Nonviolenza. Femminile plurale. 8



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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
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Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino"
Numero 8 del 21 aprile 2005

In questo numero:
1. Vandana Shiva: Le donne del Kerala contro la Coca cola
2. Marina Forti: Coca cola, la battaglia degli azionisti
3. Mara Maffei Gueret: Ellen Swallow, fondatrice dell'ecologia
4. L'indice di "Mujeres. Donne colombiane fra politica e spiritualita'" di
Bruna Peyrot
5. Cristiano Morsolin ricorda Dorothy Stang
6. Marinella Correggia ricorda Marla Ruzicka
7. Lidia Menapace: Procreazione assistita e relazioni di giustizia tra le
donne del mondo

1. INIZIATIVE. VANDANA SHIVA: LE DONNE DEL KERALA CONTRO LA COCA COLA
[Da "Le monde diplomatique", edizione italiana, marzo 2005. Vandana Shiva,
scienziata e filosofa indiana, direttrice di importanti istituti di ricerca
e docente nelle istituzioni universitarie delle Nazioni Unite, impegnata non
solo come studiosa ma anche come militante nella difesa dell'ambiente e
delle culture native, e' oggi tra i principali punti di riferimento dei
movimenti ecologisti, femministi, di liberazione dei popoli, di opposizione
a modelli di sviluppo oppressivi e distruttivi, e di denuncia di operazioni
e programmi scientifico-industriali dagli esiti pericolosissimi. Tra le
opere di Vandana Shiva: Sopravvivere allo sviluppo, Isedi, Torino 1990;
Monocolture della mente, Bollati Boringhieri, Torino 1995; Biopirateria,
Cuen, Napoli 1999, 2001; Vacche sacre e mucche pazze, DeriveApprodi, Roma
2001; Terra madre, Utet, Torino 2002 (edizione riveduta di Sopravvivere allo
sviluppo); Il mondo sotto brevetto, Feltrinelli, Milano 2002. Le guerre
dell'acqua, Feltrinelli, Milano 2003]

