La nonviolenza e' in cammino. 795



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 795 del 31 dicembre 2004

Sommario di questo numero:
1. Iniziative di Aifo, Assopace e Caritas per soccorrere le vittime del
maremoto
2. Benito D'Ippolito: Susan Sontag
3. Peppe Sini: Eugenio Garin, Ermanno Gorrieri, Eliseo Milani
4. Giuliano Pontara: La dottrina della "guerra giusta"
5. Nella Ginatempo: Il tabu' dell'uccidere
6. Paolo Candelari: Mi abbono ad "Azione nonviolenta" perche'...
7. Pasquale Pugliese: Mi abbono ad "Azione nonviolenta" perche'...
8. Informazione, formazione, azione: nonviolenta
9. Binaifer Nowrojee: Ruanda, vite frantumate
10. Riletture: Franco Basaglia, Franca Basaglia Ongaro (a cura di), Crimini
di pace
11. Riletture: Franca Ongaro Basaglia, Manicomio perche'?
12. Riletture: Franca Ongaro Basaglia, Salute/malattia
13. Riletture: Franca Basaglia Ongaro, Una voce
14. Da tradurre: AA. VV., Sistemas de escritura, constructivismo y educacion
15. Da tradurre: Emilia Ferreiro, Les relations temporelles dans le langage
de l'enfant
16. Da tradurre: Delia Lerner, Leer y escribir en la escuela: lo real, lo
posible y lo necesario
17. Da tradurre: Ana Teberosky, Liliana Tolchinsky, Mas alla' de la
alfabetizacion
18. Da tradurre: Liliana Tolchinsky Landsmann, Aprendizaje del lenguaje
escrito
19. La "Carta" del Movimento Nonviolento
20. Per saperne di piu'

1. APPELLI. INIZIATIVE DI AIFO, ASSOPACE E CARITAS PER SOCCORRERE LE VITTIME
DEL MAREMOTO
[Da molte persone amiche riceviamo ulteriori appelli e segnalazioni di
iniziative per aiutare le vittime del maremoto. Chiediamo ancora una volta a
tutte e tutti di fare quanto possibile, una e' l'umanita']

Carissimi tutti, siete chiamati ad una  gara di solidarieta'. Il maremoto ha
spazzato le case e la terra di molti, la vostra generosita' insieme all'Aifo
(Associazione italiana amici di Raoul Follereau) potra' dare un aiuto
immediato a tutti coloro che nei progetti Aifo in India e Indonesia sono
stati colpiti da questa sciagura. L'Aifo ha inviato un primo  aiuto di
20.000 euro per i progetti in Indonesia e in India. Sara' nostra premura
tenervi aggiornati sulla situazione.
Aifo - Servizio donatori e raccolta fondi, via Borselli 4-6, 40135 Bologna,
tel. 800550303, sito: www.aifo.it
*
L'Associazione per la Pace (via Salaria 89, 00198 Roma, tel. 068841958, fax
068841749, sito: www.assopace.org) ha deciso di sostenere direttamente il
piano di emergenza attuata dall'associazione non governativa "Sarvodaya" in
Sri Lanka, gia' nostro partner nel progetto Nonviolent Peaceforce.
Facciamo appello ai nostri associati, compagni, amici e chiunque abbia la
possibilita' e il desiderio di sostenere i progetti d'emergenza di
Sarvodaya.
Per maggiori informazioni sul piano d'emergenza di Sarvodaya potete
consultare il sito: http://www.sarvodaya.org/
Per le donazioni con carta di credito con causale Emergency in SriLanka
Sarvodaya:
http://www.nonviolentpeaceforce.org/english/help/donatetosarvodaya.asp
Per le donazioni attraverso la Banca con causale Emergency in SriLanka
Sarvodaya: Account Name Lanka Jathika Sarvodaya Shramadana Sangamaya (Inc.),
Account No Acct. No 159000 8015, Account Currency US Dollars, Bank
Commercial Bank of Ceylon Ltd., Branch Moratuwa, Address No.116, Galle Road,
Moratuwa, Sri Lanka, SWIFT CCEY.LK.LX.
Vi preghiamo di segnalare la vostra donazione anche ad info at assopace.org
*
La Caritas Diocesana di Roma lancia un appello perche' tutti coloro che
hanno a cuore la vita di chi soffre possano contribuire a sostenere gli
interventi di emergenza e i progetti di ricostruzione sociale e ambientale
che si renderanno da subito necessari.
La rete Caritas internazionale sta gia' intervenendo per accompagnare il
difficile lavoro che le Chiese locali stanno svolgendo a favore delle
popolazioni colpite.
Per essere solidale con le popolazioni di Thailandia, India, Sri Lanka,
Indonesia, Malesia ed Isole Maldive e sostenere l'azione di aiuto della
Caritas si puo' inviare la propria offerta a: Caritas Diocesana di Roma,
piazza S. Giovanni in Laterano 6, 00184 Roma, ccp 82881004, causale
"Solidarieta' Sudest Asiatico"
Per informazioni: Ufficio Stampa Caritas  tel. 0669886417, cell. 3487218754.

2. MEMORIA. BENITO D'IPPOLITO: SUSAN SONTAG
[E' deceduta Susan Sontag, una delle voci piu' nitide e delle persone piu'
belle del Novecento, maestra di cultura e di impegno civile, maestra di
dialogo e inquietudine, maestra di pace e di solidarieta'. Cosi' il nostro
collaboratore Benito D'Ippolito la ricorda. Susan Sontag e' stata una
prestigiosa intellettuale americana nata a New York nel 1933; acutissima
interprete e critica dei costumi e dei linguaggi, fortemente impegnata per i
diritti civili e la dignita' umana; tra i molti suoi libri segnaliamo alcuni
suoi stupendi saggi, come quelli raccolti in Contro l'interpretazione e
Stili di volonta' radicale, presso Mondadori; e Malattia come metafora,
presso Einaudi; tra i suoi lavori piu' recenti segnaliamo particolarmente il
notevole Davanti al dolore degli altri, Mondadori, Milano 2003]

Diecimila cose ci ha insegnato Susan Sontag
e la prima: a non arrendersi all'orrore
non accettare la menzogna, non inchinarsi alla violenza.

Le diecimila cose ci ha insegnato Susan Sontag
che tutto sapeva e innanzitutto questo:
non inchinarsi alla violenza, non accettare la menzogna
all'orrore non arrendersi mai.

