza senza remore il termine di identita'. Ne e' stata fatta
di strada da quell'informalizzabile di Speculum... (19).
*
E cosi', se e' vero che il testo non riesce a dire dell'amore che ha reso
possibile quella guerra, e' anche vero che la possibilita' di muovere una
guerra simbolica ha a che fare con il rapporto tra se' e se'. La
possibilita' di muovere guerra riguarda i conti che ognuna riesce a fare con
cio' che e' la sua singolarita', nella capacita' di accogliere quel che
sfugge a un ordine possibile e di non cancellarlo. Insomma, di nuovo, c'e'
un gioco tra ordine e disordine da fare, questa volta nel piu' intimo di
ognuna, perche' queste due forze non si irrigidiscano in un tutto dentro e
un tutto fuori e producano spostamenti e significati nuovi. Ho trovato una
traccia visibile, che dice che Irigaray questo l'ha saputo fare, e' una
questione di stile, e' l'espressione "Il che non vuol dire..." che lei usa
molto di frequente.
La capacita' di smarcarsi da una propria affermazione - anche quando ha
implicato un lavoro cosi' strenuo come quello che sta dietro Speculum - e'
l'indice di una leggerezza, di un gioco tra se' e se', che toglie all'altro
la sola funzione della negazione.
E' l'indice di quell'amore di se', fatto di accoglienza e discernimento, che
permette di accogliere e mostrare nel discorso quel che e' successo senza
che lo si fosse previsto, e di farne qualcosa di buono da pensare. Di nuovo,
pero', questo rapporto tra se' e se', perche' non sia il delirio di una
bella pensata, ha per condizione la parola dell'altra.
La posizione di lettrice che  mi e' disponibile oggi, dopo tante opere di
donne e di Irigaray stessa, mi ha permesso di mettere in luce quel che nel
testo c'e' e quel che non c'e', l'amore che e' condizione per fare guerra e,
insieme, una certa solitudine necessaria, o per meglio dire, un certo saper
stare in compagnia di se stesse.
*
Note
1. Sui tempi e i modi della ricezione statunitense di Irigaray, v. N. Schor,
M. Whirtford e C. Burke, Engaging with Irigaray, Columbia University Press,
New York 1994. Della particolare ripresa e rielaborazione italiana parla
Diotima, Il pensiero della differenza sessuale, La Tartaruga, Milano 1987;
in Inghilterra, M. Whitford propone una  lettura di Irigaray che si discosta
dai luoghi comuni dell'analisi statunitense, in Luce Irigaray. Philosophy in
the Feminine, Routledge, London-New York 1991. Fra le altre letture di
Irigaray, segnalo E. Grosz, Sexual Subversions: Three French Feminist, Unwin
Hyman, Winchester Ma 1989; R. Braidotti, Dissonanze, La Tartaruga, Milano;
T. de Lauretis, The essence of the Triangle, in "Differences", summer 1989.
2. Per la contestualizzazione storica di Speculum e piu' in generale dei
primi anni Settanta: Libreria delle donne di Milano, Non credere di avere
dei diritti, Rosenberg e Sellier, Torino 1987; C. Zamboni, La filosofia
donna, Demetra, Verona 1997; "Memoria", n. 19-20, 1987, R.. Braidotti,
Dissonanze, cit.; "Signs", 3, 4, summer 1978, A. Jardine, E. Menke, Shifting
Scenes, Columbia University Press, New York 1990; "Ideology and
consciousness",1, 1977; N. Fraser, Lee, Barky, Revaluing French Feminism,
Indiana University Press, 1992; G. Stanchina, La filosofia di Luce Irigaray,
Mimesis, Milano 1996; Baruch, Serrano, Women Analyze Women in France and in
the United States, Harvester-Wheatsheaf, 1988; Espulsa e condannata,
intervista di G. Gagliardo, "Il messaggero", 20 dicembre 1976; "Le torchon
brule", sei numeri dal 71 al 73;  A. Fouque, I sessi sono due, Pratiche,
Parma 1999.
3. Su questo punto si sofferma di recente la discussione di I. Dominijanni
su I sessi sono due di A. Fouque, "Il manifesto", 12 ottobre 1999.
4. Intervista a Baruch, Serrano, cit.
5. Della struttura di Speculum parla Irigaray in questo sesso che non e' un
sesso, Feltrinelli, Milano 1975, pp. 55 e ss.
6. Da ampliare la descrizione generale di Speculum.
7. Intervista di R.-P. Droit, "Le Monde", 18 marzo 1977.
8. V. Burke nel suo Report from Paris, "Signs", summer 1978.
9. In questo la mia lettura rimanda e si differenzia da quella di A.
Cavarero, che in Per una teoria della differenza sessuale vede la
possibilita' di parlare in un linguaggio o discorso estraneo nel gesto del
dire la propria estraniazione. E' una lettura che rimanda, ma
implicitamente, alla dimensione politica, cosa che Cavarero non registra
[aggiunta del 24 luglio 2000].
