La nonviolenza e' in cammino. 871



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 871 del 17 marzo 2005

Sommario di questo numero:
1. Salvatore
2. Maria G. Di Rienzo: Dov'e' andata la bambina senza volto?
3. Angela Giuffrida: Come uscire dal vicolo cieco
4. Ileana Montini: Dietro la maschera l'antica e attuale violenza maschile
5. Haifa Zangana: Basta con le illusioni
6. Percorsi nonviolenti per il superamento del sistema mafioso
7. "Azione nonviolenta" di marzo
8. Donatella Di Cesare: La vena anarchica di Jacob Taubes
9. La "Carta" del Movimento Nonviolento
10. Per saperne di piu'

1. LUTTI. SALVATORE
Non e' bastato quel nome a salvarti.
Da se stesse le armi uccidono.

2. POESIA E VERITA'. MARIA G. DI RIENZO: DOV'E' ANDATA LA BAMBINA SENZA
VOLTO?
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per
averci messo a disposizione questo suo testo. Maria G. Di Rienzo e' una
delle principali collaboratrici di questo foglio; prestigiosa intellettuale
femminista, saggista, giornalista, regista teatrale e commediografa,
formatrice, ha svolto rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per
conto del Dipartimento di Storia Economica dell'Universita' di Sidney
(Australia); e' impegnata nel movimento delle donne, nella Rete di Lilliput,
in esperienze di solidarieta' e in difesa dei diritti umani, per la pace e
la nonviolenza; e' coautrice dell'importante libro: Monica Lanfranco, Maria
G. Di Rienzo (a cura di), Donne disarmanti, Edizioni Intra Moenia, Napoli
2003]

Dov'e' andata la bambina senza volto?
L'aquila le regalo' una piuma,
e dal profondo vennero polveri d'opale e cristallo,
cosi' che lei potesse disegnarsi gli occhi.
Il fiume porto' a riva una coppa,
il cielo la riempi' di sole,
e lei intinse la piuma nei papaveri,
e si disegno' le labbra, per poter bere.

Dov'e' andata la ragazza senza corpo?
Ha raccolto meloni e rose selvatiche,
rami duri e morbide foglie,
ha respirato fumo di salvia,
di zafferano, di lavanda.
Ora e' un canestro di vuoto e pieno,
come la terra sua madre.

Dov'e' andata la donna danzante?
Nella spirale ha incontrato altre mani.
Come stelle si avvolgono,
galassia di luce che ruota,
e gli astri ridono come ridono i vecchi,
con la furbizia di chi ha gia' visto,
e ridono come ridono i bambini,
di pura meraviglia...

3. RIFLESSIONE. ANGELA GIUFFRIDA: COME USCIRE DAL VICOLO CIECO
[Ringraziamo Angela Giuffrida (per contatti: frida43 at inwind.it) per questo
intervento. Angela Giuffrida e' docente di filosofia ed acuta saggista; tra
le sue pubblicazioni: Il corpo pensa, Prospettiva edizioni, Roma 2002]

La prima cosa che mi e' venuta in mente quando ho letto il saggio di Anna
Bravo e' che ad interrogarsi sulle proprie responsabilita' circa la violenza
che insanguina il mondo e' quella parte della specie che vi partecipa in
modo del tutto marginale. Gia' il dibattito sorto attorno alle donne-soldato
aveva evidenziato la capacita' tutta femminile di mettersi in discussione,
di cercare in se', nel proprio genere eventuali mancanze, prima di
addossarle all'altra parte dell'umanita'.
Confrontato a tale civilissima pratica, ancora piu' assordante appare il
silenzio degli uomini che, pur pretendendo da millenni di governare il mondo
come una loro esclusiva proprieta', non si ritengono responsabili in prima
persona dei danni arrecati alla specie e al pianeta, tant'e' che non sentono
il bisogno di farsi qualche domanda circa la loro "superiore razionalita'".
Ma torniamo alle donne. L"inclinazione a riflettere su di se' denota grande
maturita', diventa pero' sterile e autodistruttiva se indebitamente
potenziata, soprattutto se non si accompagna alla piena consapevolezza dei
meriti guadagnati e del ruolo svolto dalle donne nella storia della specie.
Accollandosi anche responsabilita' non proprie, esse finiscono per coltivare
oltre alla disistima di se' la gia' alta irresponsabilita' maschile;
infatti, mentre non perdonano nulla a se stesse e analizzano minuziosamente
ogni loro debolezza, ogni errore, anche quelli chiaramente indotti, non
pretendono che gli uomini facciano altrettanto o perlomeno che si fermino a
riflettere sul proprio operato.
Il problema e' che le donne continuano a guardare se stesse, l'altro genere
e il mondo intero attraverso quella lente deformante che e' lo sguardo
maschile. Nonostante il pensiero della differenza abbia iniziato il proprio
cammino con Adriana Cavarero che diffidava "dell'intiero castello
concettuale della logica dell'uno" e, considerando "mostruoso" il neutro
maschile, metteva l'accento sulla sessuazione al femminile, il sistema di
pensiero maschile rimane intoccato ed intoccabile e i suoi meccanismi
restano pressoche' invisibili perche' ritenuti comuni alla specie e
continuano ad operare a tutti i livelli, anche all'interno del discorso
delle donne, bloccandolo in un vicolo cieco.
Anche il valore cognitivo delle esperienze del corpo continua generalmente
ad essere negato, cosicche' Anna Bravo nel suo saggio, a proposito della
"nuova mistica della maternita', spettacolarizzata e sacralizzata piu' di
ogni altra esperienza (eccetto, forse, la guerra)", puo' dichiarare di avere
nostalgia "di un vecchio numero di 'Via Dogana', dove all'affermazione che
diventare madri ha a che fare con la vita e con la morte, si rispondeva che
si', ma che lo stesso vale per l'attraversamento di una strada".
*
A parte l'ovvia constatazione che la mistica della maternita' nelle
comunita' dei padri altro non e' che una mistificazione, dato che "il corpo
femminile e' sempre piu' oggettificato e parcellizzato, sempre piu' luogo
pubblico", a parte l'intento chiaramente provocatorio della superiore
affermazione, a me pare che la maternita' non possa essere ridotta a
nessun'altra esperienza.
La presa di coscienza da parte delle donne di possedere una diversa
struttura categoriale, non puo' che derivare dalla consapevolezza che
l'esperienza materna e' stata decisiva nella costruzione di quella forma
mentis (comune a tutto il genere, non solo a chi partorisce) che ha
consentito loro di guidare il processo di civilizzazione della specie e che
puo' permettere oggi, se ricostituita coscientemente, di fermare la folle
corsa della specie verso l'autodistruzione.
Hannah Arendt ci ha invitato a centrare lo sguardo sulla nascita, quindi, in
definiva, sulla maternita' e sulla corporeita'. Il corpo della donna, la sua
biologia sono le inesauribili fonti dello sviluppo della sua mente, sono la
sua carta vincente. Siccome i mondi del simbolico e dell'astrazione sono
radicati nel corpo e nella sua esperienza, la potenza del pensiero della
donna e' da ricercarsi nella potenza del suo corpo, l'enorme potenzialita'
creativa nella creativita' del suo corpo, l'evoluzione razionale e civile
della sua mente nella ricchezza della sua esperienza. La coscienza o spirito
o mente che dir si voglia non e' "uno spettro nascosto nella macchina" e non
esiste senza l'organismo biologico con il suo corredo di istinti ed
emozioni.
Seguire gli uomini nel loro disegno esistenziale che rinnega il corpo
significa guidare la specie verso l'autoannientamento.

