La nonviolenza e' in cammino. 854



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 854 del 28 febbraio 2005

Sommario di questo numero:
1. In digiuno per Giuliana
2. Per una bibliografia sulla Shoah (parte trentunesima)
3. Per una definizione del concetto di nonviolenza
4. Umberto Santino: Nonviolenza, mafia e antimafia (parte prima)
5. La "Carta" del Movimento Nonviolento
6. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. IN DIGIUNO PER GIULIANA
[Giuliana Sgrena, intellettuale e militante femminista e pacifista tra le
piu' prestigiose, e' tra le maggiori conoscitrici italiane dei paesi e delle
culture arabe e islamiche; autrice di vari testi di grande importanza (tra
cui: a cura di, La schiavitu' del velo, Manifestolibri, Roma 1995, 1999;
Kahina contro i califfi, Datanews, Roma 1997; Alla scuola dei taleban,
Manifestolibri, Roma 2002; Il fronte Iraq, Manifestolibri, Roma 2004); e'
stata inviata del "Manifesto" a Baghdad, sotto le bombe, durante la fase
piu' ferocemente stragista della guerra tuttora in corso. A Baghdad e' stata
rapita il 4 febbraio 2005. Dal sito del quotidiano "Il manifesto"
riprendiamo, con minime modifiche, la seguente scheda: "Nata a Masera, in
provincia di Verbania, il 20 dicembre del 1948, Giuliana ha studiato a
Milano. Nei primi anni '80 lavora a 'Pace e guerra', la rivista diretta da
Michelangelo Notarianni. Al 'Manifesto' dal 1988, ha sempre lavorato nella
redazione esteri: appassionata del mondo arabo, conosce bene il Corno
d'Africa, il Medioriente e il Maghreb. Ha raccontato la guerra in
Afghanistan, e poi le tappe del conflitto in Iraq: era a Baghdad durante i
bombardamenti (per questo e' tra le giornaliste nominate 'cavaliere del
lavoro'), e ci e' tornata piu' volte dopo, cercando prima di tutto di
raccontare la vita quotidiana degli iracheni e documentando con
professionalita' le violenze causate dall'occupazione di quel paese.
Continua ad affiancare al giornalismo un impegno anche politico: e' tra le
fondatrici del movimento per la pace negli anni '80: c'era anche lei a
parlare dal palco della prima manifestazione del movimento pacifista"]

Iniziera' martedi' un corale digiuno per la liberazione di Giuliana Sgrena e
di tutte le persone la cui vita e liberta' la guerra e il terrore e la
violenza minacciano.
Un digiuno: che e' di tutte le tecniche della nonviolenza quella estrema,
quella che piu' va alla radice, l'ultima, la decisiva. Un digiuno: che a
tutte e tutti ricorda di quale comune sostanza noi si sia fatti: come tutte
e tutti si sia esposti alla fame, al dolore, alla paura, alla morte. Un
digiuno: che tutte le grandi tradizioni di pensiero, religiose e
filosofiche, riconoscono come esperienza principe di illimpidimento, come
risposta a un appello ineludibile, come momento di un cammino di verita'.
Per contrastare la guerra e le stragi, per opporsi a tutti i terrori e a
tutte le violenze, con la forza della nonviolenza, con la responsabilita'
dinanzi al volto altrui, con la solidarieta' che l'intero genere umano deve
a ogni singolo essere umano.
Un digiuno: che possa essere anche per molte e molti occasione di un
incontro con la nonviolenza, di fuoriuscita da complicita' ed ambiguita'
scellerate, di riconoscimento di umanita'.
E consapevolezza, infine, che nessuna azione per la pace e la giustizia puo'
avere buon esito se non e' condotta con mezzi e spirito di pace e di
giustizia: nessuna azione per la pace serve a nulla, se non si fa la scelta
della nonviolenza. Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita', l'umanita'
di tutte e di tutti, l'umanita' di ciascuna e ciascuno.

2. MATERIALI. PER UNA BIBLIOGRAFIA SULLA SHOAH (PARTE TRENTUNESIMA)

LUIGI SALVATORELLI
Nato a Marsciano nel 1886 e deceduto a Roma nel 1974, giornalista, storico,
impegnato nella lotta antifascista. Opere di Luigi Salvatorelli: segnaliamo
particolarmente Nazionalfascismo, pubblicato dalla casa editrice Gobetti nel
1923, ristampato da Einaudi, Torino 1977; ed il classico Il pensiero
politico italiano dal 1700 al 1870, Einaudi, Torino 1935, piu' volte
ristampato.

GAETANO SALVEMINI
Illustre storico (1873-1957), meridionalista, oppositore intransigente del
fascismo, animatore di straordinarie esperienze di resistenza alla dittatura
e alla corruzione. Opere di Gaetano Salvemini: della vastissima opera di
Salvemini segnaliamo per un primo approccio almeno le classiche monografie
su Magnati e popolani nel Comune di Firenze dal 1280 al 1296 (1899), Mazzini
(1905), La rivoluzione francese (1906); i volumi di lotta politica e morale:
Il ministro della malavita (1910), La dittatura fascista in Italia (1927),
Il terrore fascista (1930), Mussolini diplomatico (1932); e almeno le
sapidissime Lettere dall'America 1944-1946, edite da Laterza, Bari 1967.