3. MEMORIA. PEPPE SINI: EUGENIO GARIN, ERMANNO GORRIERI, ELISEO MILANI
Si prova pudore e quasi vergogna a ricordare qui la morte di tre maestri,
mentre nel diluvio dell'Asia e nella fornace irachena le salme sono
innumerevoli.
Ma anche il ricordo di un solo essere umano, la pietas per ogni singola
persona, il compianto per ogni decesso, vuol essere omaggio all'umanita'
intera, affetto fraterno e sororale per tutte e tutti, poiche' ogni persona
e' figura dell'umanita' intera, tutta intera l'umanita' ognuna ed ognuno di
noi reca dentro di se'. E tu abbine cura, di questa povera umanita'.
Cosi' diremo qui di Eugenio Garin e di Ermanno Gorrieri e di Eliseo Milani
che in modi diversi tutti ci hanno donato qualcosa di prezioso, di
autentico, di vivo. Avremo altre occasioni per ricordarli meglio, qui solo
volevamo testimoniare una gratitudine che non si estingue. Come non si
estingue il valore delle vite buone.

4. RIFLESSIONE. GIULIANO PONTARA: LA DOTTRINA DELLA "GUERRA GIUSTA"
[Ringraziamo Giuliano Pontara (per contatti:
giuliano.pontara at philosophy.su.se) per averci messo a disposizione la
versione in italiano di questa voce scritta per l'Enciclopedia de Paz y
Conflictos, 2 voll., a cura di Mario Lopez Martinez, Editorial Universidad
de Granada, Granada 2004. Su Giuliano Pontara, che e' uno dei massimi
studiosi della nonviolenza a livello internazionale, riproduciamo di seguito
una breve notizia biografica gia' apparsa in passato su questo notiziario (e
nuovamente ringraziamo di tutto cuore Giuliano Pontara per avercela messa a
disposizione): "Giuliano Pontara e' nato a Cles (Trento) il 7 settembre
1932. In seguito a forti dubbi sulla eticita' del servizio militare, alla
fine del 1952 lascia l'Italia per la Svezia dove poi ha sempre vissuto. Ha
insegnato Filosofia pratica per oltre trent'anni all'Istituto di filosofia
dell'Universita' di Stoccolma. E' in pensione dal 1997. Negli ultimi
quindici anni Pontara ha anche insegnato come professore a contratto in
varie universita' italiane tra cui Torino, Siena, Cagliari, Padova, Bologna,
Imperia, Trento. Pontara e' uno dei fondatori della International University
of Peoples' Institutions for Peace (Iupip) - Universita' Internazionale
delle Istituzioni dei Popoli per la Pace (Unip), con sede a Rovereto (Tn), e
dal '94 e' coordinatore del Comitato scientifico della stessa e direttore
dei corsi [si e' ora dimesso, insieme all'intero comitato scientifico -
ndr]. Dirige per le Edizioni Gruppo Abele la collana "Alternative", una
serie di agili libri sui grandi temi della pace. E' membro del Tribunale
permanente dei popoli fondato da Lelio Basso e in tale qualita' e' stato
membro della giuria nelle sessioni del Tribunale sulla violazione dei
diritti in Tibet (Strasburgo 1992), sul diritto di asilo in Europa (Berlino
1994), e sui crimini di guerra nella ex Jugoslavia (sessioni di Berna 1995,
come presidente della giuria, e sessione di  Barcellona 1996). Pontara ha
pubblicato libri e saggi su una molteplicita' di temi di etica pratica e
teorica, metaetica  e filosofia politica. E' stato uno dei primi ad
introdurre in Italia la "Peace Research" e la conoscenza sistematica del
pensiero etico-politico del Mahatma Gandhi. Ha pubblicato in italiano,
inglese e svedese, ed alcuni dei suoi lavori sono stati tradotti in spagnolo
e francese. Tra i suoi lavori figurano: Etik, politik, revolution: en
inledning och ett stallningstagande (Etica, politica, rivoluzione: una
introduzione e una presa di posizione), in G. Pontara (a cura di), Etik,
Politik, Revolution, Bo Cavefors Forlag,  Staffanstorp  1971, 2 voll., vol.
I, pp. 11-70; Se il fine giustifichi i mezzi, Il Mulino, Bologna 1974; The
Concept of Violence, Journal of Peace Research , XV, 1, 1978, pp. 19-32;
Neocontrattualismo, socialismo e giustizia internazionale, in N. Bobbio, G.
Pontara, S. Veca, Crisi della democrazia e neocontrattualismo, Editori
Riuniti, Roma 1984, pp. 55-102; tr. spagnola, Crisis de la democracia,
Ariel, Barcelona 1985; Utilitaristerna, in Samhallsvetenskapens klassiker, a
cura di M. Bertilsson, B. Hansson, Studentlitteratur, Lund 1988, pp.
100-144; International Charity or International Justice?, in Democracy State
and Justice, ed. by. D. Sainsbury, Almqvist & Wiksell International,
Stockholm 1988, pp. 179-93; Filosofia pratica, Il Saggiatore, Milano 1988;
Antigone o Creonte. Etica e politica nell'era atomica, Editori Riuniti, Roma
1990; Etica e generazioni future, Laterza, Bari 1995; tr. spagnola, Etica y
generationes futuras, Ariel, Barcelona 1996; La personalita' nonviolenta,
Edizioni Gruppo Abele, Torino 1996; Guerre, disobbedienza civile,
nonviolenza, Edizioni Gruppo Abele,  Torino 1996; Breviario per un'etica
quotidiana, Pratiche, Milano 1998; Il pragmatico e il persuaso, Il Ponte,
LIV, n. 10, ottobre 1998, pp. 35-49. E' autore delle voci Gandhismo,
Nonviolenza, Pace (ricerca scientifica sulla), Utilitarismo, in Dizionario
di politica, seconda edizione, Utet, Torino 1983, 1990 (poi anche Tea,
Milano 1990, 1992). E' pure autore delle voci Gandhi, Non-violence,
Violence, in Dictionnaire de philosophie morale, Presses Universitaires de
France, Paris 1996, seconda edizione 1998. Per Einaudi Pontara ha curato una
vasta silloge di scritti di Gandhi, Teoria e pratica della nonviolenza,
Einaudi, nuova edizione, Torino 1996, cui ha premesso un ampio studio su Il
pensiero etico-politico di Gandhi, pp. IX-CLXI". Una piu' ampia bibliografia
degli scritti di Giuliano Pontara (che comprende circa cento titoli) puo'
essere letta nel n. 380 del 10 ottobre 2002 di questo notiziario]

