La nonviolenza e' in cammino. 812



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 812 del 17 gennaio 2005

Sommario di questo numero:
1. Maria Grazia Giannichedda ricorda Franca Ongaro Basaglia
2. Bruno Segre: Per non dimenticare la Shoah (parte settima)
3. La "Carta" del Movimento Nonviolento
4. Per saperne di piu'

1. MAESTRE. MARIA GRAZIA GIANNICHEDDA RICORDA FRANCA ONGARO BASAGLIA
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 15 gennaio 2005.
Maria Grazia Giannichedda, illustre sociologa, e' stata una delle principali
collaboratrici di Franco e Franca Basaglia, la cui lotta per una psichiatria
democratica e per la dignita' umana di tutti gli esseri umani tuttora
prosegue.
Per alcuni dati biografici e bibliografici sull'indimenticabile Franca
Ongaro Basaglia si veda la notizia in calce a questo intervento]

Con la morte di Franca Ongaro Basaglia, giovedi' a Venezia, se ne va una
figura di riferimento di tutte le battaglie civili e culturali che hanno
investito l'istituzione psichiatrica, cercando un nuovo senso comune su
follia e ragione, salute e malattia, eguaglianza e diversita', diritti e
bisogni.
*
Se la societa' italiana degli anni '60 ha cominciato a girare lo sguardo
verso le centomila persone recluse nei manicomi, se la democrazia italiana
ha potuto guardarsi e giudicarsi a partire dalla condizione dei malati di
mente e di quanti patiscono forme analoghe di esclusione e discriminazione,
se il processo di costruzione della cittadinanza ha potuto avanzare nel
nostro paese mediante il principio che un trattamento sanitario non puo'
sospendere ne' offendere diritti e dignita' delle persone, tutto questo lo
si deve in modo speciale all'impulso di un gruppo di intellettuali, e di
Franca Ongaro Basaglia tra questi, che hanno cominciato a pensare, studiare,
fare ricerca in modo nuovo e diverso rispetto alla cultura scientifica
dominante.
Intellettuali che si sono anche assunti la responsabilita' di mettere alla
prova dei fatti, cioe' della pratica sociale e dell'azione politica, le
proprie scoperte e le ipotesi che andavano formulando.
Quel gruppo iniziale ha poi "fatto scuola" e ha stimolato, nel rapporto con
i movimenti degli anni '70, la crescita di generazioni di intellettuali e di
operatori che hanno proseguito il lavoro di ricerca e di innovazione
sociale, di culture professionali, di un nuovo diverso senso comune su
follia e ragione, salute e malattia, eguaglianza e diversita', diritti e
bisogni, e infine anche di un modo diverso di concepire il rapporto tra il
lavorare, il vivere e il fare politica.
*
Ripensando oggi a tutto questo attraverso la vita di Franca Ongaro
Basaglia - il piccolo gruppo di Gorizia, il composito movimento che scosse
le istituzioni psichiatriche in tutta Europa e che in Italia provoco' la
riforma del 1978, la "legge 180", gli anni difficili in cui la riforma
psichiatrica nonostante tutto prendeva corpo e si radicava - si ha la
sensazione di una estrema lontananza e di una straordinaria attualita'.
Quel tempo in cui la distruzione del manicomio era parte della lotta per
rendere piu' sostanziale la democrazia e piu' reali i principi della
Costituzione puo' sembrare infatti lontanissimo, oggi che la politica
dominante pensa che la Costituzione sia un arnese obsoleto e che la
democrazia sia un rito fatto di deleghe e plebiscito. Ma se guardiamo a
Cos'e' la psichiatria (1967), sentiamo semmai profetiche le analisi sui
processi di "psichiatrizzazione della vita" promossi dalle multinazionali
del farmaco, cosi' come i Crimini di pace (1975) di oggi ripropongono il
problema degli "intellettuali e dei tecnici come addetti all'oppressione", e
carichi quindi di una responsabilita' politica che persone come Franca
Ongaro Basaglia ci hanno insegnato a riconoscere e agire.
*
Nelle prime pagine di un libro per ragazzi, Manicomio, perche'? (1982),
Franca Basaglia descrive le sue prime visite nell'ospedale psichiatrico di
Gorizia, dove era arrivata nel 1962, giovane moglie di uno psichiatra colto
e inquieto, Franco Basaglia, che dopo tredici anni passati in clinica
universitaria a Padova coltivando un eccentrico e impopolare orientamento
fenomenologico, aveva fatto la scelta rischiosa, e anche un po' polemica, di
andare a lavorare nel manicomio pubblico di una piccola citta' di periferia.
Quell'incontro con la realta' estrema del manicomio dirotto' la vita di
Franca Basaglia non lasciando piu' spazio alla vocazione letteraria che
anche tra gli impegni della famiglia aveva continuato a coltivare. Aveva
scritto infatti il testo di una bella edizione dell'Odissea, Le avventure di
Ulisse, con i disegni e i colori dell'amico Hugo Pratt, uscita a puntate sul
"Corriere dei Piccoli", per il quale aveva scritto anche alcune favole e una
riduzione del romanzo di Louise May Alcott, Piccole donne.
Le immagini con cui Franca Basaglia ricorda il suo impatto col manicomio
mostrano grande dimestichezza con i meccanismi istituzionali e grande
abilita' nel cogliere i giochi di potere, e decodificarli, attraverso i
dettagli e i riti della quotidianita', attraverso il linguaggio dei corpi,
degli oggetti, degli spazi. Questa particolare "cultura dell'istituzione"
era in un certo senso causa ed effetto del rapporto con la cultura
anglosassone della "Community Therapy".
Tra l'altro, Franca Basaglia era stata nel 1963 a Digleton, in Scozia, da
Maxwell Jones, dove aveva potuto osservare da vicino quel primo esperimento
di comunita' terapeutica.
Quasi subito pero' il gruppo di Gorizia aveva preso le distanze
dall'esperienza anglosassone, esplicitamente lo fece in un testo che usci'
nel 1967, con un titolo coraggioso e diretto: Che cos'e' la psichiatria? In
quel volume collettivo, che nella prima edizione portava in copertina un
autoritratto di Hugo Pratt in divisa da internato, destinato a diventare una
sorta di logo del movimento anti-istituzionale, Franca Basaglia commentava,
ma per meglio dire spiegava a uso degli psichiatri, il saggio "La carriera
morale del malato di mente" del sociologo americano Erving Goffman, in
realta' un capitolo del suo piu' vasto lavoro Asylums, che Franca Basaglia
stava traducendo per la prima volta in Italia e che usci' nel '68, seguito
nel '71, dalla traduzione del Comportamento in pubblico. Questi lavori su
Goffman fanno parte di un impegno di lavoro che in quegli anni tra il '66 e
il '70 comincio' a diventare vorticoso.
Franca Basaglia partecipo' al lavoro di Gorizia e contribui' a quel testo
straordinario che e' L'istituzione negata. Rapporto da un ospedale
psichiatrico (1968), libro ancora oggi coinvolgente perche' in quelle pagine
le parole hanno la potenza delle cose che accadono, di una trasformazione
che le parole descrivono e producono.
