La nonviolenza e' in cammino. 970



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 970 del 23 giugno 2005

Sommario di questo numero:
1. Chiara Cavallaro: Riflessioni concludendo dopo 150 giorni il presidio
nonviolento sotto Palazzo Chigi
2. Maria G. Di Rienzo: Guatemala
3. Antonio Vigilante: Schweitzer e Gandhi
4. Con "Qualevita", all'ascolto di Francesco d'Assisi
5. La "Carta" del Movimento Nonviolento
6. Per saperne di piu'

1. TESTIMONIANZE. CHIARA CAVALLARO: RIFLESSIONI CONCLUDENDO DOPO 150 GIORNI
IL PRESIDIO NONVIOLENTO SOTTO PALAZZO CHIGI
[Ringraziamo Chiara Cavallaro (per contatti:
chiara.cavallaro at issirfa.cnr.it) per questo intervento. Chiara Cavallaro,
prestigiosa figura del movimento per la pace, economista, ricercatrice Cnr,
formatrice alla nonviolenza, fa parte del Comitato scienziate e scienziati
contro la guerra, di "Articolo 11. Sana e robusta Costituzione",
dell'esperienza di "Ostinati/e per la pace", ed e' una delle persone piu'
attivamente impegnate nella campagna "No alla censura preventiva sulla
guerra"]

Succede cosi', che le cose inizino e poi finiscano. Spesso non sappiamo, ne'
siamo tenute e tenuti a sapere, che sono esistite.
Noi per molti mesi ci siamo alternate ed alternati sotto uno dei palazzi del
potere (palazzo Chigi) di/mostrando la nostra presenza per il ritiro delle
truppe dall'Irak, lo striscione "Art.11 L'Italia ripudia la guerra", i
cartelli criptici "Stiamo per andar via", con quel "qui" sottinteso
generatore di domande dei passanti e quindi di relazioni piu' o meno brevi,
anche conflittuali. Con il cartellone meno criptico "Sono un punto fermo per
la pace", con le bandiere arcobaleno e poi con i cartellini, fatti molto
meglio dei nostri, di Us Citizens for peace and Justice, la cui presenza ha
ancora di piu' consentito di intrattenerci con i tantissimi turisti di
passaggio. Le italiane e gli italiani ci chiedevano spesso che associazione,
partito, gruppo fossimo. E' stata una occasione per parlare di che cosa e'
un Gruppo di azione nonviolenta e per discuterne, come per discutere di
azioni nonviolente. Con stupore dobbiamo dire che con le turiste e i turisti
stranieri e' stato piuí facile comprendersi sul senso della nostra presenza,
del tipo di azione scelta. Ma queste discussioni ci sono state anche fra noi
che abbiamo  scoperto le nostre differenti esperienze, punti di vista e la
difficolta', anche quando ci si crede "affini", nel conoscersi,
comprendersi, valorizzarsi, confliggere senza ricadere nei dettami di quella
violenza che ci circonda. E' stata occasione, e su questo rifletteremo
ancora, per interrogarci sulle azioni dirette nonviolente, sulle campagne e
attivazioni che possano rientrare in questo tracciato, per essere felici
quando la campagna contro la delega per i codici militari di pace e di
guerra acquisiva un punto a proprio vantaggio.
Nelle sere d'inverno ci siamo chieste e chiesti piu' volte se cio' che
stavamo facendo restava sensato, se oltre a questo era possibile per noi
fare altro. Ci siamo chieste e chiesti piu' volte se vi era congruenza tra
la nostra azione e la richiesta di ritiro delle truppe, se c'erano altri
obiettivi e se questi erano obiettivi comuni. Abbiamo scoperto di avere piu'
obiettivi, tra loro non escludenti: dimostrare per il ritiro delle truppe
dall'Irak, dare dimostrazione che sono possibili altre forme di attivazione
oltre alle manifestazioni da centinaia di migliaia di persone, dare
continuita' pari a quella dei conflitti anche alla presenza, in strada,
pubblica, almeno di qualcuna e qualcuno appartenente al popolo della pace,
chiamare le singole persone a compiere gesti propri di dimostrazione e
attivazione contro la guerra e sulla strada della nonviolenza.
Siamo state e stati quasi una trentina di persone, in tempi e modi diversi;
e contavamo, forse ingenuamente, che altre ed altri nelle tante associazioni
e movimenti con cui pure stiamo operando, si facessero partecipi di questa
azione, le dessero respiro e possibilita' di resistenza e crescita. Non e'
stato cosi'. Abbiamo sicuramente commesso passi falsi e incerti, sicuramente
non abbiamo trovato le ulteriori energie e dimostrato le necessarie aperture
che coinvolgere altre ed altri richiedeva. Sicuramente questo non e' stato
l'unico motivo della nostra solitudine nel movimento e restiamo sempre
pronti a discutere con chiunque.
Ma intanto, questa sera, la facciamo veramente finita. Perche' bisogna anche
imparare a chiudere le esperienze per poterci tornare a ragionare con la
dovuta distanza. Perche' non si puo' restare prigioniere e prigionieri di
un'idea quando questa proprio non funziona piu', non ti appartiene piu', non
e' piu' capace di comunicare. Perche' sia chiaro che non apparteniamo alla
logica del "virtuale" che caratterizza oggi la nostra
informazione/comunicazione e non lasceremo che nell'immaginario di chi ci ha
conosciuto resti l'idea che noi siamo sempre li', come punto fermo
autosufficiente, impermeabile ed "eroico". Per molte e molti questo pensiero
puo' essere confortante e rassicurante, per noi e' anche questo parte di una
cultura di violenza, quella che viene costruita promuovendo logiche di
delega e indifferenza, di rinvio della propria attivazione sino al momento
in cui la realta' diventa la nostra personale, e inevitabile, tragedia.
Si puo' agire prima, e ci sono tanti modi per farlo, senza aspettare che sia
la violenza o la guerra a travolgerci. Non necessariamente quello scelto da
noi che pure tanto abbiamo sperato di ricevere notizie di attivazioni,
simili o no, in altre parti di Italia o di Roma.
Ora e' per noi che inizia un momento di riflessione per cercare altre forme
di azione nonviolenta. Intanto, ci e' parso importante dare segno della
fine, come abbiamo fatto per l'inizio. Perche nella vita succede cosi', che
le cose inizino e poi finiscano.
Succede cosi', ma e' sempre piu' difficile che sia cosi' per le guerre.