ENZO SANTARELLI
Storico, nato ad Ancona nel 1922, docente di storia contemporanea
all'Universita' di Urbino, ha preso parte alla Resistenza; e' scomparso nel
2004. Dal mensile "Aprile" riprendiamo il seguente ricordo scritto da Marco
Galeazzi: "Non ricordo in quale occasione ho conosciuto Enzo Santarelli,
forse una delle tante assemblee seguite alla svolta del Pci nel 1989. Ne
avevo letto le opere, dalla biografia di Nenni alla Storia del movimento e
del regime fascista sino alla bellissima Storia critica della Repubblica.
L'Italia dal 1945 al 1994, cogliendo nel suo itinerario intellettuale una
prova ulteriore del filo rosso che lega l'antifascismo liberale di Gobetti
al marxismo di Gramsci. E in effetti era cosi': l'esigenza di una riforma
intellettuale e morale degli italiani era il dato costante, vitale,
l'elemento etico denso di passione che si registrava non solo nei libri di
Enzo, ma anche nella sua vivacita' direi fisica, rimasta a lungo intatta
nonostante gli attacchi ripetuti del male. Nel ricordare un amico si rischia
di parlare di se' o di riflettersi inconsciamente in lui. Spero di non
farlo. Ma e' inevitabile - specie in una conoscenza della maturita' - che
emergano frammenti di memoria, tessere di un mosaico inevitabilmente
incompleto. Cosi', riaffiora nel ricordo la sua grande generosita' quando,
dopo aver letto e recensito un'antologia della rivista Scuola democratica
curata da Angela Nava, accetto' di presentarla in una scuola romana,
sostituendo all'ultimo momento un altro oratore. Un gesto che non so quanti
intellettuali paludati e narcisisti avrebbero compiuto al suo posto. Pur
restando uno storico e un militante, Santarelli non rinuncio' mai a sentirsi
insegnante, andando a parlare con gli studenti (memorabile un dibattito con
lui nel 1996, nell'Istituto tecnico di Ostia in cui insegnavo), ricevendo
continuamente allievi e ricercatori di cui leggeva i lavori e ai quali non
negava mai ne' consigli ne' amicizia. Eroica, straordinaria, e' stata la sua
attivita' anche negli ultimi tempi: sebbene gravemente indebolito sul piano
fisico dalla malattia, non smetteva di scrivere e di interpretare il
presente, col rovello costante di salvare il patrimonio etico e ideale
dell'antifascismo dalle insidie del 'vento di destra' (cosi' si intitola un
suo libro-intervista del 1994 che costitui' una delle prime riflessioni sul
berlusconismo e sulla scia di populismo e rozzo neoliberismo che tale
fenomeno ha instillato nell'Italia confusa degli anni Novanta). Nelle
telefonate e nelle visite - purtroppo sempre meno frequenti e piu' brevi -
che gli facevo mi stupivo di quanto fosse informato, lucido nell'analisi,
ancora pieno di quello spirito internazionalista che aveva profuso nei
libri, nell'esperienza della rivista 'LatinoAmerica', cosi' come nei viaggi,
che amava fare - assieme alla sua compagna Bruna Gobbi - con febbrile
curiosita'. E anche quando - quasi per caso - affioravano in lui elementi
autobiografici (come nel libro Mezzogiorno 1943-44. Uno sbandato nel Regno
del Sud, quasi un romanzo di formazione e - insieme - un fascio di luce su
una fase ancora largamente inesplorata della nostra storia recente) si
sentiva la sua disperazione per non poter piu' intervenire nel dibattito
politico-culturale, in un'Italia in cui le speranze di una riforma di
matrice gramsciana e gobettiana cedevano il passo al disincanto, dominante
nell'odierna generazione 'delle passioni tristi'. Santarelli e' un altro
amico e maestro che se ne va, come Gastone Manacorda, come Giuseppe
Petronio, lasciando a noi il compito - difficilissimo - di far durare, di
non disperdere la loro lezione". Tra le opere di Enzo Santarelli: La
rivoluzione femminile, Parma 1950; Il socialismo anarchico in Italia, Milano
1959; La revisione del marxismo in Italia, Milano 1964; Storia sociale del
mondo contemporaneo, Milano 1982; Storia critica della repubblica. L'Italia
dal 1945 al 1994, Milano 1996.

EUGENIO SARACINI
Opere di Eugenio Saracini: Breve storia degli ebrei e dell'antisemitismo,
Mondadori, Milano 1977, 1979.

MICHELE SARFATTI
Nato nel 1952 a Firenze, lavora presso il "Centro di documentazione ebraica
contemporanea" a Milano, e' membro della commissione governativa di indagine
su cosa e' accaduto ai beni degli ebrei in Italia durante la persecuzione.
Opere di Michele Sarfatti: Mussolini contro gli ebrei, Zamorani, 1944; Gli
ebrei nell'Italia fascista, Einaudi, Torino 2000; Le leggi antiebraiche
spiegate agli italiani di oggi, Einaudi, Torino 2002; La Shoah in Italia,
Einaudi, Torino 2005.

JEAN-PAUL SARTRE
Nato a Parigi nel 1905, scomparso nel 1980, filosofo, scrittore, simbolo
dell'intellettuale impegnato. Nel 1964 rifiuto' il Nobel per la letteratura.
Opere di Jean-Paul Sartre: dal punto di vita che qui piu' ci interessa
segnaliamo almeno: tra i testi filosofici L'essere e il nulla,
L'esistenzialismo e' un umanismo, Critica della ragion dialettica; tra i
testi letterari e drammaturgici: Le mani sporche; tra i testi critici e
politici: L'antisemitismo. Opere su Jean-Paul Sartre: per la biografia cfr.
Annie Cohen-Solal, Sartre, Il Saggiatore, Milano 1986; ovviamente si veda
anche la vasta opera memorialistica di Simone de Beauvoir; per
un'introduzione al pensiero filosofico cfr. Sergio Moravia, Introduzione a
Sartre, Laterza, Bari 1973; cfr. anche Ornella Pompeo Faracovi, Sartre. Una
battaglia politica; Sansoni, Firenze 1974.

GIOVANNI SARUBBI
Giovanni Sarubbi, amico della nonviolenza, promotore del dialogo
interreligioso, giornalista, saggista, editore, dirige l'eccellente rivista
e sito de "Il dialogo" (www.ildialogo.org).

JERRY SCHATZBERG
Regista cinematografico. Tra le opere di Jerry Schatzberg, L'amico
ritrovato, Francia-Germania-Gran Bretagna 1989.

MORITZ SCHLICK
Fisico e filosofo, nato a Berlino nel 1882, docente universitario, promotore
del Circolo di Vienna, fu assassinato da uno studente nazista all'entrata
dell'universita' a Vienna nel 1936. Opere di Moritz Schlick: Teoria generale
della conoscenza (1918), Angeli, Milano 1986; Tra realismo e neopositivismo
(1924), Il Mulino, Bologna 1983; Problemi di etica (1930), Patron, Bologna
1970; Sul fondamento della conoscenza (1934), La scuola, Brescia 1978.

VOLKER SCHLOENDORFF
Regista cinematografico tedesco, nato nel 1939. Aiuto regista di Luis Malle
in Zazie dans le metro; di Alain Resnais in L'anno scorso a Marienbad; di
Jean-Pierre Melville in Leon Morin prete; autore di film di rigoroso impegno
politico. Opere di Volker Schloendorff: Il caso Katharina Blum, 1975;
Germania in autunno, 1978; Il tamburo di latta, 1979; Un amore di Swann,
1984; Morte di un commesso viaggiatore, 1985; Tutti colpevoli, 1987; Il
raconto dell'ancella, 1990; Voyager. Passioni violente, 1991; The Ogre.
L'orco, 1996; Palmetto. Un torbido inganno, 1998. Opere su Volker
Schloendorff: Alberto Cattini, Volker Schloendorff, Il Castoro Cinema.

