Nonviolenza. Femminile plurale. 6



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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
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Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino"
Numero 6 del 7 aprile 2005

In questo numero:
Giovanna Providenti: Donne nonviolente in tempi di guerra

STUDI. GIOVANNA PROVIDENTI: DONNE NONVIOLENTE IN TEMPI DI GUERRA
[Ringraziamo di cuore Giovanna Providenti (per contatti:
providen at uniroma3.it) per averci messo a disposizione come anticipazione
questo suo saggio (titolo originale completo: "Donne nonviolente in tempi di
guerra: il movimento femminista pacifista durante la prima guerra mondiale")
che verra' pubblicato nel prossimo volume dei "Quaderni Satyagraha", n. 7,
giugno 2005.
Giovanna Providenti e' ricercatrice presso l'Universita' Roma Tre, si occupa
di studi sulla pace e di genere, in particolare nella prospettiva
pedagogica.
"Quaderni Satyagraha" e' un'eccellente rivista scientifica, la migliore in
Italia sulla nonviolenza. Per abbonarsi ai "Quaderni Satyagraha" (per
contatti: tel. 050542573, e-mail: roccoaltieri at interfree.it, sito:
pdpace.interfree.it): abbonamento annuale 30 euro da versare sul ccp
19254531, intestato a Centro Gandhi, via S. Cecilia 30, 56127 Pisa,
specificando nella causale "Abbonamento Satyagraha"]

"Abbiamo da credere nel potere spirituale. Abbiamo da imparare ad usare
tutta la nostra energia morale, per mettere un nuovo genere di forza dentro
al mondo e credere che essa sia una oggettiva realta' vitale - la sola
oggettiva realta', in questo momento di dolore e morte e distruzione, che
potra' salvare il mondo" (Jane Addams) (1)

"Dear Sister
My inner being tells me
That spiritual unity can only be attained
By resisting with our whole self
The modern false life.
Your servant,  M. K. Gandhi" (2)

1. Nutrire la vita umana per costruire la pace
Tra i molti articoli scritti da Gandhi nella rivista "Young India", da lui
diretta nel periodo tra il 1919 e il 1931, e' poco noto il suo frequente
apprezzamento del lavoro compiuto in Europa ed America dal movimento
pacifista, e in particolare dalle donne della Women's International League
for Peace and Freedom (Wilpf: in italiano Lega Femminile Internazionale per
la Pace e la Liberta'), a proposito delle quali il 21 marzo 1929 scriveva:
"Le donne dell'ovest stanno giocando una parte molto importante, se non la
principale, nel movimento" (3).
Effettivamente quando Gandhi scriveva queste parole la Wilpf aveva gia' alle
sue spalle quindici anni di storia e di importanti campagne nonviolente, ed
una sede stabile a Ginevra, scelta per potere seguire da vicino i lavori
della Lega delle Nazioni, perche' "il quartier generale potesse essere nello
stesso luogo in cui la Lega delle Nazioni aveva il suo quartier generale"
(4). Fin dai suoi esordi la Lega poteva vantare una attivita' politica
intensa e costante, grazie anche all'impegno della sua segretaria Emily
Green Balch (5), che dieci anni prima, nel 1919, a ben 52 anni di eta' e 21
di servizio, aveva perso il suo posto di professore al Wellesley College di
Boston, a causa del suo impegno pacifista durante la prima guerra mondiale.
Nonostante questo, invece di perdersi d'animo, aveva scelto di dedicarsi
interamente alla causa del movimento pacifista femminista, divenendone una
delle principali leader.
Cio' che piu' sembrava muovere lei e le altre donne del movimento era la
persuasione di avere qualcosa di diverso e di indispensabile da dire, che
riguardava loro in quanto donne, ed anche l'intera societa'. Loro obiettivo
era decostruire gli stereotipi culturali sessisti, classisti, razzisti e
nazionalisti, e ricostruire un mondo consapevole di se stesso e in grado di
stabilire tra i suoi cittadini rapporti interculturali e internazionali di
tipo cooperativo: "una rinascita dell'internazionalismo, da fondare non piu'
su trattati arbitrali, da essere usati nei momenti di disordini e conflitti,
bensi' su dispositivi governativi designati a proteggere e incrementare
fruttuosi processi di cooperazione rivolti al grande esperimento di vivere
insieme in un mondo divenuto consapevole di se stesso" (6).
La prima manifestazione pubblica del movimento pacifista femminista,
composto per lo piu' da donne impegnate per il riconoscimento dei propri
diritti di cittadinanza all'interno del movimento suffragista, avvenne
nell'agosto 1914, subito dopo la notizia dell'inizio della guerra in Europa,
quando ben 1.500 donne marciarono lungo le strade di New York City. Il loro
slogan era "pace non per armistizio ma per accordo", e la loro richiesta:
l'immediata convocazione da parte degli Stati Uniti d'America di una
conferenza degli stati neutrali per proporre ai paesi belligeranti una
soluzione sopra le parti.
Pochi mesi dopo, nel gennaio del 1915, veniva costituito a Washington il
Women Peace Party (7): "l'intero Preamble and Platform stilato durante
questo primo incontro rivelava la qualita' peculiare di un nuovo
orientamento organizzativo nella storia delle donne. Esso fu il primo sforzo
organizzato per la pace del mondo da parte di donne che non avevano ancora
il diritto di voto, ma ciononostante sentivano il bisogno urgente di fare
ascoltare le loro voci" (8). Nel documento veniva proclamata chiaramente la
precipua responsabilita' delle donne ad opporsi alla guerra e la loro
"peculiare passione morale" a contrastare la crudelta' e la perdita di vite
umane che ogni guerra comportava. Veniva inoltre rivendicato il diritto di
cittadinanza per le donne e "una parte nel decidere sulla guerra e sulla
pace" (9).
Nel documento del Wpp, venivano poste le istanze pacifiste del momento:
conferenza delle nazioni neutrali per fermare la guerra; creazione di leggi
internazionali per prevenire la guerra; costituzione di una forza di polizia
internazionale e di tribunali internazionali; l'istituzione di una Lega
delle Nazioni con procedure giudiziali e legislative vincolanti e una forza
internazionale di polizia; un progressivo disarmo di ogni stato, sulla base
di un preciso programma di pace; la nazionalizzazione e riconversione delle
industrie belliche per un progressivo e definitivo disarmo; azioni
internazionali e nazionali per rimuovere le cause economiche della guerra;
l'estensione a tutte le nazioni dei principi democratici dell'autogoverno,
compreso il suffragio femminile. Ma accanto a questi appelli emergono i tre
pilastri portati avanti dalle donne del movimento femminista pacifista ed il
motivo per cui esso si distinse dal pacifismo contemporaneo: l'idea
dell'inviolabilita' e della necessaria costante valorizzazione della vita
umana, la peculiare responsabilita' della donna nel contrastare la guerra,
la cittadinanza femminile come strumento di opposizione alla guerra.