*
"Art. 11" sono stati: Alberto Castagnola, Alessandro Natalini, Andrea
Trentini, Anna Candida Felici, Chiara Arcarese, Chiara Cavallaro, Daniela
Degan, Enrico Euli, Federico Razzoli, Francesca Giovannelli, Ilaria De
Angelis, Ilija Soskic, Laura Gentile, Luigi Pirelli, Luisa Ferrari, Manuele
Messineo, Massimiliano Carra, Massimo Dall'Olio, Paola Epifani, Roberta
Ventura, Stefania Trocini, Stefano Guidi, Us Citizens for peace and Justice,
Walter Angelini e le ottocento persone di tutto il mondo che si sono fermate
con noi e hanno firmato per il ritiro delle truppe dall'Iraq.
"Art. 11" ringrazia: Ubaldo per l'ospitalita', il calore umano, le perle di
saggezza enogastronomica e gli inestimabili sconti, Reorient per il prezioso
supporto logistico, gli artisti che hanno allietato le serate al presidio: i
musicisti del teatro "La Fenice" di Venezia, Il Dragan Trio, la compagnia
teatrale "Il Naufragarmedolce", Il coro "L'albero del canto" diretto da
Lucilla Galeazzi, Ziad Trabelri, Enrica Palmieri, Aglie e fravaglie,
Sbilanciamoci.

2. DIRITTI UMANI. MARIA G. DI RIENZO: GUATEMALA
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per
questo intervento. Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici
di questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista,
giornalista, regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto
rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento
di Storia Economica dell'Universita' di Sidney (Australia); e' impegnata nel
movimento delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta'
e in difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza; e' coautrice
dell'importante libro: Monica Lanfranco, Maria G. Di Rienzo (a cura di),
Donne disarmanti, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2003]

In Guatemala, un piccolo paese che sta emergendo da tre decadi di guerra
civile, gli omicidi di donne e ragazze si susseguono ad un ritmo
impressionante.
Deborah Tomas Vineda, di 16 anni, e' stata rapita, stuprata e tagliata a
pezzi con una sega elettrica perche' ha rifiutato di diventare la ragazza di
un membro di una banda di delinquenti locale. Sua sorella Olga, che di anni
ne aveva solo 11 e si trovava con lei al momento del rapimento, e' stata
ugualmente uccisa per rappresaglia.
Il corpo mutilato e violato di Andrea Contreras Bacaro, 17 anni, e' stato
trovato in un sacco di plastica in una discarica. La sua gola era stata
tagliata, il suo volto e le sue mani frustate, e un colpo di pistola alla
testa aveva messo fine alla sua agonia. La parola "vendetta" era stata
incisa con un coltello su una sua coscia.
Sandra Palma Godoy, 17 anni, testimone di un omicidio, era sparita da una
settimana: il suo cadavere in decomposizione fu trovato accanto ad un campo
di calcio. I seni erano stati mutilati; occhi e cuore espiantati dal corpo.
Secondo Amnesty International 1.500 donne sono state uccise in questi modi
in meno di quattro anni. Le attiviste per i diritti umani in Guatemala
raccontano che il numero e' in crescendo: 222 omicidi di donne nel 2001, che
sono raddoppiati nel 2004 (494); nei primi cinque mesi del 2005 la cifra e'
di 225, il che fa molto piu' di un assassinio al giorno.
"E' un problema terribile per il paese", dice Hilda Morales Trujillo,
attivista di lunga data per i diritti delle donne, che fa parte della Rete
guatemalteca per la nonviolenza. Le preoccupazioni di Hilda concernono
l'enorme numero di donne che vengono torturate e stuprate prima di essere
uccise. "La sola spiegazione che posso trovare per l'uso di questa estrema
violenza e' la misoginia, l'odio verso le donne". La parola spagnola che lei
usa per il fenomeno e' "femicidio", femminicidio.
In Guatemala, un paese pesantemente militarizzato durante 36 anni di guerra
civile, migliaia di uomini portano armi e la violenza estrema e' loro del
tutto familiare. Dopo gli accordi di pace siglati nel 1996, le donne
guatemalteche hanno potuto sperimentare qualche piccolo progresso: possono
lavorare fuori casa, andare a scuola per un periodo piu' lungo, ed esprimere
se stesse piu' liberamente. Nella maggior parte del paese, pero', la
ricompensa che ricevono e' la paura perpetua della tortura e di una morte
violenta.
"Ogni giorno il numero degli omicidi cresce, per due ragioni", dice Sandra
Moran, un'altra attivista per i diritti umani delle donne, "In primo luogo
non c'e' rispetto per il corpo della donna. La gente si sente libera di
trattare una donna come vuole. Inoltre, c'e' li'dea che la donna sia sempre
di proprieta' di qualcuno. Queste sono le ragioni per cui le donne vengono
torturate ed abusate sessualmente prima di essere uccise. In alcuni casi
vengono addirittura smembrate".
Nel rapporto di Amnesty International c'e' la raccomandazione al governo del
Guatemala affinche' migliori l'istruzione pubblica rispetto alle istanze dei
diritti delle donne, metta un reale impegno nell'investigare sugli omicidi e
riformi le vecchie leggi sullo stupro e la violenza sessuale.
Hilda Morales Trujillo aggiunge che le donne sono scarsamente protette dalla
polizia, che e' oberata di lavoro, priva di finanziamenti adeguati e troppo
spesso corrotta. Anabella Noriega, che coordina il gruppo delle attiviste
nell'ufficio di Hilda dice che: "C'e' un comune denominatore in tutti questi
omicidi: l'impunita'. Dei quasi 500 casi del 2004 solo uno e' finito in
tribunale. Il disinteresse delle autorita', i fallimenti nel raccogliere
testimonianze e la corruzione endemica alimentano il problema".
A cercare di mantenere l'attenzione sul problema e a chiedere giustizia e
rispetto per i diritti umani ci sono solo questo piccolo numero di
femministe e di parenti delle vittime, che vengono regolarmente presi di
mira per il loro attivismo. Solo nella prima settimana di maggio, racconta
Sandra Moran, dodici differenti sedi di attiviste/i sono state assalite e
saccheggiate.
"E' sempre piu' difficile che qualcuno venga allo scoperto a raccontare la
propria storia", dice Sandra, "Il messaggio che passa e' che gli assassini
possono fare quello che vogliono, e non saranno incriminati. Noi tutte
abbiamo paura, certo. Ma siamo determinate ad andare avanti".

3. RIFLESSIONE. ANTONIO VIGILANTE: SCHWEITZER E GANDHI
[Ringraziamo Antonio Vigilante (per contatti: agrypnos at tiscali.it) per
averci messo a disposizione il seguente saggio come anticipazione prima
della sua pubblicazione in rivista.