*
L'istituzione negata riusci' a conquistare, su un argomento cosi'
specialistico e fino ad allora marginale, un pubblico vasto e variegato,
anche se probabilmente all'epoca fu piu' amato che capito. La denuncia di
quelle che venivano definite "le istituzioni della violenza" e la scelta di
negare con l'istituzione manicomiale il ruolo oppressivo e il potere che
essa offriva, non ponevano in prospettiva relazioni finalmente liberate,
luoghi compattamente "anti", rivoluzioni risolutive. Nel suo contributo
intitolato "Rovesciamento istituzionale e finalita' comune", Franca Basaglia
anticipava temi che le furono sempre cari e su cui avrebbe lavorato negli
anni successivi: "Mettere in questione i ruoli istituzionali induce una
problematizzazione della situazione, una messa in crisi generale e
individuale insieme" nella quale si oscilla continuamente "tra il bisogno di
un'autorita' che elimini o diminuisca l'ansia prodotta dalla dimensione in
cui l'intera istituzione tende a muoversi, la responsabilizzazione, e il
bisogno di conquistare una liberta' che pero' passa inevitabilmente
attraverso la conquista della propria responsabilita'. Questo vale per i
malati e vale per i medici". La prospettiva non poteva (e non puo') essere
"una semplice democratizzazione di rapporti, che rischierebbe di riproporre
i ruoli e di simulare una fine della diversita'", ma una continua ricerca
che "non presume di risolvere i conflitti ma di affrontarli a un altro
livello".
*
Il conflitto come necessita', la diversita' come ricchezza: in questa ottica
Franca Basaglia avrebbe cominciato a lavorare anche su quella che avrebbe
costituito una trama della sua vita: il rapporto tra uomini e donne.
L'inizio, come lei racconta nel libro Una voce, era stato emblematico: aveva
scritto nel '67 un articolo "un po' sfasato rispetto alla politicita' del
momento, sulle difficolta' del rapporto privato uomo-donna". L'articolo
venne pubblicato su "Che fare?", una rivista importante degli intellettuali
critici milanesi con cui il gruppo goriziano collaborava; ma la redazione si
dissocio' con un titolo inequivocabile: Confessione sbagliata.
Per alcuni anni Franca Basaglia non scrisse piu' sulla questione femminile,
certamente a causa del grande impegno che le richiedevano i temi della
psichiatria e nel movimento crescente: Psichiatria Democratica esordi' nel
'74, nel frattempo c'erano state le dimissioni drammatiche da Gorizia per i
dissensi con l'amministrazione democristiana, la breve e difficile parentesi
di Parma, dove Basaglia era stato chiamato da un'amministrazione di sinistra
che, nonostante le mediazioni dell'assessore Mario Tommasini, entusiasta e
amico, non aveva retto l'impatto con un lavoro di deistituzionalizzazione il
cui stile era troppo "giacobino" per i comunisti emiliani. E c'era poi stato
l'avvio dell'esperienza di Trieste, dove Franco Basaglia avrebbe lavorato
fino al `79.
In quegli anni, la grande casa di Venezia dei Basaglia era continuamente
attraversata dalle persone e dalle occasioni piu' diverse: i figli Enrico e
Alberta crescevano tra discussioni fino a notte e riunioni nei fine
settimana, sempre intense, a volte conflittuali, spesso allegre, con poca
distinzione tra vita privata e pubblica, tra compagni di lavoro e amici di
tutte le eta'. Franca Basaglia era un punto di riferimento fondamentale di
tutto questo progettare e realizzare, con un suo stile insieme aristocratico
e affettuoso, anticonformista e accogliente.
*
Anche il suo rapporto con il marito era attraversato dalle trasformazioni
sociali che loro stessi stavano trainando. Nel 1980, quando Franco Basaglia
era morto da poco, lei scrisse in un breve testo che fa parte di Una voce:
"ora che la mia lunga lotta con e contro l'uomo che ho amato si e' conclusa,
so che ogni parola scritta in questi anni era una discussione senza fine con
lui, per far capire, per farmi capire. Talvolta era un dialogo. Talvolta
l'interlocutore svaniva, e io restavo sola, sotto il peso di una verita' che
si riduce a un'arida resa dei conti con il bilancio in pareggio, se l'altro
non la fa anche sua".
Nel '77 Franca Basaglia riprese a scrivere sulle donne, e tra i suoi molti
lavori si dedico' alla introduzione di un libro che avrebbe segnato un
momento importante della battaglia culturale nel nostro paese, Un processo
per stupro (Einaudi, 1979), resoconto di un processo che si era svolto a
Latina nel 1978 e che, registrato e mandato in onda, aveva mostrato il gioco
del dibattimento che trasforma la vittima in imputata, con le madri a
difendere i figli stupratori e quella che Franca Basaglia defini'
"l'atmosfera da caserma" che avvolge il tribunale in una complicita' tutta
maschile.
Poi, nel 1983, accetto' la candidatura al Senato, dove avrebbe lavorato per
due legislature, sino al 1992, nel gruppo della sinistra indipendente,
occupandosi di temi diversi (trapianti, bisogni e consumi sanitari,
tossicodipendenze, carcere, violenza sessuale) ma ricoprendo, com'era
logico, un ruolo leader nella battaglia parlamentare per l'applicazione
della legge di riforma psichiatrica. Il suo impegno, e certamente il suo
successo principale, sta nel disegno di legge di attuazione della 180, che
presento' per la prima volta nel 1987 con le firme di tutto il gruppo
parlamentare della sinistra indipendente, costruito e discusso - a lungo,
con pazienza, nei dettagli - con due interlocutori sociali: da un lato il
vasto e diversificato mondo degli operatori psichiatrici "riformisti",
ovvero quei gruppi e associazioni che, con diversi accenti e da diverse
provenienze, erano convinti che l'impasse e i drammi della psichiatria
italiana non fossero causati dalla riforma ma al contrario dalla sua non
applicazione; e dall'altro lato i gruppi di familiari che stavano sorgendo
numerosi, soprattutto donne, che l'assenza di servizi di salute mentale
consegnava, come in altri campi, al ruolo di servizio socio-sanitario
gratuito e non riconosciuto.
I buoni argomenti di questo disegno di legge sono stati le pratiche di
realizzazione della riforma che nonostante tutto in Italia si
moltiplicavano, basate su risorse, intelligenze e volonta' politiche locali.
Cosi', quella che familiarmente si chiamava "la 180 bis" non divento'
legge - cosa che del resto non si voleva affatto - ma riusci' a conseguire
l'obiettivo per cui era nata, quello di stimolare provvedimenti di
programmazione dei servizi di salute mentale a livello nazionale e
regionale.
Il primo Progetto Obiettivo Salute Mentale (1989) arrivo' due anni dopo il
disegno di legge di Franca Basaglia e in gran parte lo ricalco', e da quella
data si moltiplicarono i piani regionali, fino al provvedimento di
definitiva chiusura dei manicomi approvato nel 1994 e infine al Progetto
Obiettivo allegato al Piano Sanitario Nazionale approvato lo scorso anno, a
piu' di vent'anni dalla riforma sanitaria.