3. MATERIALI. PER UNA DEFINIZIONE DEL CONCETTO DI NONVIOLENZA
[Dal n. 507 del 14 febbraio 2003 di questo notiziario riproduciamo ancora
una volta il seguente testo]

Una premessa terminologica
Scriviamo la parola "nonviolenza" tutta attaccata, come ci ha insegnato
Capìtini, per distinguerla dalla locuzione "non violenza"; la locuzione "non
violenza" significa semplicemente non fare la violenza; la parola
"nonviolenza" significa combattere contro la violenza, nel modo piu' limpido
e piu' intransigente.
Chiamiamo le persone che si accostano alla nonviolenza "amici della
nonviolenza" e non "nonviolenti", perche' nessuno puo' dire di essere
"nonviolento", siamo tutti impastati di bene e di male, di luci e di ombre,
e' amica della nonviolenza la persona che rigorosamente opponendosi alla
violenza cerca di muovere verso altre piu' alte contraddizioni, verso altri
piu' umani conflitti, con l'intento di umanizzare l'agire, di riconoscere
l'umanita' di tutti.
Con la parola "nonviolenza" traduciamo ed unifichiamo due distinti e
intrecciati concetti gandhiani: "ahimsa" e "satyagraha". Sono due parole
densissime che hanno un campo semantico vastissimo ed implicano una
concettualizzazione ricca e preziosa.
Poiche' qui stiamo cercando di esprimerci sinteticamente diciamo che ahimsa
designa l'opposizione alla violenza, e' il contrario della violenza, ovvero
la lotta contro la violenza; ma e' anche la conquista dell'armonia, il fermo
ristare, consistere nel vero e nel giusto; e' il non nuocere agli altri (ne'
con atti ne' con omissioni), e quindi innocenza, l'in-nocenza nel senso
forte dell'etimo. Ahimsa infatti si compone del prefisso "a" privativo, che
nega quanto segue, e il tema "himsa" che potremmo tradurre con "violenza",
ma anche con "sforzo", "squilibrio", "frattura", "rottura dell'armonia",
"scissura dell'unita'"; in quanto opposizione alla lacerazione di cio' che
deve restare unito, l'ahimsa e' dunque anche ricomposizione della comunita',
riconciliazione.
Satyagraha e' termine ancora piu' denso e complesso: tradotto solitamente
con la locuzione "forza della verita'" puo' esser tradotto altrettanto
correttamente in molti altri modi: accostamento all'essere (o all'Essere, se
si preferisce), fedelta' al vero e quindi al buono e al giusto, contatto con
l'eterno (ovvero con cio' che non muta, che vale sempre), adesione al bene,
amore come forza coesiva, ed in altri modi ancora: e' bella la definizione
della nonviolenza che da' Martin Luther King, che e' anche un'eccellente
traduzione di satyagraha: "la forza dell'amore"; ed e' bella la definizione
di Albert Schweitzer: "rispetto per la vita", che e' anch'essa un'ottima
traduzione di satyagraha. Anche satyagraha e' una parola composta: da un
primo elemento, "satya", che e' a sua volta derivato dalla decisiva
parola-radice "sat", e da "agraha". "Agraha" potremmo tradurla contatto,
adesione, forza che unisce, armonia che da' saldezza, vicinanza; e' la forza
nel senso del detto "l'unione fa la forza", e' la "forza di attrazione"
(cioe' l'amore); e' cio' che unisce in contrapposizione a cio' che disgrega
ed annichilisce. "Satya" viene tradotto per solito con "verita'", ed e'
traduzione corretta, ma con uguale correttezza si potrebbe tradurre in modi
molto diversi, poiche' satya e' sostantivazione qualificativa desunta da
sat, che designa l'essere, il sommo bene, che e' quindi anche sommo vero,
che e' anche (per chi aderisce a fedi religiose) l'Essere, Dio. Come si vede
siamo in presenza di un concetto il cui campo di significati e' vastissimo.
Con la sola parola nonviolenza traduciamo insieme, e quindi unifichiamo,
ahimsa e satyagraha. Ognun vede come si tratti di un concetto di una
complessita' straordinaria, tutto l'opposto delle interpretazioni
banalizzanti e caricaturali correnti sulle bocche e nelle menti di chi
presume di tutto sapere solo perche' nulla desidera capire.
*
Ma cosa e' questa nonviolenza? lotta come umanizzazione
La nonviolenza e' lotta come amore, ovvero conflitto, suscitamento e
gestione del conflitto, inteso sempre come comunicazione, dialogo, processo
di riconoscimento di umanita'. La nonviolenza e' lotta o non e' nulla; essa
vive solo nel suo incessante contrapporsi alla violenza.
Ed insieme e' quella specifica, peculiare forma di lotta che vuole non solo
vincere, ma con-vincere, vincere insieme (Vinoba conio' il motto, stupendo,
"vittoria al mondo"; un motto dei militanti afroamericani dice all'incirca
lo stesso: "potere al popolo"); la nonviolenza e' quella specifica forma di
lotta il cui fine e' il riconoscimento di umanita' di tutti gli esseri
umani: e' lotta di liberazione che include tra i soggetti da liberare gli
stessi oppressori contro il cui agire si solleva a combattere.
Essa e' dunque eminentemente responsabilita': rispondere all'appello
dell'altro, del volto muto e sofferente dell'altro. E' la responsabilita' di
ognuno per l'umanita' intera e per il mondo.
Ed essendo responsabilita' e' anche sempre nonmenzogna: amore della verita'
come amore per l'altra persona la cui dignita' di essere senziente e
pensante, quindi capace di comprendere, non deve essere violata (e mentire
e' violare la dignita' altrui in cio' che tutti abbiamo di piu' caro: la
nostra capacita' di capire).
Non e' dunque una ideologia ma un appello, non un dogma ma una prassi.
Ed essendo una prassi, ovvero un agire concreto e processuale, si da' sempre
in situazioni e dinamiche dialettiche e contestuali, e giammai in astratto.
Non esiste una nonviolenza meramente teorica, poiche' la teoria nonviolenta
e' sempre e solo la riflessione e l'autocoscienza della nonviolenza come
prassi. La nonviolenza o e' in cammino, vale da dire lotta nel suo farsi, o
semplicemente non e'.
Esistono tante visioni e interpretazioni della nonviolenza quanti sono i
movimenti storici e le singole persone che si accostano ad essa e che ad
essa accostandosi la fanno vivere, poiche' la nonviolenza vive solo nel
conflitto e quindi nelle concrete esperienze e riflessioni delle donne e
degli uomini in lotta per l'umanita'.
*
Tante visioni della nonviolenza quente sono le persone che ad essa si
accostano
Ogni persona che alla nonviolenza si accosta da' alla sua tradizione un
apporto originale, un contributo creativo, un inveramento nuovo e ulteriore,
e cosi' ogni amica e ogni amico della nonviolenza ne da' una interpretazione
propria e diversa dalle altre. Lo sapeva bene anche Mohandas Gandhi che
defini' le sue esperienze come semplici "esperimenti con la verita'", non
dogmi, non procedure definite e routinarie, non ricette preconfezionate, ma
esperimenti: ricerca ed apertura.
*
La nonviolenza come insieme di insiemi
Io che scrivo queste righe propendo per proporre questa definizione della
nonviolenza cosi' come a me pare di intenderla e praticarla: la nonviolenza
e' cosa complessa, un insieme di insiemi, aperto e inconcluso.
1. E' un insieme di concetti e scelte logico-assiologici, ovvero di criteri
per l'azione: da questo punto di vista ad esempio la nonviolenza e'
quell'insieme di scelte morali che potremmo condensare nella formula del
"principio responsabilita'" in cui ha un ruolo cruciale la scelta della
coerenza tra i mezzi e i fini (secondo la celebre metafora gandhiana: tra i
mezzi e i fini vi e' lo stesso rapporto che c'e' tra il seme e la pianta).
2. E' un insieme di tecniche interpretative (il riconoscimento dell'altro,
ergo il rifiuto del totalitarismo, della cancellazione o della sopraffazione
del diverso da se'), deliberative (per prendere le decisioni senza escludere
alcuno) ed operative (per l'azione di trasformazione delle relazioni:
interpersonali, sociali, politiche); come esempio di tecnica deliberativa
nonviolenta potremmo citare il metodo del consenso; come esempio di tecniche
operative potremmo citare dallo sciopero a centinaia di altre forme di lotta
cui ogni giorno qualcuna se ne aggiunge per la creativita' di chi contro la
violenza ovunque si batte.
3. E' un insieme di strategie: e ad esempio una di esse risorse strategiche
consiste nell'interpretazione del potere come sempre retto da due pilastri:
la forza e il consenso; dal che deriva che si puo' sempre negare il consenso
e cosi', attraverso la noncollaborazione, contrastare anche il potere piu'
forte.
4. E' un insieme di progettualita' (di convivenza, sociali, politiche):
significativo ad esempio e' il concetto capitiniano di "omnicrazia", ovvero:
il potere di tutti. La nonviolenza come potere di tutti, concetto di una
ricchezza e complessita' straordinarie, dalle decisive conseguenze sul
nostro agire.
*
Un'insistenza
Insistiamo su questo concetto della nonviolenza come insieme di insiemi,
poiche' spesso molti equivoci nascono proprio da una visione riduzionista e
stereotipata; ad esempio, e' certo sempre buona cosa fare uso di tecniche
nonviolente anziche' di tecniche violente, ma il mero uso di tecniche
nonviolente non basta a qualificare come nonviolenta un'azione o una
proposta: anche i nazisti prima della presa del potere fecero uso anche di
tecniche nonviolente.
Un insieme di insiemi, complesso ed aperto.
Un agire concreto e sperimentale e non un'ideologia sistematica e astratta.
Un portare ed agire il conflitto come prassi di umanizzazione, di
riconoscimento e liberazione dell'umanita' di tutti gli esseri umani; come
responsabilita' verso tutte le creature.
La nonviolenza e' in cammino. La nonviolenza e' questo cammino. Il cammino
vieppiu' autocosciente dell'umanita' sofferente in lotta per il
riconoscimento di tutti i diritti umani a tutti gli esseri umani.
*
Una grande esperienza e speranza storica
Non patrimonio di pochi, la nonviolenza si e' incarnata in grandi esperienze
e speranze storiche, due sopra tutte: la Resistenza, e il movimento delle
donne; ed e' il movimento delle donne, la prassi nonviolenta del movimento
delle donne, la decisiva soggettivita'  autocosciente portatrice di speranza
e futuro qui e adesso, in un mondo sempre piu' minacciato dalla catastrofe e
dall'annichilimento della civilta' umana.