La dottrina della guerra giusta ("bellum justum") risale, nel pensiero
etico-politico occidentale, ai primi secoli dell'era cristiana, e'
ulteriormente elaborata da Tommaso d'Aquino e Francisco de Vitoria e,
specialmente, dal giurista e filosofo politico olandese Hugo Grotius il
quale, nel suo trattato De jure belli ac pacis (1625), ne fornisce una piu'
articolata versione. La dottrina e' in primo luogo una dottrina etica, non
una dottrina giuridica - anche se in prosieguo di tempo essa (o, comunque,
parte di essa) e' stata incorporata nel diritto internazionale vigente. Il
giurista e filosofo tedesco del diritto Hans Kelsen ha contribuito alla
formulazione moderna della dottrina; tra i suoi piu' recenti fautori si
possono menzionare i filosofi politici americani John Rawls e Michael
Walzer.
La dottrina distingue tra lo "jus ad bellum" e lo "jus in bello".
Lo "jus ad bellum" e' costituito da principi normativi che stabiliscono chi
ha diritto di ricorrere, come extrema ratio, alla guerra (tradizionalmente
l'autorita' legittima di uno stato) e in relazione a quali fini (la "justa
causa"): la difesa da un'aggressione, la riaffermazione dell'ordine
internazionale violato, la tutela contro massicce violazioni di diritti,
sono esempi di cause variamente considerate giuste.
Lo "jus in bello", invece, e' costituito da principi normativi che
stabiliscono delle restrizioni o dei vincoli morali collaterali sulla
guerra, vale a dire limiti morali sulle attivita' belliche, siano esse
svolte nell'ambito di una guerra fatta per una causa cosiderata giusta,
siano esse svolte nell'ambito di una guerra fatta per una causa considerata
ingiusta. Due principi fondamentali dello "jus in bello" sono il principio
di discriminazione  tra combattenti e non combattenti (o civili o innocenti)
e il principio di proporzionalita' dei danni inflitti. Secondo la maggior
parte dei fautori della dottrina, il fatto che nel corso di una guerra
combattuta per una giusta causa si verifichino sporadiche, anche se vistose,
violazioni di tali principi, non comporta che quella guerra sia moralmente
ingiustificata; comporta soltanto che quelle violazioni sono crimini morali
(crimini di guerra). Ma lo sono sempre? La risposta a questa domanda dipende
da come sono interpretati i due principi. Se essi sono considerati assoluti,
allora la loro violazione costituisce sempre un crimine morale (o di
guerra). Se invece i due principi non sono considerati assoluti, allora sono
pensabili situazioni in cui essi possono essere giustificatamente violati.
Quali situazioni? A questa domanda, i fautori della dottrina, di regola,
rispondono indicando variamente, e vagamente, situazioni in cui si verifica
"uno stato di necessita'", o di "suprema emergenza" , o di "crisi estrema".
Tanto il   principio di discriminazione quanto quello di proporzionalita'
sollevano problemi assai complessi.
*
a) Il principio di discriminazione.
Secondo vari fautori della dottrina, un plausibile criterio di
discriminazione tra combattenti e non combattenti e' il seguente:
combattenti sono i soldati e coloro che lavorano in settori che producono
cio' di cui i soldati, in quanto soldati, hanno bisogno per combattere;
tutti gli altri sono civili non combattenti, inclusi anche tutti coloro che
lavorano in settori nei quali cio' che si produce non e' quello di cui i
soldati, in qualita' di soldati, hanno bisogno per combattere, bensi' solo
quello di cui essi, in qualita' di uomini, hanno bisogno per vivere.
Questo criterio e' doppiamente problematico. In primo luogo, non e'
sufficientemente chiaro. Rientrano o no tra i combattenti coloro che sono
impiegati nell'industria bellica quando non lavorano? Vi rientrano o no
coloro che sono impiegati in industrie che preparano certi tipi speciali di
viveri di cui i soldati impegnati in certe attivita' belliche hanno
particolare bisogno? Vi rientrano o no coloro che lavorano nel settore dei
trasporti di materiale bellico e coloro che sono addetti a far funzionare
tali trasporti? Coloro che lavorano nell'industria tessile che produce
divise o nell'industria che produce scarpe o stivali speciali di cui i
soldati hanno particolare bisogno, sono da annoverare tra i combattenti o
no? In secondo luogo, la distinzione tra cio' che serve al soldato per
combattere e cio' che serve ad esso, in quanto uomo, per vivere, appare
abbastanza gratuita, visto che la prima cosa che gli serve per combattere e'
appunto essere in vita, e sano e in buona forma e quindi avere a
disposizione viveri, indumenti, medicine, cure mediche, ecc., in mancanza
dei quali il soldato non puo' esercitare il "mestiere" che deve fare, ed
esercitarlo "bene".
Ma anche se questo o qualche altro criterio e' accettato come plausibile,
rimane il fatto che, in seguito alla costruzione di armi sempre piu'
distruttive e al loro impiego sempre piu' massiccio, la guerra moderna e'
tale che condurla nel rispetto della distinzione tra combattenti e non
combattenti e' praticamente impossibile. In base alla dottrina  in esame
cio' non comporta pero' che la guerra sia oggi diventata del tutto
ingiustificabile. Infatti, nella versione piu' largamente accettata, il
principio di discriminazione viene interpretato come un principio che
proibisce azioni belliche direttamente volte contro non combattenti, ma non
necessariamente anche ogni azioni  bellica che comporti l'inflizione di
danni a non combattenti in modo indiretto. Alla base di questa
interpretazione  sta il  cosiddetto principio del doppio effetto.
*
b) Il principio del doppio effetto.
Il principio, anch'esso risalente almeno a Tommaso d'Aquino, istituisce una
distinzione etica fondamentale tra due tipi di effetti. Da una parte vengono
messi gli effetti delle nostre azioni che sono direttamente intesi o
deliberatamente voluti, vale a dire i fini che miriamo a realizzare ed i
mezzi che deliberatamente scegliamo per realizzare quei fini. Dall'altra
parte vengono messi gli effetti collaterali dell'impiego dei mezzi e della
realizzazione dei fini, vale a dire quegli effetti che, pur essendo
preveduti, o comunque prevedibili, non sono direttamente intesi o