Oggi, accanto ai tentativi finora vani di cancellare la legge 180, vediamo
come si cerca di eliminarla nei fatti. Anche questa fase Franca Basaglia
l'ha vissuta e affrontata, continuando a sostenere quelle esperienze, grandi
e piccole, in Italia ma non solo, che continuano a produrre senso -
istituzioni, servizi, culture: segni, questi, del fatto che e' realistico,
oltre che necessario, realizzare quell'altro mondo possibile che persone
come Franca Basaglia hanno cominciato a indicare.
*
Notizia biobibliografica: Dalle avventure per i bambini alla rivoluzione
nelle istituzioni
I suoi primi lavori Franca Ongaro li aveva dedicati ai bambini: Le avventure
di Ulisse illustrate da Hugo Pratt, e una riduzione del romanzo Piccole
donne di Louise May Alcott uscirono sul "Corriere dei Piccoli" tra il '59 e
il '63.
In quegli stessi anni i suoi interessi si indirizzarono verso il lavoro
nell'ospedale psichiatrico di Gorizia, con il gruppo che si stava
raccogliendo attorno a suo marito Franco Basaglia, con il quale - nella
seconda meta' degli anni '60 - scrisse diversi saggi cui contribuirono altri
componenti del gruppo goriziano. Due suoi testi - "Commento a Ervin Goffman,
La carriera morale del malato di mente" e "Rovesciamento istituzionale e
finalita' comune" - fanno parte dei primi libri che documentano e analizzano
il lavoro di apertura dell'ospedale psichiatrico di Gorizia, Che cos'e' la
psichiatria (1967) e L'istituzione negata (1968).
E' sua la prima traduzione italiana dei testi di Erving Goffman Asylums e Il
comportamento in pubblico, pubblicati da Einaudi rispettivamente nel 1969 e
nel 1971. Introdusse anche il lavoro di Gregorio Bermann La salute mentale
in Cina (1972).
Dagli anni `70 Franca Ongaro fu coautrice di gran parte dei principali testi
di Franco Basaglia, da Morire di classe (1969) a La maggioranza deviante
(1971), Crimini di pace (1975), fino al saggio "Condotte perturbate. Le
funzioni delle relazioni sociali", commissionato da Jean Piaget per la
Encyclopedie de la Pleiade e uscito nel 1987.
Nel 1981 e `82 curo' per Einaudi la pubblicazione dei due volumi degli
Scritti di Franco Basaglia.
Franca Ongaro e' stata anche autrice di volumi e saggi di carattere
filosofico e sociologico sulla medicina moderna e le istituzioni sanitarie,
sulla bioetica, sulla condizione della donna, sulle pratiche di
trasformazione delle istituzioni totali. Tra i suoi testi principali, i
volumi Salute/malattia. Le parole della medicina (Einaudi, 1979), raccolta
dei lemmi di sociologia della medicina scritti per la Enciclopedia Einaudi;
Una voce. Riflessioni sulla donna (Il Saggiatore, 1982) che include la voce
Donna della Enciclopedia Einaudi; Manicomio perche'? Emme Edizioni 1982;
Vita e carriera di Mario Tommasini burocrate scomodo, Editori Riuniti, 1987.
Tra i saggi, Eutanasia, in Le nuove frontiere del diritto, "Democrazia e
Diritto", n. 4-5, Roma 1988; Epidemiologia dell'istituzione psichiatria. Sul
pensiero di Giulio Maccacaro (Medicina Democratica, 1997); Eutanasia.
Liberta' di scelta e limiti del consenso in R. Dameno e M. Verga (a cura
di), Finzioni e utopie. Diritto e diritti nella societa' contemporanea,
(Guerrini, 2001).
Dall'84 al '91 e' stata, per due legislature, senatrice della sinistra
indipendente. Nel luglio 2000 ha ricevuto il premio Ives Pelicier della
International Academy of Law and Mental Health, e nell'aprile 2001
l'universita' di Sassari le ha conferito la laurea honoris causa in scienze
politiche.

2. MEMORIA. BRUNO SEGRE: PER NON DIMENTICARE LA SHOAH (PARTE SETTIMA)
[Ringraziamo di cuore Bruno Segre (per contatti: bsegre at yahoo.it) per averci
permesso di riprodurre sul nostro foglio ampi stralci dal suo utilissimo
libro Shoah, Il Saggiatore, Milano 2003, la cui lettura vivamente
raccomandiamo. Riportando alcuni passi di esso abbiamo omesso tutte le note,
ricchissime di informazioni e preziose di riflessioni, per le quali
ovviamente rinviamo chi legge al testo integrale edito a stampa. Bruno
Segre, storico e saggista, e' nato a Lucerna nel 1930, si e' occupato di
sociologia della cooperazione e di educazione degli adulti nell'ambito del
Movimento Comunita' fondato da Adriano Olivetti; ha fatto parte del
Consiglio del "Centro di documentazione ebraica contemporanea" di Milano;
dal 1991 presiede l'Associazione italiana "Amici di Neve' Shalom / Wahat
al-Salam"; dirige la prestigiosa rivista di vita e cultura ebraica "Keshet"
(e-mail: segreteria at keshet.it, sito: www.keshet.it). Tra le opere di Bruno
Segre: Gli Ebrei in Italia, Giuntina, Firenze 2001; Shoah, Il Saggiatore,
Milano 1998, 2003]

Verso la "soluzione finale"
La cosiddetta "operazione Barbarossa", cioe' l'invasione dell'Unione
Sovietica avviata il 22 giugno 1941, apre il capitolo piu' brutale
dell'impegno nazista teso ad assicurare alla Germania il suo "Lebensraum"
("spazio vitale"). Le forze che varcano il confine tra il Reich
nazionalsocialista e le province polacche occupate dai sovietici
costituiscono la piu' potente armata che sia stata mai messa assieme in
Europa: circa quattro milioni di uomini, 3.300 carri armati, 5.000 aerei.
Con tutta evidenza, la mobilitazione di una macchina da guerra di simili
dimensioni non sarebbe possibile se l'intero apparato produttivo tedesco, e
in particolare i grandi colossi dell'industria, non aderissero in pieno agli
orientamenti espansionistici della dirigenza nazista: orientamenti che
promettono loro i frutti di una gigantesca "battuta di caccia" nelle risorse
di manodopera e di materie prime presenti in un territorio che, nei
deliranti progetti di Hitler, dovrebbe estendersi dall'Atlantico alle
foreste della Siberia. Ma la mera indicazione delle spinte e dei
condizionamenti economici non sembra sufficiente a spiegare il carattere e
l'andamento dell'aggressione tedesca all'Urss. E benche' sia difficile
tenere separate le necessita' economiche e strategico-militari dai postulati
politico-ideologici del regime, e' indubbio che soltanto l'odio ideologico
per il "bolscevismo ebraico", che i nazisti hanno per anni inculcato nel
popolo tedesco, spiega il carattere spaventosamente feroce della "guerra di
annientamento" condotta a oriente per tre anni e mezzo.
"I russi non sono esseri umani ma un conglomerato di animali" osserva
Goebbels nel suo diario. Dei 5 milioni di soldati sovietici fatti
prigionieri lungo tutto il corso della guerra, circa 2 milioni moriranno in
prigionia e un milione sparira' senza lasciare tracce. Ma gia' nel Mein
Kampf Hitler assimila lo slavo, razza inferiore, all'ebreo, razza maledetta,
e al comunista, che sarebbe l'espressione suprema dello spirito semitico,
l'ultimo "tentativo dell'ebraismo del XX secolo per estendere il suo dominio
sul mondo".
