La nonviolenza e' in cammino. 904



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 904 del 19 aprile 2005

Sommario di questo numero:
1. Nonviolenza di genere all'Universita' di Palermo
2. Marta Marsili intervista Mathilde Kayitesi
3. Thich Nhat Hanh a Roma
4. Una bibliografia delle opere di Thich Nhat Hanh in italiano
5. Bruna Peyrot: Donne in guerra e in pace (parte quarta e conclusiva)
6. Enrico Peyretti: Chiesa e pace, tra due papi
7. Margherita Hack: Quale papa
8. Alessandra Amicone: Cosa puoi fare tu
9. La "Carta" del Movimento Nonviolento
10. Per saperne di piu'

1. NASCITE. NONVIOLENZA DI GENERE ALL'UNIVERSITA' DI PALERMO
[Da Valeria Ando' (per contatti: andov at tele2.it) riceviamo e diffondiamo.
Valeria Ando' e' docente di Cultura greca all'Universita' di Palermo,
direttrice del Cisap (Centro interdipartimentale di ricerche sulle forme di
produzione e di trasmissione del sapere nelle societa' antiche e moderne),
autrice di molti saggi, ha tra l'altro curato l'edizione di Ippocrate,
Natura della donna, Rizzoli, Milano 2000. Opere di Valeria Ando': (a cura
di), Saperi bocciati: riforma dellíistruzione, discipline e senso degli
studi, Carocci, Roma 2002; con Andrea Cozzo (a cura di), Pensare all'antica.
A chi servono i filosofi?, Carocci, Roma 2002]

E' sorto nei giorni scorsi a Palermo, presso la Facolta' di Lettere
dell'Universita', un gruppo di riflessione e di pratica di nonviolenza di
genere. La costituzione di tale gruppo parte dall'assunto che il pensiero
della nonviolenza, in quanto elaborazione filosofica che si trasforma in
pratica di vita, non possa eludere la differenza di genere sessuale: se si
tratta infatti di sapere incarnato, che trova la sua realizzabilita' nelle
pratiche e nelle esperienze della vita, allora la concretezza dei corpi dei
singoli soggetti, nel loro dimorfismo sessuale, appare il dato
imprescindibile da cui prendere le mosse.
Attraversare il pensiero della nonviolenza col taglio della differenza
sessuale puo' consentire di sottrarlo a una supposta neutralita' per
illuminarne invece spazi nuovi ancora inesplorati e portatori di potenziale
ricchezza.
A questo assunto di fondo si aggiunge anche la constazione delle
straordinarie consonanze tra la nonviolenza e il pensiero femminile europeo
degli ultimi decenni, che presenta, in una originarieta' sorgiva, nodi
concettuali e pratiche politiche che si ritrovano nel pensiero della
nonviolenza.

2. ESPERIENZE. MARTA MARSILI INTERVISTA MATHILDE KAYITESI
[Dal sito de "Il paese delle donne" (www.womenews.net).
Marta Marsili, dell'Universita' La Sapienza di Roma, mediatrice
interculturale, e' impegnata in iniziative di solidarieta' internazionale,
per lo sviluppo sostenibile e la giustizia globale, per la pace e i diritti.
Mathilde Kayitesi e' responsabile della ong di donne rwandesi "Profemmes"]