10. Dice A. Fouque, in I sessi sono due, cit.: "mi ricordo della fascetta
editoriale su ogni esemplare di Speculum di Luce Irigaray: 'Il MLF riceve le
sue prime giustificazioni teoriche'. Che umiliazione, che offesa! Che
bisogno avevamo di giustificazione? Quanto alla teoria, non avevamo cessato
di produrla contemporaneamente all'azione, per sei anni", p. 156.
11. Questo e' quel che lei dice in Speculum, meno in Questo sesso... e in
altre interviste, come ad esempio l'uso della psicoanalisi come strumento
per le donne. Ma non e' un caso che non lo possa dire in Speculum: la messa
in scena di un corpo a corpo, che ha fatto saltare la mediazione di un
sapere di donne elaborato altrove, non le permette di dire che anche Freud
non e' tutto da buttare. Ma questo avviene perche' la sua facolta' di
discernimento, che pure opera grandemente in Speculum, lei l'ha ottenuta
altrove, nell'amore dei rapporti politici tra donne. Questo e' avvenuto
anche per l'uso che ha potuto fare di Foucault (L'ordine del discorso e' una
conferenza del 1970) e di alcuni strumenti derridiani.
12. L'autrice che piu' ha sviluppato questo aspetto e' Judith Butler, in
Gender Trouble. Avvicinando la strategia del mimetismo al decostruzionismo
di J. Derrida, Butler ne radicalizza l'assunto, al punto che fa scomparire
la donna a favore di successivi e diversi travestimenti.
13. Ad esempio, la scelta, nell'edizione francese, di non introdurre i
titoli dei paragrafi nel corpo del testo, risponde a questa messa in scena
della fluidita' del discorso che Irigaray vuole restituire alla scrittura di
una donna. Piu' in generale, nel commentare i testi di Freud o dei filosofi
la sua tecnica e' quella di insinuarsi nelle frasi, nell'ordine
dell'esposizione degli autori.
14. Si segnala qui una questione interessante: Speculum e' insieme in
ritardo e in anticipo rispetto a quel che avveniva, nella politica tra
donne. E' in ritardo, poiche' non sa restituire quel che gia' succedeva
nell'elaborazione tra donne, non riesce a dirlo. E' in anticipo perche'
Speculum e' condizione perche' quell'economia del riconoscimento possa
avvenire. E' forse questa la contraddittoria valenza di un'opera grande come
Speculum. C'e' una circolarita' si', ma sfasata, tra quel che accade tra
donne e quel che l'opera restituisce loro. Pensarla in questi termini, mi
permette di capire sia l''umiliazione' di Fouque, sia la maternita'
dell'opera di Irigaray.
15. Rispetto alla mia lettura dell'amore come condizione di guerra, v. L
Cigarini nell'introduzione a A. Fouque, cit.: "Vivendo assieme in tante, per
piu' giorni, fu possibile vivere e vedere uno spostamento d'amore verso le
donne", p. 7.
16. In Quando le nostre labbra si parlano, Irigaray sviluppa il valore
positivo e simbolico della relazione tra donne. Piu' in generale Questo
sesso che non e' un sesso andrebbe sempre letto mentre si legge Speculum.
Dice, in parte, quel che Speculum lascia in ombra. Etica... sviluppera'
compiutamente la questione del riconoscimento tra donne. ma questa
dimensione sara' di nuovo abbandonata a partire da Io amo a te. Al mutare di
questa posizione muta il rapporto politico con altre donne.
17. Di nuovo la lettura decostruzionista di J. Butler.
18. Mi riferisco al lavoro italiano sulla pratica delle relazioni,
sull'ordine simbolico della madre, che hanno ripreso, ma forse anche
incoraggiato, il lavoro di Irigaray sulla genealogia. In fondo, nel capitolo
"Il volume senza contorno" c'e' la sovrapposizione tra essere non-una,
(essere due), essere indefinita, essere disordine. Va tenuto presente anche
il lavoro di autrici che, confutando l'accusa di essenzialismo rivolta a
Irigaray, l'hanno liberata da una lettura identitaria di Speculum.
19. Sebbene M. Whitford, in Philosophy in the Feminine, cit., nel capitolo
"Identity and Violence", non veda discontinuita' nella scelta successiva di
Irigaray di lavorare sull'identita'.

2. RIFLESSIONE. WANDA TOMMASI: L'INTELLIGENZA DELL'AMORE: SIMONE WEIL E ETTY
HILLESUM
[Dal sito www.diotimafilosofe.it riprendiamo il testo di questa conferenza
tenuta a Orvieto nel luglio 2002 da Wanda Tommasi.