Antonio Vigilante e' studioso e amico della nonviolenza, di grande acutezza
e profondita'; nato a Foggia nel 1971, dopo la laurea in pedagogia si e'
perfezionato in bioetica; docente di scienze sociali, dirige la collana
"L'Aratro. Testi e studi su pace e nonviolenza" delle Edizioni del Rosone di
Foggia, fa parte del comitato scientifico dei prestigiosi "Quaderni
Satyagraha", collabora a diverse riviste ed e' autore di rilevanti saggi
filosofici sulla nonviolenza. Tra le opere di Antonio Vigilante: La realta'
liberata. Escatologia e nonviolenza in Aldo Capitini, Edizioni del Rosone,
Foggia 1999; Quartine, Edizioni del Rosone, Foggia 2000; Il pensiero
nonviolento. Una introduzione, Edizioni del Rosone, Foggia 2004.
Albert Schweitzer, nato il 14 gennaio 1875, insigne filantropo, e' stato
filosofo e teologo, pastore evangelico, organista, studioso insigne di Bach,
medico a Lambarene' nell'ospedale da lui fondato nella foresta africana,
promotore dell'impegno contro le armi atomiche; ha pubblicato opere di
teologia, filosofia e musica; premio Nobel per la pace nel 1952; e'
scomparso il 4 settembre 1965. Tra le opere di Albert Schweitzer: I popoli
devono sapere, Einaudi; La mia vita e il mio pensiero, Comunita'; I grandi
pensatori dell'India, Astrolabio-Ubaldini; Rispetto per la vita, Claudiana;
Storie africane, Il Saggiatore. Opere su Albert Schweitzer: un punto di
partenza e' Enrico Sermonti, Schweitzer e la coscienza del terzo mondo,
Cremonese.
Mohandas K. Gandhi e' stato della nonviolenza il piu' grande e profondo
pensatore e operatore, cercatore e scopritore; e il fondatore della
nonviolenza come proposta d'intervento politico e sociale e principio
d'organizzazione sociale e politica, come progetto di liberazione e di
convivenza. Nato a Portbandar in India nel 1869, studi legali a Londra,
avvocato, nel 1893 in Sud Africa, qui divenne il leader della lotta contro
la discriminazione degli immigrati indiani ed elaboro' le tecniche della
nonviolenza. Nel 1915 torno' in India e divenne uno dei leader del Partito
del Congresso che si batteva per la liberazione dal colonialismo britannico.
Guido' grandi lotte politiche e sociali affinando sempre piu' la
teoria-prassi nonviolenta e sviluppando precise proposte di organizzazione
economica e sociale in direzione solidale ed egualitaria. Fu assassinato il
30 gennaio del 1948. Sono tanti i meriti ed e' tale la grandezza di
quest'uomo che una volta di piu' occorre ricordare che non va  mitizzato, e
che quindi non vanno occultati limiti, contraddizioni, ed alcuni aspetti
discutibili - che pure vi sono - della sua figura, della sua riflessione,
della sua opera. Opere di Gandhi:  essendo Gandhi un organizzatore, un
giornalista, un politico, un avvocato, un uomo d'azione, oltre che una
natura profondamente religiosa, i suoi scritti devono sempre essere
contestualizzati per non fraintenderli; Gandhi considerava la sua
riflessione in continuo sviluppo, e alla sua autobiografia diede
significativamente il titolo Storia dei miei esperimenti con la verita'. In
italiano l'antologia migliore e' Teoria e pratica della nonviolenza,
Einaudi; si vedano anche: La forza della verita', vol. I, Sonda; Villaggio e
autonomia, Lef; l'autobiografia tradotta col titolo La mia vita per la
liberta', Newton Compton; La resistenza nonviolenta, Newton Compton;
Civilta' occidentale e rinascita dell'India, Movimento Nonviolento; La cura
della natura, Lef; Una guerra senza violenza, Lef. Altri volumi sono stati
pubblicati da Comunita': la nota e discutibile raccolta di frammenti Antiche
come le montagne; da Sellerio: Tempio di verita'; da Newton Compton: e tra
essi segnaliamo particolarmente Il mio credo, il mio pensiero, e La voce
della verita'. Altri volumi ancora sono stati pubblicati dagli stessi e da
altri editori. I materiali della drammatica polemica tra Gandhi, Martin
Buber e Judah L. Magnes sono stati pubblicati sotto il titolo complessivo
Devono gli ebrei farsi massacrare?, in "Micromega" n. 2 del 1991 (e per un
acuto commento si veda il saggio in proposito nel libro di Giuliano Pontara,
Guerre, disobbedienza civile, nonviolenza, Edizioni Gruppo Abele, Torino
1996). Opere su Gandhi: tra le biografie cfr. B. R. Nanda, Gandhi il
mahatma, Mondadori; il recente accurato lavoro di Judith M. Brown, Gandhi,
Il Mulino; il recentissimo libro di Yogesh Chadha, Gandhi, Mondadori. Tra
gli studi cfr. Johan Galtung, Gandhi oggi, Edizioni Gruppo Abele; Icilio
Vecchiotti, Che cosa ha veramente detto Gandhi, Ubaldini; ed i volumi di
Gianni Sofri: Gandhi e Tolstoj, Il Mulino (in collaborazione con Pier Cesare
Bori); Gandhi in Italia, Il Mulino; Gandhi e l'India, Giunti. Cfr. inoltre:
Dennis Dalton, Gandhi, il Mahatma. Il potere della nonviolenza, Ecig. Una
importante testimonianza e' quella di Vinoba, Gandhi, la via del maestro,
Paoline. Per la bibliografia cfr. anche Gabriele Rossi (a cura di), Mahatma
Gandhi; materiali esistenti nelle biblioteche di Bologna, Comune di Bologna.
Altri libri particolarmente utili disponibili in italiano sono quelli di
Lanza del Vasto, William L. Shirer, Ignatius Jesudasan, George Woodcock,
Giorgio Borsa, Enrica Collotti Pischel, Louis Fischer. Un'agile introduzione
e' quella di Ernesto Balducci, Gandhi, Edizioni cultura della pace. Una
interessante sintesi e' quella di Giulio Girardi, Riscoprire Gandhi,
Anterem]

1. Premessa
Nel 1934 Albert Schweitzer pubblica un libro sul pensiero indiano (Die
Weltanschauung der indischen Denker) che rappresenta l'esito di una lunga
riflessione sulla civilta' indiana ed orientale in generale, che e' parte, a
sua volta, di una piu' ampia riflessione sulla civilta', sulla sua crisi e
sulle possibilita' di una sua rinascita e riforma in senso spirituale. E' a
conclusione di quest'opera che Schweitzer esprime il suo giudizio sull'opera
di Gandhi. Un giudizio, come vedremo, fortemente critico, ma che non
dovrebbe mettere in ombra l'affinita' della riflessione di due tra le piu'
grandi personalita' etiche del Novecento. Il "rispetto per la vita" di
Albert Schweitzer (premio Nobel per la pace nel 1952) ed il "satyagraha" di
Gandhi hanno radice comune nel principio dell'ahimsa (nonviolenza), ma
differenti sono le diramazioni, le interpretazioni, le applicazioni di quel
principio universale.