deliberatamente voluti in quanto non sono parte essenziale ne' dei fini che
si mira a realizzare ne' dei mezzi deliberatamente scelti per realizzarli.
Dei fini e dei mezzi saremmo sempre eticamente responsabili, degli effetti
collaterali no. In base a tale princpio, nella condotta della guerra sono
quindi proibiti interventi armati direttamente rivolti contro la popolazione
civile, ma possono essere giustificate azioni che comportano  l'uccisione di
civili ove questa sia un puro effetto collaterale. Per esempio, bombardare
deliberatamente un asilo uccidendo tutti i bambini ivi ospitati e' un atto
terroristico proibito; ma bombardare deliberatamente una caserma dove vivono
dei soldati sapendo che, data la sua vicinanza ad un asilo, si colpira'
sicuramente anche l'asilo uccidendo tutti i bambini che si trovano in esso,
e' un'azione che, in base al principio del doppio effetto, non e' proibita.
Anche questo e' un principio per molti versi problematico. In primo luogo,
la distinzione tra mezzi necessari e effetti collaterali non e' sempre cosi'
cristallina come i fautori della dottrina in esame sono inclini a ritenere:
vi e' qualcosa di estremamente artificiale nell'idea per cui mentre e'
assolutamente proibito uccidere deliberatamente bambini innocenti, tuttavia
l'uccisione di bambini e' del tutto lecita ove essa sia solo un effetto
collaterale. In secondo luogo, l'accettazione del principio  puo' essere
molto pericolosa nella misura in cui essa facilita quei processi di
brutalizzazione per cui i soldati divengono sempre piu' insensibili a tutte
le morti e le sofferenze che causano ai civili, in quanto, vedendole come
meri "danni collaterali", non si ritengono moralmente responsabili di esse.
Questa fuga dalla responsabilita' puo' anche essere ulteriormente facilitata
dalla struttura militare autoritaria nell'ambito della quale il soldato
opera. Ma l'obiezione piu' forte contro il principio del doppio effetto e'
che tale principio di per se' non pone nessun limite ai danni collaterali -
morti, sofferenze, violazioni di diritti - che e' moralmente permesso
infliggere attraverso l'uso di mezzi violenti intenzionalmente,
deliberatamente e direttamente volti soltanto contro i combattenti: in base
a tale principio si possono giustificare i bombardamenti piu' massicci,
anche quelli nucleari, purche' deliberatamente volti a colpire soltanto
obiettivi militari, pur sapendo che essi comporteranno uno sterminio di
civili innocenti o addirittura un genocidio.
*
c) Il principio di proporzionalita'.
Nell'ambito della dottrina della guerra giusta in esame, questa conseguenza
apparentemente paradossale sarebbe pero' evitata  grazie al principio di
proporzionalita': i morti, le sofferenze, i danni collaterali causati alla
popolazione civile dalla violenza deliberatamente diretta contro le forze
combattenti debbono essere proporzionali. Ma proporzionali a cosa?
All'importanza del particolare risultato militare tattico che in ogni
singola azione violenta, in ogni singolo bombardamento, si mira
deliberatamente a raggiungere? Oppure proporzionali all'importanza del fine
strategico piu' generale di battere militarmente l'oppositore, di vincere la
guerra? In tutte e due queste interpretazioni il principio di
proporzionalita' dice soltanto che non si deve usare piu' violenza di quella
(giudicata probabilmente) necessaria per raggiungere l'obiettivo tattico,
rispettivamente strategico, che si mira a realizzare. Ma la violenza (che si
giudica probabilmente) necessaria per raggiungere gli obiettivi indicati
puo' essere molto massiccia, tanto piu' massiccia quanto maggiore e' la
violenza usata dalla parte avversa, e quanto maggiore la sua capacita' e
volonta' di resistere. E cio' puo' facilmente  comportare la crescente
inflizione di danni collaterali  sempre piu' grandi e gravi alla popolazione
civile, danni permessi dal principio del doppio effetto e che il principio
di proporzionalita' sarebbe appunto inteso a proibire. Questo principio deve
dunque essere interpretato in altro modo.
In un'ulteriore, e piu' generale, interpretazione, il principio stabilisce
che vi deve essere una proporzionalita' tra i danni collaterali causati ai
civili non combattenti nel corso di una guerra necessaria per realizzare una
causa giusta (secondo lo "jus ad bellum") e i valori positivi realizzati se
la guerra e' vinta e la causa trionfa. Ma, di nuovo, quale proporzionalita'?
Si prenda, come esempio, una guerra fatta per la giusta causa di tutelare
fondamentali diritti umani e nel corso della quale siano (giudicate)
necessarie operazioni militari che comportano la violazione collaterale di
diritti umani fondamentali di civili non combattenti. Che cosa richiede in
tal caso il principio di proporzionalita'? La questione e' complessa perche'
la tutela e, rispettivamente, la violazione dei diritti hanno almeno tre
dimensioni: numero dei diritti tutelati, rispettivamente violati; numero
delle persone i cui diritti sono tutelati, rispettivamente violati; e (visto
che certi diritti possono essere realizzati o violati in varia misura) grado
di realizzazione, rispettivamente violazione, di essi. Queste dimensioni
hanno tutte la stessa rilevanza? Inoltre, i diritti violati come effetto
collaterale di operazioni militari deliberatamente volte contro combattenti
hanno uguale o minore peso morale di quelli che con tali atti vengono
intenzionalmente e di fatto tutelati? E contano soltanto le violazioni
collaterali nel breve periodo o anche quelle nel lungo? (Si sa che le mine e
le bombe inesplose uccideranno innocenti tra le generazioni future). Alla
fin fine un principio generale richiedera' una proporzionalita' tra i danni
totali causati da una guerra e la totalita' dei valori positivi realizzati
se la causa per cui essa e' fatta e' giusta e la guerra viene vinta.
L'applicazione concreta di una siffatto principio presuppone un calcolo
estremamente complesso. La dottrina della guerra giusta e' dunque non solo
estremamente problematica,  bensi' anche di difficile applicazione pratica.
Pero' si presta utilmente ad usi puramente propagandistici.