Wanda Tommasi e' docente di storia della filosofia contemporanea
all'Universita' di Verona, fa parte della comunita' filosofica di "Diotima".
Opere di Wanda Tommasi: La natura e la macchina. Hegel sull'economia e le
scienze, Liguori, Napoli 1979; Maurice Blanchot: la parola errante, Bertani,
Verona 1984; Simone Weil: segni, idoli e simboli, Franco Angeli, Milano
1993; Simone Weil. Esperienza religiosa, esperienza femminile, Liguori,
Napoli 1997; I filosofi e le donne, Tre Lune, Mantova 2001; Etty Hillesum.
L'intelligenza del cuore, Edizioni Messaggero, Padova 2002; La scrittura del
deserto, Liguori, Napoli 2004.
Simone Weil, nata a Parigi nel 1909, allieva di Alain, fu professoressa,
militante sindacale e politica della sinistra classista e libertaria,
operaia di fabbrica, miliziana nella guerra di Spagna contro i fascisti,
lavoratrice agricola, poi esule in America, infine a Londra impegnata a
lavorare per la Resistenza. Minata da una vita di generosita', abnegazione,
sofferenze, muore in Inghilterra nel 1943. Una descrizione meramente esterna
come quella che precede non rende pero' conto della vita interiore della
Weil (ed in particolare della svolta, o intensificazione, o meglio ancora:
radicalizzazione ulteriore, seguita alle prime esperienze mistiche del
1938). Ha scritto di lei Susan Sontag: "Nessuno che ami la vita vorrebbe
imitare la sua dedizione al martirio, o se l'augurerebbe per i propri figli
o per qualunque altra persona cara. Tuttavia se amiamo la serieta' come
vita, Simone Weil ci commuove, ci da' nutrimento". Opere di Simone Weil:
tutti i volumi di Simone Weil in realta' consistono di raccolte di scritti
pubblicate postume, in vita Simone Weil aveva pubblicato poco e su periodici
(e sotto pseudonimo nella fase finale della sua permanenza in Francia stanti
le persecuzioni antiebraiche). Tra le raccolte piu' importanti in edizione
italiana segnaliamo: L'ombra e la grazia (Comunita', poi Rusconi), La
condizione operaia (Comunita', poi Mondadori), La prima radice (Comunita',
SE, Leonardo), Attesa di Dio (Rusconi), La Grecia e le intuizioni
precristiane (Rusconi), Riflessioni sulle cause della liberta' e
dell'oppressione sociale (Adelphi), Sulla Germania totalitaria (Adelphi),
Lettera a un religioso (Adelphi); Sulla guerra (Pratiche). Sono fondamentali
i quattro volumi dei Quaderni, nell'edizione Adelphi curata da Giancarlo
Gaeta. Opere su Simone Weil: fondamentale e' la grande biografia di Simone
Petrement, La vita di Simone Weil, Adelphi, Milano 1994. Tra gli studi cfr.
AA. VV., Simone Weil, la passione della verita', Morcelliana, Brescia 1985;
Gabriella Fiori, Simone Weil, Garzanti, Milano 1990; Giancarlo Gaeta, Simone
Weil, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole 1992; Jean-Marie
Muller, Simone Weil. L'esigenza della nonviolenza, Edizioni Gruppo Abele,
Torino 1994; Angela Putino, Simone Weil e la Passione di Dio, Edb, Bologna
1997; Maurizio Zani, Invito al pensiero di Simone Weil, Mursia, Milano 1994.
Etty Hillesum e' nata a Middelburg nel 1914 e deceduta ad Auschwitz nel
1943, il suo diario e le sue lettere costituiscono documenti di altissimo
valore e in questi ultimi anni sempre di piu' la sua figura e la sua
meditazione diventano oggetto di studio e punto di riferimento per la
riflessione. Opere di Etty Hillesum: Diario 1941-1943, Adelphi, Milano 1985,
1996; Lettere 1942-1943, Adelphi, Milano 1990, 2001. Opere su Etty Hillesum:
AA. VV., La resistenza esistenziale di Etty Hillesum, fascicolo di
"Alfazeta", n. 60, novembre-dicembre 1996, Parma. Piu' recentemente: Nadia
Neri, Un'estrema compassione, Bruno Mondadori Editore, Milano 1999; Pascal
Dreyer, Etty Hillesum. Una testimone del Novecento, Edizioni Lavoro, Roma
2000; Sylvie Germain, Etty Hillesum. Una coscienza ispirata, Edizioni
Lavoro, Roma 2000; Wanda Tommasi, Etty Hillesum. L'intelligenza del cuore,
Edizioni Messaggero, Padova 2002]

Vorrei mostrare come nelle due autrici che prendero' in esame, Simone Weil e
Etty Hillesum, l'amore di Dio sia legato all'amore per il prossimo e come vi
sia in entrambe, sia pure in modi diversi, una sovversione dell'immagine di
Dio rispetto alla tradizione patriarcale.