4. RIFLESSIONE. UMBERTO SANTINO: NONVIOLENZA, MAFIA E ANTIMAFIA (PARTE
PRIMA)
[Dal sito del Centro Siciliano di Documentazione "Giuseppe Impastato" (per
contatti: via Villa Sperlinga 15, 90144 Palermo, tel. 0916259789, fax:
091348997, e-mail: csdgi at tin.it, sito: www.centroimpastato.it) riprendiamo
questo recente testo di Umberto Santino. Umberto Santino ha fondato e dirige
il Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato" di Palermo. Da
decenni e' uno dei militanti democratici piu' impegnati contro la mafia ed i
suoi complici. E' uno dei massimi studiosi a livello internazionale di
questioni concernenti i poteri criminali, i mercati illegali, i rapporti tra
economia, politica e criminalita'. Il Centro siciliano di documentazione
"Giuseppe Impastato" e' un istituto di ricerca tra i piu' accreditati in
campo internazionale, particolarmente specializzato su mafia e poteri
criminali; operante dal 1977, e' stato successivamente intitolato a Giuseppe
Impastato, militante della nuova sinistra assassinato dalla mafia nel 1978;
una sintetica ma esauriente scheda di autopresentazione, di quattro pagine,
e' richiedibile presso il Centro Impastato. Tra le opere di Umberto Santino:
(a cura di), L'antimafia difficile,  Centro siciliano di documentazione
"Giuseppe Impastato", Palermo 1989; Giorgio Chinnici, Umberto Santino, La
violenza programmata. Omicidi e guerre di mafia a Palermo dagli anni '60 ad
oggi, Franco Angeli, Milano 1989; Umberto Santino, Giovanni La Fiura,
L'impresa mafiosa. Dall'Italia agli Stati Uniti, Franco Angeli, Milano 1990;
Giorgio Chinnici, Umberto Santino, Giovanni La Fiura, Ugo Adragna, Gabbie
vuote. Processi per omicidio a Palermo dal 1983 al maxiprocesso, Franco
Angeli, Milano 1992 (seconda edizione); Umberto Santino e Giovanni La Fiura,
Dietro la droga. Economie di sopravvivenza, imprese criminali, azioni di
guerra, progetti di sviluppo, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1993; La
borghesia mafiosa, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato",
Palermo 1994; La mafia come soggetto politico, Centro siciliano di
documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1994; Casa Europa. Contro le
mafie, per l'ambiente, per lo sviluppo, Centro siciliano di documentazione
"Giuseppe Impastato", Palermo 1994; La mafia interpretata. Dilemmi,
stereotipi, paradigmi, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli 1995; Sicilia
102. Caduti nella lotta contro la mafia e per la democrazia dal 1893 al
1994, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1995;
La democrazia bloccata. La strage di Portella della Ginestra e
l'emarginazione delle sinistre, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli 1997;
Oltre la legalita'. Appunti per un programma di lavoro in terra di mafie,
Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1997;
L'alleanza e il compromesso. Mafia e politica dai tempi di Lima e Andreotti
ai giorni nostri, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli 1997; Storia del
movimento antimafia, Editori Riuniti, Roma 2000; La cosa e il nome.
Materiali per lo studio dei fenomeni premafiosi, Rubbettino, Soveria
Mannelli 2000. Scritti su Umberto Santino: Peppe Sini, Una rassegna
bibliografica di alcuni lavori di Umberto Santino. La borghesia mafiosa tra
violenza programmata, "doppio Stato" e capitalismo finanziario, Centro di
ricerca per la pace, Viterbo 1998, 2003]