5. RIFLESSIONE. NELLA GINATEMPO: IL TABU' DELL'UCCIDERE
[Dal sito de "Il paese delle donne" (http://womenews.net/nuke) riprendiamo
questo intervento di Nella Ginatempo. Nella Ginatempo (per contatti:
nellagin at tiscali.it) e' una prestigiosa intellettuale impegnata nei
movimenti delle donne, contro la guerra, per la globalizzazione dei diritti;
e' docente di sociologia urbana e rurale all'universita' di Messina; ha
tenuto per alcuni anni il corso di sociologia del lavoro, svolgendo ricerche
sul tema del lavoro femminile; attualmente svolge ricerche nel campo della
sociologia dell'ambiente e del territorio. Tra le sue pubblicazioni: La casa
in Italia, 1975; La citta' del Sud, 1976; Marginalita' e riproduzione
sociale, 1983; Donne al confine, 1996; Luoghi e non luoghi nell'area dello
Stretto, 1999; Un mondo di pace e' possibile, Edizioni Gruppo Abele, Torino
2004]

Che cos'e' terrorismo? Un metodo che varca le soglie dell'orrore e ci
trasporta all'inferno o una organizzazione? Oppure un fantasma che diventa
il casus belli e dunque la leva su cui costruire lo scontro di in/civilta'?

Credo che tutte queste cose siano vere e vadano analizzate una per una, ma
partirei prima da due affermazioni.
La prima e' una affermazione per cosi' dire etica: chi usa il metodo del
terrore varca una soglia che nega il rispetto della vita, cioe' quel valore
universale che potremmo chiamare sacro se non fossimo laici, ma siccome
siamo laici chiamiamo fondante, prioritario, alla base della convivenza
umana e della civilizzazione.
Infatti l'orrore per tutte le barbarie che ci capita di vedere o che ci
fanno vedere (i media sono assai strumentali e selettivi) e' l'espressione
di questa violazione di cio' che sentiamo come sacro. Il metodo del terrore
e' usato a Guantanamo come ad Abu Ghraib, dagli squadroni della morte in
Honduras, Argentina e buona parte dell'America Latina, in Vietnam come in
Afghanistan, in Somalia, come in Kosovo, come in Iraq. I polmoni dilaniati
dall'uranio impoverito sono terrore, come i corpi dei civili fatti a pezzi
dai bombardamenti, come le torture, i desaparecidos, le stragi dei mercati e
dei campi profughi in Palestina come a Baghdad, lo sterminio di intere
citta' come in Cecenia. Il terrore e' lo strazio di civili inermi come
prodotto strategico del terrorismo di Stato ovvero della guerra.
Da alcuni anni il terrore e' stato acquisito come metodo anche da alcuni
movimenti di resistenza in varie parti del mondo, ma soprattutto in Medio
oriente e da parte di gruppi politici di ispirazione fondamentalista
islamica. Abbiamo cosi' assistito in diretta alla strage di Madrid, allo
scempio dei bambini in Ossezia, alle decapitazioni degli ostaggi, alle
esplosioni degli autobus e delle discoteche in Israele. In buona parte
questo ricorso al terrore e' spiegabile come effetto perverso della guerra
asimmetrica, nel senso che davanti al gigantesco meccanismo del terrorismo
di Stato i gruppi dei paesi senza adeguati mezzi militari reagiscono
ricorrendo al terrorismo dei kamikaze, o delle autobomba oppure ai sequestri
e alle uccisioni. Ma spiegare non significa giustificare. Non ci puo' essere
nessuna connivenza culturale con chi sceglie di fare uso del terrore, sia
pure per una causa con cui tenta di giustificarsi. Anche se il ricorso al
terrore nasce dalla volonta' di reagire dalla parte delle vittime di una
oppressione militare insormontabile e inaccettabile. Perche' nel momento in
cui si viola la vita di civili inermi si commette un crimine contro
l'umanita', piccolo o grande che sia in termini di numero. Un crimine contro
l'umanita' che non e' compatibile con nessun progetto di liberazione, che
viene anzi bruciato e incenerito dall'orrore.
Sappiamo che in Iraq ci sono da una parte mille morti americani e dall'altro
piu' di 20.000 vittime civili della infame occupazione militare e dei
bombardamenti. Questo puo' giustificare ai nostri occhi che una parte della
resistenza irachena possa scegliere di fare uso del terrore sui civili? No,
nessuna giustificazione possibile.
Per me il valore piu' importante non e' la vittoria e neanche la liberta' e
la giustizia, sebbene sia impegnata per questi obiettivi, ma e' il rispetto
della vita, senza di che nessuna civilizzazione e' possibile e si ritorna
alla barbarie.
E' questo il motivo per cui nessuna guerra umanitaria e' possibile perche'
la guerra e' un crimine contro l'umanita' per il solo fatto di esistere e
dispiegarsi: non esiste terrore e crimine piu' grande. Ma per questa stessa
valutazione etica non possiamo che respingere ogni pratica che somigli al
terrore antiumano della guerra e allontanarla dal campo dei movimenti di
lotta e di resistenza, pena la perdita della possibilita' stessa di fondare
un nuovo mondo, una alternativa di civilta'.
*
La seconda affermazione e' politica: faremmo bene, secondo me, a usare il
concetto di Quarta guerra mondiale, piu' appropriato di quello di scontro di
civilta', per analizzare la deriva del nostro mondo. Quando nel '91 Bush
padre inauguro' il "Nuovo ordine mondiale", elaborando la teoria dei due
destini e del nuovo modello di difesa, di fatto dichiaro' guerra a quella
parte di umanita' che veniva condannata al secondo destino, quello
dell'esclusione dai benefici dello "sviluppo" e della subordinazione -
attraverso il ricorso alle armi - al primo mondo, quello del capitalismo
globalizzato. Questa quarta guerra mondiale, nella quale siamo immersi da
tredici anni, totalmente asimmetrica e in continua escalation, e'
terrorismo, produce terrorismo e se ne alimenta, per avere nuova
legittimazione e continuare come guerra infinita. Aveva bisogno di un
nemico, dopo la sparizione dell'Urss seguita alla guerra fredda. E poiche'
tutte le tensioni politiche e le maggiori risorse energetiche stavano in
Medio Oriente e tra le popolazioni di religione islamica, ecco profilarsi il
nuovo nemico: l'Islam. Un fantasma artificialmente costruito, una gigantesca
civilta' plurale trasformata in mostro, identificata con la barbarie dei
gruppi terroristici, specularmente all'occultamento della propria gigantesca
barbarie, quella del sistema di guerra globale.
In questo senso e' vero che il terrorismo e' un fantasma, e' un casus belli,
assomiglia a Elena di Troia, cosi' come alla "pistola fumante" o alla
provetta di Powell, come simbolo di inesistenti armi di distruzione di massa
in Iraq.
La quarta guerra mondiale ricolloca il terrorismo al suo interno come nemico
costruito, alimentato e infiltrato per rendere globale e infinita la guerra
del nuovo impero Usa.
Connivenze e infiltrazioni per il crollo delle due torri dell'11 settembre?
Si', in tanti hanno gia' risposto a questo, da Gore Vidal, a Never Ahmed,
per finire a Michael Moore.
Ma tutto questo non significa che il terrorismo non esista come fenomeno
reale e non abbia una sua autonomia. Lasciando da parte i gruppi islamici
piu' piccoli e piu' vicini alla guerriglia di resistenza come in Palestina,
se guardiamo ad Al Qaeda e a Bin Laden, non possiamo non analizzare la
creazione di una lobby di potere che ha intrapreso una "guerra santa" contro
il potere degli Usa e dei suoi alleati, con precise mire di dominio,
attraverso una destabilizzazione di tutto il mondo islamico verso un
progetto di dittatura integralista che non potra' mai essere coniugata con
la parola liberazione.
E il fatto che esista Al Qaeda come fenomeno politico di terrorismo
organizzato non toglie nulla al fatto che in Iraq e in altre parti del Medio
Oriente esistono movimenti di resistenza armata, ben diversi e separati dai
gruppi terroristici, che lottano contro l'occupazione militare e che sono
legittimati a farlo dalla guerra di invasione.
Valutare la legittimita' della resistenza armata non significa affatto
praticarla o condividerla. Io resto convinta che per uscire dal Novecento
dobbiamo sperimentare e diffondere forme nuove di resistenza non armata di
massa, per motivi di efficacia, per promuovere processi di democratizzazione
reali della societa' civile, per consentire processi di pace e ricostruzione
di tutte le forze civili di un popolo oppresso, anche quelle che le armi non
le hanno prese in mano, ma hanno subuto la guerra e l'occupazione.
*
Credo poi che un altro mondo possibile non puo' cominciare se non fondiamo
il tabu' dell'uccidere, il che richiede una rivoluzione culturale.
Come una volta nella storia dell'umanita', in tempi molto antichi, la
societa' tribale stava rischiando di estinguersi a causa delle lotte tra
maschi per il possesso delle femmine, anche oggi l'umanita' rischia di
estinguersi per la quarta guerra mondiale e cioe' la guerra asimmetrica per
il possesso di Gea. L'umanita' si salvo' in quella svolta perche' fondo' il
tabu' dell'incesto, cosi' formo' la famiglia e la societa' patriarcale.
Oggi si pone la necessita', per l'intera specie umana, di mettere la vita
delle persone al primo posto e fondare il tabu' dell'uccidere. Tabu'
significa che una cosa non solo non si puo' fare, ma non si puo' neanche
pensare, perche' viola cio' che sentiamo inviolabile.
Lo so che i signori della guerra vincono militarmente, ma so anche che non
portano alcuna civilta' con la loro barbarie tecnologica, solo la
distruzione del mondo. E credo che coloro che rispondono al terrore con
l'orrore non fanno che incrementare questa distruzione, allargare la guerra
e impedire che crescano le margherite.