Espulsa dal governo indiano nel 1977, la Coca Cola ha rimesso piede nel
paese il 23 ottobre 1993, quando vi si insediava l'altra multinazionale
americana, la Pepsi-Cola. Attualmente le due imprese possiedono novanta
stabilimenti "d'imbottigliamento", che in realta' sono di pompaggio: 52
appartengono alla Coca Cola e 38 alla Pepsi-Cola. Ognuno di essi estrae da 1
a 1,5 milioni di litri d'acqua al giorno.
Questo genere di bevande gassose presenta rischi certi, derivanti dallo
stesso processo di fabbricazione. Prima di tutto gli stabilimenti
d'imbottigliamento, pompando dalle falde, tolgono ai poveri il diritto
fondamentale a procurarsi acqua potabile. Inoltre, generano rifiuti tossici
che minacciano l'ambiente e la salute pubblica. Infine, producono bevande
notoriamente pericolose per la salute - il parlamento indiano ha costituito
una commissione parlamentare mista incaricata d'indagare sulla presenza di
residui di pesticidi.
Per piu' di un anno, nel distretto di Palaghat, nel Kerala, alcune donne
delle tribu' di Plachimada hanno organizzato sit-in di protesta contro il
prosciugamento delle falde freatiche provocato dalla Coca Cola. "Gli
abitanti - scrive Virender Kumar, giornalista del quotidiano "Mathrubhumi" -
si caricano sulla testa grandi quantita' di acqua potabile, da andare a
cercare sempre piu' lontano, mentre camion pieni di bevande gassose escono
dallo stabilimento della Coca" (1). Per fare un litro di Coca Cola sono
necessari nove litri di acqua potabile.
Le donne adivasi (2) di Plachimada hanno iniziato ad organizzarsi poco dopo
l'apertura dello stabilimento della Coca Cola la cui produzione doveva
raggiungere, nel marzo 2000, 1.224.000 bottiglie di Coca Cola, Fanta,
Sprite, Limca, Thums up, Kinley Soda e Maaza. Il panchayat locale (3) aveva
concesso alla multinazionale, sotto condizione, l'autorizzazione ad
attingere acqua con l'aiuto di pompe a motore.
Ma la multinazionale, del tutto illegalmente, dopo aver scavato piu' di sei
pozzi attrezzandoli con pompe elettriche ultrapotenti, ha iniziato a pompare
milioni di litri di acqua pura. Il livello delle falde e' drasticamente
sceso, passando da 45 a 150 metri di profondita'.
Non contenta di rubare acqua alla collettivita', la Coca Cola ha inquinato
il poco che ne rimaneva convogliando le acque sporche nei pozzi a secco
scavati nello stabilimento per sotterrare i rifiuti solidi.
Prima, l'impresa depositava i rifiuti in superficie, cosicche' nella
stagione delle piogge questi ultimi, disperdendosi fra risaie, canali e
pozzi, costituivano una gravissima minaccia per la salute pubblica.
Oggi non e' piu' cosi'. Ma la contaminazione delle sorgenti di acqua resta
un dato di fatto.
Con le sue procedure, la Coca Cola ha provocato il prosciugamento di 260
pozzi, la cui trivellazione era stata eseguita dalle autorita' per sopperire
al bisogno di acqua potabile e all'irrigazione agricola.
In questa regione del Kerala, definita "il granaio di riso" proprio perche'
si tratta di un ecosistema ricco e molto ben fornito di acqua, le rese
agricole sono diminuite del 10%. Il colmo e' che la Coca Cola ridistribuisce
agli abitanti dei villaggi, sotto forma di concime, i rifiuti tossici
prodotti dal suo stabilimento. I test effettuati hanno infatti dimostrato
che questi concimi hanno un'alta percentuale di cadmio e piombo, due
sostanze cancerogene.
Rappresentati delle tribu' e dei contadini hanno denunciato non solo la
contaminazione delle riserve acquifere e delle sorgenti, ma anche le
trivellazioni senza criterio che compromettono gravemente i raccolti; hanno
richiesto, in particolare, la protezione delle tradizionali sorgenti di
acqua potabile, degli stagni e dei vivai di pesci, la manutenzione delle vie
navigabili e dei canali, il razionamento dell'acqua potabile.
Invitata a fornire spiegazioni sul suo operato, la Coca Cola ha rifiutato al
panchayat i chiarimenti richiesti. Di conseguenza, quest'ultimo le ha
notificato la soppressione della licenza di sfruttamento delle acque. Per
tutta risposta, la multinazionale ha cercato di comprarne il presidente,
Anil Krishnan, offrendogli 300 milioni di rupie. Inutilmente.
Tuttavia, mentre il panchayat le ritirava il permesso di sfruttamento, il
governo del Kerala, da parte sua, ha continuato a proteggere l'impresa.
Non a caso le ha concesso circa 2 milioni di rupie (36.000 euro) a titolo di
sovvenzione alla politica industriale regionale. La Pepsi e la Coca Cola
ricevono aiuti simili in tutti gli stati in cui sono presenti. E questo per
bibite il cui valore nutrizionale e' nullo rispetto a quello delle bevande
indiane tradizionali (nimbu pani, lassi, panna, sattu...).
L'industria delle bibite gassose utilizza sempre piu' lo sciroppo di mais ad
alto tenore di fruttosio. Non solo questo edulcorante e' nefasto per la
salute, ma lo stesso mais viene coltivato per produrre industrialmente
alimenti per il bestiame. Una grande quantita' di mais viene quindi
sottratta al consumo alimentare, privando alla fine i poveri di un prodotto
di base essenziale e a buon mercato.
Per di piu', la sostituzione di dolcificanti estratti dalla canna da
zucchero, come il gur e il khandsari, danneggia i contadini ai quali questi
prodotti garantivano redditi e mezzi di sussistenza.
In sintesi, la Coca Cola e la Pepsi-Cola provocano, sulla catena alimentare
e sull'economia, un impatto pesante che non si limita al contenuto delle
bottiglie.
*
Nel 2003, le autorita' sanitarie del distretto hanno informato gli abitanti
di Plachimada che l'acqua, ormai inquinata, non poteva essere usata per
scopi alimentari. Le donne erano state le prime a denunciare questa
"pirateria idrica" nel corso di un dharna (sit-in) di fronte ai cancelli
della multinazionale.
Nato per iniziativa delle donne adivasi, il movimento ha attivato, non solo
a livello nazionale, ma mondiale, un crescendo di solidarieta'.
Incalzato dall'espandersi del movimento e dalla siccita' che ha
ulteriormente aggravato la crisi idrica, finalmente, il 17 febbraio 2004, il
capo del governo del Kerala ha ordinato la chiusura dello stabilimento della
Coca Cola. Le alleanze arcobaleno, nate inizialmente tra le donne della
regione, hanno finito con il coinvolgere tutto il panchayat.
Non solo, quello di Perumatty (nel Kerala), ha presentato, in nome del
pubblico interesse, un'istanza contro la multinazionale presso il tribunale
supremo del Kerala.
Il 16 dicembre 2003, il giudice Balakrishnana Nair ha ordinato alla Coca
Cola di smettere di pompare illegalmente dalla falda di Plachimada.
Le motivazioni della sentenza valgono quanto il verdetto stesso.
Il magistrato ha infatti voluto precisare: "La dottrina della pubblica
sicurezza si basa innanzi tutto sul principio per cui alcune risorse come
l'aria, l'acqua del mare, le foreste abbiano, per l'insieme della
popolazione, un'importanza cosi' grande che sarebbe totalmente
ingiustificato farne oggetto di proprieta' privata. Le suddette risorse sono
un dono della natura e dovrebbero essere messe a disposizione di tutti in
modo gratuito, indipendentemente dalla posizione sociale. Poiche' tale
dottrina impone al governo di proteggere queste risorse, in modo che
l'insieme della collettivita' possa usufruirne, nessuno puo' autorizzarne
l'utilizzo da parte di privati o a fini commerciali... Tutti i cittadini
senza eccezione sono i beneficiari delle coste, dei corsi d'acqua,
dell'aria, delle foreste, delle terre fragili da un punto di vista
ecologico. In quanto amministratore, lo stato, per legge, ha il dovere di
proteggere le risorse naturale [le quali] non possono essere trasferite alla
proprieta' privata".
In sintesi: l'acqua e' un bene pubblico. Lo stato e le sue diverse
amministrazioni hanno il dovere di proteggere le falde freatiche da uno
sfruttamento eccessivo, e la loro inazione in materia e' una violazione al
diritto alla vita garantito dall'articolo 21 della Costituzione indiana. La
Corte suprema ha sempre affermato che il diritto di usufruire di un'acqua e
di un'aria non inquinate fa parte integrante del diritto alla vita stabilito
dal suddetto articolo.
In altre parole, anche in assenza di una legge che regoli specificamente
l'utilizzazione delle falde freatiche, il panchayat e lo stato sono tenuti
ad opporsi allo sfruttamento intensivo di queste riserve sotterranee.
E il diritto di proprieta' della Coca Cola non si estende alle falde situate
sotto le terre che le appartengono. Nessuno ha il diritto di appropriarsi
della maggior parte dell'acqua, e il governo non ha alcun potere di
autorizzare un terzo privato ad estrarne tali quantita'.
Da qui i due ordini emessi dal tribunale: entro un mese la Coca Cola dovra'
progressivamente smettere di pompare acqua per suo uso; passato questo
termine, il panchayat e lo stato garantiranno l'applicazione della sentenza.
*
La rivolta delle donne, che sono il cuore e l'anima del movimento, e' stata
ripresa da giuristi, parlamentari, scienziati e scrittori...
Il movimento si e' esteso ad altre regioni, dove la Coca e la Pepsi pompano
le riserve acquifere a danno degli abitanti. A Jaipur, la capitale del
Rajahstan, dopo l'apertura, nel 1999, dello stabilimento della Coca Cola, il
livello delle falde e' passato da dodici metri di profondita' a trentasette
metri e cinquanta. A Mehdiganj, una localita' a venti chilometri dalla
citta' santa di Varanasi (Benares), e' sceso di dodici metri e i campi
coltivati attorno allo stabilimento sono ormai inquinati. A Singhchancher,
un villaggio del distretto di Ballia (nell'est dell'Utar Pradesh), lo
stabilimento della Coca Cola ha inquinato definitivamente acque e terre.
Ovunque la protesta si organizza.
Ma va sottolineato che, nella maggior parte dei casi, le autorita' pubbliche
reagiscono con violenza alle manifestazioni. A Jaipur, per esempio, il
militante pacifista Siddharaj Dodda e' stato arrestato nell'ottobre 2004 per
aver partecipato ad una marcia che chiedeva la chiusura dello stabilimento.
Al prosciugamento dei pozzi si aggiungono i rischi di contaminazione da
pesticidi. Il tribunale supremo del Rajahstan ha proibito la vendita delle
bibite prodotte da Coca e Pepsi, perche' queste ultime si sono rifiutate di
fornire la lista dettagliata dei componenti, quando alcune analisi hanno
dimostrato la presenza di pesticidi pericolosi per la salute (4). Le due
multinazionali hanno presentato ricorso alla Corte suprema dell'India, ma
questa ha rifiutato l'appello e ha convalidato la richiesta del tribunale
del Rajahstan, ordinando la pubblicazione della composizione precisa dei pro
dotti fabbricati dalla Pepsi e dalla Coca. A tutt'oggi, queste bevande sono
proibite nella regione.
Uno studio, condotto nel 1999 da All India Coordinated Research Project on
Pesticide Residue (Aicrp), ha dimostrato che il 60% dei prodotti alimentari
venduti sul mercato e' contaminato da pesticidi e che il 14% ne contiene
dosi superiori alla quantita' massima autorizzata.
Una tale constatazione rimette in discussione il mito secondo cui le
multinazionali privilegerebbero la sicurezza e l'affidabilita', il che le
renderebbe degne di una fiducia rifiutata al settore pubblico e alle
autorita' locali. Questo pregiudizio elitario contro l'amministrazione
pubblica di beni e servizi ha contribuito a fare accettare la
privatizzazione dell'acqua. In India, come altrove nel mondo, il ricorso ai
privati impedisce di fornire acqua di qualita' a un prezzo abbordabile.
*
Il 20 gennaio 2005, in tutta l'India, attorno agli stabilimento della Coca
Cola e della Pepsi-Cola, sono state organizzate delle catene umane.
Tribunali popolari hanno notificato agli "idro-pirati" l'ordine di lasciare
il paese.
Il caso di Plachimada dimostra che il potere del popolo puo' avere la meglio
su quello delle imprese private. I movimenti per la difesa delle acque,
peraltro, si spingono ben oltre.
Vogliono parlare anche delle dighe, e del grande progetto di collegamento
fluviale i cui piani, che prevedono la deviazione del corso di tutti i fiumi
della penisola indiana, suscitano un'opposizione crescente (5). Denunciano
le privatizzazioni incentivate dalla Banca mondiale e la privatizzazione
della fornitura di acqua a Delhi (6). Bisogna infatti sottolineare che il
saccheggio non potrebbe aver luogo senza l'aiuto di stati centralizzatori e
corporativi.
La battaglia contro il furto dell'acqua non riguarda solo l'India.
L'eccessivo sfruttamento delle falde freatiche, i grandi progetti di
deviazione dei corsi d'acqua pregiudicano la conservazione della Terra nel
suo complesso. Per avere un'idea della posta in gioco, bisogna sapere che se
ogni punto del pianeta ricevesse la stessa quantita' di precipitazioni, con
la stessa frequenza e secondo lo stesso schema, ovunque troveremmo le stesse
piante e le stesse specie animali. Il pianeta e' fatto di diversita'. Il
ciclo idrologico del pianeta e' una democrazia dell'acqua - un sistema di
distribuzione al servizio di tutte le specie viventi. Dove non c'e'
democrazia dell'acqua, non ci puo' essere vita democratica.
*
Note
1. Virenda Kumar, Lettera aperta al capo del governo, "Mathrubhumi",
Thiruvananthapuram (Kerala), 10 marzo 2003.
2. Il termine Adivasi designa le tribu' autoctone nelle quali non esiste un
sistema di caste [ndt].
3. Il consiglio che esercita l'autorita' nel villaggio.
4. Le bevande contenevano diversi pesticidi tra i quali il Ddt. La
commissione del governo ha concluso che questi residui erano "nei limiti
normativi" accettati in India... Nelle bottiglie di Coca o di Pepsi
consumate negli Stati uniti o in Europa non si trova alcuna traccia di
pesticidi.
5. Arundhati Roy, The Cost of Living, Modern Library, 1999.
6. Per il ritrattamento delle acque, il cantiere e' stato affidato a
Degremont, filiale del gruppo Suez. A Delhi, negli ultimi anni il prezzo
dell'acqua e' aumentato di dieci volte.