Premessa
In questo scritto cerchero' di rispondere, alla luce di riflessioni piu' o
meno recenti, alle seguenti domande:
1) cos'e' la nonviolenza? Una visione del mondo animata da una fede nella
divinita' o nell'uomo o un metodo di risoluzione dei conflitti? Parleremo di
nonviolenza volontaria e strutturale: che significano?
2) Cos'e' stata e cos'e' la mafia? Una delle tante forme storiche e attuali
di criminalita' organizzata, o qualcosa di piu' complesso da analizzare con
un approccio pluri o trans-disciplinare? E qual e' stato e qual e' il
contributo della nonviolenza alla conoscenza del fenomeno mafioso?
3) Cosa e' stata e cos'e' l'antimafia? Quale e' stato il ruolo delle
istituzioni, delle organizzazioni politiche e sindacali, della societa'
civile nella lotta contro la mafia? Come ha contribuito e puo' contribuire
la nonviolenza a una lotta adeguata ed efficace contro la mafia?
Per rispondere a tali domande rifaremo insieme un cammino intrapreso da
qualche anno con la costituzione del gruppo-laboratorio "Percorsi
nonviolenti per il superamento del sistema mafioso", costituitosi nel corso
del 2003.
*
Il gruppo ha preso le mosse da un saggio di Vincenzo Sanfilippo di cui
vorrei richiamare le linee fondamentali (1).
Ad avviso dell'autore la nonviolenza sarebbe contemporaneamente ricerca
della Verita' e metodo di risoluzione dei conflitti (2). Per quanto riguarda
la mafia Sanfilippo condivide e approfondisce l'approccio sistemico,
richiamando le riflessioni di chi scrive e di Fabio Armao (3) e parla di
"sistema sociale mafioso": le organizzazioni mafiose conformano l'intera
societa' meridionale, essendo la mafia un modello diffuso di relazioni tra
le parti della societa'. Ci troviamo di fronte a un modello sistemico a
centralita' mafiosa, con al centro l'organizzazione Cosa nostra, attorno a
cui ruotano quattro aree di contiguita': area della cultura della
socializzazione, area politico-amministrativa, area delle attivita'
economiche produttive (veri e propri sotto-sistemi sociali) e area delle
contiguita' affettiva e familiare (che farebbe da tramite tra le varie aree
e darebbe forza alle relazioni tra organizzazione mafiosa e sottosistema
culturale).
Non esiste un centro assoluto del sistema sociale: "la centralita' va
determinata in relazione alla rilevanza attribuita dal ricercatore alla
funzione assolta da ciascuna parte del sistema" (4). Nella prospettiva
proposta dall'autore la centralita' va definita in base alle sue
potenzialita' trasformative. Generalmente si indica il sottosistema
politico-amministrativo come decisivo per il cambiamento sociale; invece il
luogo principe della riproduzione sociale sarebbe costituito dal
sottosistema culturale. Su questo terreno Cosa nostra sarebbe stata sfidata
poche volte e vengono ricordate le esperienze conclusesi nel sangue di
Giuseppe Impastato e di don Pino Puglisi.
Cosa nostra in quanto associazione segreta non e' osservabile direttamente e
le definizioni scientifiche saranno sempre in ritardo rispetto alla realta'.
Intervenire sulle aree di contiguita' e sui sottosistemi sociali puo' essere
utile per contribuire alla conoscenza del fenomeno organizzativo e puo'
individuare le postazioni per avviare le prassi trasformative. La fine di
Cosa nostra non significherebbe necessariamente la fine del sistema sociale
mafioso, per cui e' indispensabile, se si vuole operare un mutamento,
adottare un'ottica di sistema.
Finora la mafia e' stata osservata come altro da chi osserva; nell'ottica
nonviolenta l'osservatore fa parte di un unico sistema che comprende
l'oggetto-soggetto da conoscere. Vengono richiamate alcune riflessioni di
Giovanni Falcone: la mafia non e' una piovra o un cancro, ma ci rassomiglia.
Bisogna capire perche' buona parte della popolazione fa propria una lettura
del mondo che perpetua il sistema sociale mafioso. Il consenso sociale a un
sistema diventa cosi' centrale, come pure la coscienza della possibilita'
del cambiamento, che dovrebbe animare una pedagogia nonviolenta, capace di
raggiungere l'altro.
Gli studi di alcuni psicologi hanno analizzato le modalita' di pensiero in
contesti di mafia, che originerebbe dall'insicurezza ("pensare mafioso") e
Sanfilippo propone di assumere queste riflessioni contemporaneamente alla
mia definizione di mafia: "Mafia e' un insieme di organizzazioni criminali,
di cui la piu' importante ma non l'unica e' Cosa Nostra, che agiscono
all'interno di un vasto e ramificato contesto relazionale, configurando un
sistema di violenza e di illegalita' finalizzato all'accumulazione del
capitale e all'acquisizione e gestione di posizioni di potere, che si avvale
di un codice culturale e gode di un certo consenso sociale" (5).
L'approccio culturalista, come quello economicista e quello criminologico si
pongono in maniera univoca e si escludono reciprocamente; bisogna dare voce
a tutte le metodologie che sfidano la separatezza del mondo criminale dal
nostro mondo e che si pongono nella sfera della comprensione oltre che della
spiegazione. "Azione istituzionale, conoscenza, etica, prassi per il
cambiamento sociale sono ambiti che... non possono ignorarsi a vicenda" (6).
Va adottato un paradigma della complessita' che l'autore deriva da chi
scrive e da Edgar Morin, che avrebbe introdotto una vera e propria
rivoluzione scientifica, fondata sulla relazione tra oggetti e soggetto
conoscente, radicato in una cultura, una societa' e in una storia. Piu' che
uno schema onnicomprensivo, e' necessario adottare contemporaneamente piu'
paradigmi: la realta' e' un prisma a piu' facce e abbiamo bisogno di piu'
angoli visuali.
Il metodo nonviolento si fonda sulla ricerca del conflitto e sulla
costruzione di un'alternativa praticabile in piccola scala. Il conflitto e'