A pochi anni dalla fine del genocidio che ha sconvolto il Rwanda, qualcosa
e' cambiato. La ricerca di una rappresentanza di genere nelle istituzioni e
nei partiti, che con la guerra sembrava aver subito una tragica battuta
d'arresto, ha trovato una nuova e piu' forte spinta grazie all'azione
politica quotidiana delle donne impegnate nel processo di democratizzazione
del Paese.
Il movimento delle donne ha attivato una riflessione insieme alle sue
diverse anime - associazioni di vedove, donne maltrattate e soprattutto
associazioni politiche di esuli - a partire dalle responsabilita' delle
donne in quei terribili anni, attivando un processo tutt'ora in atto sul
ruolo degli organismi di genere in una nuova realta' multipartitica.
Tra queste realta' c'e' Profemmes, un collettivo nato nel 1992 all'ombra
della guerra dalla volonta' politica di tre associazioni locali che in un
solo anno sono diventate 28 e oggi sono 40.
Mathilde Kayitesi, responsabile dell'organizzazione, e' stata in Italia per
un ciclo di conferenze e ha raccontato la storia del collettivo e il suo
impegno oggi.
*
- Marta Marsili: Quali sono gli obiettivi di Profemmes?
- Mathilde Kayitesi: Il nostro collettivo, che si e' favolosamente
sviluppato nel giro di pochi anni, rappresenta anime molto diverse tra loro,
tutte accomunate dal desiderio di promuovere una prospettiva di genere nel
Paese. Le associazioni aderenti operano in tutti i campi, dall'informazione
alla politica, dalla giurisprudenza ai servizi educativi e sanitari
nell'intento di creare una rete strutturata e fare lobby per il rispetto dei
diritti di genere. Quando nel 1997 la "Marcia mondiale delle donne" ha preso
contatto con la nostra organizzazione ci trovavamo in un impasse terribile,
a causa della poverta' estrema e delle condizioni di arretratezza del paese,
logorato dalla guerra. Il legame internazionale con la Marcia e' servito ad
aprire nuove possibilita' di confronto e di azione diretta sul territorio.
Abbiamo operato a stretto contatto con la Marcia, adoperandoci nell'incontro
del 2000 e nell'elaborazione della Carta mondiale per i diritti delle donne
che a ottobre prossimo concludera' il suo giro del mondo proprio da noi.
- Marta Marsili: La Carta individua cinque nuclei tematici fondamentali per
la promozione dei diritti di genere: l'uguaglianza, la liberta', la
solidarieta', la giustizia e la pace. Come li interpretate?
- Mathilde Kayitesi: Li sentiamo assolutamente nostri perche' ci riguardano
davvero da vicino. In particolar modo ci coinvolge il discorso
sull'uguaglianza che per noi significa educare le giovani generazioni, dando
loro accesso all'istruzione, per permettere alle donne di creare i
presupposti per una vera rappresentanza politica nel Paese. Un
desiderio-azione che si riflette in due interventi legislativi basilari: la
legge sulle quote che prevede che per qualsiasi iniziativa non si possa
prescindere dal coinvolgimento di almeno un 30% di donne e la riforma del
codice di famiglia che dal 1997 ha sancito il diritto all'eredita' anche per
le donne.
- Marta Marsili: La rappresentanza di genere nelle istituzioni e nella
societa' civile e' un pilastro del processo di democratizzazione e dai
vostri numeri si rivela una cospicua presenza femminile nelle istituzioni.
Come ci siete arrivate e cosa significa nel concreto?
- Mathilde Kayitesi: Dal 1994 al 1997 le donne hanno assunto ruoli
importanti. Dopo il genocidio, la ricostruzione del Paese si e' svolta
all'insegna dell'opera delle donne con una presenza attiva superiore al 70%.
Le donne hanno svolto il ruolo di mediatrici e porta-parola di pace. Si sono
sapute organizzare prima del ritorno dei loro colleghi maschi e hanno
compiuto grandi passi. L'attuale Costituzione e' il risultato di questo
faticoso percorso ed e' stata possibile anche per il sistema solidale che si
e' creato tra noi a prescindere dall'appartenenza politica. Il Forum delle
donne parlamentari ne e' un esempio tangibile, con le sue numerose battaglie
per l'integrazione della dimensione del genere negli atti costitutivi dello
Stato e per la realizzazione di un osservatorio permanente sulla
condivisione del potere.
- Marta Marsili: Quali i significati di liberta' nell'odierno Rwanda?
- Mathilde Kayitesi: Liberta' coincide con autodeterminazione, una parola
che amiamo e che racconta delle difficolta' fin qui avute di decidere del
nostro corpo. E' assolutamente necessario restituire alle donne la
dimensione del corpo e di conseguenza la possibilita' di scegliere,
abbattendo definitivamente tradizioni come il matrimonio concordato, tuttora
praticato. Bisogna pero' anche risolvere problemi materiali, quali
alimentazione e sanita'. Dopo il genocidio ci siamo ritrovate a fare i conti
con migliaia di persone malate o rimaste orfane. La sanita' pubblica non
basta a coprire le esigenze perche' ci troviamo ad avere un medico ogni
seimila persone. Per questo ci siamo attivate con progetti di microcredito e
reti solidali di donne, per offrire un programma sanitario minimo alle donne
che non possono permettersi spese sanitarie. Soprattutto la salute
riproduttiva e' stata presa in carico dalle nostre reti competenti,
associata a programmi di educazione sessuale per combattere il proliferare
delle malattie a trasmissione sessuale, perche' il problema delle donne
contagiate dal virus dell'Aids (il 67% di quelle che hanno subito stupri
durante il genocidio ne sono state affette) e' ancora tutto da risolvere,
anche perche' vi si associa quello della malnutrizione che i programmi
internazionali curano solo in minima parte.
- Marta Marsili: La sfida piu' grande ancora in atto?
- Mathilde Kayitesi: Quella della giustizia. Si e' dato il via ai processi
del genocidio e le donne sono testimoni essenziali. Lo scopo e' la
riconciliazione ma per fare cio' bisogna prima vedere la verita' e noi siamo
un soggetto di mediazione nella ricostruzione della memoria di quei
terribili anni. Siamo osservatrici del processo di giustizia nascente. Il
momento e' chiaramente doloroso perche' siamo costrette ad ascoltare i
racconti della violazione dell'umanita' e in molti casi a rivivere
situazioni angosciose. E' anche grazie al nostro lavoro, alla nostra
perseveranza nell'analizzare le storie e nel sostenere il peso delle
sopravvissute che lo stupro e' diventato un crimine contro l'umanita'.
Legato al problema della memoria e della giustizia poi c'e' quello della
pace, che per noi significa innanzitutto educazione alla tolleranza, perche'
e' difficile riuscire a convivere accanto a persone che sono state
promotrici dei massacri. Ma bisogna farlo, soprattutto in un'ottica di
genere che consenta la promulgazione di leggi a difesa delle donne e della
democrazia. Abbiamo lavorato insieme alle associazioni degli Stati dei
Grandi laghi facendo azioni di pressione per l'attuazione della risoluzione
Onu 385 sulla protezione delle donne nei conflitti, ancora oggi poco
applicata, specialmente in Congo.
Il piano d'azione e' ambizioso, lo sappiamo bene, e il fine e' una campagna
di solidarieta' con la Federazione delle donne d'Africa e la Marcia
mondiale, anche attraverso la diffusione della Carta.
- Marta Marsili: Si e' conclusa da poco la quarantanovesima sessione della
Commissione Onu per la condizione della donna: come si pone la vostra
associazione a riguardo?
- Mathilde Kayitesi: Condivido il discorso della deputata Judith Kanakuze
che e' intervenuta all'assemblea in qualita' di rappresentante del nostro
paese e sottolineo l'attivita' di consultazione tra i ministeri degli Affari
sociali, dell'Educazione, della Sanita', dell'Agricoltura e dell'Economia e
le Ong come la nostra che ha preceduto la redazione del documento, non come
e' successo in Italia e in altre parti del mondo. Penso, tuttavia, che
occasioni come queste, per come sono organizzate, siano un po' troppo
distanti dalle effettive necessita' di promozione attiva del genere. Ci
sara' un altro "Pechino piu'..." fra cinque, dieci, quindici anni, ma nel
frattempo noi continuiamo a lavorare.