2. INIZIATIVE. MARINA FORTI: COCA COLA, LA BATTAGLIA DEGLI AZIONISTI
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 19 aprile 2005. Marina Forti, giornalista
particolarmente attenta ai temi dell'ambiente, dei diritti umani, del sud
del mondo, della globalizzazione, scrive per il quotidiano "Il manifesto"
sempre acuti articoli e reportages sui temi dell'ecologia globale e delle
lotte delle persone e dei popoli del sud del mondo per sopravvivere e far
sopravvivere il mondo e l'umanita' intera. Opere di Marina Forti: La signora
di Narmada. Le lotte degli sfollati ambientali nel Sud del mondo,
Feltrinelli, Milano 2004]

Non sono molte le occasioni per incontrare i massimi dirigenti esecutivi di
una grande azienda multinazionale. Una e' l'assemblea annuale degli
azionisti: per questo una rete di attivisti sociali si e' data appuntamento
questa mattina all'Hotel Du Pont di Wilmington, Delaware, dove e' convocata
l'assemblea degli azionisti della Coca Cola.
Con "una forte presenza dentro e fuori l'assemblea", sperano di "lanciare un
avvertimento agli azionisti, creditori e potenziali investitori, che saranno
tenuti a rendere conto delle azioni irresponsabili dell'azienda". La
mobilitazione e' promossa dalla campagna "Stop Killer Coke", dall'India
Resource Centre e da alcuni gruppi per la "corporate accountability", che si
potrebbe tradurre come "trasparenza" o "responsabilita'" delle aziende.
Gli attivisti contano di farsi sentire anche dentro l'assemblea grazie a
amici e simpatizzanti titolari di azioni della Coca Cola.
Chiederanno conto all'azienda di Atlanta di "gravi violazioni dei diritti
umani, ambientali, e sulla salute". Citano in particolare due casi: il
rapimento, tortura e uccisione di sindacalisti degli stabilimenti Coca Cola
in Colombia, e la storia dello stabilimento di Plachimada, villaggio del
Kerala, India, che ha prosciugato le falde idriche dell'intero distretto.
*
In Colombia, dal 1990 numerosi lavoratori degli impianti di imbottigliamento
della Coca Cola sono stati uccisi. In particolare il sindacato Sinaltrainal
denuncia che diversi suoi dirigenti - dipendenti della Coca Cola - sono
stati rapiti, torturati e assassinati da squadre della morte. Nel 2001 la
United Steelworkers Union (il sindacato dei metallurgici Usa) e il gruppo di
avvocati International Labor Rights Fund hanno ripreso la denuncia del
sindacato colombiano e hanno fatto causa alla Coca Cola presso il tribunale
federale di Washington, con l'accusa di mantenere relazioni con diverse
squadre della morte allo scopo di intimidire gli attivisti sindacali.
L'azione legale per ora e' finita in nulla, il tribunale ha accolto la
difesa dell'azienda: Coca Cola non nega i fatti ma dice che rapimenti e
uccisioni sono parte di un "generale clima di violenza" in Colombia. Dice
anche che gli stabilimenti colombiani sono proprieta' di ditte locali,
dunque Coca Cola non ha responsabilita' legali.
*
Altra e' la storia di Plachimada, in India. Qui la Coca Cola aveva aperto
nel 2000 uno stabilimento per imbottigliare le sue note bibite con licenza
del locala panchayat, il consiglio elettivo di villaggio. Poi pero' e'
risultato che pompava 1,5 milioni di litri al giorno da sei pozzi. In breve,
Plachimada e i villaggi circostanti sono rimasti all'asciutto, i pozzi
pubblici di acqua potabile erano a secco, l'acqua per l'agricoltura
scomparsa. Nel 2003 dunque il panchayat non ha rinnovato la licenza, e la
Coca Cola ha fatto ricorso. E' cominciata cosi' una battaglia finita in un
lungo "assedio" di massa allo stabilimento. Una sentenza della Hight Court
(l'alta corte statale) del Kerala ha poi dato ragione al panchayat di
Plachimada: diceva che lo stato ha "il dovere legale di protegge le risorse
naturali. Queste risorse intese per l'uso e il beneficio pubblico non
possono essere convertite in proprieta' privata" (6 dicembre 2003). Nel
febbraio del 2004 il governo del Kerala ha infine chiuso lo stabilimento. La
storia pero' non e' finita, perche' Coca Cola ha fatto ricorso e pochi
giorni fa ha ottenuto una sentenza favorevole: sarebbe autorizzata a
estrarre fino a cinquecentomila litri d'acqua al giorno - ma lo stabilimento
resta chiuso, il panchayat e il comitato di solidarieta' che lo sostiene
intendono rivolgersi alla Corte suprema.
*
Tutto questo sara' evocato oggi anche grazie a una risoluzione proposta da
due "piccoli azionisti": il fondo pensione degli impiegati comunali e quello
degli insegnanti di New York chiederanno di mandare "una delegazione di
inchiesta indipendente che includa rappresentanti di organizzazioni
statunitensi e colombiane per i diritti umani" a verificare le condizioni di
lavoro negli stabilimenti di Coca Cola all'estero. I vertici dell'azienda si
opporranno, offrendo in cambio di commissionare una verifica a una ditta
specializzata in monitoraggio degli standard sociali delle aziende.