*
La spinta femminista che le motivava a pronunciarsi in maniera netta contro
ogni guerra non era dovuta ad istanze di tipo rivendicativo, ma da cio' che
loro percepivano come una impellente necessita': correggere i difetti delle
societa' democratiche e contribuire attivamente alla costruzione di una pace
duratura, sostituendo alla cultura della guerra una cultura del valore e del
nutrimento (materiale e simbolico) della vita umana. Si tratta di una
precisa proposta politica di dare priorita', piu' che agli ampliamenti
territoriali e alla colonizzazione, alla cura degli esseri umani e allo
sviluppo delle loro risorse creative e non distruttive. Guardare alla
nascita e allo sviluppo sano di cose e persone e coltivare la parte "buona"
presente in ogni essere umano, "anche il piu' scellerato", come
ripetutamente scriveva la teorica forse piu' importante del movimento, Jane
Addams (10): "the natural outgoing of human love and sympathy which,
happily, we all possess in some degree" (11).
L'insistenza sui temi della nascita, della crescita, della componente umana
della vita caratterizzo' questo movimento, che si prese la prerogativa e
l'autorita' morale di intervenire contro la guerra, a partire dall'essere
donne: "non tanto perche' superiori o migliori degli uomini", come molte
delle intervenute all'assemblea costitutiva del Wpp ci tenevano a precisare,
"ma ci sono cose su cui le donne sono piu' sensibili degli uomini, ed una di
queste e' the treasuring of human life" (12).
La gelosa custodia (treasuring) e il nutrimento della vita umana assumeva il
significato di una proposta culturale, costruttrice di pace, a partire dai
comportamenti e dalle menti degli individui in carne ed ossa: "non ci
aspettiamo di cambiare la natura umana, noi gente di pace, ma ci aspettiamo
di cambiare il comportamento umano... Potrebbe esserci ancora molta strada
da fare per raggiungere una pace permanente, e potrebbe esserci un lungo
viaggio davanti a noi nell'educare la comunita' e l'opinione pubblica... La
cosa peggiore della guerra non e' il gas velenoso che spazza via intere vite
e distrugge le citta', ma il veleno che si spande nella mente dell'uomo...
In ogni sfortunata evenienza noi dobbiamo prepararci non soltanto
predisponendo le istituzioni, la Lega delle Nazioni e il Tribunale
Internazionale, ma anche con una opinione pubblica adeguatamente formata,
che potra' combattere lo spargimento del veleno" (13).
Per combattere lo spargimento di veleno bisognava innanzitutto prodigarsi
per cercare di "sostituire le virtu' morali della guerra con il nutrimento
della vita umana". La guerra oltre ad essere una distorsione della bonta'
della natura umana, andava anche considerata nella sua funzione,
difficilmente "rinunciabile", di rispondere a delle precise esigenze umane
di tipo emozionale, per il suo procurare vissuti forti di eroismo,
conflittualita', e dedizione ad una causa.
Jane Addams, il cui pensiero insieme a quello di Emily Green Balch viene
considerato il fondamento filosofico del movimento pacifista femminista e
della Wilpf (14), riteneva necessario e possibile trovare una alternativa
alla guerra attraverso una ricerca scientifica estesa a vari ambiti:
psicologico, sociale, storico, politico, filosofico. Lei stessa aveva
vissuto in prima persona tale alternativa nel suo lavoro di attivista e
riformista sociale, e di cura delle persone. Nella introduzione a un testo
del 1907 scriveva a proposito della sua idea di sostituire la guerra con un
eroismo altrettanto valido e virtuoso, ma rivolto allo sviluppo della vita
piu' che alla sua distruzione: "In questo nostro momento storico il nuovo
eroismo si manifesta nella universale determinazione ad abolire poverta' e
malattie, una  propensione cosi' ampiamente diffusa da potere essere
considerata internazionale... Il nuovo umanitarismo mostra essere abbastanza
aggressivo da potere sostituire stimoli emozionali e codici di condotta. Noi
possiamo prevedere che ogni nazione, seguendo un processo abbastanza
naturale, raggiungera' il momento in cui lo spirito della guerra sara'
sostituito da una virile predisposizione alla buona volonta' (virile
good-will will)" (15).
Coetanea ed amica del filosofo William James, Addams, come lui, riteneva la
guerra "psicologicamente attrattiva", e ben rispondente al desiderio umano
basilare di abnegazione, dedizione e avventura, ma la sua professione in
mezzo ai poveri ed agli ammalati ed il suo essere donna, la rendevano
consapevole della esistenza di un modo alternativo alla guerra per
corrispondere a questo desiderio. Non a caso, James faceva riferimento ad un
corrispettivo (equivalent) della guerra, da lui trovato in attivita' fisiche
di tipo sportivo o nel servizio civile: Addams invece, utilizzando la
metafora del "nutrimento della vita umana", ampliando il discorso alle
donne, trovava nel lavoro produttivo e nelle attivita' della cura e del
sostegno alle persone (sia fisico che morale che formativo) un sostituto
(substitute) valido alla guerra (16).
L'alternativa posta da Addams e dalle sue colleghe del Wilpf non guardava
solo al ristretto momento della guerra o del servizio militare, ma alle
svariate condizioni presenti in una societa': a suo parere sarebbe stato
possibile sostituire alla rabbia e alle conflittualita' reciproche un vivere
solidale sotto la luce di una ragione comune, costituita dall'ordine
democratico. A suo parere ogni governo democratico avrebbe dovuto
gradualmente rinunciare al suo apparato militare e realizzare il
"dispiegamento di tutta una serie di processi costruttivi e vitali che si
rivolgono alla realizzazione di uno sviluppo comune", per fare spazio alla
"marea portatrice di sentimenti morali che sta emergendo sempre di piu' e
che lentamente inghiottira' tutta la superbia della conquista e rendera' la
guerra impossibile" (17).
Va sottolineato che l'alternativa del "nutrimento" non si pone sullo stesso
piano di valori della guerra: la centralita' della persona, ogni persona,
faceva perdere ogni giustificazione plausibile al dispendio di vite umane
che ogni guerra comporta. Inoltre, sono le persone che si nutrono,
gradualmente attraverso piccole e continue azioni di cura e cooperazione, a
partire dall'attivita' quotidiana, come le stesse donne del Wilpf avevano
sempre fatto e continuavano a fare: "cio' che la nostra organizzazione stava
tentando di fare era sostituire alla coercizione il consenso, alla fede
nella guerra una volonta' e predisposizione rivolta alla pace. Come tutti
gli sforzi di tipo educativo, dal pregare in chiesa all'insegnare nelle
scuole, al momento potrebbero apparire inefficaci e vaghi, ma L'unico modo
per cambiare le attivita' della vita e' quello di cambiare le idee su cui
certi comportamenti vengono reiterati" (18).