3. INCONTRI. THICH NHAT HANH A ROMA
[Dall'associazione "Essere pace" (per contatti: e-mail:
ufficiostampa at esserepace.org, sito: www.esserepace.org) riceviamo e
diffondiamo]
Roma sara', il 28 aprile, la prima sede di un incontro pubblico con Thich
Nhat Hanh, monaco zen vietnamita, poeta e costruttore di pace, dopo il
viaggio in corso nel suo Paese d'origine. Thich Nhat Hanh e' tornato infatti
in Vietnam il 12 gennaio scorso, dopo 39 anni di esilio, per una visita di
tre mesi di riconciliazione e insegnamento. Il governo di Hanoi gli aveva
fin qui rifiutato il permesso di rientro.
Nato nel 1926 nel Vietnam centrale, nel 1964, in piena guerra, Thich Nhat
Hanh ha dato vita al movimento di resistenza nonviolenta dei "piccoli corpi
di pace": gruppi di laici e monaci che nelle campagne creavano scuole,
ospedali e ricostruivano i villaggi bombardati, subendo attacchi da entrambi
i contendenti, che li ritenevano alleati del nemico.
Nel 1967, durante una visita negli Stati Uniti, e' stato candidato al Nobel
per la pace da Martin Luther King, che dopo averlo incontrato ha preso
posizione pubblicamente contro la guerra in Vietnam. Due anni dopo, gia'
costretto all'esilio, ha rappresentato la comunita' buddhista, che
raccoglieva l'80 per cento dei vietnamiti, alle trattative di pace di
Parigi. Dopo la firma degli accordi, nel 1975, gli e' stato negato il
rientro nel suo Paese. Oggi vive in Francia.
La pace e' il tema delle opere, delle attivita', dei ritiri e degli incontri
e manifestazioni pubbliche di Thich Nhat Hanh. Il cuore del suo insegnamento
e' nella stretta relazione tra la ricerca della pace in noi stessi e la pace
nel mondo.
"Nel protestare contro una guerra, possiamo credere di essere una persona
pacifica, un vero rappresentante della pace - recita un passo di uno dei
suoi scritti - ma questa nostra presunzione non sempre corrisponde alla
realta'. Osservando in profondita', ci accorgiamo che le radici della guerra
sono presenti nel nostro stile di vita privo di consapevolezza. Se noi non
siamo in pace, non possiamo fare niente per la pace".
I suoi numerosi libri sono pubblicati in Italia da Mondadori, Ubaldini e
Neri Pozza.
A Roma, dopo un ritiro di cinque giorni a cui si prevede la partecipazione
di oltre 700 persone, Thich Nhat Hanh guidera' nel pomeriggio del 28 aprile
una camminata lenta e silenziosa (una delle forme di meditazione collettiva
che da anni pratica e promuove) per le vie di Roma, con partenza alle 15
dall'Arco di Costantino, fino in Campidoglio, dove avra' un incontro con il
sindaco Walter Veltroni. La sera dello stesso giorno, alle 20, terra' una
conferenza nella sala "Santa Cecilia" dell'Auditorium Parco della Musica sul
tema "Non c'e' una via per la pace, la pace e' la via'.
L'incontro, promosso dall'Associazione Essere Pace e dalla Comunita'
dell'Inter-essere, e' stato organizzato con il patrocinio del Comune di Roma
e il sostegno dell'Unione Buddhista Italiana.
Per informazioni: ufficio stampa: Nico Caponetto, tel. 3403648793, e-mail:
ufficiostampa at esserepace.org, sito: www.esserepace.org

4. MATERIALI. UNA BIBLIOGRAFIA DELLE OPERE DI THICH NHAT HANH IN ITALIANO
Vietnam, la pace proibita, Vallecchi, 1967; La lotta nonviolenta del
buddhismo nel Vietnam, Citta' Nuova, 1970; Essere pace, Ubaldini, 1989; Il
sole, il mio cuore, Ubaldini, 1990; Il miracolo della presenza mentale,
Ubaldini, 1992; Trasformarsi e guarire,Ubaldini, 1992; Vita di Siddharta il
Buddha, Ubaldini, 1992; La pace e' ogni passo, Ubaldini, 1993; Toccare la
pace, Ubaldini, 1994; Respira! Sei vivo, Ubaldini, 1994; Lo splendore del
loto, Ubaldini, 1994; Il diamante che recide l'illusione, Ubaldini, 1995;
L'amore e l'azione, Ubaldini, 1995; Una chiave per lo zen, Ubaldini, 1996;
Mente d'amore, Ubaldini, 1997; L'incenso del cuore, Associazione La Rete di
Indra, 1997; Il cancello di pino e altre storie, Psiche, 1997; Il bambu'
della luna, Psiche, 1998; Sassolini di meditazione, Associazione Un Tempio
per la Pace, 1998; Il Buddha vivente, il Cristo vivente, Neri Pozza, 1996,
Tea, 1999; Insegnamenti sull'amore, Neri Pozza, 1999; AA. VV. Buddhismo
impegnato, Neri Pozza, 1999; Perche' un futuro sia possibile, Ubaldini,
2000; Il cuore dell'insegnamento del Buddha, Neri Pozza, 2000; Canti e
recitazioni di Plum Village, Nobile Editore, 2000; Il piccolo libro della
consapevolezza, Ubaldini, 2001; AA. VV., Ecologia buddhista, Neri Pozza,
2001; Discorsi ai bambini e al bambino dentro di noi, Ubaldini, 2002; Spegni
il fuoco della rabbia, Mondadori, 2002; Il segreto della pace, Mondadori,
2003; La luce del dharma, Mondadori, 2003; Libero ovunque tu sia,
Associazione Essere Pace, 2003; Il sentiero, Ubaldini, 2004; L'arte della
trasformazione, Mondadori, 2004; L'arte del cammino e della pace, Mondadori,
2004; Un ascolto profondo, Ubaldini, 2005; L'unica nostra arma e' la pace,
Mondadori, 2005.

5. RIFLESSIONE. BRUNA PEYROT: DONNE IN GUERRA E IN PACE (PARTE QUARTA E
CONCLUSIVA)
[Ringraziamo di cuore Bruna Peyrot (per contatti: brunapeyrot at terra.com.br)
per averci messo a disposizione il seguente capitolo tratto dal suo libro
Mujeres. Donne colombiane fra politica e spiritualita', Edizioni Citta'
Aperta, Troina (En) 2002, che tratta della scelta nonviolenta di un gruppo
di sindacaliste colombiane. Bruna Peyrot, torinese, scrittrice, studiosa di
storica sociale, conduce da anni ricerche sulle identita' e le memorie
culturali; collaboratrice di periodici e riviste, vincitrice di premi
letterari, autrice di vari libri; vive attualmente in Brasile. Si interessa
da anni al rapporto politica-spiritualita' che emerge da molti dei suoi
libri, prima dedicati alla identita' e alla storia di valdesi italiani, poi
all'area latinoamericana nella quale si e' occupata e si occupa della genesi
dei processi democratici. Tra le sue opere: La roccia dove Dio chiama.
Viaggio nella memoria valdese fra oralita' e scrittura, Forni, 1990; Vite
discrete. Corpi e immagini di donne valdesi, Rosenberg & Sellier, 1993;
Storia di una curatrice d'anime, Giunti, 1995; Prigioniere della Torre.
Dall'assolutismo alla tolleranza nel Settecento francese, Giunti, 1997;
Dalla Scrittura alle scritture, Rosenberg & Sellier, 1998; Una donna nomade:
Miriam Castiglione, una protestante in Puglia, Edizioni Lavoro, 2000;
Mujeres. Donne colombiane fra politica e spiritualita', Citta' Aperta, 2002;
La democrazia nel Brasile di Lula. Tarso Genro: da esiliato a ministro,
Citta' Aperta, 2004]