6. STRUMENTI. PAOLO CANDELARI: MI ABBONO AD "AZIONE NONVIOLENTA" PERCHE'...
[Ringraziamo Paolo Candelari (per contatti: paolocand at inwind.it) per questo
intervento. Paolo Candelari, presidente del Movimento Internazionale della
Riconciliazione, e' una delle piu' conosciute e stimate figure della
nonviolenza in Italia]

Sono abbonato ad "Azione nonviolenta" dal lontano 1980, e da allora conservo
gelosamente tutti i numeri. Li' dentro c'e' praticamente la storia dei
movimenti nonviolenti in Italia: le campagne per l'obiezione di coscienza
alle spese militari, i dibattiti sulla difesa popolare nonviolenta, i vari
interventi e iniziative sull'educazione alla pace, e tanto altro ancora.
Ma oltre a queste ragioni storico-affettive c'e' anche una ragione molto
pratica: e' uno dei pochi strumenti di informazione che parlano della
realta' nonviolenta italiana e del mondo, dunque uno strumento
indispensabile per chi voglia seguire da vicino  i movimenti nonviolenti.
Peccato che sia poco diffuso rispetto ai tanti dispensatori di pessime
notizie, nonche' inutili; proprio per questa funzione spero che possa
allargare l'ambito dei propri lettori.
Se tanti commentatori o sedicenti politologi leggessero "Azione nonviolenta"
potrebbero evitare di porsi a ogni pie' sospinto la domanda "dove sono, cosa
fanno i pacifisti": se non proprio di tutti i pacifisti, quantomeno si
renderebbero conto di cosa fanno quelli nonviolenti.
Corro dunque a rinnovare per la venticinquesima volta il mio abbonamento per
non perdere neanche un numero di questa utilissima rivista, e invito tutti
coloro che sono interessati alla nonviolenza a farlo.
Pace forza gioia.