3. MAESTRE. MARA MAFFEI GUERET: ELLEN SWALLOW, FONDATRICE DELL'ECOLOGIA
[Dal sito www.universitadelledonne.it riprendiamo questa lettera della
dottoressa Mara Maffei Gueret. Mara Maffei Gueret, laureata con una tesi su
"La pianificazione forestale in Trentino", e' impegnata in iniziative per
l'ambiente e i diritti]

Chiarissimo professore,
dopo aver partecipato alla prima lezione di presentazione del Corso di
perfezionamento in Ecologia umana il giorno 11 gennaio 2003 a Palazzo Bo
(Padova)... desidero inviare questa mia riflessione sulle differenze di
genere...
Il non aver sentito in quel contesto il nome di Ellen Swallow fra i
fondatori dell'ecologia (vedi Robert Clarke, Ellen Swallow: The Woman Who
Founded Ecology, Chicago 1973) mi porta oggi appunto alla stesura di questo
mio breve, informale e sicuramente inesaustivo contributo, mossa dalla
necessita' di riappropriarmi di un tassello di storia della disciplina posta
dal genere femminile, quale utile mattone per fondare una spesso non
semplice identita'.
Dal rapporto Figlie di Minerva: "Per poter avere gli stessi riconoscimenti e
la stessa carriera, una scienziata o una ricercatrice deve essere 2,6 volte
piu' brava di un suo collega maschio" (Rossella Palomba (a cura di), Figlie
di Minerva. Primo rapporto sulle carriere femminili negli enti pubblici di
ricerca italiani, Istituto di Ricerche sulla Popolazione, CNR - Franco
Angeli, Milano 2000).
Dato che "l'apertura delle universita' alle donne, avvenuta per la prima
volta nel 1860 in Svizzera e in seguito negli altri paesi europei, segno' la
svolta, indicando il momento in cui il contributo femminile alla ricerca
scientifica pote' estendersi in tutte le direzioni; e che prima di allora
solo le Universita' italiane avevano insignito di un titolo accademico, in
via eccezionale, alcune donne ritenute speciali come la nobile veneziana
Elena Cornaro Piscopia che fu la prima al mondo ad ottenere una laurea,
attribuitale proprio dall'Universita' di Padova, in filosofia, nel 1678" (S.
Sesti, L. Moro, Donne di scienza. 55 biografie dall'antichita' al 2000,
Pristem-Bocconi, Milano 2002) penso che oggi si potrebbe dedicare il giusto
spazio ad una figura come quella di Ellen Swallow.
*
Di Lei possiamo leggere nel sito
http://curie.che.virginia.edu/scientist/richards.html
"Ellen Swallow Richards (1842-1911)
Ellen Henrietta Swallow was born in Massachusetts on December 3, 1842. At
age 26, she entered Vassar College, having only four years of prior formal
education, finishing the four year program in two years. She was admitted to
study at the Massachusetts Institute of Technology "as an experiment" in
January of 1871. By making her work indispensable, she avoided dismissal,
working in a small basement laboratory. She became the first woman to be
earn a bachelor of chemistry degree in America. After the isolation of a new
metal, vanadium, Vassar awarded her an arts master degree. She was denied a
request to study for a doctorate at MIT, which then promptly voted not to
admit women. She remained an assistant to the men at MIT and began teaching
science to female schoolteachers at night. In a renovated MIT garage, she
opened the Science Laboratory for Women, the first of its kind in the world.
It was here that she began her study of ecology which caused great
controversy due to newly exposed environmental problems. In 1884, Richards
became the nation's first female industrial chemist after the women's lab
was closed at MIT. She lobbied the science hierarchy for a discipline which
she called "Human Ecology". When this effort failed, she attempted to create
a multidisciplinary profession by the same name. Melvill Dewey denied
ecology a place in his classification system and the name was changed to
"home economics." After having written her keynote address to the First
World Congress on Technology, Ellen Swallow Richards died of heart disease
on March 30, 1911".
*
Molti sono i siti italiani e nel mondo che a questa figura dedicano spazio
(basta digitare il suo nome su di un motore di ricerca, provare per
credere). Le notizie sotto riportate sono tratte dal libro di AA. VV., Itis
Molinari, Profumi di donne, Cuen, 1999:
"Ellen Swallow fu la fondatrice dell'ecologia. Oggi di questa disciplina si
sente tanto parlare ( a volte anche troppo ed a sproposito) ed e'
riconosciuta come una vera e propria scienza, ma ai suoi tempi, a fine '800,
non esisteva e, malgrado le sue lotte anche contro alcuni insigni medici e
chimici per sollevare i problemi dell'ambiente, loro sapete come chiamarono
l'ecologia? Economia domestica.
Secondo gli scienziati di allora l'ecologia era poco piu' che lavare i
piatti sporchi o tenere ben pulita e areata la casa, una faccenda per
signore. Quando si comincio' a parlare di ecologia umana, Ellen Swallow ci
lavorava gia' da parecchio tempo, da quando con il suo insegnante al Mit
(Massachusetts Institute of Technology) organizzarono un laboratorio per una
nuova disciplina che chiamarono chimica sanitaria. Riusci' anche ad ottenere
un posto come insegnante di questa materia presso il Mit, e questo era un
grande onore, perche' fu, allora, la prima e unica donna che riusci' ad
ottenere una laurea al Mit; insegno' al Mit, ma le fu negata una cattedra
perche' subito l'istituto voto' per non ammettere donne nei propri
laboratori. Allora divenne, dopo la chiusura del laboratorio femminile, la
prima donna ad esercitare la professione di chimica industriale.
Raggiunse infatti la notorieta' per il suo lavoro di analisi delle acque,
cimentandosi in questa, che era considerata una nuova scienza e analizzando
una quantita' infinita di campioni di acque provenienti da scarichi
domestici e industriali, sistemi fognari, eccetera; il tutto pero' richiese
lo sviluppo di nuove tecniche ed apparati di laboratorio che dovette creare
da se'.
Questa indagine sanitaria porto' alla produzione delle prime tabelle al
mondo di purezza delle acque e quindi ottenne l'allestimento del primo
laboratorio per i test di purificazione degli scarichi idrici.
Nel campo della mineralogia riusci' ad isolare un metallo allora
sconosciuto, il vanadio, e per questo le conferirono un master nelle arti.
Ma l'ecologia rimase la questione che la appassiono' per tutta la vita. Gia'
allora uno dei problemi piu' seri della civilta' era la pulizia delle acque
e dell'aria, e non solo negli States ma proprio in tutto il mondo: le
fabbriche disperdevano liberamente fumi densi e scarichi maleodoranti, case
e uffici erano riscaldati soprattutto a carbone. Per questo tento' di
sensibilizzare i cittadini anche, perche' no, scrivendo trattati (una
quindicina) in merito all'alimentazione corretta, alla progettazione di
edifici piu' sani e sicuri, ed in genere sulle caratteristiche ottimali
degli ambienti domestici. In questo si rivolse soprattutto alle donne, non
perche' fosse dell'idea che la donna dovesse necessariamente essere
considerata solo come casalinga, ma perche' di fatto erano le signore ad
essere costrette a combattere giorno dopo giorno per mantenere, per quanto
possibile, le condizioni igieniche ad un livello accettabile nelle famiglie;
a questo scopo tenne anche corsi in casa sua dedicati a tutti coloro che vi
volevano partecipare, senza discriminazioni.
La sua casa, del resto, era molto particolare: la ridisegno' lei stessa,
facendo particolare attenzione al sistema di riscaldamento e a quello di
ventilazione, tanto che la casa dove abitavano lei ed il marito Robert
Richards veniva chiamata "il centro del benessere" da tutti quelli che la
frequentavano, ed erano molti, tra cui persino degli studenti di ingegneria
a fare rilevazioni e studi.
Ellen Swallow ci ha insegnato che si tratta di una battaglia lunga e senza
tregua, in cui ogni piccolo risultato, pero', puo' avere grandi
conseguenze".
Buon lavoro e grazie per l'attenzione.
dottoressa Mara Maffei Gueret