il luogo principe in cui si esprime la natura positiva dell'uomo e la
fondamentale unita' del genere umano. Nel conflitto non ci sono due parti ma
in realta' ce n'e' una sola. Esso e' il disturbo di una relazione di un
unico organismo. Vanno ricercati i conflitti latenti o manifesti operanti
dentro il sistema sociale mafioso e vengono individuate alcune situazioni
conflittuali (per esempio, estorti/estorsori - tentativi di costruzione di
nuova imprenditoria/dissuasione da parte del racket e della burocrazia
locale; pentiti/familiari - mafiosi pentiti e non pentiti; la dissociazione
di familiari di mafiosi/mafiosi/organizzazione mafiosa; parenti di
vittime/mafiosi/forze dello Stato; funzionari dello Stato (onesti/collusi/
politici mafiosi) su cui e' possibile operare in un'ottica di
riconciliazione. Ottica che andrebbe oltre quella della educazione alla
legalita': l'educazione al rispetto delle leggi e dello Stato va
accompagnata con quella dell'obiezione alle leggi ingiuste e da sola
l'educazione alla legalita' non permette di raggiungere tutti i soggetti
inseriti nel sistema mafioso. Bisogna riferirsi alla legalita' o a valori
come la giustizia, la solidarieta', l'onore, la famiglia (spesso considerati
come determinanti della cultura mafiosa)? Si puo' pensare a luoghi intermedi
tra famiglia e Stato per ricostruire identita' individuali e di gruppo e a
percorsi di fuoriuscita dalla cultura mafiosa che possano essere compresi e
sperimentati dai vari soggetti coinvolti e che possano diventare esemplari
per chi aderisce o e' contiguo alla mafia? Se Rita Atria, morta suicida per
disperazione dopo l'assassinio di Borsellino e della sua scorta, avesse
avuto un sostegno di un gruppo o di comunita', avrebbe deciso ugualmente di
porre fine ai suoi giorni?
*
Sulla base del saggio di Sanfilippo si e' costituito un gruppo-laboratorio
che ha redatto un documento programmatico (7) che ha fatto propria
l'indicazione di Aldo Capitini: si tratta non di cancellare e stravolgere le
forme storiche di impegno antimafia ma di aggiungere una visione
particolare, capace di anticipare una societa' liberata.
Vengono richiamate alcune linee-guida per un'analisi sistemica del fenomeno
mafioso e vengono indicate, sotto forma di domanda, alcune piste per un
cammino possibile: in quali modi puo' intervenire la societa' civile e quale
rapporto puo' avere con le istituzioni? Quali possono essere le aree su cui
sperimentare processi di riconciliazione? Venivano individuati alcuni temi
su cui svolgere un approfondimento scientifico: mafia e processi
strutturali, metodologia nonviolenta e criminalita'.
Successivamente Andrea Cozzo e Simona Rampulla sollecitavano la discussione
su alcune proposte operative a livello sociale, istituzionale ed educativo:
azioni di protesta pubblica sul problema del pizzo, applicabilita' della
giustizia rigenerativa e presenza sul territorio di forze dell'ordine
nonviolente, diffusione di una cultura della responsabilita' (8).
In seguito Andrea Cozzo, riprendendo le riflessioni di un suo libro
recentemente pubblicato, richiamava l'attenzione su due temi: la mediazione
tra attore mafioso e vittima, l'applicazione al fenomeno mafioso e
all'azione antimafia dei principi e degli strumenti della Difesa popolare
nonviolenta (9).
In un saggio in corso di pubblicazione Sanfilippo ha riproposto e
approfondito i temi trattati nel primo saggio (10). Ne indico i punti che mi
sembrano piu' significativi. Tutti i processi di conoscenza hanno un nucleo
indimostrabile, meta-fisico. La nonviolenza e' una teoria-prassi che si
sperimenta nella storia. Cosi' la "credenza" della nonviolenza nell'unita'
del genere umano fa i conti con la capacita' di annientamento dell'uomo da
parte dell'uomo. La nonviolenza come teoria e prassi per la risoluzione dei
conflitti sociali e' stata efficacemente sperimentata in parecchie
occasioni, anche in presenza di un forte tasso di violenza distruttiva,
mente l'uso della violenza legittima ha dato spesso prove di insufficienza e
inefficacia. Riguardo alla mafia, la repressione si e' rivelata
insufficiente e incapace di durata, e cio' rimanda al carattere sistemico
del fenomeno mafioso.
Si obietta che nel caso della mafia ci troviamo di fronte a un avversario
invisibile, ma cio' non impedisce l'uso del metodo nonviolento che dovrebbe
dare alla violenza uno sbocco evolutivo, mirante a interrompere l'escalation
della violenza, a riconoscere gli autori della violenza non solo come
carnefici ma anche come vittime essi stessi, identificare noi stessi come
non totalmente innocenti.
Si prospetta un mutamento radicale del ruolo della societa' civile, che
dovrebbe meno identificarsi nella richiesta di repressione, cercando di
capire il perche' della mafia, e si richiamano le riflessioni di Weber sulla
comprensione dei fenomeni sociali. Cio' non significa sospendere le
attivita' repressive che costituiscono un sottosistema che dovrebbe
interagire con le sfide di altri sottosistemi.
Finora la nonviolenza non ha riflettuto adeguatamente sul concetto di
crimine, anche se in Gandhi e in Capitini troviamo indicazioni significative
sul ruolo della polizia anche in uno Stato nonviolento. E' applicabile al
fenomeno mafioso la giustizia rigenerativa o riparativa, pratica d'elezione
della visione nonviolenta? Mentre la giustizia retributiva, cioe' la pratica
giudiziaria corrente, si fonda sulla triade legge-reato-pena, quella
rigenerativa si fonda sul rapporto valori-danno-riparazione, richiamandosi
all'unita' del genere umano, intendendo ogni danno a un singolo individuo
come un danno inferto alla collettivita' (chi colpisce un altro uomo fa male
anche a se stesso), mirando a una riparazione del danno che coinvolga