4. La scoperta della democrazia
Questi intricati meandri, tuttavia, non azzerano ogni cosa. Come afferma
Maria Luisa: "La violenza in Colombia, ingabbia piccole isole di
trasformazione positiva della vita, esperienze in cui si rispettano i
percorsi umani secondo i loro ritmi, come la biodanza". I conflitti armati
escludono qualsiasi linguaggio che non sia quello della forza delle armi.
Invece, molte persone, e le donne protagoniste di questo scritto in primo
luogo, stanno scegliendo il difficile cammino della pace.
Le loro scelte sono nate da profonde analisi di se', ben sintetizzate da
Maria Luisa: "La mia storia non passava per la montagna, non era la mia
strada... ma perdere la mia violenza fu un processo molto duro, mi diede
molta paura. La violenza era la mia benzina, una specie di combustibile con
il quale mi muovevo. Quando mi accorsi della mia rabbia, la curai e poi mi
dissi: ora con che cosa vado a vivere? Certo, in un certo senso, persi un
potere personale, ma mi ritrovai. Lo capii quando vidi Carmen tanto
femminile, tanto forte, tanto curata. Fui colpita dal suo modo di
condividere le amiche. Una veniva, mi accoglieva, l'altra mi parlava, e
tutte insieme mi accoglievano".
Maria Luisa, per arrivare a desiderare un altro modo di stare fra donne e
con gli altri, ha dovuto curare la sua rabbia, anelare a un altro modo di
stare con se stessa, essere accolta e lei stessa imparare ad accogliere. E
la sua rabbia aveva ben ragione di essere. Minacce, annunci di morte,
telefonate minatorie, tanto da imporre alla figlia di negare di avere una
madre, non sono state lievi esperienze. Il segno profondo di questa violenza
si porta tutta la vita e lo si fa portare alle persone che ne hanno
condiviso la vicinanza. Quale memoria avra' ereditato la figlia? Quali
sensazioni avranno educato la generazione dei figli delle sindacaliste?
Rocio dichiara: "la paura mi impone di essere, a stare con altre persone, a
sperare sempre nuove soluzioni ai conflitti... E' stata la relazione con
quell'uomo a insegnarmi a stare con gli altri in questo modo".
Dalla paura nasce la luce, viene da dire, leggendo e rileggendo a piu'
livelli, le storie di vita delle sindacaliste colombiane. Ognuna l'ha
esorcizzata in modo costruttivo. Rocio attraverso l'amore per l'uomo della
sua vita. Maria Luisa con lo scendere dentro di se' profondamente. Rebeca
sostenendo che "le paure non sono paure ma rischi", e Angela riducendole a
emozione individuale: "le paure sono forme di angustia, di disperazione".
Molte paure sembrano scomparire grazie alla convinzione ideale del ruolo
delle donne, che per Maria Luisa hanno una missione cosmica e per Patricia
possono essere artefici di nonviolenza "in modo tale che generi a sua volta
una catena di atti di rivendicazioni nonviolente".
*
La pace, scelta sofferta per tutte, per alcune e' stata fatta pensando ai
figli. Magda lo esplicita con drammaticita', nella critica alla violenza,
alla militanza e all'emarginazione della donna contemporaneamente: "In
Colombia la violenza dilaga, la violenza sociale, politica, sul lavoro...
Tutti possono essere aggrediti per le strade, temiamo per i figli, per il
loro e il nostro futuro. Non esiste sicurezza economica, insomma non esiste
nessun tipo di sicurezza. Per quanto riguarda la violenza politica, devo
confessare che le ragioni del mio interrompere la militanza politica sono
dovute al cinquanta per cento alla paura di non saper resistere alla
violenza che ti colpisce in questo ruolo. Perche' quando si e' in
un'organizzazione, le si appartiene, si assume tutta la responsabilita'
della sua rappresentanza, ma quando la violenza ti colpisce, colpisce
proprio te personalmente, e' solo tua. Poche donne parlano di questa paura.
Per esempio io sono una madre sola, con un figlio di diciannove anni che
dipende economicamente da me... Mi sono sempre chiesta che cosa avrebbe
fatto se io fossi stata colpita. Ho visto cosi' tanti amici e compagni
presi, assassinati, minacciati, desaparecidos, obbligati a emigrare. Arriva
un momento in cui pensi di assumere per prima la tua vita. L'organizzazione
a cui appartieni ti da' ordini, si assume anche il rischio della violenza,
ma poi non ti appoggia... in che condizioni metti la tua famiglia? E te
stessa? Io mi analizzai, mi chiesi se davvero fossi preparata per tutto
questo, soprattutto nel momento in cui ero responsabile di un'altra vita. Di
fronte a questo non potevo farlo. Non potevo ne' prendere ne' imporre questo
tipo di decisioni a mio figlio. Quando era piu' piccolo, non poteva fare
domande, ora si'. Cosi' ho smesso totalmente di militare. O meglio, pratico
un tipo di militanza sociale, seguo tutti i dibattiti, le conferenze, le
iniziative della sinistra, senza tuttavia una militanza di partito".
Dalla maternita' difesa nell'anteporre la vita dei figli alla propria, nasce
un nuovo modo di vedere la politica. Generare una storia di pace e'
recuperare una nuova maternita' che ha al centro una struttura rispettosa
dei valori femminili. La democrazia e' la forma che meglio li tutela. "Per
me la democrazia e' pensare con la mia testa e l'altra persona faccia
altrettanto, che si esprima per se stessa. Se pensiamo diversamente, non
importa, il conflitto fa parte della costruzione della democrazia. Che si
rispetti cio' che io penso e che io rispetti cio' che tu pensi... Il
conflitto e' parte della vita. Il giorno che raggiungiamo l'armonia forse
siamo sulla strada del cimitero". Le parole di Marta illustrano la
dimensione profonda della democrazia che per le donne colombiane ha avuto
una lunga genesi, con alcune date importanti, come il 1991, anno di entrata
in vigore dell'attuale Costituzione, momento di speranza, purtroppo deluso,
in un avvio di vera pratica democratica.
Queste donne, rotte "dentro" per l'affettivita' divisa fra chi amano che e'
in guerra, come il figlio di Marta, e loro profonde convinzioni di pace,
queste donne che ogni volta che c'e' un notiziario corrono a leggere i nomi
con l'ansia di trovare persone care in elenco, mentre "la guerra sigue su