4. MATERIALI. L'INDICE DI "MUJERES. DONNE COLOMBIANE FRA POLITICA E
SPIRITUALITA'" DI BRUNA PEYROT
[Ringraziamo Bruna Peyrot (per contatti: brunapeyrot at terra.com.br) per
averci messo a disposizione l'indice del suo libro Mujeres. Donne colombiane
fra politica e spiritualita', Citta' Aperta Edizioni, Troina (En) 2002.
Bruna Peyrot, torinese, scrittrice, studiosa di storica sociale, conduce da
anni ricerche sulle identita' e le memorie culturali; collaboratrice di
periodici e riviste, vincitrice di premi letterari, autrice di vari libri;
vive attualmente in Brasile. Si interessa da anni al rapporto
politica-spiritualita' che emerge da molti dei suoi libri, prima dedicati
alla identita' e alla storia di valdesi italiani, poi all'area
latinoamericana nella quale si e' occupata e si occupa della genesi dei
processi democratici. Tra le sue opere: La roccia dove Dio chiama. Viaggio
nella memoria valdese fra oralita' e scrittura, Forni, 1990; Vite discrete.
Corpi e immagini di donne valdesi, Rosenberg & Sellier, 1993; Storia di una
curatrice d'anime, Giunti, 1995; Prigioniere della Torre. Dall'assolutismo
alla tolleranza nel Settecento francese, Giunti, 1997; Dalla Scrittura alle
scritture, Rosenberg & Sellier, 1998; Una donna nomade: Miriam Castiglione,
una protestante in Puglia, Edizioni Lavoro, 2000; Mujeres. Donne colombiane
fra politica e spiritualita', Citta' Aperta, 2002; La democrazia nel Brasile
di Lula. Tarso Genro: da esiliato a ministro, Citta' Aperta, 2004.
Per richiedere il libro alla casa editrice: Citta' Aperta Edizioni, via
Conte Ruggero 73, 94018 Troina (En), tel. 0935653530, fax: 0935650234]

Parte prima: Le Colombie
1. Scrivere l'incontro
2. Mondo unico, guerra totale
3. Il sogno della Grande Colombia
4. Colombia amara
5. Colombia in armi
6. Un dialogo di pace
Parte seconda: Donne in cammino
1. Narrare, narrarsi
2. Marta Buritica' Cespedes, la ribelle
3. Rebeca Andrades Alba, una donna che crea radici
4. Ofelia Londono Urrego, la pedagogista internazionale
5. Maria Eugenia Romero Sanchez, una donna che mantiene il sogno
6. Milena Paramo Bernal, alla ricerca delle cose dentro
7. Sonia Patricia Rodriguez Aparicio, fra diritto e rebeldia
8. Rosario Calle Bernal, una donna essenziale
9. Anita Pavas Martinez, una giovane sognatrice
10. Magda Ortega, con serena progettualita'
11. Angela Yasmith Ceron Lasprilla, che sognava il Canada
12. Patricia Buritica' Cespedes, una leader solitaria
13. Rocio Pineda Garcia, una donna felice
14. Maria Luisa Diaz Crespo, la bruja
15. Olinda Garcia Garcia, una madre comunitaria
16. Pablo Montes, il caminante
Parte terza: Dalle storie alla Storia
1. Donne "forti"
2. Spazi privati
3. Linguaggi
4. Essere sindacaliste
5. Fra politica e spiritualita'
Parte quarta: Donne in guerra e in pace
1. Achille e Cassandra
2. La militanza perduta
3. Dentro il dolore
4. La scoperta della democrazia
Parte quinta: Internazionalismo femminile
1. L'Escuela
2. Radici
3. Lavoratrici
4. Nuove politiche
Parte sesta: Bibliografia

5. MEMORIA. CRISTIANO MORSOLIN RICORDA DOROTHY STANG
[Dal sito www.grillonews.it riprendiamo questo articolo del 15 febbraio
2005.
Cristiano Morsolin e' educatore e giornalista, operatore di reti di
solidarieta' internazionale. Fa parte inoltre dell'Osservatorio indipendente
sulla regione andina "Selvas" (www.selvas.org).
Su Dorothy Stang cfr. anche i nn. 843 e 865 de "La nonviolenza e' in
cammino", e il n. 5 di "Nonviolenza. Femminile plurale"]