Anche piu' di Gandhi, Schweitzer sconta il quasi universale apprezzamento
della sua missione al servizio dell'umanita' con una conoscenza superficiale
del suo pensiero. Abbondano le biografie e le compilazioni di passi tratti
dai suoi scritti a scopo edificante, mentre mancano studi che ne affrontino
il pensiero nel contesto della filosofia novecentesca. La sua opera piu'
importante, Kultur und Ethik, secondo volume dell'ambizioso progetto della
Kulturphilosophie, risulta ancora non tradotta in Italia, cosi' come non
ancora tradotti sono il volume sulla mistica di San Paolo (Die Mystik des
Apostels Paulus) ed altri scritti minori. Non sara' inutile, pertanto,
soffermarsi sulle tesi fondamentali della sua filosofia della civilta'.
*
2. La civilta' e la sua crisi
"Deve giungere un nuovo Rinascimento, piu' grande di quello con il quale
siamo usciti dal Medioevo (...) Io  vorrei essere l'umile pioniere di questo
Rinascimento, e lancio la fede in una nuova umanita', come una fiaccola, in
questa eta' oscura" (1). Cosi' scrive Albert Schweitzer nella prefazione di
Kultur und Ethik, presentando i due caratteri di fondo del suo pensiero: una
considerazione profondamente pessimistica del presente della civilta', ed un
ottimismo ugualmente profondo sulla possibilita' di uscire dalla crisi.
In polemica con Spengler, il cui Tramonto dell'Occidente era stato
pubblicato dallo stesso editore dei due volumi della Kulturphilosophie, il
pensatore alsaziano rifiuta ogni distinzione tra Kultur e Zivilisation,
intendendo con questo secondo termine una civilta' intesa come progresso
scientifico e tecnologico: distinzione che rischiava di legittimare come
civile una situazione storica di crisi della spiritualita' e dell'etica. La
civilta' per Schweitzer e' "progresso, materiale e spirituale, da parte
degli individui e della massa" (2); di questi due aspetti, pero', e' il
secondo ad essere determinante. Si ha civilta' quando la ragione domina
sugli istinti e sulla natura. Il vero progresso e' nella prima forma di
dominio, mentre la seconda, prevalente nella civilta' attuale, puo' essere
dannosa se non accompagnata da un corrispondente progresso etico e
spirituale. L'essenza della crisi e' tutta qui: il progresso della scienza e
della tecnica ha procurato all'umanita' una grande quantita' di conquiste
materiali, ma al contempo si e' verificato un regresso nel campo
dell'ideale.
Con chiarezza e lucidita' d'analisi notevoli, Schweitzer denuncia la
condizione dell'uomo nell'eta' industriale, a partire dalla mancanza di
liberta' ed indipendenza. Impigliato nei processi di produzione, reso
schiavo da un lavoro eccessivo ed alienante, con una specializzazione che
non consente l'esercizio integrale delle proprie facolta', ancora possibile
con l'artigianato, non ha piu' ne' tempo ne' forza per dedicarsi alla
riflessione ed assimilare gli ideali della civilta', vivendo in modo
infantile il poco tempo libero. Il "nuovo medioevo" (3) nel quale viviamo
esige uomini incerti, scettici riguardo all'efficacia del proprio pensiero,
e percio' irriflessivi. Su questo cedimento individuale s'innesta il
superpotere dello stato e delle istituzioni: da cio' anche il tragico errore
del nazionalismo. Esso, osserva Schweitzer, nasce all'inizio del XIX secolo
come esaltazione dello stato concepito pero' come il custode degli ideali
della civilta' (Fichte); con il crollo di questi ideali resta l'esaltazione
fine a se stessa della nazione. Lo stato nazionalistico sostituisce l'ideale
della civilta' con quello della "civilta' nazionale". Le culture si separano
e si contrappongono le une alle altre, i popoli rivendicano la loro
superiorita' sugli altri popoli, ai quali cercano di imporre la propria
cultura. "Le nazioni moderne - scrive - cercano mercati per la propria
civilta' non meno che per i propri manufatti" (4).
Una critica della civilta' Gandhi l'aveva gia' sviluppata con vigore in Hind
Swaraj: anch'egli soffermandosi sulla schiavitu' legata alla macchina ed al
lavoro nelle fabbriche, la carenza di ideali ed il prevalere degli aspetti
materiali dell'esistenza. Ma c'e' una differenza fondamentale. Schweitzer
giudica da europeo: la crisi della civilta' europea gli sembra essere
tutt'uno con la crisi della civilta' in generale. Tutti i popoli hanno dato
quel che avevano da dare: non c'e' piu' nulla da aspettarsi. "Conosciamo
gia' tutti i popoli della terra, non ve n'e' uno che gia' non prenda parte
alla nostra civilta' in modo che il suo destino spirituale non sia
determinato dal nostro" (5). Dalla crisi si esce attraverso una
ricostruzione della civilta' sulle sue stesse basi. Per Gandhi, invece, le
cose stanno diversamente. Le crisi della civilta' e', essenzialmente, crisi
della civilta' europea. E' vero che anche il mondo indiano e' stato
condizionato da tale civilta', ma non fino al punto di perdere la propria
originalita'. La via d'uscita per Gandhi e' proprio qui: purificare la
civilta' indiana dall'influsso europeo e proporla come unica vera
alternativa alla civilta' europea. Gli inglesi hanno fatto dell'India un
mercato per la propria civilta'. Gandhi, ristabilendo quel nazionalismo
fatto di ideali di cui Schweitzer mostra il tramonto in Europa, intende
liberare l'India dall'influsso occidentale e ristabilirla nella sua purezza.
"La tendenza della civilta' indiana - si legge in Hind Swaraj - e' di
elevare l'essere morale, quella della civilta' occidentale di propagare
l'immoralita'" (6). Una semplificazione, indubbiamente. Altrove si trovano
giudizi piu' ponderati. Quel che conta e' che questo progetto, finalizzato
alla liberazione dell'India, viene perseguito con un metodo radicalmente
nuovo, che fa di quel progetto un progetto di civilta', che si propone al
mondo intero per la sua profondita' etica unita all'efficacia pratica.
Il fatto che un popolo come quello indiano possa mostrare una via nuova al
mondo intero esula dagli schemi della filosofia della civilta' di
Schweitzer. E' qui la radice della incomprensione del profondo significato
dell'esperienza gandhiana, da parte del filosofo alsaziano.