Combattere contro l'Unione Sovietica significa dunque, insieme, affermare il
diritto di una razza superiore a dominare la "sottoumanita'" degenerata e
abbattere i fondamenti stessi del potere giudaico, incarnati nel movimento
comunista mondiale: "La razza nordica ha il diritto di dirigere il mondo
(...). Per questo non potremo mai ammettere una cooperazione con la Russia
che e' un corpo di bestia tartara sormontato da una testa d'ebreo".
Genocidio per gli ebrei, abbrutimento e servitu' perpetua per i popoli
vinti: questo e' "l'ordine nuovo" promesso dai nazisti. Come osserva Klaus
Hildebrand, "con l'aggressione alla Russia - sia quando tra il giugno e
l'agosto-settembre sembro' delinearsi la vittoria, sia in seguito sotto il
trauma del disastroso fallimento dell'operazione Barbarossa - la politica
razziale nazionalsocialista raggiunse il suo punto culminante".
Tre settimane dopo l'inizio delle operazioni, il 14 luglio 1941, le
avanguardie tedesche sono penetrate lungo le direttrici di Leningrado, Mosca
e Kiev cosi' profondamente nel territorio sovietico che Hitler puo'
impartire ordini affinche' le armate all'est vengano "considerevolmente
ridotte nel prossimo futuro" per essere impiegate contro la Gran Bretagna; e
il 18 settembre e' gia' in grado di ordinare che Mosca sia cancellata dalla
faccia della terra. Mentre l'esercito si inoltra nelle sconfinate pianure
russe e ucraine, quattro Einsatzgruppen delle SS, designate con le lettere
A, B, C e D e a loro volta suddivise in Einsatzkommandos con un organico
complessivo di circa novemila uomini, operano nelle retrovie per dare
attuazione a un ordine, emanato da Hitler, di passare per le armi
sommariamente i commissari politici e i funzionari comunisti dell'Urss: un
ordine che viola deliberatamente le convenzioni di Ginevra e dell'Aia, e che
Himmler e Heydrich estendono a tutta la popolazione ebraica delle regioni
invase.
Cosi', in condizioni di incredibile barbarie, a carico degli ebrei sovietici
hanno inizio quelle che Leon Poliakov definisce "le eliminazioni caotiche".
Per esempio, il 29-30 settembre 1941, nel vallone di Babi Yar presso Kiev
una squadra dell'Einsatzgruppe C, coadiuvata da miliziani ucraini, falcia a
raffiche di mitragliatrice 33.771 uomini, donne e bambini, gettandoli poi
nel vallone e ricoprendoli di terra, mentre il 30 novembre l'Einsatzkommando
2 dell'Einsatzgruppe A elimina a Riga, la capitale lettone, 10.600 ebrei, in
parte deportati dalla Germania.
*
Con l'avvio della campagna di Russia, il potenziale omicida del nazismo si
scatena in tutta la sua ampiezza. Su 4,7 milioni di ebrei presenti nel
territorio dell'Urss prima dell'invasione, si calcola che siano uccise dai
tedeschi o dai loro alleati oltre due milioni e duecentomila persone. Di
queste, circa settecentomila sono liquidate nella prima ondata delle
"eliminazioni caotiche", dall'estate 1941 alla primavera 1942:
Cinquecentomila per mano delle Einsatzgruppen e duecentomila a opera di
altri carnefici tedeschi o indigeni (ucraini, lettoni, lituani ecc.); circa
360.000 ebrei cadranno nella seconda ondata, che avra' luogo tra l'agosto e
il novembre 1942. Il comandante dell'Einsatzgruppe B, Artur Nebe, che in
seguito paghera' con la vita la partecipazione al complotto del luglio 1944
per uccidere Hitler, in un rapporto del 23 luglio 1941 inviato all'Rsha,
riferisce che nel territorio della Bielorussia risiede un milione e mezzo di
ebrei. "In quest'area, proprio per lo straordinario numero di ebrei che vi
sono, una soluzione della questione ebraica durante la guerra appare
impossibile.  Essa puo' essere raggiunta solo con le deportazioni".
Nell'autunno del 1941, cioe' tre mesi prima della conferenza di Wannsee,
Reinhard Heydrich e Adolf Eichmann, che nell'Rsha dirige la sezione IV-B-4
incaricata di gestire l'arresto e i trasporti degli ebrei, procedono alla
"evacuazione" per ferrovia di molte decine di migliaia di ebrei tedeschi,
austriaci, boemi, moravi verso i ghetti di Lodz, Varsavia e Lublino e verso
le citta' ex sovietiche di Minsk e Riga: localita' in cui l'ordinanza
hitleriana sull'esecuzione sommaria consente ogni sorta di "esperimenti",
compreso il "trattamento particolare" (da tradurre con "massacro").
Una volta avviato, l'omicidio di massa degli ebrei si intensifica
rapidamente. Nell'estate del 1941, probabilmente in luglio, Hitler doveva
gia' avere dato la sua approvazione allo studio di un piano per lo sterminio
di tutti gli ebrei dell'Europa sotto il controllo nazista, ma non e'
possibile stabilire quando e in quali termini cio' sia stato comunicato a
Himmler e a Heydrich. In ottobre il piano per la soluzione finale si
presenta sotto forma di deportazione verso i campi di sterminio equipaggiati
con gas velenoso, e in questa direzione si compiono i primi importanti
passi, come il trasferimento dalla Germania alla Polonia di personale gia'
adibito all'esecuzione del programma del Terzo Reich per l'eutanasia, in
codice "azione T4". E' chiaro che l'eliminazione fisica dell'intera
popolazione ebraica europea ha assunto ormai caratteri di priorita'.
In questa cornice fanno la loro comparsa (8-14 dicembre 1941) le prime
camere a gas mobili, montate su speciali autocarri denominati nei documenti
tedeschi "Gaswagen" (furgoni a gas), camuffati da automezzi della Croce
Rossa, all'interno dei quali viene immesso il monossido di carbonio dello
scarico della combustione dei motori a nafta, provocando la morte di chi vi
e' rinchiuso. Il primo "esperimento" viene realizzato a Chelmno, un
villaggio polacco a occidente di Varsavia, dove vengono utilizzati cinque
forgoni, tre dei quali con una capienza di 150 persone e due di 100. Le
vittime (ebrei che abitano nei villaggi dei dintorni) muoiono lungo il
tragitto che li porta alle fosse comuni, ubicate in un bosco a qualche
chilometro di distanza. Pochi giorni dopo, un identico "esperimento" e'
avviato a Zemun, nei pressi di Belgrado, dove nel giro di sei mesi vengono
gassati circa quindicimila ebrei provenienti dalle varie regioni della
Serbia.
*
Il 20 gennaio 1942, in un'elegante villa Jugendstil di Wannsee, poco fuori
di Berlino, Reinhard Heydrich convoca una quindicina di professionisti dello
sterminio a una riunione con colazione di lavoro. Il tema all'ordine del
giorno e' uno solo: mettere a punto i dettagli organizzativi della
"soluzione finale" del problema ebraico.