Mi e' necessaria una breve premessa, prima di addentrarmi nel confronto con
i loro testi: scelgo di trattare insieme di queste due autrici, perche' le
considero entrambe scrittrici mistiche e fra le piu' grandi. E' vero
tuttavia che l'esperienza mistica e' presente sicuramente in Simone Weil,
che ne parla sobriamente, mentre e' dubbia nel caso della Hillesum, per la
quale possiamo parlare si' di esperienza vissuta di Dio, ma non di estasi
mistica. E' vero anche che i loro testi propriamente "mistici" sono
pochissimi: si limitano al Prologo dei Quaderni e a qualche poesia nel caso
della Weil e a qualche sporadica annotazione nel caso della Hillesum.
Tuttavia, per entrambe, si puo' parlare di scrittura mistica in un senso
piu' ampio e non "tecnico", cioe' come scrittura che salvaguarda un vuoto,
una presenza-assenza, che prende talvolta il nome di Dio, ma anche di
infinitamente piccolo, di scintilla di luce, di granello di senape ecc.
*
In Simone Weil, l'esperienza di Dio e' strettamente legata alla relazione
con l'altro, con il prossimo: l'immagine di Dio che si delinea nei testi
weiliani indica anche l'orientamento dell'amore verso l'altro.
Per la Weil, possiamo partire dall'esperienza mistica di Solesmes del 1938.
Come Simone stessa precisa nella lettera a padre Perrin nota come
Autobiografia spirituale  (in Attesa di Dio, Rusconi, pp. 42-43), e'
recitando una poesia di George Herbert che s'intitola Love (Amore), che lei
ha un'esperienza di contatto, da persona  a persona, con il Cristo. Ecco la
poesia:

L'Amore mi accolse; ma l'anima mia indietreggio',
colpevole di polvere e peccato.
Ma chiaroveggente l'Amore, vedendomi esitare
Fin dal mio primo passo,
mi si accosto', con dolcezza domandandomi
se qualcosa mi mancava.
"Un invitato"  risposi "degno di essere qui".
L'Amore disse: "Tu sarai quello".
"Io, il malvagio, l'ingrato? Ah!  mio diletto,
non posso guardarti".
L'Amore mi prese per mano, sorridendo rispose:
"Chi fece questi occhi, se non io?"
"E' vero, Signore, ma  li ho insozzati; che vada la mia vergogna dove
merita".
"E non sai tu" disse l'Amore "chi ne prese il biasimo su di se'?"
"Mio diletto, allora serviro'".
"Bisogna  tu sieda," disse l'Amore "che tu gusti il mio cibo".
Cosi' mi sedetti e mangiai.

Il tema della poesia e' quello dell'amore che accoglie: con l'accoglienza
dell'amore inizia infatti il primo verso; ma l'invitato alla mensa si
ritiene indegno, mancante , "colpevole di polvere e di peccato"; solo alla
fine, dopo l'insistenza di Amore, l'invitato accetta di sedersi alla mensa e
di mangiare, nonostante le propria indegnita'. Di questo testo, vorrei
sottolineare il fatto che l'invitato e' accolto proprio nella sua "mancanza"
(peccato, ingratitudine, malvagita' ecc.); e' amato nella sua singolarita'
(sono amati i suoi occhi), e' amato proprio nella sua mancanza e impurita'.
*
Il motivo di fondo di questa poesia, cosi' importante nell'esperienza
mistica di Simone Weil, e' ripreso in uno dei pochissimi testi mistici
scritti da Simone, nel Prologo dei Quaderni. Anche qui troviamo il motivo
dell'amore che accoglie, con una risonanza rispetto alla poesia di Herbert,
che ne riproduce e ne reinterpreta originalmente le sequenze, come spesso
accade nella letteratura mistica.
Ma, accanto al tema dell'amore che accoglie (qualcuno - Amore o Cristo -
invita chi scrive a condividere il cibo, la luce del sole, le parole
scambiate in una mansarda), troviamo quello, presente nella Weil ma non
nella poesia Love, dell'amore che rifiuta. Anche qui c'e' un mangiare
insieme, una comunione: i due personaggi, entrambi designati al maschile,
mangiarono insieme un pane che "aveva davvero il gusto del pane" e bevvero
del vino "che aveva il gusto del sole e della terra dove era costruita
quella citta'" (Quaderni, Adelphi, vol. I, p. 104). Nel Prologo, c'e' si'
l'accoglienza dell'amore, ma alla fine c'e' la cacciata dal paradiso, dalla
mansarda. Il testo si conclude con una riflessione esitante sull'amore di
Dio: "So bene che non mi ama. Come potrebbe amarmi? E tuttavia in fondo a me
qualcosa, un punto di me, non puo' impedirsi di pensare tremando di paura
che, forse, malgrado tutto, mi ama" (Ivi, p. 105).