curso ascendente, la maquinaria de la muerte ronda" (messaggio del 6
settembre 2001), queste donne "forti" e ancora un po' incredule sulla
possibilita' di una Colombia trasformata in vero stato di diritto, sono
sempre indaffarate. Non si fermano mai. Se si trattenessero troppo nel
presente, dovrebbero lasciarsi plasmare dalla guerra e cedere all'atmosfera
di violenza che le circonda.
*
Anche questo stile di vita puo' essere una forma di resistenza. La
formazione alla democrazia si fa invece insieme, come a l'Escuela,
nell'unita' di base del primo livello, introdotta dal sociologo Oscar Molina
e dedicata a los miedos, le paure. Rendere politico un sentimento significa
restituirgli una struttura sociale nella sua dimensione collettiva. Insieme
si comprende che la paura accompagna sempre il genere umano e che esiste un
rapporto costante fra paura e gestione del potere nella sua riproduzione
gerarchica. Si comprende ancora che alla base della demonizzazione del
diverso puo' esserci la paura, come nella teoria delle superiorita' razziali
ed etniche. Con Molina si impara a cavilar, un verbo spagnolo che significa
sia cavillare che fantasticare, ossia cercare cavilli nascosti per
individuare nuove soluzioni ai problemi. Cavilar diventa, nella pratica fra
donne, un modo di affrontare la realta', non trovando cause, ma nuovi modi
di conoscenza.
Dalla sessione con Molina, le donne escono rafforzate e quando mi incontrano
esibiscono una specie di manuale di comportamento. Per queste sindacaliste,
venute da ogni regione della Colombia alla scuola di formazione, e' una
grande conquista. Le affermazioni del "manuale" diventano un bagaglio
culturale comune, sul quale costruire nuove consapevolezze e nuovi
comportamenti. Provare paura non e' piu' un disvalore da nascondere. Provare
paura diventa un'emozione che se confessata puo' trasformarsi in lotta
civile. Lo ricorda Rocio a proposito delle parole pronunciate dal sindaco di
San Luis: la paura di ciascuno e' il valore di tutti.
*
Il percorso delle donne de l'Escuela ha effetto terapeutico, funziona da
medicamento alla ferita di lunghe vite nella paura per arrivare a
comprendere che dalla paura stessa possono nascere nuove possibilita'
creative e nuovi destini, stabilendo regole di convivenza che rassicurino
sulla base di un patto (la legge) da tutti condiviso e rispettato.
L'itinerario seguito nell'unita' didattica serve dunque a motivare
profondamente il senso democratico di ciascuno.
L'approccio alla democrazia non passa soltanto attraverso lo studio della
Costituzione e del diritto del lavoro, per la critica alle istituzioni dello
stato e per la presa di distanza dalle soluzioni violente del conflitto
sociale colombiano, ma da una profonda revisione interna di se'. Dalla
"memoria del terrore" (39), che dissocia la parola dal corpo, puo' scaturire
un'altra idea, che e' possibile la riconciliazione, prima di tutto con se
stesse. E' cio' che unifica nell'essere persona a diventare la base della
proposta democratica.
I nostri rispettivi contesti svaniscono per riportare tutte noi, colombiane,
italiane, europee, latinoamericane, in un cerchio di eguali, donne e persone
alla ricerca di se', consapevoli di aver capovolto antichi archetipi.
Allora, dentro di me - dentro di noi - lentamente percepisco - percepiamo -
nonostante le scissioni di un mondo scomposto e agguerrito, una nuova
ricomposizione che riconcilia. Io e loro cominciamo insieme a raccontare le
vite, ad avvolgerle in trame con finali lieti, nonostante le morti, vere e
simboliche, che hanno dovuto accettare.
Maria Luisa ci ha insegnato anche una tecnica: accerchiare in una membrana
protettiva le persone amate. In un uovo immaginario bianco, rosso, giallo,
verde, rosa, arancio, viola, oro, colori spontaneamente applicati, si
chiudono in un'onda d'amore gli altri, vicini e lontani, per comunicare a
distanza pensieri positivi.
Anche questo e' un modo di contrastare la guerra, una forma di preghiera
laica e muta, che rigenera le energie di corpo e mente, accompagnandoci
verso il prossimo. E' bello mandare nastri d'amore. Immaginare che i
destinatari li vedano davvero, si lascino sfiorare, li compongano a
ghirlande intorno a se' e li rinviino al mittente con la loro impronta.
*
Le nostre trasmissioni di amore solidale non devono farci dimenticare le
profonde differenze. Maria Luisa, nella sua esemplare drasticita', ancora
una volta, le rivela dicendomi: "tu hai avuto paura per pochi mesi. Io ne ho
da una vita. La gente qui non ha tempo di ammalarsi. Guardarsi da ogni parte
tiene impegnati, come si fa a difendersi con un corpo malato? Per questo le
donne, soprattutto le sindacaliste, che si sono assunte compiti di tutela
piu' grandi del proprio interesse individuale, sono forti e creative. La
lotta, se non fa schiattare, rende robuste e inventive. In Italia non godete
abbastanza degli spazi verdi che avete. Cosa vuoi che sia farsi rubare una
borsetta al parco del Valentino a Torino! Qui ti rubano la vita per molto
meno. Mi fate ridere. Fare le cose da sola a voi da' un senso di potenza,
noi stiamo in gruppo per essere sicure. Le europee fanno da sole e si
sentono potenti. Noi dobbiamo mediare questa potenza con l'essere insieme
come donne. Noi ridiamo, balliamo, facciamo come se fosse tutto normale. Ma
i sensi sono sempre allertati".
Per questo motivo le donne organizzano continuamente momenti di visibilita'
collettiva, come la marcia del 25 giugno 2000 nel Caguan, per fare sentire
la loro voce nel dialogo tra Farc e governo. Settecento donne di dodici
dipartimenti, con tre aerei e una decina di bus invasero quel territorio
militarizzato e fumarono nel rituale della pipa della pace, proposto dalle
indigene Guajira. Ai guerriglieri portarono rose, canti e poesie e, dopo il
pranzo, con yucca e asado, una sessantina di testimonianze femminili.
Le marce servono anche a suscitare solidarieta' e collaborazioni all'estero,
specie con il Nordamerica e l'Europa, continenti dai quali, dice Marta,
"necessitiamo sapere, soprattutto se si puo' vivere in modo diverso, per
riempirci di illusioni, perche' qui si va di male in peggio" (messaggio del