A parere delle teoriche del movimento, per giungere al capovolgimento
nonviolento della societa' sarebbe stato necessario partire dai contesti
relazionali, in cui rapporti di tipo paritario avrebbero dovuto sostituire
ogni tipo di rapporto di dominio. Addams aveva gia' dato centralita' alle
relazioni in un saggio del 1902 dal titolo Democracy and Social Ethics, ma
e' in un articolo di trenta anni dopo dal titolo "Tolstoi e Gandhi" che la
sua idea appare molto chiara: "nelle industrie, il temibile caposquadra di
reparto e' stato sostituito da formato personale direttivo; nell'istruzione,
il maestro dominatore ha lasciato il campo a un nuovo tipo di educatori
tendenti ad evocare l'abilita' dei suoi studenti, cosi' come nel campo
medico il dottore, come mai prima d'ora, ritiene fondamentale cooperare con
il proprio paziente; il giudice dei tribunali dei minori non assolve ne'
condanna, ma utilizza ogni mezzo possibile, inclusa la forza morale del
criminale stesso, per rettificare una data situazione. Ovunque nel mondo gli
uomini sono desiderosi di trovare una tecnica che possa essere adeguata
nell'affrontare le straordinarie (extraordinary) complessita' del mondo
moderno" (19).
*
Da quanto detto finora appare evidente che la concezione del "nutrimento
della vita umana" intendesse fare emergere dei metodi pacifici per
affrontare le questioni umane piu' complesse, a tutti i livelli, dal privato
al pubblico.
L'interesse e originalita' di questa idea risiede nella connessione tra
miglioramento (il nutrimento!) materiale e morale di tutti gli esseri umani
e la realizzazione di una pace duratura, e nell'accostare argomenti
appartenenti alla storia politica del femminismo a metodi e contenuti
presenti in pensatori come Tolstoi e Gandhi. Inoltre, il termine
"nurturing", e non "mothering", manteneva la provenienza culturale femminile
della proposta, ma evitava di relegarla nel mondo esclusivo delle donne e
del privato. In effetti uno sguardo piu' approfondito alle protagoniste ed
alla storia dei primi anni del movimento pacifista femminista rileva non
semplicemente una concezione teorica, ma una vera e propria pratica
femminista e nonviolenta.
*
2. Una ideologia pratica e autorevole
La concezione pacifista femminista del nutrimento della vita umana si
rivolgeva, non solo alle istituzioni politiche, ma soprattutto agli
individui che costituiscono le societa' e le rendono democratiche attraverso
i loro pensieri, azioni ed emozioni.
Ma chi e' che nutre chi? Si tratta di un nutrimento reciproco, in cui a
farla da protagonista e' la partecipazione, in una visione della politica
come luogo di presenza civile e sociale, in cui non conti solo
l'appartenenza alla cittadinanza, ma il contributo positivo di ogni
cittadino/a, possibile solo se le sue capacita' personali e sociali siano
state sufficientemente nutrite. Questa idea appare per niente astratta e
molto concreta alla luce delle storie di vita e delle attivita'
professionali svolte dalle sue sostenitrici.
Senza le donne del movimento pacifista femminista sarebbe stato improbabile
che negli anni della prima guerra mondiale e successivi le idee e le azioni
nonviolente da loro avanzate, anche attraverso il sostegno agli obiettori di
coscienza, potessero riuscire a sopravvivere e in taluni casi ad imporsi,
tanto da essere ritenute una minaccia dallo stesso statunitense Frederick
Keppel, Assistant Secretary della guerra nell'aprile del 1918, che attivo'
una campagna infamante, trasformatasi poi in persecuzione da parte
dell'opinione pubblica, contro le pacifiste americane (20).
Nonostante questo, e nonostante oggi sia ancora poco conosciuto, il
movimento pacifista femminista riusci' ad imporsi, negli anni della prima
guerra mondiale, all'opinione pubblica statunitense, ed in seguito anche a
quella internazionale, infondendo un nuovo spirito in un momento storico in
cui le organizzazioni pacifiste male-dominated  stavano divenendo sempre
piu' inattive. Come scrive una delle prime studiose di questo movimento,
Barbara J. Steinson: "Le donne realizzarono la maggioranza delle iniziative,
mantennero la leadership e l'entusiasmo, e, sebbene non riconosciute,
seppero tenere fronte alle molte difficolta', il loro lavoro organizzativo
'dietro le scene' rese possibile l'esistenza del movimento pacifista dopo il
1914" (21).
Le donne erano gia' presenti dietro le scene dei molti movimenti pacifisti
sorti a cavallo dei due secoli, ma con lo scoppio della prima guerra
mondiale esse scelsero di venire alla luce assumendo su se stesse la
responsabilita' dei destini dell'umanita'.
Quasi nessuna di queste donne era stata madre nella vita eppure tutte loro
affermavano di esserlo simbolicamente, assumendosi il potere e la
responsabilita' di una maternita' sociale e l'autorevolezza di prendere la
parola. Non solo la morte dei soldati in guerra le riguarda personalmente,
ma, in quanto madri simboliche, le pacifiste affermavano di conoscere
l'esistenza di altri metodi per affrontare, e forse risolvere, i conflitti.
A loro parere, una pace stabile non poteva scaturire da rivoluzioni violente
o guerre, ma doveva essere supportata e nutrita, in tempi di non guerra, da
concrete azioni politiche rivolte a demilitarizzare la societa': a partire
da una "positive cooperation, social and economic" (22).
Nel rivolgersi a tutto cio' che di costruttivo e positivo ci fosse nella
societa', le attiviste del Wilpf non trascurarono il mondo del lavoro: "La
classe lavoratrice aveva un importante ruolo da giocare per lo sviluppo di
un mondo pacifico; i lavoratori conoscevano bene l'importanza di produrre
piuttosto che distruggere, e inoltre essi erano abituati a mescolarsi con
altri lavoratori di differenti nazionalita'. Addams mantenne questa
posizione fino agli anni Trenta, incitando i leader di altre associazioni
pacifiste a cooperare con gli operai" (23).
La parola autorevole assunta dalle femministe pacifiste sollecitava la
presenza di contenuti e strumenti che, a loro parere, le donne conoscevano
meglio e gli uomini avrebbero dovuto imparare a conoscere e usare, ed il
fatto di essere solo donne non era motivato da istanze separatiste, ma dal
semplice fatto che solo cosi' sarebbe stato possibile tenere i vertici del
movimento, dato che in qualsiasi organizzazione di tipo misto gli uomini
avrebbero assunto i ruoli dirigenziali. Queste donne conoscevano bene la
differenza tra le associazioni miste e quelle femminili, provenendo da
lunghi trascorsi politici all'interno del pacifismo e riformismo sociale, ed
anche del suffragismo.
Tra le piu' note suffragiste dell'epoca, l'inglese Emmeline Pethick-Lawrence
fu una delle protagoniste del femminismo pacifista, ed e' sua l'emblematica
frase vessillo di tutto il movimento secondo cui le donne combattevano per
la pace in quanto "The Mother Half of Humanity", la meta' madre
dell'umanita' (24). Lontana dal volere relegare alla funzione materna i
compiti delle donne nella societa', Pethick-Lawrence voleva piuttosto
sottolineare la responsabilita' e il potere delle donne nei confronti
dell'intera umanita'. Nella autobiografia lei stessa, ribadendo il concetto
di nutrimento della vita umana, poneva la sua adesione al pacifismo
femminista in stretta continuita' con l'impegno sociale e politico
precedente ed in particolare con la lotta suffragista: "l'idea della
solidarieta' tra donne si era profondamente radicata dentro molte di noi:
cosi' profondamente da non potere essere scossa neppure dal fatto che gli
uomini di molte nazioni erano in guerra. I principi che avevano ispirato la
nostra grande lotta per l'emancipazione delle donne tornavano alla nostra
memoria. Non avevamo parlato e scritto della solidarieta' tra donne la cui
principale vocazione in tutte le nazioni era una sola e la stessa, la
custodia e il nutrimento della razza umana? Potevano le donne del mondo
rimanere in silenzio mentre gli uomini nel fiore della giovinezza venivano
offerti in sacrificio da tante nazioni? Sacrificio per che cosa?" (25).