7. STRUMENTI. PASQUALE PUGLIESE: MI ABBONO AD "AZIONE NONVIOLENTA"
PERCHE'...
[Ringraziamo Pasquale Pugliese (per contatti: puglipas at interfree.it) per
questo intervento. Pasquale Pugliese, educatore presso i Gruppi educativi
territoriali del Comune di Reggio Emilia, dove risiede, laureato in
filosofia con una tesi su Aldo Capitini, e' impegnato nel Movimento
Nonviolento, nella Rete di Lilliput ed in numerose iniziative di pace; e'
stato il principale promotore dell'iniziativa delle "biciclettate
nonviolente"]

Molte delle ragioni che inducono anche me a rinnovare ancora l'abbonamento
ad "Azione nonviolenta" sono state gia' scritte da altri abbonati. Percio'
non mi dilungo ma aggiungo solo due ulteriori brevi considerazioni.
Finalmente, e con una rapidita' da lasciare storditi, negli ultimissimi
tempi la nonviolenza e' uscita dalla nostra nicchia politico-culturale ed e'
diventata questione con la quale, e sulla quale, grandi organizzazioni -
sindacati, partiti, associazioni di volontariato - e intellettuali di fama,
hanno preso a interrogarsi. Piu' o meno approfonditamente, piu' o meno
seriamente. Assistiamo, e a volte partecipiamo, ad un pullulare di
iniziative piccole e grandi, centrali e periferiche, sul tema della
nonviolenza diversamente declinato.
Ecco, "Azione nonviolenta" che - nei suoi primi quaranta anni - ha svolto,
praticamente da sola (ed e' un miracolo laico) il servizio insostituibile di
tenere accesa la fiammella della nonviolenza politica in Italia, oggi - e
nei suoi secondi quaranta anni - deve svolgere l'altrettanto delicato ruolo
di punto di riferimento per quanti, pur provenendo da strade diverse,
vogliono avere con la nonviolenza non "un flirt e via", ma confrontarsi a
fondo con un pensiero ed una prassi complesse e articolate, non
superficiali, di trasformazione della realta'.
La seconda riflessione, riguarda il nome della testata "Azione nonviolenta"
che, come ci spiegava Pietro Pinna, ancora nell'intervista pubblicata sul
numero di luglio 2004, fu chiamata cosi' da Capitini e da lui perche' il
ruolo della rivista era quello di far andare di pari passo l'elaborazione e
la diffusione delle idee con la loro messa in atto, con l'azione appunto.
Non a caso la nascita della rivista e' coeva alla nascita del Gan (Gruppo di
Azione Diretta Nonviolenta).
Dunque abbonarsi ancora ad "Azione nonviolenta" rimane, per me, un monito,
un incitamento a non fermarsi alla sole dimensioni culturali o storiche
della nonviolenza ma cercare in esse sempre nuove vie d'azione. Azione
politica e/o sociale, trasformativa e/o maieutica, educativa e/o creativa,
simbolica e/o diretta, personale e/o collettiva. Ma azione.

8. STRUMENTI. INFORMAZIONE, FORMAZIONE, AZIONE: NONVIOLENTA
"Azione nonviolenta" e' la rivista mensile del Movimento Nonviolento fondata
da Aldo Capitini nel 1964, e costituisce un punto di riferimento per tutte
le persone amiche della nonviolenza. La sede della redazione e' in via
Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803, fax: 0458009212, e-mail:
azionenonviolenta at sis.it, sito: www.nonviolenti.org; l'abbonamento annuo e'
di 25 euro (fino al 31 dcembre, da gennaio 29 euro) da versare sul conto
corrente postale n. 10250363, oppure tramite bonifico bancario o assegno al
conto corrente bancario n. 18745455 presso BancoPosta, succursale 7, agenzia
di Piazza Bacanal, Verona, ABI 07601, CAB 11700, intestato ad "Azione
nonviolenta", via Spagna 8, 37123 Verona, specificando nella causale:
abbonamento ad "Azione nonviolenta".

9. ESPERIENZE. BINAIFER NOWROJEE: RUANDA, VITE FRANTUMATE
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per
averci messo a disposizione la sua traduzione di questa intervista ripresa
da "Libertas (Rights & Democracy's Newsletter)" di dicembre 2004. Binaifer
Nowrojee, fa parte della Coalition for Women's human rights in conflict
situations (Coalizione per i diritti delle donne nelle situazioni di
conflitto), e' avvocata, ricercatrice per Rights Watch, docente alla scuola
di legge di Harvard. La presente intervista e' stata condotta dall'agenzia
"Hirondelle News" ad Arusha (Tanzania)]