7 settembre 2000).
Nonostante la complicita' con molte amiche e collaboratrici europee, le
sindacaliste confessarono, tuttavia, che non avrebbero saputo vivere in
Europa, nonostante la sicurezza economica e sociale: troppi supermercati in
cui mettersi i guanti per comprare la verdura, imbottigliare il latte,
girare il gelato. Preferivano il succo intenso di mango a colazione, il pane
fresco sfornato a tutte le ore, il vin dolce, le verdure, i fiori e le velas
alle edicole degli incroci, vendute come in Europa i quotidiani e i fumetti.
E come dimenticare le albicocche, le mele, le susine enormi, infilate una
sopra l'altra in una calza di rete, appesa alla pensilina della bancarella?
Da questo semplice, forse infantile, legame con la frutta e la verdura del
proprio paese, cibo che nutre nel fisico e nello spirito, mi rendo conto che
la sfida etica dell'essere umano passa nel vivere dentro il proprio tempo, e
che "ogni epoca trova una sua giustificazione di fronte alla storia per la
scoperta di una verita' che in essa acquista chiarezza" (40).
*
Per le donne colombiane la "scoperta di una verita'" e' passata attraverso
la scoperta del valore della democrazia e della pace, due termini sui quali
e' bene fare alcune precisazioni, perche' come dice Ofelia: "Non basta la
firma di un accordo di pace per fare la pace. Nessun accordo che io conosca
ha provocato subito la pace, nessuno, ne' in Salvador, ne' in Guatemala, ne'
in Cile, ne' in Argentina".
Dentro e dietro un accordo di pace deve essere attiva una cultura della
pace, garantita dallo stato di diritto. Non e' possibile crederci se minacce
di morte gravano su chi esprime dissenso. Ne' se una nazione considera il
proprio spazio abitato una semplice terra di conquista, da dominare con la
forza militare.
Nemmeno si puo' costruire una pace in cui si celino alcune dimensioni umane
importanti, come il diritto all'amore e a un'infanzia vera per i bambini, il
diritto a non avere paura e a muoversi liberamente, il diritto a un lavoro
che offra dignita' di vita e alla sicurezza dei servizi sociali. La ricerca
della pace in Colombia non e' un'opzione filosofica perche' ogni giorno, con
il suo carico di rabbia e di morti, ripropone l'urgente necessita' della sua
scelta, evitando di cedere a reazioni emotive violente.
Ogni giorno bisogna ricomporre la contraddizione fra i tempi di maturazione
della persona che richiedono rispetto e sollecitazione e l'urgenza di
soluzioni politiche pacifiche, ormai troppo attese. La democrazia ha bisogno
di  tempo e di pazienza per crescere. E, come dice monsignor Samuel Ruiz,
nelle sue accorate Lettere Pastorali dal Chiapas: "non possiamo realizzare
il passaggio a una democrazia, che faccia crescere le persone, se nell'altro
vediamo unicamente una sigla tra tante... L'altro non e' un insieme di
lettere o di colori di un partito politico; e' una persona, come lo e'
ognuno di noi" (41).
*
Ma questo tipo di pace contiene una grande difficolta': non si puo'
costruire in un solo paese e interpella ognuno di noi, ovunque noi siamo.
La Colombia e' emblematica per la nostra storia europea. Questo gia' lo
abbiamo ripetuto abbastanza, e non solo per questioni di antico
colonialismo. E' emblematica nel momento attuale. Nel presente coinvolge le
industrie di armi che abitano anche da noi. Nel presente chiama a
pronunciarci su strategie politiche come quella del Plan Colombia. Nel
presente interroga le forme della solidarieta' e della cooperazione a
verificare la loro reale efficacia. Infine, la lunga durata del suo
conflitto armato invoca una lettura della guerra nella storia spirituale e
materiale dell'umanita'. I luoghi della guerra non sono piu' "altri" da noi,
se mai lo sono stati. Diventano l'ombra da portare a galla, da lasciare
affiorare affinche' la guerra stessa non possa essere scelta. Soprattutto
"non e' solo con il dialogo che otterremo la pace; ci e' necessario
cominciare a cercare alternative che rendano possibile e reale la giustizia.
Dobbiamo lavorare per il benessere degli altri e cio' richiede un
cambiamento di mentalita' in alcune delle persone che in questo momento
detengono il potere economico e politico, in modo da passare da una
mentalita' di lucro nell'amministrazione pubblica o privata, fomentata
dall'avidita' di possesso e di accumulo di beni, a una mentalita' di
servizio, basata sulla ferma disposizione a operare sempre il bene, sotto la
guida della virtu' della giustizia"(42).
*
Gli inviti di Ruiz sono stati resi operativi dalle donne colombiane che
hanno rifiutato la logica guerrerista, quella che impone l'eliminazione del
contrario e la vittoria sul piu' debole. Contro la spartizione di terre e
poteri, hanno umilmente proposto una Ruta pacifica de las mujeres por la
resolucion negociada del conflicto armado che fu premiata da molti
riconoscimenti internazionali. Il metodo delle donne della Ruta pacifica che
coinvolge stabilmente tremila donne in tutta la Colombia, e' di difesa
attiva delle organizzazioni e delle Case comunitarie gestite dalle donne, in
caso di attacco dei paramilitari. Quando si percepisce avvisaglia di azioni
violente nei loro confronti, migliaia di donne corrono da tutta la nazione a
difendere, in piena luce del giorno e pacificamente, lo stabile, l'ente,
l'iniziativa minacciata.
All'interno della Ruta pacifica, le sindacaliste del Dipartimento della
Donna della Cut e de l'Escuela hanno avuto un ruolo fondamentale, di
coordinamento e di sensibilizzazione. Con campagne di mobilitazione,
progetti speciali e corsi di formazione come quelli per le leader, da cinque
anni l'Escuela si e' radicata profondamente nel vasto arcipelago femminile
colombiano.
*
Note
39. M. Vinar, M. Ulriksen Vinar, Dal Sudamerica: terrorismo di Stato e
soggettivita', in M.Flores (a cura di), Storia, verita', giustizia, Milano,
Mondadori, 2001, p. 204.
40. M. Zambrano, Verso un sapere dell'anima, Milano, Cortina, 1996, p. 11.
41. S. Ruiz, Giustizia e Pace si baceranno, Roma, Edizioni Lavoro, 1997, p.
101.
42. Ivi, pp. 103-104.
(Parte quarta - Fine)