*
Le protagoniste di questo movimento non erano delle giovani entusiaste nuove
al mondo della politica. Al contrario, quasi tutte loro provenivano da
importanti impegni professionali e politici precedenti, e il loro approccio
pacifista era fortemente influenzato dal modo in cui avevano intrapreso fino
a quel momento la loro professione. Ad esempio, intorno al 1914, le quattro
donne ai vertici internazionali della Wilpf, Jane Addams, Alice Hamilton,
Aletta Jacobs ed Emily Balch, avevano gia' raggiunto la mezza eta' ed
avevano alle spalle un lungo e importante impegno professionale nel campo
del mondo sociale, sanitario, accademico e politico. Le loro scelte erano
state fuori dai canoni e dagli stereotipi che la pressante suddivisione tra
mondo del privato e del pubblico imponeva allora al loro sesso, ma cio' che
davvero le accomuna e' la costante attenzione a trasformare la teoria in
azione, a fare cio' che Addams, auspicando per se stessa, attribuiva a
Tolstoi: "to lift his life to the level of his conscience, to traslate his
theories in action" (26).
Da questo punto di vista puo' interessare anche solo un rapido cenno alle
loro biografie.
Alice Hamilton, prima donna laureata ad Harvard in medicina e primo medico
del lavoro statunitense fu impegnata per anni nella ricerca sui rischi del
benzene per i lavoratori delle industrie in cui si faceva largo uso di
questa sostanza, e per tutta la sua lunga vita non esito' mai a rimboccarsi
le maniche per salvare vite umane, attraverso il suo lavoro di dottore, e a
denunciare l'origine di molte malattie "professionali" (27).
Nello stesso ambito medico, Aletta Jacobs, leader del movimento
internazionale suffragista, fu il primo medico donna olandese: attivamente
impegnata per tutta la vita per difendere la precaria salute delle donne di
allora divise tra le  troppe gravidanze, lavori talvolta molto pesanti, e le
malattie veneree. In questo ambito si impegno' sia come medico che come
ricercatrice, occupandosi e diffondendo tra le sue pazienti pratiche
contraccettive non rischiose, in tempi in cui questo era ancora un tabu'. In
un suo testo del 1899, dal titolo Women's Issues, aveva trattato il tema del
"regolamento legale della prostituzione", della "indipendenza politica ed
economica delle donne" e della "pianificazione familiare", tematiche che
l'avevano vista coinvolta anche politicamente (28).
Anche la piu' nota tra le protagoniste del movimento, Jane Addams, proviene
da un'attiva carriera nell'ambito del sociale, avendo fondato il Social
Settlement Hull-House a Chicago, una delle prime istituzioni sociali del
genere in America. Nei testi di Addams l'esperimento di Hull-House e' posto
come un primo passo verso la costruzione di una societa' democratica,
pacifica e interculturale. Questa istituzione, a parere di Jean Bethke
Elshtain corrispondeva al "sogno democratico" della pensatrice americana:
"Forse siamo talmente abituati a pensare i poveri come clienti piuttosto che
come cittadini, come recipienti di provvedimenti sociali piuttosto che come
attivi artefici del loro proprio destino, che abbiamo perso un vocabolario
civico sufficientemente ricco per descrivere in maniera appropriata e piena
la realta' di Hull-House" (29).
Da questo tipo di donne e dalla loro esperienza di vita, oltre che di
pensiero, nasce una concezione di nonviolenza che merita la nostra
attenzione per il suo proporsi come non astratta e molto concreta. Una
affermazione riscontrabile ripetutamente nei documenti della Wilpf nei primi
decenni di vita riguarda la fiducia in "nuovi metodi liberi dalla violenza"
che possano "porre fine agli abusi" e "raggiungere finalita' positive" (30).
Questi "nuovi metodi" devono la loro origine alla conoscenza delle teorie
tolstoiane e delle contemporanee campagne politiche di Gandhi, a cui le
donne del Wilpf guardavano con grande speranza. Ma nella loro prospettiva vi
e' anche qualcos'altro che mi sembra molto importante fare emergere nel
contesto degli studi sulla pace. Questo qualcos'altro ha a che fare non
tanto col loro essere donne biologicamente, quanto con la cultura politica e
sociale da cui provengono, una cultura di pace, che presupponga il rispetto
delle diversita' e la equivalenza (e non uguaglianza) dei percorsi
vocazionali e umani in genere di ogni persona: "l'interconnessione ed il
rispetto per la diversita' furono le idee centrali che informarono le
visioni transnazionali sia di Addams che di Balch, cosi' come il loro
approccio alla pace ed al riformismo. La loro concezione di un mondo
pacifico si fonda sulla componente fondante della interdipendenza umana e
sulla loro persuasione che ogni individuo ha valore" (31).
La cultura di pace posseduta e manifestata da queste femministe ebbe la
forza di non fermarsi di fronte allo scoppio della guerra e della cultura
diffusa, che ne vedeva l'inevitabilita' e persino l'opportunita', da parte
di un altro ramo del femminismo, al fine dell'ottenimento del diritto di
voto e della cittadinanza femminile. Le donne che ruotarono intorno al
movimento femminista pacifista, in gran parte confluite poi nella Wilpf,
erano persuase che l'ottenimento dei diritti civili e sociali fosse privo di
significato in un mondo dominato da una cultura che vede nella guerra uno
strumento di risoluzione dei conflitti. Loro nutrivano la fiducia in
possibilita' alternative che proposero in prima persona, e si impegnarono ad
agire nella pratica politica le loro persuasioni teoriche: a tentare di fare
il maggiore uso possibile del loro potere di donne. Nel prossimo paragrafo
la loro esperienza in questa direzione.
*
3. Il Congresso internazionale per la pace dell'Aja
Visto l'ampliarsi del movimento ed il proseguire infausto della prima guerra
mondiale le pacifiste americane ed europee (tra cui Emmeline
Pethick-Lawrence e Rosika Schwimmer (32), che avevano partecipato alla
marcia di New York) organizzarono un evento internazionale di grande
pregnanza simbolica: rimpiazzare lo svolgimento della terza Conferenza
ufficiale per il disarmo, che si sarebbe dovuta svolgere nella citta'
dell'Aja entro il 1915 e che non era stata indetta a causa della guerra.
Scopo di questi incontri, che nel 1899 avevano visto la partecipazione di
ben 26 stati era "trovare dei meccanismi arbitrali per la soluzione pacifica
delle controversie internazionali ed elaborare un diritto bellico rispettoso
dei diritti umani... La decisione piu' importante concerneva la Convenzione
per il regolamento pacifico delle controversie internazionali, che prevedeva
l'istituzione di una Corte permanente di arbitrato. La seconda conferenza,
proposta da Theodore Roosvelt e convocata da Nicola II, si tenne nel 1907 e
vi parteciparono 44 stati" (33).