*
3. Ottimismo e pessimismo, mistica ed etica
L'origine dell'attuale crisi della civilta' e' da Schweitzer ricondotta al
declino della filosofia nella seconda meta' del secolo XIX. E' in quel
periodo che tramonta il razionalismo, l'unica filosofia in grado di
diffondere e sostenere gli ideali della civilta' con la sua visione del
mondo ottimistica ed etica. L'ingenua fiducia illuministica nella ragione e'
abbandonata dal pensiero successivo. Gli idealisti cercano ancora di
difendere gli ideali della civilta' ricorrendo alla speculazione metafisica,
ma il loro sforzo e' vanificato dallo sviluppo delle scienze naturali, con
il quale l'osservazione della realta' prende il posto della ricerca
dell'ideale. Gli ideali vengono tratti dalla realta': di qui la caduta in
uno stato di "incivilta' ed inumanita'" (7). La filosofia rinuncia al suo
ruolo di guida della civilta' e diventa semplice erudizione, riflessione sui
dati della scienza e sul suo stesso passato, distaccandosi dai problemi
della vita reale.
In Kultur und Ethik Schweitzer ricostruisce il percorso delle idee in
Occidente. L'essenza della civilta' occidentale e' nel fatto che in essa la
visione del mondo ottimistica  e' riuscita a prevalere su quella
pessimistica. "La storia della filosofia occidentale e' la storia della
lotta per una visione del mondo ottimistica (optimistische Weltanschauung)"
(8). La civilta' occidentale ha costruito, attraverso i suoi pensatori, una
visione del mondo in grado di favorire l'affermazione del mondo e della
vita, di sostenere il progresso, di alimentare gli ideali etici ed
umanitari. Ora, per il processo descritto, non disponiamo piu' di una
visione del mondo.
Ottimismo e pessimismo sono le categorie fondamentali della
Kulturphilosophie di Schweitzer. Alla civilta' occidentale, fondata
sull'affermazione del mondo, contrappone quella orientale, a sfondo
pessimistico, basata sulla negazione del mondo e della vita. La
contrapposizione tra le due visioni e' sviluppata dal punto di vista
specificamente religioso in una conferenza del 1922 sul Cristianesimo e le
religioni universali (Das Christentum und die Weltreligionen). Schweitzer
parlava a un pubblico di missionari ed aspiranti tali: il problema della
conferenza era quello di difendere le ragioni del cristianesimo nel
confronto con le altre grandi religioni.
L'originalita' del cristianesimo e', appunto, nel fatto che in esso il
pessimismo lascia il posto all'ottimismo, la liberazione dal mondo cede di
fronte all'idea del Regno di Dio. Il messaggio del Vangelo non e' quello di
rinunciare, ma di agire nel mondo nello spirito di Dio. Le religioni
orientali, invece, sono puramente negative. Brahmanesimo e buddhismo sono
accomunati da una medesima visione monistica e pessimistica: il mondo e'
dolore, mutamento, morte. Incatenato al ciclo delle rinascite, l'uomo aspira
alla liberazione dal mondo: quella del Buddha e' appunto una tecnica di
liberazione finale dal mondo. Buddhismo e brahmanesimo predicano
l'indifferenza, l'apatia, il distacco. Il limite di queste due grandi
religioni e' per Schweitzer nella loro incapacita' di fondare e giustificare
un'etica, di portare a quell'interesse per il mondo senza il quale non si
da' alcuna reale moralita'. "Esse - scrive - sono mistiche che lasciano
estinguere l'uomo in una Divinita' morta" (9).
La religiosita' cinese, dalla quale Schweitzer appare affascinato, e'
monistica, ma non pessimistica. Per Lao-Tze e Chuang-Tze il Divino non e'
pura spiritualita', ma una forza che agisce nel mondo. Nemmeno il taoismo
pero' e' in grado di giustificare l'azione etica, e cio' per il suo
carattere monistico: e' il cielo ad operare il bene, all'uomo non resta che
rinunciare all'azione ed attendere.
Per quanto riguarda l'induismo, il discorso e' piu' complesso. Esso supera
l'impersonalita' del Principio brahmanico e va alla ricerca di una Divinita'
personale, con la quale il fedele possa entrare in un rapporto di comunione
spirituale. L'India giunge cosi' al monoteismo, ma non ancora all'idea del
Dio etico. L'induismo "non fa il passo decisivo" (10): il monoteismo e'
costantemente minacciato dal politeismo, considerato da Schweitzer
immoralistico.
Confrontato con le religioni orientali, il cristianesimo appare meno logico.
Non e' possibile rispondere razionalmente alla domanda sui rapporti tra Dio
inteso come Persona etica e le forze che operano nel mondo. Il cristianesimo
e' ingenuo: ma e', la sua, una ingenuita' superiore. "Vi sono due forme di
ingenuita': una, che ancora non ha abbracciato ogni problema e ancora non ha
bussato a tutte le porte della conoscenza, ed un'altra, piu' alta, che si ha
quando  il pensiero ha  considerato ogni problema, ha tratto consiglio da
ogni sapere e conoscenza e quindi riconosce che non possiamo spiegare nulla,
ma dobbiamo seguire le convinzioni che si impongono a noi per il loro intimo
valore" (11). Questa ingenuita' non si contrappone al razionalismo, ma lo
completa.
Il cristianesimo e' la religione che riesce a conciliare mistica ed etica,
abbandono ed azione. E' una interpretazione che Schweitzer sviluppa nella
sua piu' importante opera teologica, Die Mystik des Apostels Paulus, del
1930. Quella paolina non e', per Schweitzer, una mistica dell'unione con
Dio, ma della comunione con il Cristo. L'esperienza che Paolo insegna non e'
il semplice abbandono, ma la partecipazione al Regno di Dio tramite il
morire e risorgere in Cristo. Partecipando al Regno di Dio, l'uomo diventa
libero dal mondo, ma non indifferente a cio' che accade in esso: e' chiamato
a testimoniare nel mondo lo Spirito, principalmente attraverso la sua
condotta morale. "L'etica - scrive - e' per lui la necessaria dimostrazione
che attraverso l'essere-in-Cristo e' gia' avvenuto il passaggio dal mondo
naturale a quello soprannaturale" (12).
Come cristiano, dunque, Schweitzer e' disposto al confronto onesto con le
altre religioni ed all'esame razionale delle stesse verita' di fede, senza
accordare al cristianesimo alcun privilegio aprioristico. Cio' che non e'
assolutamente disposto a riconoscere e' che le diverse religioni, tutte
caratterizzate da limiti ed imperfezioni nelle loro realizzazioni storiche,
contengano elementi ideali ed etici che, adeguatamente sviluppati, possono
diventare efficaci fattori di incivilimento. E' questa la posizione di
Gandhi, per il quale tutte le religioni sono sullo stesso piano: cosa che
non gli impedisce di dichiararsi induista. "E' oramai finito il tempo in cui
i seguaci di una religione potevano fermarsi e dire, la nostra e' la sola e
vera religione, tutte le altre sono false", scriveva Gandhi nel 1905 (13).