autori, vittime e terze parti in un'ottica di riconciliazione. Essa non
sostituisce ma si affianca alla giustizia retributiva.
L'osservazione che la giustizia rigenerativa si riferisce a situazioni di
danno rimediabile e a reati individuali e non associativi e' legata a una
rappresentazione sociale della giustizia ancorata a un'idea di pena come
punizione, che dovrebbe tutelare la sicurezza dei cittadini, avere un
effetto deterrente per i potenziali criminali, esercitare una funzione
rieducativa e appagare le vittime.
Viene richiamata l'esperienza della Commissione per la verita' e la
riconciliazione sudafricana, che ha chiamato gli autori di omicidi e di
torture ad ammettere i loro crimini, condizione necessaria per ottenere
l'amnistia. Si puo' applicare tale esperienza alle realta' di mafia,
coinvolgendo per esempio i pentiti, facendoli incontrare con i familiari
delle vittime, generando nuove occasioni relazionali, come appelli ai
mafiosi non pentiti, ai politici e agli imprenditori collusi?
La mafia ha radici strutturali, legate al modello di sviluppo, e gia' in
Gandhi ci sono indicazioni utili sul "programma costruttivo" (in India,
economia e amministrazioni decentrare a livello di villaggio), che non
possono essere applicate letteralmente ma ci invitano a ripensare il modello
di sviluppo occidentale.
Dopo le stragi di Capaci e di via D'Amelio c'e' stata una grande
mobilitazione, frutto dell'emozione suscitata da quegli eventi; dopo si e'
cercato di introdurre in un movimento in flessione dosi di razionalita', ma
emotivita' e razionalita' debbono essere legate insieme e procedere di pari
passo.
Dire che i mafiosi debbono essere considerati avversari e non nemici
significa andare incontro a forti obiezioni che si richiamano al pericolo di
legittimazione dei mafiosi dando loro la parola. Ma eventi quotidiani come
quelli che si succedono sulla scena dei quartieri napoletani, dimostrano che
ci sono mentalita' e comportamenti diffusi di avversione per le forze
dell'ordine, il che dimostra che bisogna inventare nuove strategie. Se
vogliamo venirne a capo, dobbiamo comprendere le ragioni della mafia e le
ragioni dei mafiosi.
*
Riflessioni e esperienze precedenti: Danilo Dolci
Le riflessioni di Sanfilippo hanno dei precedenti risalenti nel tempo e
recenti. Fino ad oggi l'esperienza piu' significativa condotta in terra di
mafia e' quella di Danilo Dolci (11).
Personaggio complesso: obiettore di coscienza e promotore di obiezioni,
operatore sociale (piu' che sociologo, ma raccoglie documentazione e
promuove e utilizza studi che sono il meglio della produzione sociologica di
quegli anni), educatore, poeta, agitatore, capopopolo, organizzatore (piu'
medico che missionario, ha scritto Bobbio). Personalita' forte, carismatica,
con cui non era facile collaborare, per quello che risulta da piu' d'una
testimonianza.
Le mie esperienze personali non sono ne' molte ne' esaltanti. Negli anni
'50, quando digiunava a cortile Cascino e quando veniva processato al
Palazzo di giustizia di Palermo, non ho avuto nessun rapporto con lui:
pesava la diffidenza che era comune a tutti i cattolici (ero allora in
Azione cattolica). Nel 1963 l'ho visitato a Partinico, assieme a un amico
che lo conosceva, per fargli leggere i primi frutti delle nostre produzioni
letterarie, ma non si e' stabilito un rapporto; nel 1990, abbiamo avuto una
telefonata tempestosa: volevo invitarlo a discutere di un libro su Palermo
(La citta' spugna, di Amelia Crisantino, pubblicato dal Centro Impastato)
che dedicava molte pagine alla sua Inchiesta su Palermo. Nel libro c'erano
molti apprezzamenti, ma pura qualche critica, che non gli e' piaciuta. Nei
primi anni '80 Dolci non ha messo piede a Comiso, forse perche' anche i
nonviolenti presenti nelle mobilitazioni di quegli anni non facevano piu'
riferimento a lui.
Dolci viene in Sicilia nel 1952 quando sono finite le lotte contadine ed e'
cominciata l'emigrazione. Trova una Sicilia-terzo mondo, corte dei miracoli.
Il suo scopo: conoscere la realta' dal di dentro, attraverso il racconto
autobiografico e le ricerche operative: scoprire le cose come stanno per
risolverle subito (Banditi a Partitico, p. 250).
La ricerca e' funzionale, anzi fa tutt'uno con il progetto di
educazione-trasformazione. L'attivita' si svolge secondo un ciclo: "La vera
antimafia e' una nuova ricerca-documentazione-azione-organizzazione" (Verso
un mondo nuovo, p. 283). Come si vede, si tratta di una rifondazione
dell'impegno sociale.
Non si puo' chiedere a Dolci un'analisi vera e propria della mafia, condotta
rispettando canoni e protocolli disciplinari, ma nelle pagine dei suoi libri
si trovano documenti che sono diventati dei classici, come gli autoritratti
di capimafia (Giuseppe Genco Russo), di politici legati alla mafia (Calogero
Volpe), testimonianze di familiari e di compagni di caduti nella lotta
contro la mafia (il padre e i compagni di Placido Rizzotto, su Calogero
Cangelosi), documentazione su delitti di mafia rimasti impuniti (Rizzotto e
Accursio Miraglia) e sui rapporti tra mafia e politica (ancora su Volpe e
soprattutto su Bernardo Mattarella), inchieste su Palermo e su varie realta'
della Sicilia che allora furono un pugno nello stomaco e ancor oggi
risultano illuminanti. Interessanti e pionieristici anche i riferimenti a
gruppi di tipo mafioso operanti in altri Paesi.
La mafia risulta non solo come fenomeno criminale ma soprattutto come
fenomeno sociale (il "gruppo clientelare-mafioso") legato a un contesto
fatto di violenza, soprusi, complicita' a livello politico-istituzionale,
miseria e ignoranza.
In questo quadro Dolci e i suoi collaboratori, che per un certo periodo
furono in gran numero (tra cui Franco Alasia, Lorenzo Barbera, Alberto