Suor Dorothy Stang, missionaria della Commissione Pastorale della Terra (in
sigla: Cpt) e' stata uccisa in Brasile da pistoleiros.
"La nostra martire Dorothy Stang e' stata uccisa perche' credeva in un sogno
diverso per l'Amazzonia, perche' difendeva i progetti di sviluppo
sostenibile e lottava per l'asentamiento dei semplici coloni che avevano
bisogno di piantare e di vivere. Si opponeva all'idea di crescita infinita
del latifondo che, per ampliarsi, non accetta le voci contrarie.
L'assassinio della missionaria statunitense naturalizzata brasiliana non e'
un semplice crimine che avviene nel Para', bensi' evidenzia la guerra del
latifondo, tra chi detiene il potere economico nella regione e gli
esclusi... Quando ci collochiamo dalla parte dei poveri, degli impoveriti,
da parte di coloro che non hanno voce, corriamo tanti rischi perche' ci
opponiamo agli interessi dei grandi latifondisti, che alla fine ci vogliono
eliminare".
Le parole del Vescovo della Prelazia do Xingu em Altamira, dom Erwin
Krautler (profeta dell'Amazzonia venuto in Italia nel 1990 dopo la morte di
Chico Mendes, su invito dei "Beati i costruttori di pace"), sintetizzano il
significato del martirio di suor Dorothy Stang, 73 anni, missionaria
statunitense naturalizzata brasiliana, da 38 anni impegnata al fianco dei
"Senza terra" e contro la devastazione dell'Amazzonia. E impegnata da 30
anni nella Commissione Pastorale della Terra (da cui in seguito nasce il
Movimento dei Senza Terra - in sigla: Mst) per la riforma agraria. Suor
Dorothy Stang e' stata uccisa sabato 12 febbraio a Anapu, nel sud-est del
Para', malgrado avesse denunciato da tempo le minacce di morte che riceveva
costantemente.
Gilmar Mauro (Coordinamento nazionale del Mst), spiega che "la struttura
agraria alleata ad una storica impunita' alimenta i conflitti nel campo. Non
si tratta di un problema regionale, bense' nazionale, prodotto delle
omissioni del potere pubblico, che sara' risolto solo con la riforma
agraria. Siamo tristi ed indignati perche' questa situazione di
concentrazione della terra perdura. Speriamo dal governo una punizione
esemplare per questo barbaro assassinio".
Il vescovo dom Tomas Balduino (lo ricordo a Porto Alegre, a fine gennaio,
durante il secondo anniversario della nascita della rivista dei movimenti
sociali e popolari del Brasile "Brasil do fato", cantare l'Internazionale
con il braccio alzato, malgrado la stanchezza dell'eta'), Presidente della
Commissione Pastorale della Terra sottolinea che "la migliore forma di
esprimere solidarieta' e' dare seguito alle denunce che aveva fatto la
religiosa Doroty... Il governo stimola l'agrobusiness come fonte di entrata
ma dove fiorisce lí'agrobusiness aumenta la violenza. Dobbiamo lottare
contro l'impunita' che rafforza i responsabili di queste azioni criminose".
Di fronte a questo agghiacciante delitto operato da due pistoleros, pare
mandati dal latifondista Dnair Frejo da Cunha, come documentato nella
denuncia dei movimenti sociali del Para' (tra cui Caristas, Cpt, Consiglio
Indigenista Cimi, pastorale giovanile del Para') diffusa domenica, in cui si
sottolinea l'assenza dello stato in questa zona di frontiera, ostaggio delle
prepotenze e della violenza di fazenderos, madeireiros e grileiros che
l'anno scorso ha provocato 11 morti e minacciato di morte 30 leaders e
dirigenti popolari,  la ministra dell'ambiente, Marina Silva, e il ministro
dei diritti umani, Mirando, hanno accompagnato personalmente la veglia
funebre per confermare l'impegno del presidente Lula a cercare giustizia,
attivando serie investigazioni.
Questo infame crimine simboleggia le grandi contraddizioni del continente
brasiliano dove il linguaggio delle armi tuttora parla piu' forte del
linguaggio della legge, segno di un Brasile arcaico dove lo Stato e le sue
istituzioni (come la polizia e il settore giudiziario) non riescono ad
imporre la propria presenza democratica, malgrado le potenzialita' e le
ricchezze della nona potenza economica mondiale.
I dati raccolti dalla Commissione Pastorale della Terra, che redige rapporti
a cadenza annuale, documentano la morte di 1.349 persone, vittime dei
conflitti per la terra avvenuti dal 1985 al 2003 in tutto il Brasile: appena
64 esecutori e 15 mandanti sono stati condannati.
Lo stato del Para', dove la religiosa Doroty Stang e' stata uccisa, possiede
uno dei maggiori indici di impunita' con 521 assassini e 13 condannati: in
questa regione si concentra il 50% delle vittime a livello nazionale.
"Questi numeri fotografano la realta' di tutta la struttura brasiliana.
Questa grave impunita' esiste perche' il potere giudiziario e' agile e
rapido solo contro i piccoli, per esempio nello smantellamento degli
accampamenti, mentre per i diritti dei poveri e dei lavoratori la giustizia
e' molto lenta", sintetizza Antonio Canuto, segretario nazionale della Cpt.
I dati delle violenze nel Para' colpiscono l'attenzione se si rapportano i
429 crimini per conflitti agrari con i solo 20 processi (appena il 5%)
passati in giudicato con un saldo di 12 mandanti e 17 esecutori condannati.
Uno dei casi piu' eclatanti e' il massacro di Eldorado do Carajas, con
l'assassinio di 19 contadini senza terra da parte della polizia militare nel
1996: fu un massacro emblematico (denunciato in Italia dall'attivissimo
Comitato italiano di appoggio al Mst, coordinato da Serena Romagnoli): dei
146 militari giudicati solo due furono condannati e 144 assolti.
Sempre tagliente l'analisi del vescovo Pedro Casaldaliga, figura di spicco
della teologia della liberazione in America Latina (recentemente messo in
pensione dal Vaticano con una procedura che a molti e' sembrata poco
democratica) che critica il governo Lula "perche' non ha reagito a questo
sistema di ingiustizia se non fosse per la pressione del Movimento dei Senza
Terra. Non sta facendo la riforma agraria perche' sta giocando a favore
delle multinazionali, dei latifondisti e madeireros. Pensa solo al Fondo
Monetario Internazionale, a pagare il debito estero, a mantenere il paradiso
delle esportazioni per ottenere guadagni immediati. Prima del debito estero,
Lula dovrebbe affrontare il debito nazionale con la gente che soffre la
fame, e' disoccupata e soffre sempre piu' le conseguenze dell'aggressiva
politica neoliberale dell'agrobusiness contro l'ambiente".
Apprendo la tragica notizia mentre partecipo all'apertura del corso
universitario "Nuovi insegnamenti provenienti dall'analisi sociologica e
dalla filosofia", 15 giorni di full immersion per 140 dirigenti contadini
del Movimento Sem Terra che si sono radunati presso l'Universita federale di
Rio de Janeiro in un percorso di formazione che e' giunto alla terza tappa.
Converso tutta la serata con due care amiche: Carla Emanuela Ribeiro del
Coordinamento nazionale del Movimento Sem Terra, e Alzeni Tomaz, dirigente
federale della Commissione Pastorale della Terra del Nordest colpito dalla
siccita', oggi epicentro di conflitti per la terra quanto la regione
amazzonica.
Alzeni ha appena ricevuto la dichiarazione della Cpt a livello nazionale che
esprime "dolore e indignazione per l'assassinio della religiosa Doroty Stang
che da 30 anni denuncia l'azione predatoria dei fazenderos e grileiros. Si
tratta della prima morte di una rappresentante della Commissione Pastorale
della Terra da quando e' al governo il presidente Lula. Sorpresi di fronte a
tanta brutalita', la Cpt mantiene forte e deciso il suo servizio nei
confronti dei popoli e del diritto alla terra e all'acqua".
La religiosa Doroty rappresenta il sacrificio e l'impegno di migliaia di
dirigenti, attivisti, leader popolari impegnati contro l'ingiustizia nelle
campagne per esigere una riforma agraria che anche con il presidente Lula
tarda ad arrivare.
E' per questo che il Mst ha deciso di organizzare una grande marcia di
10.000 contadini dal 17 aprile al primo maggio per premere sul governo
affinche' realizzi davvero la riforma. Il Movimento dei Senza Terra, e' bene
ricordarlo, e' l'espressione latinoamericana piu' organizzata a livello dei
movimenti sociali, la cui leadership e' chiaramente emersa durante il Foro
Sociale Mondiale ed e' stata resa visibile dalla visita del presidente
venezuelano Chavez, ospite in un accampamento del Mst, una alleanza forte
per dimostrare che un altro mondo e' possibile, liberi dalla egemonia
imperiale Usa e per il diritto alla piena sovranita' dei popoli, mantenendo
vive le utopie di Sandino, di Bolivar e di Cristo - come ha ricordato
Stedile di fronte alla folla del Gigantinho.
"Doroty, il tuo sogno di un'Amazzonia con vita dignitosa per tutti, continua
vivo nella lotta del popolo", hanno ricordato migliaia di contadini senza
terra durante il funerale celebrato lunedi' 14 febbraio. La religiosa
Doroty, come Chico Mendes, martire per la terra: speriamo non si aspetti la
morte di altre persone per scrivere un'altra storia di una morte annunciata.