L'amore di Dio (come quello di chiunque) non e' certo, garantito, suggerisce
la fine del Prologo: e' mancanza che puo' sperimentare si' istanti di
pienezza, ma, al di fuori dei brevi momenti di grazia dell'esperienza
mistica, si e' ricacciati nel mondo, rigettati nella durezza della
necessita'. Dio "accade" in brevi lampi di grazia, ma questo "accadere" non
e' garantito, puo' ripetersi o no. In questa conclusione, che presenta il
dono dell'amore di Dio sospeso fra la speranza e il timore, c'e' un accenno
alla "prova" della perdita dell'amore di Dio (ribadita dalla Weil nel suo
commento al "Padre nostro"): la "prova" e' il malheur, che puo' intaccare
l'animo dello sventurato fino a farlo sentire abbandonato anche da Dio. La
"prova" e' la perdita dell'amore di Dio, ben sintetizzata, nel finale del
Prologo, nell'immagine dell'amore che rifiuta.
Amore, protagonista della poesia di Herbert, viene evocato dalla Weil, alla
fine del suo testo mistico, in forma dubitativa: all'esperienza dell'amore
di Dio segue il dubbio, perche' Dio non puo' essere per noi uno stabile
possesso; dobbiamo restare in attesa, attendere che la grazia di Dio
discenda. Alla fede segue il dubbio, necessario alla fede per non
trasformarsi in idolatria.
*
Un altro testo della Weil che vorrei brevemente prendere in esame e' una
preghiera personale, scritta da Simone stessa, in cui lei chiede al Padre,
nel nome di Cristo, di essere ridotta alla paralisi fisica, di diventare
"paralizzata, cieca, sorda, idiota e guasta"; chiede inoltre che le sia
tolta la capacita' di collegamento fra i pensieri, fino a diventare "comme
un de ces idiots complets qui non seulement ne savent ni compter ni lire,
maia n'ont meme jamais pu apprendre a' parler". ("Cahiers Simone Weil",
1983, n. 1, p. 55).
Questa preghiera puo' essere interpretata in chiave masochistica, come
alcuni interpreti della Weil hanno suggerito, ma puo' anche essere
interpretata diversamente: essa si conclude infatti con un'invocazione della
Weil, la quale chiede che tutte le sue doti fisiche, umane e intellettuali
siano "divorate" da Dio e messe a disposizione di tutti coloro che ne hanno
bisogno. In altri termini, Simone Weil chiede, nell'ultima parte della sua
preghiera personale, che sia fatta la volonta' di Dio: se questa prevede la
conservazione dei suoi doni, lei chiede che la sua intelligenza, nella
pienezza della sua lucidita', colleghi fra loro tutte le idee in conformita'
perfetta con la volonta' divina. Chiede, in altri termini, la morte dell'io,
la totale decreazione: chiede che le sue qualita' divengano impersonali,
proprieta' di Dio, e che siano messe a disposizione di tutti. Certo, c'e' un
fortissimo desiderio di kenosi, ma esso riguarda solo l'io e la sua volonta
di potenza: e' l'io (il "moi" degli attaccamenti) cio' che la Weil chiede
che diventi "paralizzato, cieco, sordo, idiota e guasto".
Questa preghiera personale della Weil mostra una relazione strettissima fra
l'amore di Dio e l'amore del prossimo: il desiderio di giungere
all'impersonale, alla morte dell'io, fa tutt'uno con l'amore di Dio, pensato
a sua volta come impersonale (esso, precisa la Weil citando il Vangelo,
cade, come la pioggia, sui giusti e sugli ingiusti). Anche per questo la
Weil considera l'ateismo come una forma di purificazione rispetto a un Dio
che ci assiste e ci protegge quando ne abbiamo bisogno: per questo Simone
non ama Teresa di Lisieux, perche' la piccola Teresa conosce solo un Dio
personale, compreso in una visone che lei considera, a mio parere a torto,
troppo infantile.
*
Quello di cui Simone Weil ci parla e' un amore che ha in se' della distanza,
dell'impersonalita', sia rispetto a Dio sia rispetto al prossimo. Nei
Quaderni, vediamo infatti come lei miri alla purezza dell'amore nei
confronti dell'altro, depurando sostanzialmente l'amore fisico da
sensualita', piacere e volutta', e affermando che la castita' e'
indispensabile all'amore. Appena c'e' bisogno (dell'altro), appena c'e'
desiderio, anche reciproco, c'e' oltraggio, scrive (Quaderni, vol. I, p.
117). Inoltre, sottolinea come l'amore sia spesso un mezzo per dominare
l'altro, uno strumento di potenza, un modo di accrescere il proprio io.