L'Abate, Goffredo Fofi, Carlo Doglio, Ernesto Treccani, Antonino Uccello,
Vera Pegna, Johan Galtung), con l'appoggio continuo ed entusiasta di grandi
intellettuali (tra cui Norberto Bobbio, Piero Calamandrei, Aldo Capitini,
Carlo Levi, Guido Calogero, Elio Vittorini, Giulio Einaudi, Ignazio Silone,
Raniero Panzieri, Cesare Zavattini, Bertrand Russel, Aldous Huxley) e di
organizzazioni e singole persone a lui collegate attraverso gli "Amici di
Danilo Dolci", opera in modo originale, fuori dagli schemi di partito e
sindacato, dando vita a un ciclo integrato.
Fino ad oggi Dolci rappresenta l'esempio piu' significativo di questo lavoro
complesso, svolto continuativamente per lunghi anni, in base a una strategia
capace di coniugare educazione, attraverso l'autoanalisi, conoscenza (con
inchieste, seminari, convegni), progetto di trasformazione del territorio
(pianificazione dal basso, studiando da vicino e utilizzando le esperienze
di pianificazione internazionali), azioni di lotta tradizionali e nuove:
manifestazioni, marce, scritte murali, con inchiostri che hanno resistito
per decenni, digiuni, scioperi alla rovescia, riprendendo azioni che erano
state del movimento contadino, comunicazione, con la pubblicazione di libri,
tradotti in varie lingue, con un'intensa attivita' internazionale, con la
radio dei poveri cristi. Ha ottenuto grandi risultati, come la costruzione
di una serie di strutture (da Borgo di Dio a Trappeto alla scuola di Mirto)
e la diga sullo Jato. Ha suscitato grandi solidarieta' e grandi avversioni,
a cominciare da quella del cardinale Ruffini, che in una lettera pastorale
del 1964 indicava nella mafia, nel romanzo Il Gattopardo e in Danilo Dolci i
"fattori che maggiormente hanno contribuito" a "disonorare la Sicilia" (12):
una linea di chiara marca sicilianista, nonostante le origini mantovane del
cardinale, in piena continuita' con le reazioni all'inchiesta di Franchetti
e Sonnino del 1876, al processo per il delitto Notarbartolo nei primi del
Novecento e alle recenti esternazioni del cosiddetto governatore della
Sicilia Toto' Cuffaro per un servizio televisivo sulla mafia, ancora una
volta bollato come denigrazione della Sicilia.
C'e' da chiedersi come questa esperienza a un certo punto sia entrata in
crisi: hanno influito l'eccessivo peso del leader carismatico, i contrasti
con i principali collaboratori, la dedizione assoluta che non regge per
lungo tempo, cos'altro? (13).
Negli ultimi anni Dolci si era soprattutto dedicato all'impegno per
un'educazione alla mondialita', un tema che meriterebbe un apposito
approfondimento.
*
Note
1. Cfr. V. Sanfilippo, Il contributo della nonviolenza al superamento del
sistema mafioso, in "Quaderni Satyagraha", n. 3, giugno 2003, pp. 195-215
[riprodotto anche ne "La nonviolenza e' in cammino" n. 674]. Si veda anche:
V. Sanfilippo, La nonviolenza e la mafia, in "Mosaico di pace", a. XV, n. 3,
marzo 2004, pp. 35-37.
2. Ibid., p. 195. Sanfilippo propone due definizioni del termine nonviolenza
: "modo di risolvere i conflitti, guidato da una fede in Dio e/o nell'uomo,
attraverso il richiamo costante della coscienza propria e dell'avversario";
"Percorso verso la Verita', che parte dal presupposto che gli uomini siano
uniti da legami profondi (...), e che pertanto considera i conflitti come
disarmonie transitorie che l'uomo ha il dovere etico di superare".
3. Cfr. F. Armao, Il sistema mafia. Dall'economia-mondo al dominio locale,
Bollati Boringhieri, Torino 2000.
4. V. Sanfilippo, op. cit., p. 203.
5. U. Santino, La mafia interpretata. Dilemmi, stereotipi, paradigmi,
Rubbettino, Soveria Mannelli 1995, p. 129.
6. V. Sanfilippo, op. cit., p. 211.
7. Il testo del documento dal titolo Percorsi nonviolenti per il superamento
del sistema mafioso sul sito del Centro Impastato: www.centroimpastato.it.
Sul sito si trovano anche il saggio di Sanfilippo e un intervento di Augusto
Cavadi. Si veda anche: G. Abbagnato, Mafia: e la nonviolenza?, in "Mosaico
di pace", A. XV, n. 8, settembre 2004, pp. 28-29.
8 Cfr. A. Cozzo, S. Rampulla, Per una relazione al convegno di primavera,
dattiloscritto.
9. Cfr. A. Cozzo, Elementi per un approccio nonviolento al superamento del
sistema mafioso, dattiloscritto. Il libro dello stesso autore e'
Conflittualita' nonviolenta. Filosofia e pratiche di lotta comunicativa,
Mimesis, Milano 2004.
10. Cfr. V. Sanfilippo, La nonviolenza alle prese con la mafia,
dattiloscritto.
11. Della vasta produzione di Dolci segnaliamo: Banditi a Partinico,
Laterza, Bari 1955; Inchiesta a Palermo, Einaudi, Torino 1957; Spreco,
Einaudi, Torino 1960; Conversazioni, Einaudi, Torino 1962; Racconti
siciliani, Einaudi, Torino 1963; Verso un mondo nuovo, Einaudi, Torino 1965;
Chi gioca solo, Einaudi, Torino 1966; Inventare il futuro, Laterza, Bari
1968; Il limone lunare. Poema per la radio dei poveri cristi, Laterza, Bari
1970; Non sentite l'odore del fumo?, Laterza, Bari 1971; Chissa' se i pesci
piangono, Einaudi, Torino 1973; Esperienze e riflessioni, Laterza, Bari
1974; Il dio delle zecche, Mondadori, Milano 1976; Creatura di creature.
Poesie 1949-1978, Feltrinelli, Milano 1979.
12. Cfr. U. Santino, Storia del movimento antimafia, Editori Riuniti, Roma
2000, p. 229.
13. Per informazioni sull'attivita' dei continuatori dell'attivita' di Dolci
si puo' consultare il sito www.danilodolci.net, del Centro per lo sviluppo
creativo "Danilo Dolci", operante a Partinico.
(Parte prima. Continua)

5. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

6. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, sudest at iol.it,
paolocand at inwind.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 854 del 28 febbraio 2005

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