4. RIFLESSIONE. ILEANA MONTINI: DIETRO LA MASCHERA L'ANTICA E ATTUALE
VIOLENZA MASCHILE
[Ringraziamo Ileana Montini (per contatti: ileana.montini at tin.it) per questo
intervento. Ileana Montini, prestigiosa intellettuale femminista, gia'
insegnante, e' psicologa e psicoterapeuta. Nata nel 1940 a Pola da genitori
romagnoli, studi a Ravenna e all'Universita' di Urbino, presso la prima
scuola di giornalismo in Italia e poi sociologia; giornalista per
"L'Avvenire d'Italia" diretto da Raniero La Valle; di forte impegno
politico, morale, intellettuale; ha collaborato a, e fatto parte di, varie
redazioni di periodici: della rivista di ricerca e studio del Movimento
Femminile DC, insieme a Tina Anselmi, a Lidia Menapace, a Rosa Russo
Jervolino, a Paola Gaiotti; di "Per la lotta" del Circolo "Jacques Maritain"
di Rimini; della "Nuova Ecologia"; della redazione della rivista "Jesus
Charitas" della "famiglia dei piccoli fratelli e delle piccole sorelle"
insieme a fratel Carlo Carretto; del quotidiano "Il manifesto"; ha
collaborato anche, tra l'altro, con la rivista "Testimonianze" diretta da
padre Ernesto Balducci, a riviste femministe come "Reti", "Lapis", e alla
rivista di pedagogia "Ecole"; attualmente collabora al "Paese delle donne".
Ha partecipato al dissenso cattolico nelle Comunita' di Base; e preso parte
ad alcune delle piu' nitide esperienze di impegno non solo genericamente
politico ma gramscianamente intellettuale e morale della sinistra critica in
Italia. Il suo primo libro e' stato La bambola rotta. Famiglia, chiesa,
scuola nella formazione delle identita' maschile e femminile (Bertani,
Verona 1975), cui ha fatto seguito Parlare con Dacia Maraini (Bertani,
Verona). Nel 1978 e' uscito, presso Ottaviano, Comunione e liberazione nella
cultura della disperazione. Nel 1992, edito dal Cite lombardo, e' uscito un
libro che racconta un'esperienza per la prevenzione dei drop-out di cui ha
redatto il progetto e  curato la supervisione delle operatrici: titolo: "...
ho qualche cosa anch'io di bello: affezionatrice di ogni cosa". Recentemente
ha scritto la prefazione del libro di Nicoletta Crocella, Attraverso il
silenzio (Stelle cadenti, Bassano (Vt) 2002) che racconta l'esperienza del
Laboratorio psicopedagogico delle differenze di Brescia, luogo di formazione
psicopedagogica delle insegnanti e delle donne che operano nelle relazioni
d'aiuto, laboratorio nato a Brescia da un progetto di Ileana Montini e con
alcune donne alla fine degli anni ottanta, preceduto dalla fondazione,
insieme ad altre donne, della "Universita' delle donne Simone de Beauvoir".
Ha recentemente pubblicato, con altri coautori, Il desiderio e l'identita'
maschile e femminile. Un percorso di ricerca, Franco Angeli, Milano 2004. Su
Ileana Montini, la sua opera, la sua pratica, la sua riflessione, hanno
scritto pagine intense e illuminanti, anche di calda amicizia, Lidia
Menapace e Rossana Rossanda]