Ai non induisti Gandhi chiede soltanto di seguire in modo piu' profondo le
loro stesse religioni. A rendere possibile questa posizione gandhiana, al di
la' della consuetudine giovanile con i teosofi, e' la presenza stessa
nell'induismo di quell'elemento politeistico che Schweitzer ha tanto in
orrore, e che invece ha l'effetto di favorire l'ecumenismo e l'apertura alle
altre esperienze religiose.
*
4. Il rispetto per la vita
Le esigenze che lo Schweitzer teologo trova soddisfatte dal cristianesimo
conducono lo Schweitzer filosofo della civilta' a teorizzare il rispetto per
la vita. Anche in questo caso, si tratta di abbandonare la terraferma della
logica per avventurarsi, spinti dalla necessita' etica, nel campo
dell'illogico  e del mistero.
E' nel 1915, in Africa, durante un viaggio sul fiume Ogooye', che per la
prima volta si affaccia alla mente di Albert Schweitzer l'idea del rispetto
per la vita. Cosi' Schweitzer rievoca quella rivelazione: "Sopra un banco di
sabbia, alla nostra sinistra, quattro ippopotami con i loro piccoli si
muovevano nella nostra stessa direzione. In quel momento, nonostante la
stanchezza, mi venne in mente l'espressione 'rispetto per la vita', che, per
quanto io sappia, non avevo mai sentito ne' letto. Mi resi conto
immediatamente che questa espressione aveva in se' la soluzione del problema
che mi stava assillando" (14).
L'Ehrfurcht vor dem Leben (giustamente J. Feschotte osservava che "rispetto"
non traduce esattamente il tedesco "Ehrfurcht", che implica anche un senso
di paura, preoccupazione, ansia per qualcosa o qualcuno (15)) s'impone alla
sua coscienza come l'idea semplice ma potente - figlia forse anche del
paesaggio orizzontale dell'Africa equatoriale - capace di condurre il
pensiero morale fuori dallo scetticismo e dalle contraddizioni, e di
rispondere alla crisi della nostra civilta'. La formulazione di questo
principio e' di una semplicita' estrema: "E' bene mantenere e promuovere la
vita; e' male ostacolare e distruggere la vita" (16). Sono le parole con le
quali comincia la prima esposizione pubblica della concezione del rispetto
della vita, in un sermone tenuto a Strasburgo nel 1919. Cio' che
immediatamente risalta, in questo principio, e' il riferimento alla vita, e
non piu' esclusivamente all'uomo; cosa che distingue l'etica schweitzeriana
dalla tradizione etica occidentale, avvicinandola a quella orientale. Il
pensatore alsaziano ne e' consapevole. Trattando dell'ahimsa jainistica, nel
suo studio sul pensiero indiano, sostiene che il suo apparire e' "uno degli
avvenimenti piu' importanti nella storia del pensiero umano" (17). E
tuttavia il rispetto per la vita non e' una semplice riproposizione
dell'ahimsa. Quest'ultima e' per Schweitzer una posizione puramente
negativa, adeguata ad una cultura negatrice del mondo. L'azione violenta e'
negata perche' e' azione che lega al mondo piu' di qualsiasi altra azione.
L'ahimsa e', nell'interpretazione di Schweitzer, una pratica di liberazione,
che non comporta una vera e propria cura per le creatura. Il rispetto per la
vita e' invece amore attivo per tutto cio' che vive.
Il rispetto per la vita ha, dunque, qualcosa in piu' rispetto all'ahimsa; ma
ha anche qualcosa di meno. Per il suo carattere negativo, l'ahimsa si
accorda perfettamente con la conoscenza del mondo: e' la conseguenza etica
di una concezione del mondo monistica, che per il pensatore alsaziano e'
l'unica logicamente accettabile. Cio' non e' consentito al rispetto per la
vita, proprio perche' si tratta di un'etica autentica, attiva, profonda, e
non di una forma di negazione della vita. Ma le esigenze etiche autentiche
mandano in crisi il monismo, sono inconciliabili con una concezione del
mondo. Perche' devo rispettare la Vita? Se osservo il mondo, devo concludere
che la Vita e' una forza crudele e assolutamente indifferente al bene e al
male. Che senso ha rispettarla?
Abbiamo visto che per Schweitzer la crisi della civilta' e' dovuta al fatto
che non disponiamo piu' di una visione del mondo in grado di sostenere i
nostri ideali etici. La conclusione della sua riflessione sul problema e'
che conoscenza del mondo ed etica autentica non sono conciliabili. L'etica
deve fare a meno di una visione del mondo, della conoscenza del mondo cosi'
com'e'. L'unica conoscenza necessaria e' quella che attingiamo guardando in
noi stessi, interrogando la nostra stessa volonta' di vita. "La mia
conoscenza del mondo e' una conoscenza esteriore, e resta sempre incompleta.
Ma la conoscenza della mia volonta' di vita e' diretta, e mi porta al
misterioso movimento della Vita, come e' in se stessa" (18). Per quale
motivo la Vita, che nel mondo naturale si mostra indifferente al bene e al
male, in noi diventa etica, e' una cosa che non possiamo comprendere. Eppure
la necessita' di rispettare ogni vita, la sacralita' di ogni esistenza e'
per Schweitzer un dato immediato, una verita' rintracciabile nella nostra
interiorita' senza la mediazione della ragione.
Non poche obiezioni sono state sollevate contro il rispetto per la vita.
Molte di queste obiezioni rappresentano null'altro che la resistenza della
cultura occidentale all'apertura dell'etica agli esseri non umani. In questo
modo, si e' detto, saremo costretti a considerare sacra e rispettare anche
l'esistenza di insetti molesti o germi patogeni. Si e' evocato il pericolo
di una societa' che si autodistrugge per non uccidere altri esseri viventi.
Naturalmente Schweitzer, come Gandhi, non intende perseguire il principio
del rispetto per la vita fino a queste conseguenze. Quel che importa ad
entrambi e' che, nello spirito dell'ahimsa, ogni violenza non strettamente
necessaria nei confronti degli animali sia eliminata. La necessita' pratica
di uccidere per sopravvivere non comporta alcune distinzione tra vite sacre
e non sacre, vite che hanno valore ed altre che non ne hanno. Una tale
distinzione conduce a considerare non condannabile la teoria della
distruzione di quelle vite cui si riconosce minor valore. "Come vita senza
valore si riconosce poi - ammonisce Schweitzer - a seconda delle circostanze
tipi di insetti o popoli primitivi" (19). Accordare un  valore alla vita che
possiede alcune caratteristiche (intelligenza, coscienza, sensibilita') e'
un errore pericoloso, perche' e' possibile che il criterio in base al quale
giudicare del valore di una creatura si restringa fino a ridursi alla
appartenenza a una razza o fede, al possesso di normali capacita' mentali o
altro. La risposta di Schweitzer appare risolutiva, alla luce dei genocidi
del Novecento.