6. LUTTI. MARINELLA CORREGGIA RICORDA MARLA RUZICKA
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 19 aprile 2005. Marinella Correggia e'
una giornalista particolarmente attenta ai temi dell'ambiente, della pace,
dei diritti umani, della solidarieta', della nonviolenza. Tra le sue
pubblicazioni: Manuale pratico di ecologia quotidiana, Mondadori, Milano
2000, 2002]

Poche ore prima della sua morte, Marla Ruzicka ha mandato negli Stati Uniti
la foto di una bambina irachena, unica superstite di una famiglia colpita da
un missile Usa nel 2003: era una delle tantissime vittime che ha incontrato
in questi anni, da quando arrivo' a Baghdad ventiseenne, nei primi giorni
dell'occupazione, con pochi soldi raccolti presso familiari e amici. Il suo
obiettivo era aiutare a identificare le vittime civili della guerra, per
ottenere risarcimenti e cure per i feriti. E cosi' ha fatto, con
ostinazione. Fino a sabato pomeriggio, quando e' stata uccisa da
un'auto-bomba.
L'attacco suicida era probabilmente diretto a un convoglio di contractors:
Marla e un collaboratore iracheno viaggiava in auto troppo vicino a quel
convoglio, sulla strada dell'aereoporto. Entrambi sono morti.
In quei primissimi giorni dell'occupazione di Baghdad il gruppo Iraq Peace
Team, attivisti di vari paesi che avevano trascorso le settimane di guerra
in dolorosi tour per gli ospedali a contare feriti e amputati, aveva
guardato con diffidenza quella ragazza americana, quando lei chiese aiuto e
collaborazione. Ci sembrava troppo "public relations woman",
instancabilmente impegnata in incontri e perfino cene di lavoro. Soprattutto
urtava il fatto che chiedesse aiuto ai militari Usa per evacuare via
elicottero in Kuwait i feriti civili gravi. Non sapevamo dei suoi trascorsi
di attivista negli Stati Uniti (aveva lavorato per Global Exchange, gruppo
di sinistra di San Francisco) e sbagliavamo a essere diffidenti.
Civic, o "Campagna per le vittime innocenti nei conflitti", l'organizzazione
fondata da Marla, gia' in Afghanistan nel 2002 si era assunta il compito di
fare il "body count" per avanzare richieste di indennizzo e aiuto agli Stati
Uniti. Marla voleva che almeno qualche danno fosse risarcito e che i feriti
fossero evacuati per cure urgenti, e a questo scopo la collaborazione con la
logistica degli occupanti era nei fatti necessaria. In Iraq capi' che i
comandi militari avevano la liberta' e le risorse necessarie per assistere
velocemente le vittime; cosi' cerco' contatti con loro e con l'autorita' di
occupazione. Per questo fu accusata di fare da foglia di fico all'intervento
bellico, ambiguita' di tutto l'umanitario.
Ma questa instancabile ragazza americana fin da subito utilizzo' l'appoggio
offertole dal senatore democratico americano Patrick Leahy per mettere in
piedi un serio censimento dei morti, dei feriti e dei danni materiali
causati dal conflitto: i "danni collaterali". Un conto impressionante, che
era in se' una denuncia della guerra. Lei e alcuni ricercatori iracheni
girarono come trottole in tutto il paese tirando su' un team con oltre cento
investigatori.
Anche grazie a Marla sono stati approvati stanziamenti per risarcire gli
afghani (7,5 milioni di dollari) e gli iracheni (10 milioni, usati per
fornire assistenza medica, offrire prestiti, ricostruire case e scuole).
Cifre infinitamente inferiori ai tragici danni inflitti dalla guerra e
dall'occupazione; ma il lavoro va avanti e Marla ha svolto l'unica attivita'
socio-umanitaria non medica che gli iracheni non potessero condurre da soli:
presentare il conto dei danni agli americani e battere cassa.
In quell'aprile 2003, Marla pensava di poter concludere almeno il lavoro di
ricerca in pochi mesi. Nessuno immaginava che tante vittime dell'occupazione
si sarebbero aggiunte a quelle della guerra. Cosi' ha continuato fino
all'altro giorno a fare la spola fra Stati Uniti (dove perorava le richieste
di risarcimento) e Iraq (dove aiutava a organizzare le ricerche). Adesso,
con Faiz il direttore iracheno di Civic, e' andata a raggiungere la lunga
lista delle vittime civili.

7. RIFLESSIONE. LIDIA MENAPACE: PROCREAZIONE ASSISTITA E RELAZIONI DI
GIUSTIZIA TRA LE DONNE DEL MONDO
[Dal sito www.comitatoperla.it riprendiamo il seguente articolo apparso sul
quotidiano "Liberazione" del 6 maggio 2004. Lidia Menapace (per contatti:
lidiamenapace at aliceposta.it) e' nata a Novara nel 1924, partecipa alla
Resistenza, e' poi impegnata nel movimento cattolico, pubblica
amministratrice, docente universitaria, fondatrice del "Manifesto"; e' tra
le voci piu' alte e significative della cultura delle donne, dei movimenti
della societa' civile, della nonviolenza in cammino. La maggior parte degli
scritti e degli interventi di Lidia Menapace e' dispersa in quotidiani e
riviste, atti di convegni, volumi di autori vari; tra i suoi libri cfr. Il
futurismo. Ideologia e linguaggio, Celuc, Milano 1968; L'ermetismo.
Ideologia e linguaggio, Celuc, Milano 1968; (a cura di), Per un movimento
politico di liberazione della donna, Bertani, Verona 1973; La Democrazia
Cristiana, Mazzotta, Milano 1974; Economia politica della differenza
sessuale, Felina, Roma 1987; (a cura di, ed in collaborazione con Chiara
Ingrao), Ne' indifesa ne' in divisa, Sinistra indipendente, Roma 1988; Il
papa chiede perdono: le donne glielo accorderanno?, Il dito e la luna,
Milano 2000; Resiste', Il dito e la luna, Milano 2001; (con Fausto
Bertinotti e Marco Revelli), Nonviolenza, Fazi, Roma 2004]