Quando si deve scrivere su un saggio cosi' lungo come quello di Anna Bravo,
alla fine la percezione dell'insieme e' quella che resta e alla quale si fa
poi riferimento. E' una regola gestaltica. Cio' che appare in figura
rispetto allo sfondo resta impresso nella memoria.
Mi chiedo perche' quelle righe - a pagina 30, scrive Anna Bravo - appunto,
non le ho registrate nella memoria.
Credo che questa svista sia accaduta perche' mentre Anna Bravo ha ricordato
alcuni movimenti degli studenti che si proponevano gia' allora come
nonviolenti e alcuni personaggi del mondo cattolico come padre Balducci e
don Milani, e  liberi religiosi come Aldo Capitini, non cita (o mi sbaglio
ancora?) il fenomeno dei gruppi formati di compagni/e di varie formazioni
anche se non di tutte, sensibili alla problematica ecologica - e quindi a un
punto di vista meno illuministicamente antropocentrico - che formavano
comitati per difendere un bene ambientale o per affrontare l'inquinamento di
un'area. Ricordo, per esempio, la lotta che nel ravennate conducemmo, anche
con successo, per impedire la cementificazione dell'ultimo tratto di
spiaggia e pineta a sistema dunifero chiamata Ortazzo-Ortazzino. O il
comitato di difesa contro il Monopolio di Stato per evitare la distruzione
delle saline di origine etrusca di Cervia, e per salvaguardare
quell'ambiente umido oggetto di nidificazione e transito di tante specie di
uccelli anche rari. Lotte del tutto nonviolente  a suon di ciclostili,
articoli e altre azioni collettive. La  nascita della Lega Ambiente e la
pubblicazione della  rivista "Ecologia" diretta da Andrea Poggio a Milano,
sono due esempi di interessi socio-politici che non trovavano collocazione
del tutto legittimata nelle teorizzazioni della lotta di classe marxiane. Ma
da quale angolo della mente e della sensibilita' dei cattolici  post
conciliari - ma anche degli evangelici - e dei laici di sinistra sono nati
questi  interessi,  che Agnes Heller definiva i "bisogni radicali"? E
perche' si sono collocati a sinistra e non altrove?
Non cita neppure quel vasto movimento di base che sono state le comunita'
spontanee postconciliari nella Chiesa cattolica, sorte con azioni
nonviolente come quelle dell'occupazione del Duomo di Parma. In quelle
comunita' (chi scrive ne ha fatto l'esperienza diretta) convivevano credenti
che avevano fatto "la scelta marxista" e credenti che non l'avevano fatta
ne' intendevano farla. Come li' si conviveva?
Nell'area marxista organizzata ci sono state varie anime, comprese quelle
che rifiutavano l'aggressivita' fisica e che gia' negli anni settanta si
dimostrarono creative nell'intraprendere forme di lotta non cruente.
Voglio dire non soltanto il movimento delle donne. Ma il movimento
ecologista, non trovando sufficiente riconoscimento all'interno delle
formazioni partitiche marxiste, divento' pian piano a suo volta partito,
soprattutto dopo la prima partecipazione alle elezioni del 1987. Non avendo
pero' piu' la capacita' di sottrarsi, al suo interno, alle dinamiche di
potere viriloidi e di emarginazione delle donne che ora condivide con tutte
le altre istituzioni politiche.
*
E sarebbe bene, in questa voglia matta di fare ammenda del passato, evitare
la rimozione, per esempio, di quanto e' successo alla fine di gennaio a
Porte Alegre, dove i giovani maschi di sinistra (e dove altro collocarli?)
hanno usato violenza contro le compagne come e' stato denunciato
recentemente anche su questo foglio.
Come mai, le scelte di collocarsi nell'area della nonviolenza possono
coesistere sia con il mantenere il potere saldamente in mani maschili (vedi
i movimenti pacifisti e no-global italiani e stranieri), sia usando violenza
sul corpo delle donne? Dichiariamo necessaria l'elaborazione del lutto (mi
riferisco all'invito di Giobbe Santabarbara): si elabora il lutto, cioe' il
distacco, quando e' abbastanza chiaro da che cosa, da chi, ci si vuole
separare con un rito simbolico, interiore, di sepoltura. Si elabora il lutto
di cio' che e' morto. Finito per sempre come il rogo delle streghe. Ma in
realta' quello che e' morto e' il marxismo. Ma la cultura patriarcale che
attraversa la Cina post-confuciana, l'Europa cristiana, o l'Asia e l'Africa
musulmane o tribali, e' ancora costitutiva delle identita' delle persone. E
allora fare ammenda del passato contemporaneamente restando saldi sulle
forme attuali, esplicite o nascoste, di quell'agire e quel pensiero, lo
sento perlomeno un po' superficiale.
In questo senso ho ripreso l'antico - e un po' obsoleto a dir il vero -
termine di revisionismo. Nello Zingarelli leggo: "Atteggiamento di persona o
movimento che vuole rivedere, (...) modificare i principi fondamentali di
una ideologia". L'ideologia e' stata quella della lotta di classe, della
"giustizia proletaria" che ha permesso di dare legittimita' agli agiti
aggressivi. E non si puo' modificare. E' stata storicamente, mi pare, il
grande cemento unificatore di stati d'animo di rabbia contro le ingiustizie
e di voglia di opporsi. Le chiese, con il loro bagaglio compromesso di
storia non solo evangelica e la situazione di secolarizzazione diffusa , non
ne facevano un collante e un ideale di massa.
*
Ma ora l'aggressivita' come si esprime? Dove si incanala? In quali forme di
messaggi latenti? La scelta nonviolenta di tanti maschi si scopre che magari
e' una maschera che nasconde l'antica violenza (anche fisica, si', anche
quella) contro le proprie donne tra le quattro pareti domestiche o contro
figli e bambini.
Faccio parte di un gruppo di lavoro presso il Consultorio familiare di via
Milano a Brescia. Ebbene stiamo preparando per l'autunno un ciclo di quattro
incontri sul tema "la violenza nei legami d'amore".
Dove collocare il maschio, dichiaratamente nonviolento ma violento, che in
tv sostiene che alla propria moglie piace "realizzarsi" facendo la mamma e
la casalinga a tempo pieno? Oppure: cosa dire della violenza in aumento
contro i bambini operate da pedofili sempre piu' organizzati in sorte di
sette segrete? E ancora cosa farne dell'aumento esponenziale della