Ai fini del nostro discorso importano soprattutto le implicazioni politiche
del rispetto per la vita. Come abbiamo visto, Schweitzer non intendeva
soltanto rivoluzionare l'etica occidentale, ma anche, e soprattutto,
indicare una via d'uscita alla crisi della civilta'. Purtroppo le
indicazioni concrete su questo punto sono piuttosto vaghe. Nella nuova
civilta', ognuno sara' in grado di conservare la propria natura umana;
potra' essere materialmente e spiritualmente libero, ma sara' anche chiamato
a prendersi cura della vita altrui. Le masse saranno spiritualizzate,
indotte alla riflessione ed alla responsabilita'. Il pensatore alsaziano
ripone tutte le sue speranze nella persona; si accorge che la storia gli da'
torto, ma si dice costretto a sperare dal "coraggio della disperazione"
(20). Soltanto questo primo risveglio della persona potra' rendere possibile
il mutamento dello Stato moderno, che si trova sull'orlo del baratro a causa
della crisi economica e dei conflitti politici, pur conservando un apparato
gigantesco. Stato e Chiesa sono per Schweitzer due entita' indispensabili
per l'umanita', ma che hanno bisogno di essere spiritualizzate. La semplice
diffusione della concezione del rispetto per la vita operera' questa
trasformazione, resistendo ai sorrisi di scherno con la sicurezza della
"saggezza del domani" (21). Per quanto riguarda il problema economico, il
rispetto per la vita chiede che le proprieta' vengano messe a disposizione
della collettivita', ma liberamente, senza alcuna costrizione (22). Ancora
una volta, sara' lo spirito del rispetto per la vita a compiere il miracolo.
Come si vede, manca in Schweitzer qualsiasi concreta indicazione o proposta
pratica. Quella del rispetto per la vita e' una concezione etica,
spirituale, religiosa, ma non politica. La convinzione del pensatore
alsaziano e' che, una volta cambiate le menti con la diffusione della nuova
visione del mondo, la realta' politica, economica e sociale cambiera'
radicalmente. La realta' e' molto diversa. Ogni progetto di
spiritualizzazione o moralizzazione della politica deve prepararsi ad una
lotta lunga, estenuante. In questa lotta cio' che conta e' la possibilita'
di dimostrare l'efficacia pratica dei propri ideali. Quel che conta e'
disporre, accanto ad una visione del mondo piu' o meno profonda, di un
metodo d'azione adeguato, in grado d'incidere nella dura scorza della storia
i segni dell'ideale.
*
5. Etica ed agire mondano
Veniamo al giudizio di Schweitzer su Gandhi.
Del grande leader indiano Schweitzer apprezza l'"interesse per i problemi
della vita sociale" (23) ed il tentativo di cambiare la struttura economica,
che lo distingue abbastanza nettamente dai precedenti riformatori indiani,
che si limitavano a raccomandare la beneficenza. Apprezza ancora la
concretezza gandhiana, dimostrata dalla sua valorizzazione della tessitura;
condivide sostanzialmente anche la sua diffidenza per le macchine.
Gandhi riprende il principio dell'ahimsa, e lo reinterpreta in una
prospettiva diversa. L'ahimsa indiana e' per Schweitzer, come abbiamo visto,
un precetto meramente negativo, mentre Gandhi ne fa uno strumento in vista
dell'affermazione del mondo. Ma questo passaggio non e' senza conseguenze.
"Quando comincia ad agire nel mondo, l'ahimsa non e' piu' quel che e' in
essenza" (24). La resistenza passiva gandhiana e' una degenerazione mondana
dell'ahimsa. Si tratta, per il pensatore alsaziano, di null'altro che un uso
dissimulato della violenza, di un "uso non-violento della violenza" (25),
con il quale si fa pressione sull'avversario e lo si vince. Che la
differenza tra le due cose sia relativa, lo dimostra l'agire stesso del
Mahatma, che spesso ha aggredito - sia pure nonviolentemente - l'avversario,
senza dargli alcuna reale possibilita' di accordo pacifico. "C'e' in lui un
agitatore mai dominato abbastanza" (26).
Schweitzer sembra ignorare la distinzione, fondamentale in Gandhi, tra
satyagraha (nonviolenza del forte) e resistenza passiva (nonviolenza del
debole) (27). La critica schweitzeriana puo' essere parzialmente condivisa
se riferita alla seconda, ma e' fuori luogo se riferita al satyagraha, che
non e' astensione dalla violenza per motivi tattici o di convenienza
politica, ma rifiuto di essa per motivi morali, e non e' finalizzato alla
sconfitta dell'avversario, ma alla sua conversione.
Singolare e' la proposta di Schweitzer alternativa all'esperimento
gandhiano. Il pensatore alsaziano pare preoccupato di distinguere bene la
sfera spirituale da quella che definisce mondana, e che meglio possiamo
definire politica. La colpa di Gandhi e', dunque, quella di aver contaminato
le due sfere. "Ogni contaminazione di elementi essenzialmente differenti e'
un'impresa innaturale e rischiosa", sentenzia. E per evitare questa
contaminazione, propone di fare un "uso della violenza nello spirito della
non-violenza", ricorrendo al minimo di violenza indispensabile, e
giustificando tale ricorso con l'ispirazione etica che e' alla sua base. A
Gandhi Schweitzer riconosce il merito di aver costretto l'etica moderna a
riflettere sul fatto che l'uso della violenza "non viene legittimato
eticamente solo dal fatto di perseguire un fine etico, ma occorre inoltre
che essa venga impiegata all'interno di una disposizione puramente etica"
(28). In realta' Gandhi ha fatto di piu': ha costretto il pensiero etico
contemporaneo a riflettere sul rapporto tra fini e mezzi, sulla loro
inscindibilita'. C'e' poca differenza tra il far violenza perseguendo un
fine etico, o in una "disposizione puramente etica" (umanitaria, si direbbe
oggi). La violenza e' un mezzo che non puo' essere legittimato in alcun modo
ricorrendo all'etica e alla spiritualita'.
Un'ultima critica riguarda la presenza, nel Mahatma, di elementi di
negazione del mondo. Schweitzer ha buon gioco nel mostrare all'opera le
tendenze negative del pensiero indiano nella esaltazione gandhiana della
poverta' volontaria, nel suo rifiuto della medicina moderna, nel celibato.