Sono naturalmente d'accordo con le critiche mosse alla legge sulla
procreazione medicalmente assistita e non da oggi, ma nel lungo percorso che
ne ha preceduto l'approvazione e che ho seguito con altre nel "Tavolo di
donne sulla bioetica". Non sto a ripetere dunque le critiche
sull'invasivita' poliziesca della legge, la sua inapplicabilita', sulla
incostituzionalita' e spero solo che riusciremo presto a trovare le forme
giuridiche per ottenere dalla Corte costituzionale i riscontri necessari per
poter agire e ottenere la cancellazione o le correzioni della stessa.
Ma mi interessa cominciare a dire che prima di tutto non trovo davvero
piacevole sentire molti interventi di medici e scienziati, anche di quelli
che sono contrari alla legge e quindi in qualche modo aggregabili in una
comune lotta: non mi pare che si possa gabellare per grande scienza quella
che si limita a interventi sintomatici. Costa molto, mette in moto tecniche
molto sofisticate, ma non risolve nessun problema a monte.
La prima cosa che dovrebbe fare una scienza degna di questo nome e' di
indagare e possibilmente informare perche' la fertilita' e' cosi' in calo
nei paesi detti "sviluppati" e perche' nei nostri paesi si allarga anche
presso popolazioni che portano una cultura favorevole alle famiglie
numerose. Inoltre vorrei che ci occupassimo un po' delle questioni etiche
poste dalla legge, non gia' la risibile querelle sulla personalita'
giuridica degli embrioni, bensi' sulle relazioni di giustizia e di
ingiustizia, di eguaglianza e disparita' tra le donne del mondo.
Comincia a serpeggiare qualche voce critica sul fatto che (anche) le
femministe sfruttano il lavoro delle donne piu' povere, e prima o poi anche
sull'accesso a tecniche di riproduzione assistita credo verranno fuori
giudizi aspri. Come e' noto, femministe nere degli Usa hanno fatto sentire
voci molto critiche sul fatto che con i movimenti migratori noi donne
bianche sfruttiamo il lavoro delle immigrate e solo cosi' possiamo attendere
alle nostre carriere. Aver lasciato distruggere lo stato sociale e al suo
posto costruire stati militaristi ci toglie i servizi e ci fa diventare
sfruttatrici del lavoro di altre donne e coinvolte nella loro oppressione.
Ho provato una volta a dire che bisognerebbe ottenere per legge che le donne
immigrate possano portare con se' i figli, invece di abbandonarli lontani
migliaia di chilometri alle nonne o a donne ancora piu' povere di loro, ma
mi e' stato risposto che allora "non e' piu' conveniente".
Come si vede, accettiamo situazioni di palese ingiustizia, perche' se
andassimo a vedere le questioni fino in fondo scopriremmo che abbiamo molto
da perdere e questo ci rende meno capaci di lottare e alquanto subalterne al
mercato.
Ci si deve e puo' tirar fuori da queste dipendenze culturali, riprendendo il
cammino di una critica femminista sulla scienza, sulla sua non neutralita' e
allacciando relazioni con donne attive nella ricerca, per mettere a punto
programmi e discussioni e fare anche un lavoro di informazione pio' ampia.
Non ho competenze in proposito e percio' svolgo ora di seguito solo alcune
considerazioni etico-politiche che non mi sembrano fuori luogo, anche
perche' mi preme mostrare che un'etica fondata sulla coscienza di noi
stesse, che acquisiamo attraverso una cultura femminista e marxiana e' molto
piu' ricca e umana di quelle fondate su visioni particolari e specialistiche
in uso.
*
Prima di tutto enuncio in forma estrema cio' che penso: a me pare che non
sia lecito - almeno senza rendersi conto di quel che si fa e senza prendere
impegno di rimediare - a noi donne bianche, ricche per la nostra
collocazione geopolitica, spostare tante risorse conoscitive tecnologiche ed
economiche per far si' che ciascuna di noi possa avere un figlio a qualsiasi
costo, mentre e finche' i figli e le figlie delle donne dei paesi impoveriti
muoiono come mosche di fame malattie acqua inquinata orfanezza da Aids ecc.
Penso che dovremmo porre come condizione che, per ogni euro dedicato alla
ricerca a nostro favore, almeno il doppio debba essere impiegato per fare
ricerca sulle ragioni della sterilita' nei paesi capitalistici e per
programmi di salvezza dei bambini e bambine e loro madri e padri dei paesi
impoveriti.
In questo modo potremmo anche acquisire una vera contrattualita' di donne
nei programmi di aiuto internazionale e convertire una quantita' di vendite
di armi in cose non nocive.
Sia chiaro: ho a cuore il pensiero tematico e non amo le forme generaliste
di pensare e agire, che sono quasi sempre generiche. Ma il pensiero
tematico, quando e' politico, dal punto di vista scelto (quello della
classe, delle donne, della pace, dell'ambiente, dell'informazione) legge il
mondo, ha un orizzonte aperto e non e' - appunto - generalista, ma politico
e corresponsabile.
Svolgo dunque alcuni cenni: non so e non voglio affrontare il tema del
rapporto donna-specie, donna-riproduzione dal solo punto di vista del mondo
ricco capitalistico bianco: finirei in una visione egoista e imperialistica.
Vedo un rischio di questo genere persino nella giusta richiesta e
suggerimento di adottare bambini e bambine del sud del mondo invece di
fabbricarne con fatiche e costi proibitivi qui: e' un buon suggerimento, ma
non finiremo per considerare le donne del sud del mondo come fornitrici di
bambini e bambine da comprare legalmente adottandole? E non cominceremo a
percorrere la strada di un prometeismo che non ci appartiene, se non
accettiamo mai il limite anche di non avere figli direttamente dalla nostra
pancia o portafoglio? So di usare parole pesanti e forse offensive, ma sento
che stiamo troppo abituandoci a protestare per le enormi difficolta' delle
adozioni internazionali (il che e' giusto fare) e a considerarci molto
virtuose e generose perche' vogliamo adottare qualche bambino o bambina di
laggiu'. Farlo va bene, farlo a distanza ancora meglio, credere che sia una
soluzione dei problemi e' falso e un po' ipocrita.
A me sembrerebbe piu' giusto appunto dire che tutte le donne che vogliono
venire a lavorare da noi e hanno bambini e bambine sono da noi in "adozione
o affidamento congiunto" e noi chiediamo alle nostre leggi di dare un
contributo a chi si assume il compito di averle a casa, in modo che non solo
i ricchi possano permettersi governanti con bambini al seguito, o moderne
balie.
Devo dire che in generale a me sembra che per mettere insieme desiderio di
maternita' e felicita' dei bambini e delle bambine (sara' sempre bello
nascere da uno sforzo come quello richiesto per avere figli tecnologici?)
sarebbe meglio espandere una cultura della genitorialita' tra tutti gli
adulti: come dico sempre, non voglio davvero poter essere madre in tarda
eta', sono sempre contenta che le donne giovani facciano figli e mi
consentano di spupazzarli, accarezzarli e parlargli. Invece, ormai, vista la
diffusione di una concezione ferocemente proprietaria e custodiale della
famiglia, se accarezzi la testa di un piccolo ti guardano subito come una
pedofila in agguato, non e' vita.
*
Ho cominciato da questo semplice esempio perche' vorrei che ci rendessimo
conto di quanto e' complessa la faccenda e quanto poco percio' possa essere
equamente regolata da leggi, fino a che non si siano in qualche modo
consolidate pratiche e diffusa una mentalita' in proposito. Sono questioni
del tutto nuove: la generazione umana e' stata per millenni affidata alla
"natura" e solo da poco dobbiamo confrontarci con una artificialita' della
riproduzione che ci scuote e interroga.
La mia proposta in merito e' che non serve una legge, basta per ora un
regolamento col quale lo stato vieti le pratiche pericolose, informi dei
risultati e delle percentuali di successo di quelle note e approvate e vieti
le speculazioni economiche e di ricerca (le cavie umane e non) e di farmaci
in proposito. Intanto si mettono in atto monitoraggi sulle varie esperienze
e dopo qualche tempo (cinque anni, dieci) si fa un bilancio e si comincia a
discutere sulle opinioni condivise in materia e forse su quelle si possono
fare leggi "facoltative", cioe' che diano facolta' di agire, piuttosto che
leggi punitive e piene di divieti. Che sarebbe anche un modo di legiferare
che a me piace in generale.

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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
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Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino"
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 8 del 21 aprile 2005