6. RIFLESSIONE. ENRICO PEYRETTI: CHIESA E PACE, TRA DUE PAPI
[Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: e.pey at libero.it) per questo
intervento. Enrico Peyretti e' uno dei principali collaboratori di questo
foglio, ed uno dei maestri piu' nitidi della cultura e dell'impegno di pace
e di nonviolenza. Tra le sue opere: (a cura di), Al di la' del "non
uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il
Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la
guerra, Beppe Grande, Torino 1999; Dov'e' la vittoria?, Il segno dei
Gabrielli, Negarine (Verona) 2005; e' disponibile nella rete telematica la
sua fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza guerra. Bibliografia
storica delle lotte nonarmate e nonviolente, ricerca di cui una recente
edizione a stampa e' in appendice al libro di Jean-Marie Muller, Il
principio nonviolenza, Plus, Pisa 2004 (libro di cui Enrico Peyretti ha
curato la traduzione italiana), e una recentissima edizione aggiornata e'
nei nn. 791-792 di questo notiziario; vari suoi interventi sono anche nei
siti: www.cssr-pas.org, www.ilfoglio.org. Una piu' ampia bibliografia dei
principali scritti di Enrico Peyretti e' nel n. 731 del 15 novembre 2003 di
questo notiziario]

La questione della pace - di "una sintesi sulla pace" - nella chiesa
cattolica e' posta da Alberto Melloni (1) nella lista d'attesa di un futuro
concilio.
Nel Novecento - osserva Melloni - i papi e i cattolici sono passati dal
neutralismo di Benedetto XV (senza mettere in discussione la teoria in se'
della guerra giusta), alla mediazione (fallimentare) di Pio XII, ad una
lettura teologica e profetica della pace, con Papa Giovanni XXIII e la Pacem
in terris, 1963, piu' chiara di quella del Concilio Vaticano II, fino alla
"irruzione della nonviolenza come chiave di soluzione adottata a livello di
massa dai cattolici e non solo da loro" (e qui cita Martin Luther King e
Desmond Tutu).
Sulle "nuove guerre" a cavallo del millennio, papa Wojtyla e molti capi di
chiese hanno dimostrato che "l'impegno cristiano per 'sfilare' dai contrasti
militari ogni motivazione religiosa e' stato inflessibile". Io aggiungerei
che in questo innegabile forte impegno ci sono state delle oscillazioni ed
esitazioni (almeno nel papa e in alcune posizioni cattoliche)
nell'in-giustificare in linea di principio la guerra (2).
Melloni osserva che la chiesa (cattolica, e non solo) ha resistito bene al
"tentativo osceno" di "usarla come collante di un'identita' occidentale",
prevenendo, fino dal 1986, con la preghiera interreligiosa di Assisi, la
guerra di religione e di civilta' contro l'Islam: "Se oggi la civilta'
occidentale non e' disposta a entrare nella spirale suicidaria della
sicurezza a costo della vita, se non e' disposta al sacrificio delle proprie
liberta' in cambio di una pace che non c'e', lo deve anche alla chiesa". Il
cristianesimo "ha gia' salvato l'Occidente" col suo "essere piu'
mediterraneo e piu' mondiale di ogni altro segmento della cultura".
Per dimostrarsi oggi non solo pacifica e pacifista, ma anche attivamente
nonviolenta, la chiesa cattolica - continua Melloni - dovrebbe non solo
chiedere perdono (il mea culpa del papa nella quaresima del 2000, anno
giubilare, per le colpe di "taluni figli della chiesa"), ma dovrebbe
concedere perdono: "A chi guardi e viva la vita cristiana oggi sembra
evidente che la chiesa non perdona". Da qui Melloni trae il titolo del suo
libro: chiesa madre e matrigna. "In una chiesa senza perdono l'immagine di
Gesu' tende necessariamente a scivolare in una caricatura dolorista, a
puntellarsi col senso del magico". Lo constatiamo in troppe manifestazioni
attuali del fatto religioso. "Il Gesu' del Vangelo (...) e' un Gesu' che
perdona. Perdona e cammina" (3).
E noi cristiani sappiamo perdonare? Abbiamo parole e azioni evangeliche, ci
differenziamo dalla vendetta bellica con cui questo mondo ricco e
"cristiano" decide di rispondere agli attacchi al proprio dominio,
esercitato con violenza sistematica dalle piu' forti istituzioni economiche
e politiche di questa nostra parte di umanita', minoritaria e proprietaria,
che pero' si vanta come superiore civilta' con radici cristiane? La risposta
sarebbe disperante se avesse maggior peso popolare, senza reazione della
chiesa, quel piccolo partito razzista padano che vuole, contro gli
immigrati, una Europa "bianca e cristiana". La risposta e' quasi disperante,
se consideriamo il successo di vendite di una scrittrice che istiga all'odio
razziale e religioso a suon di falsita', senza reazioni della chiesa, ed e'
proposta con 60.000 firme, per tali eccelsi meriti, al seggio di senatrice a
vita. Ma la domanda interpella anzitutto personalmente ogni cristiano.
Siamo capaci di costruire un dialogo nella giustizia, di domandare perdono
del dominio, di immaginare la riconciliazione che non elude il male ma lo
combatte sostituendolo attivamente con il bene? Sono domande che toccano
ogni cristiano, ma che interpellano pure la chiesa cattolica nelle sue
istituzioni, alla vigilia di una nuova fase, con un altro vescovo di Roma, e
forse di un nuovo concilio (che i piu' attenti ai tempi, come il cardinale
Martini, sentono necessario). Sono domande che toccano anche, nella
comunione ecumenica, le altre chiese cristiane, e di riflesso, nel dialogo
interreligioso, ogni altra tradizione religiosa e ogni spirito che vive il
nostro tempo con responsabilita', in una viva tensione morale.
*
Note
1. Alberto Melloni, Chiesa madre, chiesa matrigna. Un discorso storico sul
cristianesimo che cambia, Einaudi, Torino 2004. Questo libro e' molto utile
anche per ogni altra questione della chiesa nell'attuale versante storico,
per l'ampia informazione e le equilibrate considerazioni.
2. Si vedano: Giuseppe Mattai, Bruno Marra, Dalla guerra all'ingerenza
umanitaria, Sei, Torino 1994; Massimo Toschi, L'angelo della pace. Il
Vangelo nel tempo della guerra, Quaderni di "Missione oggi" (per richieste:
info at saveriani.bs.it), che raccoglie articoli dal 1993 al 2002.
3. Le citazioni dal libro indicato di Melloni sono tratte dalle pagine 135
(le prime due), 137, 139, 140, 141, 143.