La Conferenza sostitutiva del 1915, nota come The International Peace
Congress, fu convocata nella stessa citta' dell'Aja, non dallo zar di Russia
come le due precedenti ma dalla "suffragetta" olandese Aletta Jacobs: vi
parteciparono rappresentanti di oltre 150 organizzazioni appartenenti ad
almeno dodici paesi, tra cui i belligeranti Germania, Gran Bretagna, Francia
e Austria. Erano tutte donne, e nonostante la loro posizione di
non-cittadine si sentivano autorizzate ad intervenire nella confusa e
sanguinosa situazione a cui la guerra aveva condotto: "what is needed above
all else is some human interpretation of this overevolved and much-talked-of
situation in which so much of the world finds itself in dire confusion and
bloodshed" (34).
Le risoluzioni assunte dopo tre giorni di faticoso lavoro furono: la
costituzione di un International Committee of Women for Permanent Peace, da
cui sarebbe nata la gia' nominata Lega Internazionale Femminile per la Pace
e la Liberta'; la risoluzione di tenere un meeting "in the same place and at
the same time as the Conference of the Powers" (35) che avrebbe deciso le
sorti conclusive dei paesi in guerra, e l'immediata organizzazione di una
delegazione di donne presso i ministri dei diversi stati europei, sia
neutrali che in guerra. Scopo di questa delegazione era proporre agli uomini
di governo la costituzione di una commissione di esperti internazionali,
convocata dagli stati neutrali, avente lo scopo di fare cessare il conflitto
non per armistizio ma per mutuo accordo, sulla base di quanto scritto in un
documento, stilato dalla pacifista Julia Grace Wales (36) agli inizi della
guerra e reso pubblico la prima volta alla National Women's Conference
tenuta a Chicago nel febbraio 1915 e riproposto al Congresso dell'Aja.
In questo documento dal titolo International Plan for Continuous Mediation
without Armistice, viene proposta in maniera chiara e lineare una possibile
azione concreta per fermare immediatamente la guerra senza vincitori ne'
vinti, ma per accordo pacifico tra le parti e nello spirito di un
internazionalismo costruttivo: "I membri della commissione dovrebbero avere
una funzione scientifica ma non diplomatica; they should be without power to
commit their governments. La commissione dovrebbe esplorare le questioni
concernenti il presente conflitto, ed alla luce di questo studio iniziare a
fare proposte ai paesi belligeranti nello spirito dell'internazionalismo
costruttivo. Se il primo sforzo fallisse, essi dovranno ancora consultarsi e
deliberare, rivedere le loro iniziali proposte ed offrirne delle nuove,
tornando indietro ancora ed ancora, se necessario, nella immutabile
persuasione che infine potra' essere trovata una qualche proposta che
offrira' una base concreta (practical basis) per giungere a tangibili
negoziati di pace" (37).
Nel libro Women at The Hague. The International Peace Congress of 1915,
scritto dalle gia' nominate Addams, Balch ed Hamilton vengono raccolti i
documenti e viene raccontata l'esperienza dei tre giorni dei lavori
congressuali nell'aprile 1915, la partecipazione e la solidarieta' tra donne
anche appartenenti a stati in guerra tra loro, ed il lavoro delle
delegazioni inviate a parlare con i ministri di tutti gli stati europei.
Jane Addams, Aletta Jacobs, e l'italiana Rosa Genoni si recarono a parlare
dai ministri degli esteri di Austria-Ungheria, Belgio, Gran Bretagna,
Francia, Germania, Italia e Svizzera. Emily Greene Balch, Chrystal Macmillan
e Rosika Schwimmer si recarono nei paesi Scandinavi e in Russia.
Le risposte ottenute dai leader dei diversi paesi in guerra furono di
sostanziale disponibilita' rispetto alla realizzazione della commissione di
esperti per la cessazione del conflitto, a condizione che questa fosse
convocata dai paesi neutrali, ritenendo che una richiesta di mediazione da
parte loro sarebbe stata vista come un segno di debolezza dal paese
avversario. Tra le nazioni neutrali, Norvegia, Svezia, Danimarca e Olanda si
dichiararono disponibili a convocare una Conferenza dei Paesi Neutrali e a
promuovere la commissione internazionale se essa fosse stata convocata dagli
Stati Uniti, che pero' avevano assunto un atteggiamento meno neutrale in
seguito all'affondamento, nel marzo 1915, da parte di un sottomarino tedesco
del transatlantico inglese che era costata la perdita della vita di 1.200
persone, compresi 128 cittadini americani. Inoltre, a parere dello studioso
Sanderson Beck, gli Stati Uniti d'America non vollero assumere un impegno
concreto per la convocazione di una assemblea di paesi neutrali e la
realizzazione di un accordo concreto di pace, a causa dei loro contingenti
problemi con i paesi dell'America Latina, che non avrebbero potuto essere
ignorati tra gli Stati neutrali, ma non sarebbero potuti essere considerati
alla pari degli Usa, che a quel periodo stavano svolgendo nei loro confronti
mire colonizzatrici. "Another neutral country would offer to call the
conference if the United States would attend, but this made no difference.
Even 10,000 telegrams to President Wilson from woman's organizations were of
no avail" (38).
Nella parte di Women at Hague scritta da Alice Hamilton viene raccontato il
viaggio delle due delegazioni e l'incontro con deputati e intellettuali
pacifisti delle varie capitali europee, che in occasione di ogni incontro
tra delegazione e rappresentanti di governo organizzavano una manifestazione
pubblica per sensibilizzare e far conoscere l'iniziativa alla gente comune
(39). In questo capitolo viene raccontata "la parte non ufficiale, le
persone incontrate informalmente e le impressioni acquisite mentre
attraversavamo i vari paesi" (40), laddove negli altri capitoli emergono
maggiormente le motivazioni teoriche alla base delle scelte e delle azioni
di questa commissione di donne, il racconto degli incontri ufficiali con i
ministri. La lettura di questo testo, molto interessante e recentemente
ristampato, fa trapelare uno spaccato degli anni della prima guerra mondiale
inusuale rispetto ad altra letteratura storica del periodo.
Attraversando i paesi in cui si stava svolgendo il conflitto europeo piu'
sanguinoso che la storia avesse fino allora conosciuto, e in un momento
storico particolarmente difficile per le donne, sembra sorprendente il modo
in cui questo gruppo di femministe sia riuscito a fare cultura di pace.
Assumendosi il ruolo e l'autorita' di rappresentanti politiche, hanno avuto
il coraggio di organizzare manifestazioni pubbliche nei vari paesi in guerra
e di andare a interloquire con uomini di stato che non si sono rifiutati di
aprire loro le porte: "quando le nostre insolite rappresentanti bussavano
alle porte dei Cancellieri d'Europa, non ve ne fu nessuna che non si fosse
aperta" (41).