La radicalizzazione della soluzione del problema ebraico coincide con la
radicalizzazione della guerra. L'incontro di Wannsee si tiene infatti tre
settimane dopo l'entrata in guerra degli Stati Uniti, in una fase del
conflitto in cui l'esercito hitleriano sta subendo pesanti rovesci sul
fronte russo. Attorno a Heydrich e ai suoi principali collaboratori (a
cominciare da Adolf Eichmann), la conferenza vede riuniti gli esponenti
dell'amministrazione del "Governatorato generale" e i rappresentanti di
tutti i dicasteri e gli uffici del Reich (per la precisione: degli interni,
della giustizia, dei territori dell'Est, degli esteri, della cancelleria del
Reich, del piano quadriennale, della segreteria del partito
nazionalsocialista) coinvolti nella gigantesca operazione di deportazione e
annientamento degli ebrei d'Europa. Heydrich, nella sua relazione, chiarisce
che se in passato si trattava di ottenere "l'epurazione dello spazio vitale
tedesco" mediante misure quali l'emigrazione e la deportazione degli ebrei,
ora si tratta di trovare una "soluzione definitiva della questione ebraica"
per tutta l'Europa, a cominciare dai territori occupati o sottoposti
all'influenza del Terzo Reich. Il piano che egli si propone di attuare su
incarico del feldmaresciallo Goering investe il destino di undici milioni di
ebrei dei vari paesi europei, fra i quali figurano non solo i paesi alleati
o occupati, ma anche quelli nemici, come la Gran Bretagna, e quelli neutrali
come il Portogallo, la Turchia europea, la Svezia e la Svizzera.
La maggior parte degli storici concorda nel rilevare che, tipicamente,
Hitler e i suoi luogotenenti ammantano le loro attivita' piu' criminali di
un linguaggio eufemistico, fanno di tutto per mantenere segreti i loro piani
omicidi e sono notoriamente imprecisi quando si tratta di definire le
competenze delle diverse autorita', specialmente riguardo alle questioni
piu' delicate. Pertanto nell'agghiacciante protocollo della conferenza di
Wannsee - quindici pagine di verbale stilate da Eichmann -, la parola
"eliminazione" non compare mai, preferendosi pudicamente sostituirla con un
eufemismo: "evacuazione". Gli ebrei, sostiene Heydrich, dovranno essere
condotti in treno verso ghetti di transito e poi trasferiti, quando le
condizioni tecniche lo permetteranno, in campi nelle regioni orientali, dove
dovranno, separati gli uomini dalle donne, lavorare ad attivita' (quali la
costruzione di strade) capaci di eliminarne un gran numero "per naturale
indebolimento". E qui viene l'idea centrale del progetto. A questo punto "il
nucleo che alla fine sopravvivra' a tutte le vicende, poiche' in questo caso
si trattera' della parte piu' capace di resistenza, dovra' essere trattato
in maniera conforme dato che, costituendo il frutto di una selezione
naturale, qualora fosse lasciato in liberta', andrebbe considerato come la
cellula germinale di una nuova rinascita ebraica (vedi l'esperienza
storica)". Tradotto in chiaro, questo discorso significa che la macchina
mortale e' ormai in moto.
Tutti i personaggi presenti a Wannsee approvano a grandi linee il progetto
esposto da Heydrich, teso a eliminare gli ebrei per "indebolimento naturale"
e tramite "ogni altro sistema che prevenga la rinascita di una comunita'
ebraica in Europa". E in tal modo avallano l'istituzione di una serie di
fabbriche di cadaveri perfettamente organizzate: i campi di sterminio.
*
Dopo avere sperimentato altri metodi omicidi, dopo l'invenzione dei furgoni
a gas con i quali le Einsatzgruppen e altri reparti uccidono gli ebrei a
migliaia, i nazisti decidono di costruire impianti a gas permanenti.
Diversamente da quanto in generale si ritiene, la decisione di usare il gas
in impianti mobili o permanenti non e' dettata da considerazioni di
efficienza, ma dalla ricerca di un metodo che eviti alla truppa il peso
psicologico delle uccisioni cosiddette "selvagge". Testimonianze fornite nel
dopoguerra chiariscono che gia' a meta' agosto del 1941 lo stesso Heinrich
Himmler ha dato  facolta' di esperire metodi di esecuzione capitale diversi
dalle fucilazioni di massa, causa di abbrutimento tra gli effettivi delle
Einsatzgruppen.
Il primo grande centro di eliminazione mediante camere a gas permanenti
viene allestito a Belzec (Galizia orientale), dove le esecuzioni vengono
avviate a partire dal   17 marzo 1942. Gli autori dei crimini di massa sono
uomini delle SS, assistiti da miliziani ucraini ed estoni; le vittime sono
soprattutto ebrei evacuati da Lublino e Leopoli.
I campi della morte vedono la luce soprattutto in Polonia poiche', in tutta
Europa, la Polonia e' il paese con la massima concentrazione demografica di
ebrei e si offre percio', sotto il profilo logistico, come l'ambiente piu'
adatto a ospitare gli impianti dello sterminio. La collocazione dei vari
campi  obbedisce a precise considerazioni strategiche, in quanto ognuno dei
Lager e' destinato a eliminare gli ebrei di una determinata regione: gli
ebrei del Warthegau finiranno a Chelmno, gli oltre due milioni di ebrei del
"Governatorato generale" nei tre campi di Belzec, Sobibor (presso i confini
dell'Ucraina) e Treblinka (un centinaio di chilometri a oriente di
Varsavia), e quelli dell'Europa occidentale, meridionale e sudorientale ad
Auschwitz.
Sobibor e Treblinka entrano in funzione rispettivamente nel maggio e nel
luglio 1942. Questi centri utilizzano camere a gas alimentate dall'ossido di
carbonio emesso da motori a nafta. Le cifre dei morti sono elevatissime,
soprattutto a Treblinka, dove viene consumata la "grande azione" a carico
degli ebrei gia' ammassati nel ghetto di Varsavia.
*
Ma il programma di sterminio approvato dalla conferenza di Wannsee trova la
realizzazione piu' micidiale e tecnologicamente piu' raffinata ad Auschwitz
(Oswiecim, in polacco), una cittadina a ovest di Cracovia, da cui dista
circa 50 chilometri. Sorge nei dintorni di Auschwitz quel Lager che, come e'
noto, e' destinato a diventare il piu' grande cimitero ebraico del mondo. Di
Auschwitz si parla generalmente come di un unico campo, ma in realta' si
tratta di un complesso concentrazionario che copre una superficie di 40
chilometri quadrati, suddiviso in tre  distinti Lager di grosse dimensioni:
Auschwitz 1; Auschwitz 2 o Birkenau; e Auschwitz 3, noto come Monowitz, cui
vanno aggiunti oltre quaranta sottocampi. Auschwitz 2 diventa il centro
dello sterminio di massa a partire dal 1942, mentre ad Auschwitz 3 la
fabbrica del complesso chimico IG Farbenindustrie, che produce gomma
sintetica, assorbe molti dei prigionieri idonei al lavoro pesante.