prostituzione femminile? I nove milioni di maschi che usano il corpo delle
donne dell'est o dell'Africa  sul suolo italico sono tutti di destra?

5. IRAQ. HAIFA ZANGANA: BASTA CON LE ILLUSIONI
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per
averci messo a disposizione nella sua traduzione questo articolo di Haifa
Zangana pubblicato sul "Guardian" del 7 marzo 2005. Haifa Zangana,
scrittrice nata in Iraq, e' stata prigioniera d'opinione durante il regime
di Saddam Hussein]

Dietro la facciata del processo politico postelettorale, nonostante il
desiderio di Tony Blair di muoversi in avanti, e il tentativo di George Bush
di rabberciare le alleanze con l'Europa, in Iraq le atrocita' continuano ad
aumentare. Alcune, come l'attacco ad Hilla, sono nello "stile Zarqawi", con
centinaia di morti e feriti. Altre sono piu' spettacolari e sistematiche,
come gli aeroplani Usa che bombardano abitazioni sospette a Ramadi, Hit o
Mosul, o come gli omicidi ai posti di blocco a Najaf, o la caccia all'uomo
dopo il coprifuoco che i cecchini fanno a Samara.
Nonostante tutta la retorica sulla "costruzione di una nuova democrazia", la
vita quotidiana per gli iracheni e' ancora una lotta per la sopravvivenza.
Un giorno tipico in Iraq comincia con la lotta per procurarsi le necessita'
quotidiane: una bombola di gas, benzina, acqua fresca, cibo e medicine. E si
conclude con un sospiro di sollievo: "Alhamdu ilah" (grazie, Dio), per
essere sopravvissuti alle minacce di morte, agli attacchi violenti, ai
rapimenti ed agli omicidi. Per un iracheno qualsiasi, persino avventurarsi
in strada e' un pericolo. La maggior parte degli omicidi non vengono neppure
riportati. Cadaveri senza nomi, senza volti, senza identita', non sono piu'
esseri umani. Diventano "il nemico", l'"effetto collaterale", oppure, nella
migliore delle ipotesi, delle statistiche su cui discutere.
Nel marzo 1989 vari scrittori iracheni ed arabi contribuirono con i loro
testi ad un libro intitolato Halabja, che condannava il regime di Saddam
Hussein per aver attaccato civili con armi chimiche in quella citta'. Nella
mia introduzione al libro allora scrivevo: "Si dice che siano morte 5.000
persone. Altri dicono 10.000. Noi diciamo: ad Halabja, nel giro di pochi
minuti, Rasul, Piroz, Ahmed, Khadija, Sardar, Amina, sono stati uccisi. Ad
Halabja, gli occhi non danno piu" luce".
Ora vediamo che la vita continua ad essere succhiata via dal nostro paese.
*
A due anni dall'inizio dell'occupazione gli occhi non danno piu' luce in
molte citta' irachene. Migliaia di civili sono stati uccisi. Uno di loro si
chiamava Hazim Ahmed al-Obaidi. Il 16 gennaio scorso, Hazim,
cinquantasettenne, ha lasciato la propria casa per andare al lavoro. Aveva
un negozietto in cui vendeva verdura, datteri ed altra frutta, a Mosul.
Prima che se ne andasse, sua moglie gli ricordo' di portare a casa un po' di
paraffina, se era possibile. Poi Hazim rise forte, abbracciando la
figlioletta di quattro anni, Manar, che aveva detto di voler andare a
lavorare con lui. Saluto' sua madre, saluto' gli altri suoi figli: Dalal, 17
anni, Shahad, 12, Zayed, 11, e Maha, 9.
Hazim non e' piu' tornato. E' stato ucciso, secondo testimoni oculari, da
una pattuglia Usa. La sua auto era bruciata e, a causa del coprifuoco, la
sua famiglia ha dovuto attendere il mattino successivo per andare a
cercarlo. Due giorni dopo, il suo corpo carbonizzato e quasi irriconoscibile
fu trovato. Per maggior sofferenza della famiglia, i soldati statunitensi li
fermarono mentre trasportavano il cadavere, lo scoprirono e lo
fotografarono.
Hazim non era un terrorista, ne' un sostenitore di Saddam. Era un uomo
semplice e allegro che viveva per la sua famiglia, che era stato ferito
durante la guerra Iran-Iraq, e che era sopravvissuto alla durezza delle
sanzioni economiche durate anni, vendendo frutta e verdura.
Chi indaghera'sul suo omicidio, chi risarcira' la sua famiglia, chi aiutera'
i suoi bambini a dare un senso a questa tragedia? Se ne occupera' il governo
iracheno ad interim, se ne occuperanno gli occupanti guidati dagli Usa? A
giudicare dall'importanza che entrambi danno ai diritti umani, la risposta
e' che entrambi non investigheranno sull'omicidio di Hazim, ne' su quelli di
altri. I diritti umani, sotto l'occupazione, si sono dimostrati un miraggio.
*
Nel suo messaggio televisivo agli iracheni, nell'aprile dell'anno scorso,
Tony Blair disse: "Il nostro scopo e' aiutare ad alleviare le immediate
sofferenze umane, e muoverci il piu' velocemente possibile verso
un'autorita' ad interim diretta dagli iracheni... che rappresenti i diritti
umani e la regola della legge, e usi le risorse dell'Iraq per voi e per i
servizi di cui avete bisogno". Tanto basti per le illusioni: corpi
carbonizzati, il massacro di bambini ad una festa di nozze, l'uccisione di
detenuti, spari sulla folla alle manifestazioni, rapimento di civili: questi
sono gli aspetti del "futuro migliore". Le truppe di occupazione sono
responsabili di una crescente lista di abusi, inclusi la tortura e
l'assassinio di prigionieri iracheni.
Vedere un cadavere fotografato in mezzo ai sogghigni dei soldati
statunitensi ad Abu Ghraib ha scosso la sensibilita' morale delle persone in
tutto il mondo. Prendere istantanee del corpo bruciato di Hazim ha scosso la
fiducia della sua famiglia nell'umanita' degli americani, cosi' come in
quella degli inglesi e degli iracheni che con essi lavorano.
Seguendo la linea dei governi Usa e britannico sui diritti umani, i membri
del governo ad interim dell'Iraq hanno sorvolato sulle violazioni commesse
dalle truppe di occupazione, sia ricordando che simili abusi avvenivano
anche al tempo del regime di Saddam Hussein, sia etichettando le vittime
come "terroristi". Sotto il regime di Iyad Allawi, intanto, la nuova polizia
irachena tortura i detenuti. La scorsa settimana e' toccato a tre membri del
Consiglio supremo per la rivoluzione islamica in Iraq. Dai leader del gruppo
sono state chieste indagini immediate. Ma costretti come sono a fronteggiare
queste atrocita' quotidiane, cosa ci aspettiamo che gli oppressi iracheni
facciano?