*
4. Non osare credere di essere senza potere

"Never again must women dare to believe that they are without responsibility
because they are without power. Public opinion is power; strong and
reasonable feeling is power; determination, which is a twin sister of faith
or vision is power" (Emily Balch) (42)

Le riflessioni e le azioni politiche portate avanti dal 1914 al 1930 circa
dalle femministe pacifiste (organizzatesi nella Wilpf), rivolte alla
cessazione immediata del conflitto in atto durante la prima guerra mondiale,
ed alla costruzione di un mondo pacifico, ci conducono ad almeno due
conclusioni: la natura nonviolenta della loro politica ed il fatto che il
potere non sia in mano di chi lo detiene, ma di chi si assume la
responsabilita' di esprimere e mettere in atto una parola autorevole sulle
vicende del mondo.
Da questa importante esperienza di "pacifiste in tempi di guerra" nasceva la
Wilpf, che ancora oggi esiste e la cui sede internazionale si trova a
Ginevra. Esso ha sedi in diversi stati del sud e del nord del mondo (in
Italia e' a Roma presso la Casa delle Donne di via della Lungara), il suo
statuto e' aperto e rispettoso delle differenti priorita' e necessita'
locali. Il termine "nonviolenza" e "nonviolent resistance" e' presente fin
dal momento della fondazione della Lega, nel 1919. A parere di Schott il
termine nonviolenza, che all'inizio venne usato piu' o meno con lo stesso
significato di non-resistenza, venne a significare, fin dagli anni tra le
due guerre mondiali, qualcosa in piu' della semplice opposizione alla
violenza, contribuendo anche a meglio definire la posizione politica del
Wilpf: "esse inclusero un fermo impegno a sradicare le cause sottostanti
della violenza - le ineguaglianze politiche, economiche e sociali di tutti i
tipi. Le leader della Lega non spendono molto tempo nel definire piu'
precisamente la loro posizione filosofica, ma il loro impegno verso
l'uguaglianza e la giustizia, cosi' come il loro aborrire ogni tipo di
violenza le qualifica come fautrici della nonviolenza" (43).
In particolare, nella piattaforma stilata nel 1924 dall'International
Executive Committee del Wilpf si legge: "La Lega e' formata da persone
persuase che non siamo obbligate a scegliere tra violenza e accettazione
passiva di condizioni ingiuste per noi stesse e per gli altri; al contrario
crediamo che coraggio, determinazione, potere morale, benevola indignazione,
volonta' assertiva, possano raggiungere la loro finalita' senza violenza.
Noi crediamo che l'esperienza stessa denunci visibilmente il fatto che la
violenza sia un'arma auto-distruttiva, nonostante gli uomini siano ancora
cosi' propensi ad utilizzarla in educazione, nel reprimere il crimine,
nell'effettuare o prevenire cambiamenti sociali, e soprattutto nel condurre
politiche nazionali. Noi crediamo che nuovi metodi liberi dalla violenza,
devono essere ricercati per  porre fine agli abusi e per affrontare gli
errori, cosi' come per raggiungere finalita' positive" (44).
Se Gene Sharp avesse conosciuto la vicenda storica del pacifismo femminista,
durante e dopo la prima guerra mondiale - la creazione di una istituzione
alternativa interamente nelle mani di donne non-cittadine, l'istituzione del
Congresso dell'Aia, la proposta di una Commissione neutrale per la
risoluzione del conflitto per mediazione e non per armistizio, e la missione
attraverso gli stati dell'Europa per interloquire con i governanti - avrebbe
probabilmente inserito il nome di queste femministe nei suoi tre volumi
sulla Politica dell'azione nonviolenta, sovrabbondanti di esempi storici
(45). Avrebbe forse considerato la natura nonviolenta della costituzione
della International Committee of Women for Permanent Peace e del Wilpf, in
quanto "istituzioni sociali alternative", e l'azione delle donne come uno
dei "nuovi modi di comportamento che possono contribuire positivamente a
produrre nuovi modelli sociali" (46).
Nonostante siano state poco riconosciute dalla storiografia queste donne
hanno avuto una certa rilevanza, essendo state temute al punto che molte di
loro furono perseguitate, ed in seguito anche riconosciute: Jane Addams fu
insignita del premio Nobel per la pace nel 1931, Emily Green Balch nel 1946.
Ma cio' che piu' ha importanza oggi per noi e' la loro assunzione di potere
e responsabilita', la determinazione delle loro azioni, e la radicalita' del
loro pensiero portato avanti con la semplicita' di un linguaggio che non
esita ad utilizzare termini come "nutrimento della vita" e ad identificarsi
nella "meta' madre dell'umanita'".
In un interessante articolo pubblicato nel 1996 in "Feminist Studies" viene
accortamente analizzato il modo in cui la ideologia "varied and complex" del
movimento delle donne per la pace sia stata banalizzata, ridicolizzata e
discreditata proprio utilizzando i pregiudizi e gli stereotipi "heavily
dependent on gender coding". I codici "di genere" venivano utilizzati sia
contro gli obiettori di coscienza, visti come codardi e effeminati (47), che
contro le donne accusate, anche attraverso un'ampia produzione di opere di
letteratura e di cinematografia, di essere delle madri cattive ed egoiste,
dai sentimenti infantili, e strumento, volontario o involontario del nemico
tedesco. A parere della studiosa Susan Geiger la persecuzione contro il
pacifismo femminista, ed anche l'attuale oscuramento di questa importante
esperienza storica, non e' altro che la dimostrazione della forza e del
potere morale dell'azione e pratica politica portata avanti da queste nostre
antenate: "le donne pacifiste furono oggetto di preoccupazione in parte per
via del successo da loro ottenuto, nel periodo di neutralita' americana,
nell'avere connesso maternita' e pacifismo, ed in parte per via
dell'autorita' morale e 'materna' di attiviste pacifiste come Jane Addams"
(48).
A partire dal senso di responsabilita', nei confronti della propria e
dell'altrui vita, facendo pieno uso della propria autorevolezza, le donne,
che ho qui solo in parte presentato, hanno osato credere di avere molto,
moltissimo potere per eliminare la guerra dalla storia. Ed hanno provato ad
agire questo potere. Nonostante la storia sembrerebbe continuare ad andare
in una direzione molto diversa da quella da loro auspicata, credo possa
valere la pena provare ad assumere a partire da noi, in quanto donne, ed in
quanto uomini, la responsabilita' dei destini dell'umanita', opponendoci con
parole chiare ad ogni guerra e proponendo concrete alternative di pace, a
partire dalla costruzione di relazioni autenticamente eque e reciproche, nei
nostri stessi piccoli ambiti individuali e sociali.
*
Note
Le traduzioni dall'inglese sono mie. In alcune brevi frasi ho preferito
lasciare l'originale in quanto piu' efficace.
1. Dalla relazione tenuta da Jane Addams al II Congresso Internazionale del
Wilpf a Zurigo nel 1919 (12-17 maggio), in Farrel John, Beloved Lady: A
History of Jane Addams' Ideas on Reform and Peace, Baltimore, Johns Hopkins
University Press, 1967, p. 184.