Il nucleo originario (Auschwitz 1) e' un campo di concentramento simile a
molti altri, istituito nella primavera del 1940 tramite il riuso di una
vecchia caserma dell'esercito polacco. Il primissimo trasporto di 30
prigionieri vi viene effettuato il 20 maggio 1940. Si tratta di criminali
comuni (Berufsverbrecher) di nazionalita' tedesca, trasferiti dal Lager di
Sachsenhausen e destinati, come vuole la pluriennale pratica imperante nei
campi di concentramento nazisti, a svolgere "funzioni ausiliarie" nel nuovo
campo. Del ruolo che costoro andranno in realta' ad assolvere testimonia il
fatto stesso che i militi delle SS li informano - appena arrivati - che
avranno il compito di sorvegliare dei "delinquenti" polacchi. In tutta
evidenza si tratta di una provocazione, cinica e calcolata: infatti nei
ricordi e nelle relazioni dei detenuti internati allora nel campo, abbondano
le violenze e le varie forme di vessazioni inflitte ai prigionieri polacchi
proprio da parte dei delinquenti comuni (oltre che, naturalmente, dal
personale delle SS del quale i criminali sono una sorta di longa manus,
incaricata di compiere un'opera di crudele e diretto controllo dei detenuti
e delle squadre di lavoro).
Fin dai primi giorni, a capo del campo viene messo il capitano delle SS
Rudolf Hoess: classe 1900, gia' aiutante nei Lager di Dachau e
Sachsenhausen, condannato infine a morte da un tribunale polacco e impiccato
nell'aprile 1947, non a Varsavia ma ad Auschwitz "in una delle tante forche
che l'imputato aveva fatto drizzare".
Auschwitz 1 inizia a operare come campo di lavoro e di internamento, non
quindi, in origine, come campo di sterminio. E' comunque un campo duro, con
le sue esecuzioni sommarie, la sua routine micidiale. A partire dal 14
giugno 1940, giorno in cui vi arrivano 728 detenuti, i primi trasporti vi
concentrano prigionieri politici polacchi. Durante il trasporto, ad alcuni
prigionieri vengono messe le manette o legate le mani, rendendo ancora piu'
gravose le gia' difficili condizioni di viaggio. E certo, gia' in questo
periodo i non moltissimi ebrei via via aggregati agli altri deportati
"ariani" hanno una probabilita' media di sopravvivenza che non supera i
dieci giorni.
Ma per il momento, tutto cio' nulla ha a che fare con la "soluzione finale".
Auschwitz 2, ossia il campo di sterminio vero e proprio, viene allestito
nella prima meta' del 1942 a Birkenau, qualche chilometro a ovest della
cittadina, e molto lontano dagli impianti industriali cui dovrebbe fornire
la manodopera servile. Ma contemporaneamente ai recinti e ai baraccamenti,
sorgono anche le prime camere a gas, con annessi i due primi crematori.
Quando inizia a funzionare regolarmente, al principio dell'estate del 1942,
il campo consiste di due impianti ben distinti: da una parte i baraccamenti
per alloggiare gli "abili al lavoro"; dall'altra gli stabilimenti per
l'eliminazione degli "inabili" e per la distruzione dei cadaveri. Entrambi
gli impianti saranno ampliati e perfezionati nel corso dei due anni
successivi. Ai primi recinti (separati per gli uomini e per le donne) ne
saranno via via aggiunti dei nuovi, spesso improvvisati e orrendamente
sovraffollati; e si appronteranno due nuove camere a gas con i relativi
crematori.
I primi ebrei deportati a Birkenau dall'ovest vi giungono il 26 marzo 1942
dalla Slovacchia. Il 31 marzo arriva un primo carico di ebrei da Drancy
(Francia); non si tratta di "francesi" ma esclusivamente di "stranieri" che
vengono internati nelle baracche: le camere a gas entreranno in funzione
soltanto il 4 maggio. Il primo convoglio di cui e' attestata la selezione
immediata, e che inaugura cosi' il periodo di funzionamento sistematico del
campo, e' quello di circa 1.000 ebrei francesi che raggiungono Auschwitz il
22 giugno 1942: quel giorno ne vengono messi a morte solo 200. Fino
all'agosto del 1942, e' raro che venga gassato piu' del 30% dei nuovi
arrivi. Ma gia' in agosto si raggiungono punte di 700 persone al giorno, con
un salto della percentuale verso l'indice del 65%, sul quale finira' per
attestarsi.
Ad Auschwitz, cosi' come negli altri grandi campi di sterminio, il centro
nodale dell'intera struttura e' il luogo di selezione, situato a poche
centinaia di metri dalle camere a gas. L'estrema semplicita' delle
selezioni, su cui si fonda la loro letale efficacia, costituisce il segreto
dell'elevatissima "produttivita'" di queste fabbriche di morti.
Ma nella preparazione del genocidio non va sottovalutato il ruolo che il
Ministero tedesco dei trasporti riesce in quegli anni a svolgere. Senza il
suo contributo non sarebbe mai possibile, in pieno conflitto mondiale,
trasportare ai centri di sterminio milioni di persone da ogni angolo di
Europa. L'intero movimento, realizzato su comuni carri-merci ermeticamente
sigillati dall'esterno, e' coordinato dalla sezione IV-B-4 dell'Rsha, di cui
e' responsabile Adolf Eichmann. Allorche' i deportati, al termine di viaggi
massacranti, giungono nei pressi dei Lager di destinazione, viene operata
una prima selezione, solitamente sulla banchina stessa dello scalo d'arrivo.
Da una parte vengono allineati gli uomini, dall'altra le donne con i
bambini. Pianti e grida disperate si levano dalle file per l'inaspettata,
improvvisa separazione che non lascia neppure il tempo per un addio, un
bacio, una parola di incoraggiamento. I deportati devono poi avvicinarsi a
turno ai medici SS che, secondo l'aspetto fisico, decidono della loro
attitudine al lavoro. Con un gesto inviano gli uni a destra, gli altri a
sinistra. Gli infermi, le mamme con i bambini, le donne gravide, gli anziani
e quanti appaiono di costituzione debole sono destinati al gas. Fatti salire
su camion, sulle cui fiancate e' dipinta una croce rossa, oppure talvolta
anche a piedi, vengono condotti al centro di sterminio. Quanti riescono a
superare la selezione iniziale, essendo considerati adatti al lavoro,
vengono avviati ai blocchi dove sono situati i bagni; si spogliano,
consegnando ai sorveglianti cio' che hanno addosso. Poi, nudi, dopo essere
stati completamente rasati da squadre di barbieri, entrano nelle docce. Il
tutto deve svolgersi di corsa sotto una pioggia di botte e di improperi,
cosa particolarmente penosa per le donne, che devono effettuare queste
operazioni sotto gli sguardi e i dileggi delle SS di guardia. Dopo la doccia
avviene la distribuzione dei vestiti e, infine, l'immatricolazione. I dati
del deportato sono trascritti su un formulario, e il prigioniero riceve un
numero che viene tatuato sull'avambraccio sinistro.
Auschwitz e' l'unico campo in cui e' introdotta la pratica del tatuaggio per
contrassegnare i prigionieri, e cio' avviene poiche' l'elevato tasso di
mortalita' di questi ultimi (varie centinaia ogni giorno) rende difficile
l'identificazione dei cadaveri. Con l'introduzione del tatuaggio i
prigionieri vengono identificati sulla base dei numeri impressi
sull'avambraccio, e a Birkenau i morti sono disposti davanti ai blocchi in
modo da rendere visibile il braccio con il tatuaggio. Oltre ad agevolare
l'identificazione dei cadaveri, i tatuaggi facilitano naturalmente anche il
riconoscimento degli evasi (in caso di cattura). Il numero di matricola che
ogni detenuto registrato riceve e' infine impresso su due pezzi di tela che
vengono cuciti rispettivamente  sul lato sinistro della casacca, all'altezza
del torace, e sulla cucitura esterna della gamba destra dei pantaloni.