6. INIZIATIVE. PERCORSI NONVIOLENTI PER IL SUPERAMENTO DEL SISTEMA MAFIOSO
[Ringraziamo Enzo Sanfilippo (per contatti: v.sanfi at virgilio.it) per averci
inviato questo documento del 26 marzo 2004 sottoscritto da varie autorevoli
personalita' dell'impegno contro la mafia e per la nonviolenza. Un documento
di notevole interesse (e una proposta di lavoro assai apprezzabile) sebbene
ci sembri necessario che nel dibattito e nella ricerca che esso promuove si
chiariscano alcuni punti del testo che ci paiono per cosi' dire astratti e
generici al punto che potrebbero finanche dar luogo a fraintendimenti anche
profondi se non fosse assai noto il rigoroso, tenace impegno delle persone
che tale documento firmano]

La presenza nel nostro Paese di diverse organizzazioni mafiose radicate
storicamente nelle regioni del sud non e' un problema regionale, ma una
questione storica non risolta che compromette lo sviluppo e l'evoluzione
civile della nostra intera societa'.
In molte aree la mafia resta purtroppo l'unica forma di potere riconosciuto.
In forza di tale radicamento essa ha ormai assunto caratteristiche
strutturali e culturali che le consentono di rigenerarsi anche dopo fasi di
repressione conseguenti a fasi di escalation di violenza.
Il cambiamento di strategia di alcune organizzazioni mafiose che hanno
ultimamente adottato forme meno cruente di azione non ha mutato il clima di
intimidazione, di dominio e di conseguente rassegnazione.
L'ipotesi di un declino delle organizzazioni mafiose non e' purtroppo
suffragata dal fatto che esse continuano:
- a ricattare commercianti e imprenditori con il racket;
- a infiltrarsi nelle amministrazioni pubbliche e negli appalti;
- a smerciare droga;
- a lucrare nei mercati finanziari, nei commerci di armi, nella gestione dei
rifiuti tossici;
- a svolgere un importante ruolo di socializzazione nelle aree piu'
degradate e povere del meridione, nelle quali le organizzazioni reclutano le
proprie "giovani leve", bambini e ragazzi che restano incastrati a vita
nella scelta delinquenziale e nella cultura mafiosa;
- ad essere pienamente inserita, con la collaborazione di professionisti
preparati appositamente, nel circuito delle correnti della finanza illecita
internazionale;
- ad avere un rapporto di condizionamento e di interazione con settori delle
istituzioni.
Come singoli cittadini e associazioni operanti in contesti meridionali e
impegnati da vario tempo nel contrasto alla mafia ci sentiamo ancora alla
ricerca di strategie, forme di presenza, di conoscenza, di comunicazione che
possano dare una svolta efficace all'evoluzione positiva del nostro sistema
sociale cosi' tristemente caratterizzato.
Dobbiamo riconoscere che, al di la' delle pesanti responsabilita' politiche,
al di la' di certi meccanismi economici strutturali che sembrano non poter
essere scalfiti dalle nostre azioni organizzate, al di la' dei sedimentati
atteggiamenti culturali, anch'essi a volte inattaccabili, tutto cio' che
abbiamo fatto non e' stato sufficiente. Non si tratta soltanto della
quantita' di energia messa in campo, quanto della qualita' dei metodi
adottati, del nostro modo di essere in questo sistema.
Abbiamo individuato nella nonviolenza una possibile strada che puo'
apportare degli elementi di novita', sia nelle modalita' con cui affrontare
e conoscere il fenomeno mafioso, sia nelle prassi che essa puo' suggerire
per la trasformazione delle strutture sociali in cui siamo inseriti.
Non si tratta di stravolgere le forme storiche di impegno antimafia che
vedono impegnate tantissime associazioni e tanti uomini delle istituzioni
sul versante della prevenzione e della repressione, ma di aggiungere, come
diceva Capitini, una visione particolare capace di anticipare una societa'
liberata.
La nonviolenza porta ad agire sulla e con la coscienza dell'avversario,
nella consapevolezza dell'umanita' di cui ciascuno e' portatore e al
contempo della nostra corresponsabilita' al male che vogliamo superare.
Questo approccio implica una pratica di ascolto del vissuto e del punto di
vista dell'altro, ovviamente non per accettarli passivamente e legittimarli,
ma per attivare un contatto vero e profondo.
E pur partendo da questa fondamentale acquisizione la nonviolenza non
trascura gli aspetti strutturali dei problemi sociali che ha di fronte.
Queste basi ci portano a riconsiderare le forme di lotta alla mafia e a
porci degli interrogativi che nessuna logica emergenziale puo' annullare.
Ci riferiamo al nostro rapporto con chi ancora appartiene alle
organizzazioni mafiose, con chi e' contiguo ad esse e con il proprio
comportamento gli da' consenso e con chi ultimamente ne ha preso le distanze
dopo un passato di appartenenza, anche se questo non si traduce sempre in
una collaborazione piena con le istituzioni della giustizia o assume forme
che ci appaiono ambigue o poco comprensibili.
Ci riferiamo al possibile ruolo delle vittime, dei familiari, dei soggetti
che potrebbero giocare un ruolo di terza parte.
Non vogliamo affrontare queste tematiche con un atteggiamento ideologico e
critico verso cio' che e' stato fatto e tuttora si fa nel mondo antimafia,
anche perche' molti di noi ne fanno pienamente parte. Ma riconoscendo quanto
di buono e' stato fin qui costruito su questo fronte, vogliamo analizzare e
scegliere con rigore nuove strategie atte a gettare dei ponti di
comunicazione con l'universo mafioso, senza nessuna accondiscendenza, ma
anche riconoscendo gli attuali limiti delle risposte istituzionali (basti
pensare alla crisi del principio rieducativo della pena previsto dall'art.
27 della nostra Costituzione).
Facendo riferimento all'insegnamento nonviolento, ai suoi maestri storici
(Gandhi, Capitini, Lanza del Vasto) e ad alcune testimonianze esemplari che
hanno sperimentato il metodo nonviolento nel meridione d'Italia (Danilo
Dolci, don Tonino Bello, padre Pino Puglisi) vogliamo dar vita ad un
percorso di approfondimento, di ricognizione di esperienze che gia' operano
in questa direzione, di nuove sperimentazioni e progetti di azione
nonviolenta in contesti di mafia.
Facciamo appello al mondo dell'associazionismo, delle comunita' religiose di
varia confessione, agli uomini impegnati nel mondo delle istituzioni
(giustizia, scuola, servizi sociali), al mondo della ricerca e
dell'universita', ai cittadini che hanno vissuto in contesti mafiosi o ne
sono stati vittime e vogliono sperimentare oggi il metodo nonviolento.
Il percorso che proponiamo non vuole costituire l'ennesimo cartello di
associazioni, ma un laboratorio permanente in cui ciascuno possa partecipare
senza abbandonare la propria identita' personale o associativa, rafforzando
comunque il proprio impegno per il cambiamento e la ricerca.
A titolo esemplificativo indichiamo alcune aree problematiche che tale
laboratorio potra' approfondire.
*
Esperienze sociali di resistenza e costruzione creativa
- In quali modi puo' intervenire la societa' civile nelle sue varie
articolazioni e con quale rapporto con le istituzioni?
- Quali esperienze cooperative e di impresa sociale si possono contrapporre
al modello mafioso?
- Che contributo puo' venire dalle associazioni anti-racket?
- Come costruire percorsi di post-dissociazione?
- Quali ruoli specifici possono avere le donne?
*
Area della riconciliazione
- Come possono essere coinvolti i familiari di appartenenti alle
organizzazioni mafiose?
- Si possono attivare, su questi temi, spazi di ascolto e di incontro
all'interno delle carceri?
- Quali nuove pratiche e' possibile costruire in ambito giudiziario? (per
es. giustizia rigenerativa/riparativa).
- Come valorizzare gli apporti in ambito psicologico per favorire percorsi
di fuoriuscita da contesti mafiosi?
- Quali cammini di accompagnamento le comunita' dei vari credi religiosi
possono predisporre nei confronti di eventuali processi di conversione?
- Sono possibili interazioni tra questi cammini spirituali e pratiche di
riconciliazione in ambito civile?
*
Approfondimenti scientifici
Riteniamo che operare all'interno delle aree sopra richiamate comporti un
adeguato approfondimento scientifico, con vari apporti disciplinari e
confronti internazionali. In questo percorso sara' pertanto opportuna la
collaborazione di singoli ricercatori, centri studi, universita', riviste
scientifiche e di area nonviolenta in tema di:
1. Mafia e processi strutturali
Aree di approfondimento:
- Scenari internazionali (globalizzazione);
- Guerre, traffico d'armi, narcotraffici.
2. Metodologia nonviolenta e criminalita'
Aree di approfondimento:
- Teoria e pratica della nonviolenza;
- Forme storiche di azione nonviolenta in contesti di mafia;
- Modelli e sperimentazioni di mediazione in ambito giudiziario e sociale;
- Difesa Popolare Nonviolenta e criminalita' organizzata.
Su questi temi proponiamo la costruzione di una rete nazionale di
collegamento e l'organizzazione di varie iniziative che possano sfociare in
un evento nazionale per la primavera del 2005.
Palermo 26 marzo 2004
*
Giovanni Abbagnato, Augusto Cavadi (Scuola di formazione politica "Giovanni
Falcone"), Andrea Cozzo (Facolta' di Lettere e Filosofia, Universita' di
Palermo), Maria Antonietta Malleo (Mir-Ifor), Enzo Sanfilippo (Movimento
dell'Arca), Umberto Santino (Centro "Giuseppe Impastato", Palermo), Carmelo
Torcivia (Associazione Kairos, Palermo), Emanuele Villa (Libera, Palermo),
Cosimo Scordato (Centro Sociale S. Saverio), Piero Fantozzi (Universita' di
Cosenza), Nanni Salio (Centro Studi D. Sereno Regis, Torino), Francesco Lo
Cascio (Mir), Sara Ongaro (Cooperativa Quetzal, Modica), Rocco Altieri
(Quaderni Satyagraha, Pisa).
*
Per informazioni e adesioni: v.sanfi at virgilio.it

7. STRUMENTI. "AZIONE NONVIOLENTA" DI MARZO
[Dagli amici della redazione di "Azione nonviolenta" (per contatti:
an at nonviolenti.org) riceviamo e diffondiamo]