2. Da una lettera scritta da Gandhi a Jane Addams in occasione del Nobel per
la Pace nel 1931, Swarthmore College Peace Collection. Microfilm, in Tom
Gilsenan www.mkgandhi-sarvodaya.org/addamsgandhi.htm
3. Young India, March 21, 1929, XI, 92-93, in ivi. "Women of the west are
playing a most important, if not the leading, part in the movement".
4. Harriet Hyman Alonso, Peace as a Women Issue. A history of the U. S.
Movement for World Peace and Women's Right, Syracuse University Press, 1993,
p. 83.
5. Emily Greene Balch (1867-1961), Docente di economia politica
all'Universita' di Wellesey dal 1898 al 1919, scrittrice politica, autrice
di  Our Slavic Fellow Citizens, 1910 e Occupied Haiti, 1927. Accusata di
antiamericanismo durante gli anni Venti risiede fino al 1939 con sempre
maggiore frequenza a Ginevra dove coordina i lavori del Wilpf, di cui sara'
prima segretaria e poi presidente onoraria. Nel 1946 viene insignita del
Nobel per la pace. Per notizie sulla sua vita vedi: Randall Mercedes M.,
Improper Bostonian: Emily Greene Balch, Nobel Peace Laureate 1946, New York,
Twayne, 1964.
6. Jane Addams, Emily Green Balch, Alice Hamilton, Women at The Hague. The
International Peace Congress of 1915, (Macmillan, 1915) rist. HB, New York,
2003, p. 115.
7. Il Women Peace Party fu costituito nell'assemblea tenutasi presso il New
Willard Hotel di Washington dal 9 all'11 gennaio 1915. I principali
movimenti suffragisti mandarono rappresentanti, inoltre nella lista delle
organizzazioni partecipanti figurano gruppi connotati dalla loro
appartenenza religiosa (National Council of Jewish Women, National
Conference of Catholic Charities), dal lavoro (Women's Trade Union League,
International Congress of Farm Women, National League of Teachers, League of
American Pen Women), dall'impegno sociale o antirazzista (National
Federation of Settlements, Women Christian Temperance Union, National
Association of Colored Women). Vi erano anche le Daughters of the American
Revolution e la Society of Spanish-American War Nurses.
8. Harriet Hyman Alonso, Peace as Women's Issue, op. cit., p. 64.
9. "Woman's Peace Party Preamble and Platform Adopted at Washington, January
10, 1915", in Alonso, op. cit., pp. 63-66.
10. Jane Addams (1860-1935), fondatrice a Chicago nel 1889 del Social
Settlement Hull-House, una comunita' filantropica e culturale, nota per la
dimensione interculturale delle sue attivita' sociali e momenti formativi e
frequentata' da noti pensatori come John Dewey e William James e dai piu'
importanti riformisti sociali di quell'epoca. Dopo lo scoppio della prima
guerra mondiale, Addams, pur continuando il suo lavoro a Hull-House si
dedica alla causa pacifista, motivo per cui sara' perseguitata in Usa,
durante gli anni Venti in quanto antiamericana e "red". Nel 1931 viene
insignita del Nobel per la pace. Autrice di molti libri tra cui ricordo
l'autobiografia Forty Years at Hull House; Newer Ideals of Peace del 1907;
The Long Road of Woman's Memory del 1917; Peace and Bread in Time of War del
1922.
11. Jane Addams,  Democracy and Social Ethics, Macmillan, New York, 1902, p.
28.
12. Minute of Organizational Conference, Wpp Records, box I, folder 2, reel
12.17, pag. 17 in Linda Schott, Reconstructing Women's Thoughts. The Women's
International League for Peace and Freedoom Before World War II, Standford
University Press, 1997, p. 43.
13. Linn, James Weber, Jane Addams: A Biography, Appleton-Century-Crofts,
New York 1935, pag.416. Linn attribuisce queste parole a Addams ma non
indica nessun riferimento preciso in nota.
14. Linda Schott, Reconstructing Women's Thoughts, op. cit., dedica il primo
capitolo del suo libro a Balch ed Addams intitolandolo: "Philosophical
Foundations. The early Ideas of Jane Addams and Emily Greene Balch", pp.
16-37.
15. Addams Jane, Newer Ideals of Peace, Macmillan, New York, 1907, p. 26.
16. Come ha dimostrato la studiosa Linda Schott in Jane Addams and William
James on alternatives to War, in "Journal of the History of Ideas", aprile
1993, pp. 241-254. Il testo di James, The Moral Equivalent of War (1910) si
trova tradotto in italiano in AA.VV., Alcuni contributi per l'educazione
alla pace, a cura di G. Genovesi, Ed. Universitaria, Casanova, Parma, pp.
7-20.
17. Da Democracy  or Militarism di Jane Addams, Chicago Liberty Meeting, 30
Aprile, 1899 (il testo l'ho tratto dal sito web:
www.boondocksnet.com/ailtexts/Addams.html In Jim Zwick, ed.,
Anti-Imperialism in the United States, 1898-1935.
www.boondocksnet.com/ail98-35.html, Jan. 15, 2001).
18. Addams Jane, Peace and Bread in time of war, New York, 1922.
19. Addams Jane, Tolstoy and Gandhi (1932), in The Jane Addams reader, a
cura di Jean Bethke Elshtain, New York, 2001, pp. 436-441.
20. Susan Zeiger, She didn't raise her boy to be a slaker: motherhood,
conscription, and the culture of the first world war, in "Feminist Studies",
22, 1996 (pp.7-40), p. 21.
21. Barbara J. Steinson, "The Mother Half of Humanity": American Women in
the Peace and Preparedness Movements in World War I, in Women, War and
Revolution, a cura di Carol R. Berkin e Clara M. Lovett, Holmes & Meier, New
York, 1980, p. 261.
22. Emily Balch, Commentary on the Dumbarton Oaks Proposal for an
International Organization, Wilpf International Circular Letter no. 4,
November 1944, Egb Papers, reel 23, Scpc, in Anne Marie Pois, Jane Addams,
Emily Greene Balch, and the Ecofeminism/Pacifist Feminism of the 1980s, in
"Peace & Change", Feminist Inventions in the Art of Peacemaking: A Century
Overview, 20, 1995, p. 463.
23. Linda Schott, Reconstructing Women's Thoughts, op. cit., p. 150.
24. Emmeline Pethick-Lawrence (1867-1954), liberale e poi socialista, sposa
nel 1901 Frederick Lawrence con il quale ha condiviso tutte le sue battaglie
politiche. Prima di sposarlo lo convince a cambiare idea sulla guerra boera
di cui era un sostenitore e al momento delle nozze prendono ognuno anche il
cognome dell'altro: nel 1938 dedicando a lui "nei molti mutamenti della vita
mio immutato compagno e migliore amico" la sua autobiografia, My part in a
changing World. La frase "the mother half of humanity", usata nel Preamble
del Wpp, e' presente nel suo saggio Motherhood and War, 1914.
25. Emmeline Pethick-Lawrence, My Part in a Changing World, London, Victor
Gollancz Ltd., 1938, p. 307. Traggo informazioni e citazioni da Anna Rossi
Doria, La liberta' delle donne. Voci della tradizione politica suffragista,
Rosenberg & Sellier, Torino 1990.