Vi sono in Gandhi elementi di ascetismo, che convivono con l'interesse e la
pratica politica. "In un paradosso grandioso, Gandhi fonde l'idea
dell'azione nel mondo con la negazione del mondo, perche' considera l'azione
svolta quaggiu' in spirito di abbandono a Dio, come la forma suprema di
rinuncia al mondo" (29). Questo paradosso e' lo stesso nel quale, come
abbiamo visto, consiste per lo Schweitzer teologo la grandezza del
cristianesimo: la capacita' di unire la liberazione dal mondo e l'azione in
esso. Ma il cristianesimo e' illogico, ingenuo; il pensiero indiano, invece,
pretende di conciliare conoscenza ed etica. In esso coesistono negazione ed
affermazione della vita, e che la seconda si fa sempre piu' strada, man mano
che si affaccia la necessita' dell'etica. I filosofi indiani contemporanei -
da Ramakrishna ad Aurobindo, da Tagore a Gandhi - cercano in modi diversi di
far spazio all'etica ed all'impegno. Ma per Schweitzer essi restano ancora
legati alla tradizione, e non si decidono a compiere il passo decisivo, vale
a dire quello di abbandonare ogni pretesa di conoscenza della realta'
soprasensibile e seguire la via stessa dell'Occidente: la via della realta'.
"Per progredire, il pensiero e', in qualche modo, costretto ad attraversare
la valle dell'oggettivita'. Il pensiero europeo e' gia' sceso in quella
vallata. Quello dell'India si trova ancora sul crinale che la precede. Se
vuol raggiungere il crinale opposto, bisognera' che cominci a scendere"
(30).
L'atteggiamento nei confronti di Gandhi risente di questo giudizio sul
pensiero indiano e della ricostruzione del suo sviluppo, sulla quale e'
possibile avanzare piu' di qualche riserva (31).
Preso dalle categorie della sua filosofia della civilta', il filosofo
alsaziano non si accorge che l'esperimento del Mahatma apre, esso si', una
nuova via. L'invito rivolto al pensiero indiano a scendere nella valle
dell'oggettivita' puo' essere restituito a Schweitzer. L'oggettivita' e'
quella dell'agire politico, della pianificazione economica, del progetto
sociale. E' nella valle di questa oggettivita' che  la spiritualita'
schweitzeriana ha timore di scendere, gelosa della propria purezza.
La commistione di etica e politica, di spiritualita' ed agire mondano sara'
anche rischiosa, ma non e' affatto innaturale. Ogni autentica, profonda
etica e' destinata a farsi politica, progetto storico. Ed e' alla
rischiosita' di questo destino che e' affidata la possibilita' di una vera
nuova civilta'.
*
Note
1. A. Schweitzer, Kultur und Ethik. Kulturphilosophie. Zweiter Teil, C. H.
Beck, Muenchen 1953 (prima edizione 1923), p. XX.
2. A. Schweitzer, Verfall und Wiederaufbau der Kultur. Kulturphilosophie.
Erster Teil, C. H. Beck, Muenchen 1923 ; tr. it., Agonia della civilta',
Edizioni di Comunita', Milano 1963, p. 43.
3. Ivi, p. 38.
4. Ivi, p. 58.
5. A. Schweitzer, Agonia della civilta', cit., p. 64.
6. M. K. Gandhi, Hind Swaraj, in La forza della verita', tr. it., Sonda,
Torino 1991, p. 227.
7. A. Schweitzer, Kultur und Ethik, cit, p. 7.
8. Ivi, p. 12.
9. A. Schweitzer, Das Christentum und die Weltreligionen, C. H. Beck,
Muenchen s.d., p. 33.
10. Ivi, p. 41.
11. Ivi, p. 49.
12. A. Schweitzer, Die Mystik des Apostels Paulus, J. C. B. Mohr, Tuebingen
1954 (seconda edizione), p. 323.
13. M. K. Gandhi, La forza della verita', cit., p. 463.
14. A. Schweitzer, Rispetto per la vita, tr. it., Claudiana, Torino 1994, p.
15.
15. J. Feschotte, Alberto Schweitzer, tr. it., Curci, Milano 1955, p. 76, n.
2.
16. A. Schweitzer, Rispetto per la vita, cit., p. 27.
17. A. Schweitzer, Die Weltanschauung der indischen Denker, C. H. Beck,
Muenchen 1934; tr. it. I grandi pensatori dell'India, Donzelli, Roma 1997,
p. 53.
18. A. Schweitzer, Kultur und Ethik, cit., p. 201.
19. A. Schweitzer, La mia vita e il mio pensiero, tr. it., Edizioni di
Comunita', Milano 1977, p. 210.
20. A. Schweitzer, Kultur und Ethik, cit., p. 259.
21. Ivi, p. 264.
22. Cfr ivi, p. 240.
23. A. Schweitzer, I grandi pensatori dell'India, cit., p. 139.
24. Ivi, p. 142.
25. Ibidem.
26. Ibidem.
27. Sulla distinzione, cfr G. Pontara, Il pensiero etico-politico di Gandhi,
in M. K. Gandhi, Teoria e pratica della nonviolenza, Einaudi, Torino 1996,
pp. XXIV segg.
28. A. Schweitzer, I grandi pensatori dell'India, cit., p. 143.
29. Ivi, p. 145.
30. Ivi, p. 158.
31. Si vedano ad esempio le osservazioni di Saverio Marchignoli sulla
interpretazione della Bhagavad-Gita, ivi, p. XIII.

4. RIVISTE. CON "QUALEVITA", ALL'ASCOLTO DI FRANCESCO D'ASSISI
Abbonarsi a "Qualevita" e' un modo per sostenere la nonviolenza. Ponendosi
all'ascolto di Francesco d'Assisi.
*
"Coloro poi che hanno ricevuto la potesta' di giudicare gli altri,
esercitino il giudizio con misericordia..." (Francesco d'Assisi, dalle
Lettere, in Fonti francescane, Edizioni Messaggero di S. Antonio, Padova
1983, p. 153).
*
"Qualevita" e' il bel bimestrale di riflessione e informazione nonviolenta
che insieme ad "Azione nonviolenta", "Mosaico di pace", "Quaderni
satyagraha" e poche altre riviste e' una delle voci piu' qualificate della
nonviolenza nel nostro paese. Ma e' anche una casa editrice che pubblica
libri appassionanti e utilissimi, e che ogni anno mette a disposizione con
l'agenza-diario "Giorni nonviolenti" uno degli strumenti di lavoro migliori
di cui disponiamo.
Abbonarsi a "Qualevita", regalare a una persona amica un abbonamento a
"Qualevita", e' un'azione buona e feconda.
Per informazioni e contatti: Edizioni Qualevita, via Michelangelo 2, 67030
Torre dei Nolfi (Aq), tel. 3495843946, o anche 0864460006, o ancora
086446448; e-mail: sudest at iol.it o anche qualevita3 at tele2.it; sito:
www.peacelink.it/users/qualevita
Per abbonamenti alla rivista bimestrale "Qualevita": abbonamento annuo: euro
13, da versare sul ccp 10750677, intestato a "Qualevita", via Michelangelo
2, 67030 Torre dei Nolfi (Aq), specificando nella causale "abbonamento a
'Qualevita'".

5. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

6. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 970 del 23 giugno 2005

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