E' uscito il numero di marzo 2005 di "Azione nonviolenta" rivista del
Movimento Nonviolento, fondata da Aldo Capitini nel 1964; mensile di
formazione, informazione e dibattito sulle tematiche della nonviolenza in
Italia e nel mondo.
In copertina: Le radici d'Europa che possono dare frutti di pace; Intervenga
l'Onu per portare pace in Uganda; L'infinita apertura dell'anima in Aldo
Capitini
In questo numero: Verita' e giustizia per le vittime della guerra (di Carlo
Gubitosa e Alessandro Marescotti); Assolti: una vittoria di tutti (di Mao
Valpiana); Sulla questione delle origini cristiane dell'Europa (di Maria
Buizza); La Costituzione europea come scelta di pace (di Paolo Bergamaschi);
Capacita' di identificarer la violenza (di Andrea Cozzo); Una guerra che
dura da 18 anni. Campagna "Pace in Uganda" (di Pierangelo Monti); L'infinita
apertura dell'anima in Aldo Capitini (di Pietro Pinna).
Le rubriche: Educazione: L'arte di ascoltare, per un sano conflitto;
Lilliput: Vogliamo la "decrescita". Decalogo per resistere; Economia:
Olimpiadi di Torino 2006: No a Finmeccanica; Per esempio:: La lettera di
Clara mette in crisi il comando nucleare; Cinema: Il prete che toglieva i
ragazzini alla mafia; Musica: Con la riforma scolastica la musica e'
finita...; Libri: Gli occhiali per vedere verita', giustizia, compassione;
Caro Direttore, le scrivo per dire che...; Appello dall'India per la
Biblioteca gandhiana.
In ultima: Materiale disponibile.
*
Per contatti: redazione, direzione, amministrazione, via Spagna 8, 37123
Verona, tel. 0458009803 (da lunedi' a venerdi': ore  9-13 e 15-19), fax:
0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org
Per abbonarsi ad "Azione nonviolenta" inviare 29 euro sul ccp n. 10250363
intestato ad "Azione nonviolenta", via Spagna 8, 37123 Verona. E' possibile
chiedere una copia omaggio, inviando una mail a: an at nonviolenti.org,
scrivendo nell'oggetto "copia di 'Azione nonviolenta'".

8. PROFILI. DONATELLA DI CESARE: LA VENA ANARCHICA DI JACOB TAUBES
[Dal quotidiano "Il manifesto" dell'11 marzo 2005.
Donatella Di Cesare, gia' allieva di Gadamer, docente di filosofia del
linguaggio, e' acuta studiosa della riflessione filosofica contemporanea;
dal sito www.donadice.com riportamo la seguente notizia: "Donatella Di
Cesare si e' laureata in Filosofia nel 1979 all'Universita' La Sapienza di
Roma. Ha proseguito gli studi all'Universita' di Tubinga dove ha conseguito
il dottorato con Eugenio Coseriu nel 1982. Dal 1985 e' stata ricercatrice di
filosofia del linguaggio all'Universita' La Sapienza di Roma. Nel 1996 ha
ottenuto la borsa di studio Alexander von Humboldt presso Hans-Georg Gadamer
all'Universita' di Heidelberg; in questa universita' ha compiuto ricerche
anche presso la Hochschule fuer Juedische Studien. Nel 1998 ha vinto il
concorso di professore associato, nel 2000 quello di professore ordinario.
Dal 2001 e' professore ordinario di filosofia del linguaggio alla facolta'
di filosofia dell'Universita' La Sapienza di Roma. E' membro della Societa'
italiana di filosofia del linguaggio, della Societa' italiana di studi sul
secolo XVIII, della Deutsche Hamann-Gesellschaft, della Academie du Midi,
della Associazione italo-tedesca di Villa Vigoni, dello International
Institut for Hermeneutics, della Heidegger-Gesellschaft, e' membro fondatore
della Walter-Benjamin Gesellschaft. Fa parte della redazione scientifica
dello Jahrbuch fuer philosophische Hermeneutik, dirige la rivista di
filosofia Eidos. Pubblicazioni di Donatella Di Cesare: segnaliamo i seguenti
volumi: Ermeneutica della finitezza, Guerini, Milano 2005; Wilhelm von
Humboldt y el estudio filosofico de las lenguas, Anthropos, Barcelona 1999;
Die Sprache in der Philosophie von Karl Jaspers, Francke Verlag
Tuebingen-Basel 1996; La semantica nella filosofia greca, Bulzoni, Roma
1980; ha inoltre curato i seguenti libri: Filosofia, esistenza,
comunicazione in Karl Jaspers, a cura di D. Di Cesare e G. Cantillo,
Loffredo, Napoli 2002; L'essere che puo' essere compreso, e' linguaggio.
Omaggio a Hans-Georg Gadamer, a cura di D. Di Cesare, Il Melangolo, Genova
2001; "Caro professor Heidegger...". Lettere da Marburgo 1922-1929, a cura
di D. Di Cesare, Il melangolo, Genova 2000; Wilhelm von Humboldt, La
diversita' delle lingue, a cura di Donatella Di Cesare, Laterza, Roma-Bari
1991, 2000. Wilhelm von Humboldt, Ueber die Verschiedenheit der Sprache,
hrsg. und mit einer Einleitung von Donatella Di Cesare, Paderborn, UTB,
1998; Eugenio Coseriu, Linguistica del testo. Introduzione all'ermeneutica
del senso, a cura di Donatella Di Cesare, Carocci, Roma 1997, 2000; Lexicon
grammaticorum, a cura di T. De Mauro e D. Di Cesare, Niemeyer, Tuebingen
1996; Torah e filosofia. Percorsi del pensiero ebraico, a cura di D. Di
Cesare e M. Morselli, La Giuntina, Firenze 1993; Karl Jaspers, Il
linguaggio. Sul tragico, a cura di Donatella Di Cesare, Guida, Napoli 1993;
Le vie di Babele, a cura di D. Di Cesare e S. Gensini, Marietti, Milano
1987; Iter babelicum. Studien zur Historiographie der Linguistik. 1600-1800,
a cura di D. Di Cesare e S. Gensini, Nodus Publikationen, Muenster 1990".
Jacob Taubes (1923-1987) rabbino di origine viennese, emigrato prima in
Svizzera, poi a New York, a Gerusalemme ed infine in Germania, in rapporti
di amicizia e dibattito con alcune delle figure piu' vive della cultura del
novecento (Gershom Scholem, Theodor W. Adorno, Karl Loewith, Leo Strauss),
e' una straordinaria personalita' di pensatore verso cui solo da pochi anni
nel nostro paese si sta rivolgendo una crescente attenzione. Tra le opere di
Jacob Taubes: In divergente accordo. Scritti su Carl Schmitt, Quodlibet,
Macerata 1996; Escatologia occidentale, Garzanti, Milano 1997;  La teologia
politica di San Paolo, Adelphi, Milano 1997; Il prezzo del messianismo,
Macerata, Quodlibet, 2000. Opere su Jacob Taubes: Elettra Stimilli, Jacob
Taubes, Morcelliana, Brescia]