7. RIFLESSIONE. MARGHERITA HACK: QUALE PAPA
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 15 aprile 2005. Margherita Hack,
astronoma, e' una delle piu prestigiose scienziate italiane, apprezzata
altresi' per il suo nitido impegno civile]

Premetto che io personalmente farei volentieri a meno del papa e delle
religioni, che sono solo un'invenzione per tranquillizzare chi non vuol
morire, chi spera nella vita eterna e nella ricompensa nell'al di la' delle
disgrazie e soprusi subiti nell'al di qua, oppure per chi si pone domande a
cui la scienza non e' ancora o forse non sara' mai in grado di rispondere.
Ma come dovrebbe essere un papa ideale, nella societa' di oggi?
Prima di tutto dovrebbe avere la grande umanita' e semplicita' di Papa
Giovanni XXIII, l'attenzione verso i piu' diseredati, i popoli del terzo
mondo, i carcerati, gli extracomunitari in cerca di una vita migliore nei
nostri ricchi, egoisti e cosiddetti cristiani paesi industrializzati, il
rigetto verso ogni tipo di guerra, preventiva e non, ideali che anche papa
Wojtyla ha sostenuto.
Ma un papa veramente cristiano e innovativo dovrebbe liberarsi dalla
sessuofobia della chiesa, per cui il maggior peccato dopo l'omicidio sembra
siano gli atti impuri, una chiesa che dovrebbe invece condannare severamente
anche molti reati civili, come l'evasione fiscale, l'aggiramento delle leggi
e della giustizia , gli infiniti cavilli che lasciano in liberta' i ladri di
miliardi (vedi Cirio e Parmalat) e tengono a marcire in galera i piccoli
ladruncoli. Un papa che dovrebbe richiedere con forza che sia ascoltata la
richiesta di Wojtyla di un'ampia amnistia. E' inutile che i tanti politici
baciapile si straccino le vesti alla sua morte e non ascoltino questa sua
cristianissima richiesta.
Ma soprattutto ci vorrebbe un papa aperto al concetto di liberta' e
responsabilita', che accetti la morale basata sull'affetto e la lealta' fra
due persone, di sesso diverso o dello stesso sesso, indifferentemente, che
accetti la morale sessuale resa possibile - grazie alla scienza - della
separazione fra atto sessuale e procreazione, che accetti la libera scelta
delle persone di procreare o non procreare, di vivere o di rifiutare una
vita divenuta insostenibile. Cio' significa battersi anche contro leggi
inique come quella sulla procreazione assistita, legge liberticida e
antiscientifica, battersi per il diritto all'eutanasia, non dare messaggi
pericolosi per la salute dei giovani, come invece ha fatto Wojtyla,
combattendo l'uso del preservativo e favorendo cosi' la diffusione
dell'Aids.
Fondamentale poi e' affrontare la questione della condizione delle donne
nella chiesa.
E' segno di grande ipocrisia o di grande incongruenza parlare, come ha fatto
Wojtyla, del genio femminile e poi affermare, addirittura con violenta
determinazione, che le donne non potranno mai accedere al sacerdozio "per
ragioni biologiche"! Che Gesu' era maschio e percio' i sacerdoti possono
solo essere maschi. Allo stesso modo si potrebbe affermare che Gesu' era
bianco e coi capelli rossi e percio' i preti dovranno essere tutti bianchi e
coi capelli rossi.
Questo argomento non e' mai stato affrontato veramente nella chiesa tuttora
governata solo da uomini, solo cardinali che eleggeranno il nuovo papa. Le
donne e la loro volonta' e opinione contano zero nella chiesa, esempio di
una rigida monarchia assoluta e strenuamente maschilista.
Voglio ricordare papa Luciani, che nel suo brevissimo pontificato affermo'
che Dio e' padre e madre, un'affermazione che dovrebbe essere ovvia,
malgrado secoli di rappresentazioni artistiche di Dio con la barba bianca;
un'affermazione che fu subito contestata in vari ambienti religiosi.
Vorrei anche un papa che riportasse la chiesa a quegli ideali di poverta' e
semplicita' incarnati da San Francesco. Lo sfarzo delle varie cerimonie, lo
sfarzo dei funerali, l'isterismo collettivo che ha trascinato le folle in
questi giorni rappresentano la sconfitta della ragione e anche quella della
vera fede, per chi ce l'ha. Ricorda piuttosto da un lato gli sfarzi
faraonici dell'antico Egitto e dall'altro l'isterismo dei giovani per
qualche famoso cantautore o dei tifosi per Maradona.

8. INIZIATIVE. ALESSANDRA AMICONE: COSA PUOI FARE TU
[Ringraziamo di cuore Alessandra Amicone (per contatti: presso il liceo
scientifico di Orte, tel. 0761402882) per questo intervento.
Alessandra Amicone sta concludendo gli studi presso il liceo scientifico di
Orte (Vt), e' una delle partecipanti ed animatrici del corso di educazione
alla pace 2004-2005 presso quell'istituto scolastico, e principale
promotrice delle iniziative concrete realizzate nel liceo a sostegno di
alcuni progetti di solidarieta' internazionale di "Mani Tese"  e di "Sulla
strada".
"Mani tese" e' una delle principali ong italiane, impegnata contro la fame,
per la giustizia e lo sviluppo dei popoli; per contatti: tel. 024075165,
e-mail: manitese at manitese.it, sito: www.manitese.it]

Comprare e donare un pulcino con 2,40 euro, una capra con 30 euro, o una
bicicletta con 40 euro. No, non e' scherzo e non sono neppure i numeri del
lotto: e' un modo di sostenere un progetto di solidarieta' con le persone
del sud del mondo organizzato da "Mani tese", un'organizzazione non
governativa nata nel 1964 che lotta assiduamente contro la fame e per lo
sviluppo di tutti i popoli.
Durante il periodo di Natale, quando si corre "come pazzi" da un negozio
all'altro per effettuare l'ultimo acquisto spendendo svariate centinaia di
euro in regali spesso inutili, "Mani tese" ci ha dato una bella scossa: ci
ha risvegliato dal tepore e dal torpore invernale, promovendo vari progetti
rivolti a paesi del sud del mondo: Benin, Eritrea, Congo, Bangladesh, ecc.
Ed anche dal liceo scientifico di Orte abbiamo voluto dare un contributo.
Quasi sicuramente molti dei ragazzi del liceo scientifico di Orte che hanno
sostenuto questo progetto non si sono privati di beni di prima necessita',
credo che nessuno di noi si sia tolto il pane dalla bocca: ma con pochissimo
siamo riusciti ad acquistare tre pulcini, una capra e una bicicletta per i
nostri amici del sud del mondo.
E' proprio questo lo spirito che anima la cooperazione internazionale dal
basso, il non rimanere indifferenti, il lavorare costantemente, anche se i
risultati non si vedono immediatamente.
Infatti, come sottolinea Filippo Mannucci, direttore di "Mani tese", "le
comunita' umane sono cose fragili che possono essere distrutte da interventi
grandiosi"; per questo "Mani tese" ha scelto di percorrere la via delle
microrealizzazioni e della sensibilizzazione.
Ritengo che molte scuole, partendo da questo semplice principio, potrebbero
accostare all'impegno scolastico, allo studio unicamente del testo
didattico, anche l'impegno sociale e civile, perche', come sosteneva
Cicerone, una "doctrina" senza "animus" vale ben poco.

9. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

10. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 904 del 19 aprile 2005

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