Denuncia la commistione di amore e potere, che impedisce ogni purezza
nell'amare: ogni volta che un uomo pensa una donna in funzione del proprio
piacere, egli in realta' non l'ama (Ivi, p. 142).
La Weil non accetta la dipendenza in cui chi ama si viene a trovare
dall'essere amato: questa e' per lei una situazione di mendicita', di
dipendenza intollerabile (Ivi, p. 144). Di qui la necessita' di una grande
distanza nell'amore, di quell'impersonalita' che, come si notava sopra, la
Weil sottolinea anche nell'amore di Dio: amore puro e' per Simone quello che
non vuole subordinare l'altro, che non vuole appropriarsene; e' amore per un
altro di cui si desidera l'esistenza indipendente e di cui non si vuole
mutare nulla.
Il motivo di fondo che la Weil valorizza nell'amore e' il rispetto di chi si
desidera, di chi si ama. E' evidente che Simone ha riflettutto come donna su
questo tema: infatti, anche se parla della necessita' di non subordinare
l'altro, in realta' sa bene che la donna e' piuttosto colei che si e' sempre
subordinata all'altro per amore, che ha patito la dipendenza, che e' stata
trattata come oggetto. Scrive ad esempio: "miscuglio di fraternita' dolorosa
e di gelosia tra donne ugualmente sottoposte all'arbitrio della violenza
maschile" (Ivi, pp. 142-143).
Rispetto a questa degradazione dell'amore, in cui esso si fa strumento di
dominio e di asservimento dell'altro (ma bisognerebbe dire dell'altra),
Simone Weil imposta i temi dell'amore di Dio e dell'amore del prossimo in
assoluto parallelismo: in entrambi i casi, si tratta d'un amore che cerca il
consenso dell'essere amato, che non e' mescolato con il potere, che rifiuta
la forza. Tale e' l'amore di Dio, che cerca e mendica il consenso
dell'essere amato, tale e' l'amore vero per l'altro, che non cerca di
asservirselo, ma che resta in paziente attesa e che ne rispetta l'alterita';
cosi' e', ad esempio, nell'amore cortese, che la Weil apprezza molto e di
cui lamenta l'assenza nella nostra epoca.
Come l'amore di Dio rinuncia all'onnipotenza per lasciar essere il mondo,
cosi' noi dobbiamo rinunciare alla nostra piccola potenza umana per lasciar
essere l'altro nella sua alterita'. Amore di Dio e amore del prossimo hanno
la stessa struttura.
La forza di quest'intuizione di fondo, assolutamente centrale nella Weil,
comporta una sovversione dell'immagine di Dio, che fa capire come Simone
abbia pensato Dio proprio a partire dalla sua sensibilita' di donna. C'e'
innanzitutto la sovversione dell'immagine del Dio onnipotente tramandata
dalla tradizione patriarcale: Dio non e' pensato come onnipotente, ma come
colui che rinuncia alla potenza per amore del mondo, fino all'impotenza
sulla croce. Soprattutto in un passo dei Quaderni, Simone sovverte
l'immagine tradizionale di Dio e fa capire di mettere in gioco la sua
sensibilita' femminile nel pensare Dio: e' un passo in cui Dio viene
paragonato a "una donna importuna che se ne sta incollata al suo amante e
gli sussurra all'orecchio, per ore, senza fermarsi 'Io ti amo - Io ti amo -
Io ti amo...'" (Quaderni, Adelphi, vol. III, p. 69).
*
Possiamo aggiungere a questo passo le immagini del Dio carnefice ne La
Grecia e le intuizioni precristiane (Zeus nei confronti di Prometeo, nella
rilettura weiliana del mito). C'e', nei testi della Weil, anche un Dio
violentatore (nel mito di Demetra e Core). E' come se, dopo avere a lungo
lottato contro gli attaccamenti e l'umiliazione che derivano dalla
dipendenza, Simone Weil, a un certo punto, dopo l'esperienza mistica,
smettesse di combattere contro tutto questo e l'accettasse, mirando solo a
trasferire l'attaccamento da degli esseri particolari all'universo intero e
a Dio. Simone scrive infatti che cio' che occorre e' un mutamento di
livello: non un amore piu' grande, ma un altro amore (Quaderni, vol. I, p.
282).
Sappiamo da lei cosa puo' portarci a un tale mutamento di livello: la
contemplazione del limite, delle contraddizioni insolubili, la porta stretta
della contraddizione come passaggio al soprannaturale. La mistica e' per lei
infatti il passaggio al di la' della sfera dove bene e male si
contrappongono, e questo per l'unione dell'anima con il bene assoluto. In
questo, la mistica non e' diversa dalla filosofia, intesa dalla Weil come
pratica, come metodo spirituale di purificazione dell'anima, come
contemplazione delle contraddizioni insolubili fino a che da esse non
sgorghi la luce. Qui ritroviamo di nuovo l'amore, perche' la Weil sottolinea
che non c'e' conoscenza se questa non e' sorretta dall'amore.