26. Jane Addams, Twenty Years at Hull House, New York, 1910, p. 262.
27. Alice Hamilton (1869-1970) e' stata tra i primi medici donna degli Stati
Uniti, e prima medico del lavoro americana, e' stata residente del Social
Settlement Hull-House di Chicago, dal 1897 al 1919. In seguito, divenuta
professore di Harvard, si e' trasferita a Boston, dove ha condotto
numerosissime campagne per la pace e contro la fame nel mondo. Morta
all'eta' di 101 anni, impegnata contro la guerra nel Vietnam. Le sue
ricerche sulle sostanze pericolose per i lavoratori usate nelle industrie e
le procedure da lei raccomandate "are in every preventive medicine text
today", in Keith Spencer Felton, Warriors's Words: A Consideration of
Language and Leadership, Praeger, Westport (CT), 1995, p.18. Vedi anche:
Alice Hamilton, Nelle fabbriche dei veleni: la prima donna medico di
frontiera che ha dato un impulso alla prevenzione nei luoghi di lavoro
all'inizio del Novecento negli Stati Uniti, Edit. coop, (Roma?, 2003?);
Exploring the dangerous trades: The autobiography of Alice Hamilton, Little
Brown & Co., Boston, 1943; Barbara Sicherman, Alice Hamilton: A Life in
Letters, Comonwealth Fund Book, Harvard University Press, Cambridge and
London, 1984.
28. Aletta Jacobs, Memoirs: my life as an International Leader in Health,
Suffrage and Peace, Feminist Press 1996. L'edizione originale e' in
olandese, tradotto da Annie Wright, con saggi di Harriet Pass Freidenreich e
Harriet Feinberg. Su di lei non ho trovato altro.
29 Jean Bethke Elshtain, Jane Addams and the Dream of American Democracy,
Basic Books, New York 2002, p. 22.
30. Citato in Linda Schott, Reconstructing Women's Thoughts, cit., p. 101.
31. Anne Marie Pois, Jane Addams, Emily Greene Balch, and the
Ecofeminism/Pacifist Feminism, op. cit., p. 443.
32. Rosika Schwimmer (1877-1948), ungherese, abbandono' il suo paese in
seguito al colpo di stato comunista di Bela Kun. Non gli venne mai concessa
la cittadinanza americana per via del suo pacifismo e perche' etichettata
sia come spia sovietica che come agente tedesco. Attiva nel movimento
pacifista femminista fin dalle sue origini, tra le molte attivita' si
ricorda la sua campagna per dare la cittadinanza mondiale agli esuli.
33. Umberto Morelli, Pacifismo, Istituto della Enciclopedia Italiana
Treccani, Appendice 2000, vol. I, Roma 2000, da cui traggo l'informazione
che "la nuova conferenza che doveva essere indetta entro otto anni (cioe'
nel 1915), non venne indetta a causa dello scoppio della prima guerra
mondiale", ma non viene fatto cenno all'iniziativa delle donne che hanno
tenuto una conferenza sostitutiva nel 1915, ne' fa cenno all'opera di Bertha
von Suttner durante la Conferenza del 1899 ed al suo tentativo di formare
gia' da allora una rete internazionale pacifista.
34. Women at The Hague. The International Peace Congress of 1915, op. cit.,
p. 70.
35. Ivi, p.112.
36. Julia Grace Wales (1885-19?), canadese di nascita, trasferitasi negli
stati Uniti all'eta' di 18 anni nel 1915 risulta professore della
Universita' di Madison. Su di lei ho trovato molto poco, nonostante risulti
autrice di numerosi articoli in giornali americani dell'epoca e nota per
avere scritto l'International Plan for Continuous Mediation without
Armistice, tradotto in cinque lingue ed allora plaudito da tutto il
movimento pacifista.
37. Women at The Hague. The International Peace Congress of 1915, op. cit.,
p. 137.
38. Sanderson Beck, The Way to Peace: The Great Peacemakers, Philosophers of
Peace and Efforts Toward World Peace, Paperback, 1986, nel capitolo Women
and Peace.
39. La delegazione di donne ha incontrato numerosi rappresentanti dei vari
governi europei. Tra gli altri: il papa, il cardinal Gasparri, allora
segretario di stato, il primo ministro di Austria e Francia, i ministri
degli esteri di Gran Bretagna, Germania, Austria, Belgio e Russia. Nei paesi
scandinavi furono accolte da re e primi ministri di Norvegia, Svezia e
Danimarca. In Women at the Hague vengono raccontati alcuni degli incontri,
dando interessanti informazioni sulle posizioni e anche atteggiamenti
personali dei protagonisti della prima guerra mondiale.
40. Women at The Hague. The International Peace Congress of 1915, op. cit.,
p. 51.
41. Women at The Hague, op. cit., p. 98.
42. Women at the Hague, op. cit., p. 98.
43. Linda Schott., Reconstructing Women's Thoughts, cit., p. 10.
44. Citato in Linda Schott, Reconstructing Women's Thoughts, cit., p. 101.
45. Gene Sharp, Politica dell'azione nonviolenta. Le tecniche, Edizioni
Gruppo Abele, Torino 1986. Sharp tra i suoi molti riferimenti storici usa
pochissimo (a p. 52 cita una manifestazione pro suffragio femminile di
"senatori e deputati con le rispettive mogli"!) l'esperienza pur molto ampia
di azioni politiche nonviolente del movimento suffragista dei decenni a
cavallo tra il XIX e XX secolo. Vedi Anna Rossi Doria, La liberta' delle
donne. Voci della tradizione politica suffragista, Rosenberg & Sellier,
Torino 1990; Giovanna Zincone, Da sudditi a cittadini. Le vie dello stato e
le vie della societa' civile, Bologna, Il Mulino 1992; G. Bonacchi, A.
Groppi (a cura di), Il dilemma della cittadinanza, Laterza, Roma-Bari 1993;
Marina Calloni, Ri-fondare la citta(dinanza). Antigone oltre se stessa, in
Antigone nella citta': emozioni e politica, Atti Seminario Scuola di
politica Hannah Arendt, Pitagora, Bologna 1998; Raffaella Baritono, Il
pensiero politico delle donne, in G. Pasquino (a cura di), Il pensiero
politico. Idee teorie dottrine, III vol. Ottocento e Novecento, tomo II,
Utet, Torino 1999, con ampia bibliografia; Marisa Forcina, Una cittadinanza
di altro genere. Un'idea politica e la sua storia, FrancoAngeli, Milano
2003.
46. Gene Sharp, Politica dell'azione nonviolenta. Le tecniche, op. cit., pp.
252 e 258.
47. Un altro interessante esempio storico da portare alla luce e' la parte
avuta dagli obiettori di coscienza durante la prima guerra mondiale ed il
sostegno ad essi dato dalle donne. Vedi Frances H. Early, A world without
war: how U. S. Feminists and Pacifists resisted world war I, Syracuse
University Press, 1997.
48. Susan Zeiger, She didn't raise her boy to be a slaker, op. cit., pp. 10,
18, 20.

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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
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Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino"
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 6 del 7 aprile 2005