In data 23 ottobre 1943, il Kalendarium di Danuta Czech registra: "Con un
trasporto dell'Rsha proveniente da Bergen-Belsen sono giunti 1.800 ebrei
polacchi - uomini, donne e bambini -, che sono muniti di passaporti con il
visto per i paesi dell'America Latina. La maggior parte di loro ha ricevuto
questi visti in cambio di un'alta somma di denaro pagata con
l'autorizzazione della Gestapo nell'Hotel Polski di Varsavia, da dove sono
stati poi portati nel campo di transito di Bergen-Belsen. Si tratta di
cosiddetti Austauschjuden ("ebrei di scambio"). A Bergen-Belsen un
rappresentante dell'Rsha, il dr. Seidl, ha controllato i loro documenti e ha
poi deciso che i numerosi componenti delle singole famiglie non erano
parenti. I passaporti con l'autorizzazione all'espatrio avevano solo lo
scopo di salvare i loro proprietari dall'annientamento. Li si invita a
prepararsi per la partenza per il campo di Bergau, presso Dresda, e si
comunica loro che il loro bagaglio gli sarebbe stato spedito
successivamente. All'ultimo istante, al trasporto vengono aggiunti altri 70
ebrei giunti a Bergen-Belsen. Solo dopo il loro arrivo sulla rampa di
scarico, comprendono di essere stati portati ad Auschwitz, un luogo ben noto
agli ebrei polacchi. Sulla rampa uomini e donne vengono separati. Le donne
vengono portate al crematorio II e gli uomini al crematorio III. Dopo un
controllo dei documenti di viaggio e un annuncio che prima avrebbe dovuto
esserci ancora una disinfezione, gli uomini delle SS conducono le donne allo
spogliatoio. L'ordine di spogliarsi provoca inquietudine tra le fila delle
donne. Tuttavia, le SS incominciano a strappare loro di dosso anelli e
orologi. A questo punto una delle donne, che capisce di trovarsi in una
situazione senza via d'uscita, scaglia una parte dei vestiti che gia' si e'
tolta in faccia all'SS-Oberscharfuehrer Schillinger, gli strappa la pistola
e gli spara tre colpi. Viene colpito anche l'SS-Unterscharfuehrer Emmerich.
Le altre donne si gettano a mani nude addosso alle SS; a uno feriscono a
morsi il naso, a un altro graffiano il volto. Le SS chiedono soccorso. Dopo
che questo e' giunto, una parte delle donne viene abbattuta a colpi d'arma
da fuoco mentre le altre sono trascinate nelle camere a gas e uccise.
L'SS-Oberscharfuehrer Schillinger muore mentre viene trasportato
all'ospedale; l'SS-Unterscharfuehrer Emmerich guarisce dopo qualche tempo,
ma resta paralizzato a una gamba".
*
Benche' molte informazioni sui massacri in atto nei Lager circolino in
Occidente sin dal 1942, le prime relazioni che descrivono in termini
esaurienti cio' che sta avvenendo entro il perimetro di Auschwitz-Birkenau
vedono la luce nella primavera-estate del 1944 sulla base delle
testimonianze rese da cinque evasi: persone che si sono trovate nella
condizione di conoscere i meccanismi di funzionamento della vita e della
morte ad Auschwitz grazie al fatto che quattro di loro hanno svolto funzioni
di scritturale (Blockschreiber) in diversi blocchi del campo e uno di loro
ha ricoperto la posizione di anziano del blocco (Blockaeltester). I
resoconti ai quali si fa qui riferimento sono tre: uno stilato da Jerzy
Tabeau (un maggiore dell'esercito polacco), fuggito il 19 novembre 1943; un
altro reso sulla scorta delle testimonianze di due ebrei slovacchi - Alfred
Wetzler e Rudolf Vrba (nome originario: Walter Rosenberg) - evasi insieme il
7 aprile 1944; e un ultimo redatto da altri due prigionieri ebrei - Arnost
Rosin e Czeslaw Mordowicz, slovacco il primo, polacco il secondo - fuggiti
insieme il 27 maggio 1944.
L'evasione di Wetzler e Vrba da Auschwitz e' rocambolesca. Rimasti nascosti
per tre giorni sotto una pila di legname nel settore di Birkenau chiamato
Mexico i fuggiaschi, al termine di un viaggio disperato durato diciotto
giorni, raggiungono il 25 aprile la cittadina di Zilina nella Slovacchia
settentrionale. Qui riescono a mettersi in contatto con alcuni membri
dell'Ustredna Zidov, il Consiglio ebraico della Slovacchia. Il rapporto di
sessanta cartelle dattiloscritte, steso dai due ex prigionieri, viene
tradotto dallo slovacco e spedito in Ungheria, in Vaticano, in Palestina e
in Svizzera. In Ungheria, dove dal 15 maggio sono iniziate massicce
deportazioni di ebrei verso Auschwitz, il rapporto inizia a circolare solo
nel giugno successivo, mentre in Slovacchia esso viene subito consegnato da
due leader, Gisi Fleischmann e il rabbino Michael Dov Weissmandel, a
monsignor Giuseppe Burzio, incaricato d'affari della Santa Sede a
Bratislava, il quale invia a sua volta il rapporto in Vaticano il 22 maggio
1944, quantunque il plico sembri giungere a destinazione soltanto alla fine
d'ottobre. Dalla Svizzera Allen Dulles, il capo dell'Oss (Office of
Strategic Services, i servizi dell'intelligence americana in Svizzera)
indirizza il documento al War Refugee Board di Washington. Qui il rapporto
viene fuso con gli altri due resoconti paralleli, quello di Jerzy Tabeau e
quello di Rosin e Mordowicz, dando origine a una relazione, nota anche come
il Wrb Report, che viene resa di pubblico dominio, in 59 pagine, nel
novembre 1944. Contemporaneamente il rapporto viene pubblicato anche in
Svizzera in due diverse versioni: l'una dal titolo "L'extermination des
Juifs en Pologne. Depositions et temoins oculaires", edita a Ginevra a cura
del dr. Alfred Silberschein (del Comitato di soccorso del Congresso ebraico
mondiale), e l'altra  dal titolo "Souvenirs de la maison des morts. Le
massacre des Juifs", in 76 pagine, senza indicazioni di data e di luogo
d'edizione, ma di sicura matrice elvetica. A seguito della pubblicazione da
parte del War Refugee Board, il "New York Times" offre spazio ad ampi
stralci del documento nella sua edizione del 26 novembre 1944: troppo tardi,
pero', perche' la commozione suscitata presso l'opinione pubblica riesca a
tradursi in concrete iniziative capaci di offrire salvezza agli oltre
quattrocentomila ebrei gia' deportati dall'Ungheria.