*
Dunque, per concludere sulla Weil, sottolineo ancora una volta che c'e' in
lei sinergia fra l'amore di Dio e l'amore del prossimo: in entrambi, c'e'
rinuncia alla potenza per rispettare l'alterita' dell'altro. Ma ci sono
anche dei passi che contrastano con questo parallelismo e che presentano
piuttosto la forma del capovolgimento: quello che e' inaccettabile se fatto
da un uomo a una donna (violenza sessuale) o a un altro uomo (uso della
forza, omicidio, schiavitu') diventano desiderabili se l'autore ne e' Dio.
Ho l'impressione che questi ultimi passi, per me molto inquietanti,
affondino le radici nel vissuto religioso e mistico di Simone Weil, il quale
ci mostra una donna che ha in parte interiorizzato il Dio della tradizione
patriarcale nei suoi aspetti anche piu' crudeli, arbitrari e violenti, in
contrasto con l'immagine di Dio generalmente prevalente nella Weil, quella
di un Dio che rinuncia alla potenza per amore.
*
Anche in Etty Hillesum c'e' una sovversione dell'immagine di Dio tramandata
dalla tradizione patriarcale, e tale sovversione orienta anche la sua
relazione con il prossimo. Etty scopre Dio come la parte piu' riposta di
se', come il silenzio interiore che le consente di dare senso alle cose
drammatiche che le accadono, che le permette di non lasciarle sprofondare
nell'insensatezza.
In lei, Dio e' il nome del silenzio, di un "varco nell'essere" che lascia
esserci l'essere: da questo punto di vista, la questione che ponevo
all'inizio in forma dubitativa, cioe' se Etty Hillesum si possa o meno
definire mistica, trova una risposta proprio nella relazione di Etty con
l'esperienza, con l'accadere dell'essere. L'ineffabile, il mistico, non e'
in realta' per Etty Dio (a Dio lei parla con grande facilita' e confidenza,
al punto da dire che "saltella qua e la' con Dio come se fosse una cosa da
nulla") (Diario 1941-1943, Adelphi, p. 217), ma e' l'immediato della
presenza: la vita nel suo scorrere, la bellezza di un momento... Occorre del
silenzio - Dio - affinche' l'essere possa venire al linguaggio, affinche',
nelle circostanze drammatiche in cui lei vive, l'esistenza non sprofondi
nell'insensatezza, affinche' lei possa arrivare a rispettare l'alterita' del
bello senza volerlo possedere.
Cosi' e' anche nell'amore (concretamente, l'amore per il suo psicoterapeuta
e amante, Julius Spier, che per Etty e' propedeutico rispetto alla sua
scoperta di Dio): costretta a lottare per venire a capo dentro di se' della
possessivita' nei confronti di Spier e della gelosia verso la fidanzata di
lui, che lo aspetta a Londra, Etty fa dello scacco del suo sogno d'amore
l'occasione d'un passaggio a un livello piu' alto: "Oh, lasciar
completamente libera una persona che si ama, lasciarla del tutto libera di
fare la sua vita, e' la cosa piu' difficile che ci sia. Lo sto imparando per
lui" (Ivi, p. 147). Etty si ritrae, rinuncia al possesso esclusivo (cioe' a
consegnarsi tutta a lui), e arriva ad amare tollerando l'autonomia
dell'altro: a quel punto, accetta di "perdersi per Dio o per una poesia"
(ivi, p. 89), non per un uomo. Lascia del vuoto come spazio di relazione fra
se' e l'altro.
*
La sovversione dell'immagine di Dio tradizionale in Etty e' notevole: non
solo Dio non e' concepito come onnipotente, ma e' visto addirittura come
impotente di fronte al dilagare di un male, la cui responsabilita' grava
interamente sugli uomini. Dio e' visto come inerme, bisognoso di aiuto:
nell'intuizione straordinaria di "aiutare Dio" a non assentarsi del tutto da
questo mondo, cioe' dal cuore degli esseri umani induriti dalla sofferenza,
Etty Hillesum sintetizza una relazione con Dio che ha tratti femminili e
materni. Etty, che nella sua vita personale aveva rifiutato la maternita',
si assume infine una maternita' simbolica rispetto a Dio.
Dopo aver cercato a lungo riparo e contenimento (in uomini tanto piu' maturi
di lei, poi in parole che la potessero ospitare e contenere), Etty, alla
fine, capovolge questo suo bisogno in disponibilita' a offrirsi lei stessa
come riparo, conforto e aiuto per Dio.