"Il tempo incalza", perche' ha un termine, una fine. Quando al termine della
storia, il tempo "principe della morte" sara' sottomesso, fara' il suo
ingresso il tempo della fine. Sara' arrivato il Messia. L'impazienza
messianica, antico paradigma ebraico, nuovo paradigma della tarda
modernita', guida tutta la ricerca di Jacob Taubes, a cominciare dal suo
unico libro Escatologia occidentale (Garzanti, 1997), una ermeneutica della
storia narrata come un testo, a sua volta interpretato a partire dal testo
della Torah, della Bibbia ebraica.
Filosofo, teologo, esegeta, Taubes sfugge ad ogni classificazione; resta
pero' un rabbino, saldamente ancorato all'ebraismo ortodosso. Nella sua
apertura al cristianesimo cosi' come nei confronti estremi con Heidegger e
con Schmitt, il rabbino-filosofo mantiene il punto di vista ebraico. Ma e'
una questione che fornira' ancora molti spunti su cui riflettere. Anche di
qui la complessita' del suo pensiero, che solo da pochi anni ha suscitato
interesse in Germania prima, negli Stati Uniti, in Francia e in Italia poi.
Mancava tuttavia una monografia, che arriva ora con il libro di Elettra
Stimilli, Jacob Taubes. Sovranita' e tempo messianico (Morcelliana) a
ripercorrerne l'opera scegliendo di seguire i due filoni della filosofia
della storia e della teologia politica.
Quel che spinge Taubes a rintracciare nella storia dell'occidente l'idea
messianica e' l'esigenza di chi e' sopravvissuto all'ultima apocalisse, lo
sterminio degli ebrei. Reagire all'annientamento significa delineare un
processo escatologico che si svolge nella storia, ma e' anti-storico, dove
la Shoah diviene necessaria. Questa e' la sfida lanciata da Taubes dove e'
contenuta gia' la risposta che - come osserva Stimilli - promette un
compimento della teologia politica: il messianismo. Ma la questione si
amplia - e si ampliera' anche nel percorso di Taubes. Come pensare infatti
il messianismo ebraico post Christum, dopo la cristianita' e il suo
apparente risolversi in secolarizzazione?
*
Mentre riconduce la storia escatologica dell'occidente alle sue radici
ebraiche, Taubes riannoda con il filo del pensiero apocalittico ebraismo e
cristianesimo, pur tenendoli ben distinti. Ma con un gesto imprevisto e
inattuale legge il cristianesimo delle origini attraverso l'ebraismo. Per
Taubes, che si definisce dall'inizio un "apocalittico della rivoluzione", la
parola originaria e' la "estraneita'" che nel vocabolario gnostico rinvia
alla frattura tra uomo e mondo, Dio e mondo. Uomo e Dio sono cosi'
accomunati dalla loro estraniazione al mondo. La estraniazione si traduce
nell'erranza che segna il passaggio dalla natura alla storia, dal mondo
pagano al mondo ebraico-cristiano. E' nel popolo di Israele, "luogo storico
dell'apocalittica rivoluzionaria", che l'erranza si manifesta per la prima
volta assumendo quella forma teologico-politica che con un termine greco
viene detta teocrazia.
Il tema, toccato gia' nell'Escatologia, e' affrontato da Taubes soprattutto
negli ultimi anni a partire dal seminario intitolato Teologia politica come
problema ermeneutico. Usato per la prima volta da Flavio Giuseppe, quando
descrive la rivolta degli zeloti, dei gruppi di resistenza ebraica contro
l'Impero romano, il termine "teocrazia" viene rilanciato nella modernita' da
Spinoza. Fenomeno fondamentale della teologia politica, la teocrazia e'"´un
immediato dominio di Dio che esclude ogni forma di dominio dell'uomo
sull'uomo", fino al rifiuto di ogni guida politica. Viene cosi' alla luce la
vena anarchica del pensiero di Taubes.
Il patto di alleanza con Dio esclude ogni altro patto o vincolo terreno e fa
di Israele una comunita' politica senza autorita', una societa' che non si
costituisce attraverso uno stato. "La teocrazia si basa sull'animo
sostanzialmente anarchico di Israele". Qui Taubes segue un'antica linea
interpretativa che nel novecento passa per Gustav Landauer e Martin Buber.
Pone pero' l'accento sull'originaria estraneita' a se stesso del popolo
ebraico, stirpe nomade destinata a restare deterritorializzata - come
direbbe Deleuze - popolo "non-popolo" il cui diritto, a differenza del
diritto romano, vieta la proprieta' privata, "popolo senza spazio" e percio'
"popolo del tempo", il cui unico luogo e' il non-luogo del deserto in cui si
rivela "il Dio universale che guida la storia del mondo". Questo Dio
straniero ed escatologico e' un Dio sovversivo perche' "contesta il mondo in
se' e annuncia quello nuovo".
Il pericolo pero' della spinta sovversiva e rivoluzionaria e' quello di
affondare nel vuoto nulla oppure di differire il suo telos, il suo fine, nel
futuro. In breve: la spinta apocalittica rischia di mostrare solo la sua
tragicita' se privata dell'idea messianica. Soltanto se quest'ultima regge,
puo' delinearsi la "nuova alleanza" che e' il vero telos della rivoluzione.
*
Di qui l'interesse di Taubes per le prime comunita' cristiane che si
oppongono al potere imperiale e l'attenzione per le due figure capaci di
rivelare l'essenza dell'escatologia: Gesu' di Nazareth e soprattutto Paolo
di Tarso. Ma la lettura che Taubes fa di queste due figure e' una lettura
ebraica.
"Gesu' non va considerato come l'iniziatore di qualcosa di nuovo, ma come un
fenomeno dell'ondata apocalittica in Israele". Il suo annuncio del Regno va
inteso "secondo l'espressione ebraica": importante non e' che cosa il Regno
sia, ma il fatto che e' vicino, che anzi forse c'e' gia'. Anticipando quello
che sara' un importante filone di ricerca - va ricordato il libro di Jules
Isaac, Gesu' e Israele, curato da Marco Morselli (Marietti, 2001) - Taubes
guarda dunque al Cristo storico. Gesu' di Nazareth, ebreo, carpentiere
itinerante, del ramo impoverito della stirpe di David, chiede al popolo un
atto politico decisivo per il Regno di Dio seppure non violento: se tutta
l'ecumene e' sottomessa all'Impero, al popolo libero di Israele non resta
che l'esodo nel deserto. Ma la profezia di Cristo non e' adempiuta. La
delusione nelle comunita' ebraico-cristiane e' immensa. E' qui che entra in
scena Paolo, Saul di Tarso, per predicare che "nonostante il ritardo della
parusia il nuovo eone e' gia' cominciato". Cosi' mantiene la tensione
messianica tra il gia' e il non-ancora - tensione che va definitivamente
perduta con l'escatologia individuale di Agostino e il riconoscimento della
Chiesa come impero. Si comprende allora perche' la figura di Paolo assuma
per Taubes un significato particolare che si sviluppa e si precisa nella sua
riflessione fino al seminario di Heidelberg pubblicato postumo con il titolo
La teologia politica di San Paolo (Adelphi, 1997).
Mentre l'Imperium si espande ineluttabilmente, Paolo riesce a farsi carico
dell'estraneita' dal mondo delle masse spingendole a un "epocale