Il Wrb Report da' di Auschwitz-Birkenau una circostanziata descrizione, con
molti particolari circa la planimetria, gli impianti di sterminio,
l'organizzazione interna e il servizio di sorveglianza, il sistema di
immatricolazione dei detenuti, la vita d'ogni giorno, le reazioni delle SS
alle fughe dei prigionieri, le selezioni iniziali sulla banchina d'arrivo
(le rampe), le selezioni interne, le punizioni, le uccisioni, le gassazioni.
Nel documento, fra l'altro, si afferma: "[Dalla stanza di preparazione B]
una porta e alcuni gradini conducono alla camera a gas C, stretta e molto
lunga, situata a livello leggermente inferiore. Le pareti di questa camera
sono nascoste da tende che danno l'illusione di un'immensa stanza da bagno.
Nel tetto piatto si aprono tre finestre, che possono essere chiuse
ermeticamente dal di fuori. L'ambiente e' attraversato da rotaie che
conducono alla camera dei forni. Cosi' si svolgono le 'operazioni'. I
disgraziati sono condotti nella stanza B, e gli si dice che devono fare un
bagno e spogliarsi in questo locale. Per convincerli che faranno davvero il
bagno, due uomini vestiti di bianco consegnano a ciascuno un asciugamano e
un pezzo di sapone. Poi vengono spinti nella camera a gas C. Possono
entrarci 2.000 persone, ma ciascuno non dispone strettamente che dello
spazio per restare in piedi. Per riuscire a fare entrare quella massa nel
locale, si sparano ripetutamente colpi d'arma da fuoco per obbligare le
persone che sono gia' dentro a stringersi. Quando tutti sono all'interno si
chiude con il catenaccio la pesante porta. Si aspettano alcuni minuti,
probabilmente perche' la temperatura della camera possa raggiungere un certo
grado, poi alcune SS, munite di maschere antigas, salgono sul tetto, aprono
le finestre e lanciano all'interno il contenuto di alcune scatole di latta:
un preparato sotto forma di polvere. Le scatole portano la scritta 'Zyklon'
(insetticida); sono state fabbricate ad Amburgo. Si tratta probabilmente di
un composto di cianuro che diventa gassoso a una data temperatura. In tre
minuti tutti gli occupanti del locale sono morti. Finora non e' mai stato
trovato all'apertura della camera a gas un solo corpo che desse un segno
qualunque di vita (...). La camera viene quindi aperta, aereata, e il
'Sonderkommando' comincia a trasportare i cadaveri, su vagoncini piatti,
verso i forni crematori, dove vengono bruciati".
Questo Sonderkommando, un'unita' operativa comprendente piu' di 900 membri
divisi in tre squadre che lavorano otto ore ciascuna, e' il "Commando
speciale" incaricato della gassazione e della cremazione del materiale umano
che senza interruzione, con l'arrivo dei convogli, viene destinato al gas.
Proprio perche' in possesso di questo spaventoso segreto, il Sonderkommando,
costituito quasi esclusivamente di prigionieri ebrei, viene eliminato
periodicamente ogni tre mesi. Oltre alla mansione di recuperare sui cadaveri
gli oggetti d'oro, comprese le protesi dentarie, e di tagliare i capelli
alle donne (che vengono utilizzati quale materiale isolante per i veicoli
dell'esercito tedesco, aerei e sottomarini), gli uomini che lo compongono
hanno anche quella di far credere ai prigionieri destinati al gas che stiano
per essere sottoposti a spidocchiamento. Citato come teste al processo di
Norimberga, il comandante di Auschwitz, Rudolf Hoess, rivelera' che gli
uomini del Sonderkommando "erano abilissimi in questo compito: convincevano
le donne e parlavano con dolcezza ai bambini cosi' che questi, rasserenati,
entravano nelle camere giocando fra loro. (...) I 'Sonderkommando' erano
quasi sempre ebrei, spesso provenienti dalle stesse zone dei deportati. Di
loro i prigionieri si fidavano: chiedevano informazioni sulla vita nel campo
e notizie di altri gruppi famigliari giunti prima".
Il 7 ottobre 1944, avvalendosi della collaborazione di altri prigionieri, e
particolarmente di donne che lavorano alla fabbrica di munizioni
Union-Werke, e collegandosi con i partigiani polacchi della zona, operanti
all'esterno di Auschwitz, i membri del Sonderkommando (ebrei polacchi,
ungheresi e greci) danno inizio a una disperata rivolta durante la quale
riescono a incendiare e a fare esplodere il crematorio IV; e dopo avere dato
battaglia aperta alle SS, tentano la fuga. I tedeschi li riacciuffano e
stroncano la ribellione. In seguito a questo episodio, su ordine verbale di
Himmler le selezioni e i trattamenti omicidi con il gas vengono interrotti.
In una testimonianza scritta dell'ottobre 1965, Primo Levi e Leonardo De
Benedetti ricordano d'avere personalmente assistito, poco prima del Natale
1944, all'impiccagione di tre prigionieri, rei di avere tentato di
promuovere una simultanea insurrezione nel Lager di Monowitz (Auschwitz 3).
E per parte sua Giuliana Tedeschi rammenta d'essere stata testimone oculare,
nel Lager di Auschwitz 1, dell'impiccagione di quattro giovani ebree
polacche (5 gennaio 1945), ree di avere sottratto l'esplosivo e di averlo
passato ai membri del Sonderkommando.
Nelle settimane successive, con l'avvicinarsi delle avanguardie dell'Armata
Rossa, il complesso di Auschwitz e' smobilitato, le SS demoliscono i
crematori e le camere a gas e la popolazione residua viene trasferita a
scaglioni in altri campi di concentramento "normali" all'interno del Reich.
Il 18 gennaio 1945 viene effettuata l'evacuazione in massa dei superstiti
verso ovest. Nel cuore dell'inverno, varie decine di migliaia di prigionieri
sono caricati su carri ferroviari aperti o avviati a piedi. Alcuni
contingenti, come quelli diretti a Dachau e a Bergen-Belsen, marceranno per
oltre un mese subendo per via perdite enormi. Ad Auschwitz rimangono 2.819
persone ammalate, che i soldati sovietici entrati nel campo il 27 gennaio
troveranno vive assieme ai cadaveri di 648 fra ebrei, polacchi e zingari.
Un calcolo numerico esatto dell'entita' dello sterminio perpetrato ad
Auschwitz non si potra' mai compiere. Nella loro criminale ma lucida follia
i nazisti riescono spesso a occultare, insieme con le loro vittime, anche le
prove. Tuttavia, alla luce di stime recenti, suscettibili di aumentare via
via che nuovi documenti verranno reperiti, il perimetro di Auschwitz
inghiotte circa settecentomila vite, di ebrei e non ebrei (prigionieri di
guerra sovietici, zingari e cosi' via). Sui 750.000 ebrei deportati nel
campo, 550.000, dichiarati inabili, muoiono nelle camere a gas. E, come
sempre, l'eliminazione immediata colpisce i piu' deboli: i bambini, le donne
e i vecchi.
Ad ogni modo, questo computo non comprende le vittime delle "marce della
morte" al momento dell'evacuazione, ne' coloro che moriranno piu' tardi nei
campi del Reich o dopo la liberazione definitiva dei campi.

3. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

4. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, sudest at iol.it,
paolocand at inwind.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 812 del 17 gennaio 2005

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