Dev'essere riuscita davvero a ospitare Dio in se', a essere incinta di Dio,
visto che e' riuscita a erodere le radici dell'odio dentro di se' e che e'
arrivata ad amare i propri nemici, mettendo in pratica questo cosi'
difficile insegnamento evangelico. Se il rifiuto dell'odio, nelle terribili
circostanze in cui e' vissuta, l'avvicina alla santita', la maternita'
simbolica rispetto a Dio attesta una relazione femminile con Dio che non e'
verticale, ma circolare: benche' Dio sia colui che l'ha creata e che puo'
tenerla per mano nei momenti piu' difficili, tuttavia egli non puo' esistere
senza di lei.
*
Proponendosi di aiutare Dio, Etty suggerisce che la parte divina della
creatura e' proprio quella piu' fragile, inerme, bisognosa, piena di peccati
e di debolezza. E' la' che abita Dio, nella fragilita' della creatura, nella
sua mancanza.
Quest'immagine di Dio, che sovverte radicalmente quella tradizionale del Dio
onnipotente, e' strettamente correlata alla relazione con l'altro, con il
prossimo: a Westerbork, il campo di smistamento in cui fu internata prima di
finire ad Auschwitz, Etty parla d'un amore per il suo prossimo, sofferente e
disperato, che non e' misurato sul merito dell'oggetto amato ("la gente di
Westerbork non ti offre molte occasioni di amarla", scrive nelle Lettere
1942-1943, Adelphi, p. 114), ma che e' come un "ardore elementare" che
alimenta la vita.
Secondo Helene Cixous, qui entra in gioco un'economia libidinale femminile,
un'economia del dono, creatore di legame: Etty non teme d'impoverirsi
donando, perche' il dono, che crea relazioni, innesca uno squilibrio
positivo, al rialzo, un gioco che non e' a somma zero.
Infatti, a Westerbork, Etty registra come ricchezza e non come
impoverimento, nei libro dei conti della vita, il fatto di provare nostalgia
per gli affetti da cui e' stata separata: mentre tutti gli altri vivono
questa terribile situazione come una privazione violentemente imposta, lei
invece vi coglie una ricchezza, perche' il fatto di essere ancora capaci
d'amare e di provare nostalgia in quelle circostanze significa che si e'
ricchi d'amore, di capacita' di dare (Ivi, p. 118). L'amore per gli altri
che Etty pratica concretamente a Westerbork e' un amore che crea l'altro, fa
cendolo esistere: e' proprio quell'attenzione creatrice, che restituisce
esistenza all'altro, di cui ci parla Simone Weil.
La strategia esistenziale di Etty Hillesum tiene insieme l'amore di Dio e
l'amore del prossimo: Dio e' il silenzio interiore, lo spazio vuoto, la
distanza dall'immersione totale nell'esistenza che le permette di non
lasciar sprofondare gli avvenimenti che vive nell'insensatezza e
nell'orrore, ma di dar loro senso nella scrittura, pur continuando a
"esserci al cento per cento" e a viverli fino in fondo (Diario, p. 222).
*
C'e' una qualita' femminile nel sentire religioso di Etty Hillesum che a me
sembra piu' limpida e inequivoca di quella di Simone Weil. Questa qualita'
femminile si percepisce, ad esempio, nel suo non separare mai, nel proprio
itinerario spirituale, sessualita' e spiritualita', corpo e spirito, ma nel
farli crescere sempre insieme. Cio' si coglie nella consapevolezza
dell'importanza delle pratiche femminili quotidiane, viste come un
ancoramento del corpo all'esistenza che, mettendo ordine nel corpo, ordinano
anche lo spirito. Si coglie anche, in Etty, nella "cura con cui ha vissuto"
(l'espressione e' di Carla Lonzi, Taci, anzi parla. Diario di una
femminista, Rivolta femminile, p. 63): cura delle relazioni, delle amicizie
e insieme, sempre, lavoro di scrittura per non perdere il filo di se stessa
e per dare senso agli eventi. La strategia esistenziale della Hillesum ha
puntato sul silenzio interiore - Dio - sia nella cura nel vivere sia nel
salvare dall'insignificanza i gesti di cui il vivere e' intessuto, dal
rammendare una calza all'apparecchiare la tavola, dal ritirarsi nella
"cella" della preghiera al piacere di coltivare le amicizie.
Cura nel vivere significa anche che niente puo' avere senso se il semplice
fatto di essere vivi non ne ha: questo senso viene alla Hillesum dal mettere
la vita in prospettiva, dal guardarla da un punto di silenzio, a cui lei da'
il nome di Dio. E' questo silenzio la distanza che le permette di dare
respiro all'esistenza, cosicche' ogni momento che ancora le resta da vivere
e' percepito come un dono, tanto piu' prezioso perche' sta per esserle
tolto.

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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
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Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino"
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 23 del 4 agosto 2005