raccoglimento", condizione alternativa al potere imperiale. Allontanarsi
dall'Impero e' seguire il Messia. Contro la versione cattolica che fa di
Paolo un normalizzatore e soprattutto il fondatore di una nuova religione,
Taubes lo interpreta come un eversore, esponente radicale del messianismo
ebraico.
Ma e' questa interpretazione che produce lo scontro con Scholem, uno scontro
che investe il concetto stesso di messianismo. La questione si incentra
sulla Legge ebraica, sulla Halakhah. Per parte sua Taubes ribadisce la
validita' della Legge condivisibile da tutti nella "sobrieta' quotidiana
della giustizia" - e rilancia la sfida ebraica contro l'arbitrio dell'amore.
Paolo - e questo e' il punto - non ha inteso per nulla negare la Legge;
piuttosto ha voluto ripensare il rapporto tra Legge e fede. L'attualita' di
questo ripensamento per la politica e' stata sottolineata da Giorgio
Agamben: un sistema irrigidito che pretende di normare tutto e' il segno di
una perdita di senso della legge (Il tempo che resta. Un commento alla
Lettera ai Romani, Bollati Boringhieri, 2000). Scholem fraintende il gesto
antinomico di Paolo ricondotto a una crisi della tradizione; cosi' la
redenzione ebraica sarebbe un evento pubblico, quella cristiana un evento
spirituale. Deriva anche da qui il messianismo che Scholem propone: il
prezzo che il popolo ebraico ha dovuto pagare per l'idea messianica sarebbe
"una vita vissuta nel differimento", un rinvio dunque della venuta del
Messia - rinvio che tende a trattenere, a conservare, e che indebolisce
l'ebraismo. Percio' Taubes si affretta ad abbattere quella barriera
dell'interiorita' che Scholem ha eretto tra ebraismo e cristianesimo - ma
occorre dire che critiche in tal senso sono state mosse a Scholem anche dal
noto cabbalista Moshe Idel.
La "trasgressione" di Paolo non vuole essere una negazione, ma un compimento
della Legge perche' se il Messia e' venuto, la Legge e' compiuta. E' questa
la via di Damasco, l'eresia che l'ebraismo ovviamente non puo' seguire. Ma
e' un'eresia ebraica, come eresie ebraiche sono quelle di Gesu' di Nazareth
o di Shabbatai Zvi, il falso Messia dell'eta' moderna. Per Taubes non si
tratta tuttavia di riportare a casa un eretico, quanto piuttosto di giungere
attraverso Paolo e la sua "interiorizzazione" del messianismo a una
auto-comprensione piu' complessa dell'ebraismo post Christum.
*
"La Lettera ai Romani - scrive Taubes nel seminario di Heidelberg - e' una
teologia politica perche' e' una dichiarazione di guerra politica" contro
l'Impero. Quando la profezia viene meno, la speranza della redenzione
vacilla, la grandezza di Paolo sta nel fronteggiare interiormente la crisi e
di farne l'epicentro stesso della vita messianica.
Cio' che allontana Taubes da Scholem al tempo stesso lo avvicina al modo in
cui Benjamin intende la teologia, ossia come messianismo, pensando la
redenzione non nel futuro, ma in ogni istante in cui si raccoglie e si
riscatta anche il passato. "La comunita' messianica non e' priva di storia;
tutto il passato spinge verso un adesso; esiste in un permanente stato di
eccezione". Qui Taubes non esita a confrontarsi con Carl Schmitt - di cui
conosceva bene i trascorsi nazisti. Davvero sovrano - aveva detto Schmitt -
non e' chi definisce la norma, ma "chi decide sullo stato di eccezione". La
differenza tuttavia e' che per Schmitt teologia e politica si identificano e
il potere si autolegittima: nella sua interpretazione di Paolo la forza che
ritarda la venuta dell'anticristo e' l'Impero. Al contrario per Paolo
interpretato da Taubes la forza antimessianica e' l'Impero contestato nella
sua illegittimita'. Sovrano e' solo il Messia, perche' solo il Messia puo'
compiere la legge e percio' sospenderla. La teologia in Taubes non si
identifica per nulla con la politica; proprio il loro divergere puo'
accelerare "l'avvento del regno messianico".
Nel ripensare radicalmente teologia politica e filosofia della storia Taubes
sa dare risposte alle questioni urgenti della fine della sovranita' e della
fine della storia. E lo fa seguendo il punto di fuga dal pensiero
apocalittico che la tradizione ebraica ha sempre indicato: il messianismo.
*
Nota. Le tappe della vita
Jacob Taubes, nato a Vienna il 25 febbraio del 1923, fu discendente di una
antica dinastia di rabbini. Nel 1936 la nomina del padre Zvi Taubes a
rabbino-capo della comunita' ebraica di Zurigo consenti' alla famiglia di
sopravvivere alla Shoah. Taubes fu ordinato rabbino nel 1943. Studio' quindi
filosofia e storia all'Universita' di Zurigo dove consegui' il dottorato nel
1947 con una tesi sulla Escatologia occidentale. Ebbe inizio per lui una
brillante e movimentata carriera accademica. Nel 1948 fu invitato dal Jewish
Theological Seminary di New York. Decisivo fu l'incontro con Gershom Scholem
che, colpito dalla sua geniale originalita', lo invito' a lavorare con lui
all'Universita' ebraica di Gerusalemme. Taubes lo segui' e con la moglie
Susan Anima Feldman, che aveva sposato nel 1949, si trasferi' in Israele dal
1951 al 1953. Ma il rapporto con Scholem fu destinato presto a deteriorarsi.
Taubes fece ritorno negli Stati Uniti e, dopo aver lavorato in diverse
universita', nel 1956 fu nominato professore di Filosofia della religione
alla Columbia University di New York. La profonda affinita' che uni' Taubes
alla moglie Susan, con cui condivise gli studi, divento' con il tempo il
motivo della rottura del loro rapporto. Nel 1969, dopo aver pubblicato il
romanzo autobiografico Divorcing, Susan Taubes si uccise gettandosi in mare
aperto da un piroscafo. La vita di Taubes era stata segnata gia' dal
suicidio del padre a Gerusalemme nel 1966, che aveva gia' compromesso il suo
equilibro precario, tanto che fu costretto a numerosi ricoveri psichiatrici.
Malgrado il secondo matrimonio con Margherita von Brentano, la vita
sentimentale di Taubes fu attraversata da un turbinio di donne, percorsa da
passioni intense ma brevi, rapporti di amicizia e di lavoro profondi ma
conflittuali. Nel 1966 fu chiamato dalla Freie Universitaet di Berlino a
ricoprire la cattedra di Ebraistica e quella di Ermeneutica filosofica. Nel
1968 il suo Dipartimento di Ermeneutica divento' il cuore del movimento
studentesco di Rudi Dutschke. Gravemente malato, Taubes accetto' nel
febbraio del 1987 l'invito del Centro di studi della Comunita' evangelica di
Heidelberg a tenere un seminario sulla Lettera ai romani di Paolo, un
testamento del suo messianismo ebraico. Mori' qualche settimana dopo, il 21
marzo del 1987.

9. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

10. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, sudest at iol.it,
paolocand at inwind.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 871 del 17 marzo 2005

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