"Hirondelle News": Sono passati quasi otto anni da quando lei scrisse il
rapporto "Vite frantumate", che riguardava la violenza sessuale in Ruanda.
Come giudica gli sforzi del tribunale internazionale rispetto ai crimini
commessi contro le donne in Ruanda, durante il genocidio?
Binaifer Nowrojee: Durante il genocidio del 1994 la violenza sessuale era
diffusissima, e decine di migliaia di donne furono violentate, vittime di
stupri di gruppo, e mutilate sessualmente. Molte furono tenute in stato di
schiavitu' sessuale da individui o gruppi. Questi sono crimini per il
diritto internazionale, e fa parte del mandato del tribunale perseguire sia
coloro che personalmente commisero quegli atti, sia i loro superiori che non
fecero nulla per prevenirli o arrestarli. Il tribunale ha cominciato molto
bene, giudicando il caso di Jean Paul Akayesu, una sentenza che fara' testo
nel diritto internazionale. Per la prima volta, lo stupro e' stato giudicato
atto di genocidio, e per la prima volta lo stupro e' stato considerato
crimine secondo la Convenzione di Ginevra sui conflitti interni ad un paese.
Da quella volta, abbiamo visto un po' un misto di sentenze, dove alcuni casi
che avrebbero previsto l'accusa di violenza sessuale sono stati portati
avanti senza menzionarla.
*
"Hirondelle News": Lei fece parte delle attiviste e degli attivisti che
premettero per avere un altro pubblico ministero. Una delle vostre
argomentazioni era che il pubblico ministero in carica, Carla Del Ponte, non
era affatto acuta nel perseguire la violenza sessuale. L'avere un altro
pubblico ministero, Hassan Bubacar Jallow, ha migliorato la situazione?
Binaifer Nowrojee: Durante il mandato di Carla Del Ponte non c'era alcun
interesse nell'investigare e nel dibattere pienamente le accuse di violenza
sessuale. Del Ponte smantello' la squadra di investigatori sugli abusi
sessuali e, di conseguenza, le ricerche si scontravano con la pressione
proveniente dai giudici e dal Consiglio di Sicurezza dell'Onu per portare i
dibattimenti a termine velocemente. Penso che sia presto per giudicare
l'operato di Hassan Bubacar Jallow. Sta facendo il suo lavoro da solo un
anno. Ma e' confortante vedere che le accuse di violenza sessuale ora sono
incluse nei casi dibattuti e arrivano ai processi. Tuttavia, la mancanza di
attenzione sperimentata nei quattro anni precedenti fa si' che ora siano
necessarie molte cure per cominciare ad affrontare l'istanza, sia in termini
di investigazioni, sia in termini di strategie.
*
"Hirondelle News": Quale fu l'impatto della violenza sessuale in Ruanda, nel
1994, secondo il rapporto che lei redasse?
Binaifer Nowrojee: Credo che la violenza sessuale sia stata usata come arma
di genocidio. Nella propaganda anti-Tutsi che preparo' il genocidio, ad
esempio, la sessualita' delle donne era un bersaglio costante, e le donne
Tutsi venivano dipinte come belle sgualdrine seduttrici. Il risultato fu che
quando la violenza preparata esplose, molta di essa fu diretta contro le
donne Tutsi. Le cose che gli stupratori dicevano alle loro vittime erano
esattamente quelle dette dalla propaganda che precedette il genocidio.
Questi stupri non venivano compiuti dietro porte chiuse, o in vicoli oscuri.
Furono compiuti all'aperto, ai posti di blocco, nei campi coltivati, accanto
ad edifici governativi, negli ospedali e nelle chiese, in tutto il Ruanda.
Per quello che io ho potuto scoprire durante la mia ricerca sul campo, ci
furono pochi o nessun tentativo, da parte delle autorita', di proteggere le
vittime di violenza sessuale, o di punire i soldati responsabili.
*
"Hirondelle News": Le organizzazioni dei sopravvissuti dicono che le vittime
di stupro sono ancora traumatizzate, che molte di esse hanno contratto varie
malattie. In che modo il tribunale puo' essere coinvolto nello sforzo per
aiutarle?
Binaifer Nowrojee: Lo stupro e' un'arma di guerra molto efficace, perche'
non affligge solo la donna che lo subisce, ma ferisce la comunita' di cui
lei fa parte, e molto tempo dopo l'atto le sue conseguenze persistono. Oggi,
le donne ruandesi che hanno subito violenze sessuale hanno seri problemi di
salute, soprattutto di salute riproduttiva. Molte stanno morendo di aids,
morendo nell'isolamento e nella stigmatizzazione perche' sono state
violentate, ed alcune di loro hanno messo al mondo i "figli dello stupro" e
ne sopportano le conseguenze. Nel mettere in moto l'azione della giustizia
internazionale, dobbiamo assicurarci di avere processi che rispettino la
dignita' ed il benessere dei testimoni e delle vittime. Il trattamento delle
vittime di stupro, che provvedono testimonianze al tribunale, e' una parte
importante del mandato del tribunale stesso. Cio' significa non solo avere
rispetto per la loro dignita' nell'aula, ma provvedere al loro benessere, ai
loro bisogni fisici e medici. Per lungo tempo, gli accusati detenuti in
custodia hanno ricevuto medicine per l'aids che sono invece state negate
alle vittime, molte delle quali si sono ammalate a causa degli stupri
perpetrati su di loro da quelle stesse persone detenute. Ma ora il tribunale
sta cominciando a sanare questa ingiustizia.
*
"Hirondelle News": E per quanto riguarda i risarcimenti dovute alle vittime?
Binaifer Nowrojee: Lo statuto di questo tribunale non prevede alcun
meccanismo al riguardo. Non ha giurisdizione per assegnare un risarcimento
alle vittime. E' improbabile, ed io penso addirittura impossibile, che le
vittime ruandesi del genocidio ottengano dei risarcimenti. Ma ho speranza
che, nel futuro, ci muoveremo verso modelli diversi.

10. RILETTURE: FRANCO BASAGLIA, FRANCA BASAGLIA ONGARO (A CURA DI): CRIMINI
DI PACE
Franco Basaglia, Franca Basaglia Ongaro (a cura di), Crimini di pace.
Ricerche sugli intellettuali e sui tecnici come addetti all'oppressione,
Einaudi, Torino 1975, pp. 10 + 486. Un libro ancora utilissimo, cui hanno
contribuito anche Jean-Paul Sartre, Vladimir Dedijer, Michel Foucault,
Robert Castel, Rene' Lourau, Vincenzo Accattatis, Erick Wulff, Noam Chomsky,
Ronald Laing, Erving Goffman, Thomas S. Szasz, Stanley Cohen, Malcolm Bush,
Tom Dewar, Kathy Fagan, Linda Gelberd, Andrew Gordon, Alicia McCareins, John
McKnight.

11. RILETTURE: FRANCA ONGARO BASAGLIA: MANICOMIO PERCHE'?
Franca Ongaro Basaglia, Manicomio perche'?, Emme, Milano 1982, pp. 88. Un
limpido compendio delle ragioni per l'abolizione di un luogo di dolore in
cui si pretende di curare le persone incarcerandole e torturandole.

12. RILETTURE: FRANCA ONGARO BASAGLIA: SALUTE/MALATTIA
Franca Ongaro Basaglia, Salute/malattia, Einaudi, Torino 1982, pp. VI + 290.
Un libro fondamentale la cui lettura consigliamo vivamente, vivamente,
vivamente.

13. RILETTURE: FRANCA BASAGLIA ONGARO: UNA VOCE
Franca Basaglia Ongaro, Una voce. Riflessioni sulla donna, Il Saggiatore,
Milano 1982, pp. X + 150. Un libro di straordinaria lucidita' intellettuale
e squisita finezza di scrittura.

14. DA TRADURRE. AA. VV.: SISTEMAS DE ESCRITURA, CONSTRUCTIVISMO Y EDUCACION
AA. VV., Sistemas de escritura, constructivismo y educacion. A veinte anos
de la publicacion de Los sistemas de escritura en el desarrollo del nino,
Homo Sapiens Ediciones, Rosario, Santa Fe (Argentina) 2000, pp. 124. A cura
di Fernando Avendano e Monica Baez, con contributi oltre che dei curatori
anche di Emilia Ferreiro, Ana Teberosky, Jose' Antonio Castorina, Diana
Grunfeld. Il volume, che riprende anche alcune delle relazioni dell'incontro
svoltosi nel 1999 nel ventennale della pubblicazione della gia' classica
opera di Emilia Ferreiro e Ana Teberosky (tradotta in italiano col titolo La
costruzione della lingua scritta nel bambino, Giunti, Firenze 1985) apporta
assai utili riflessioni delle autrici e di altre ed altri studiosi.

15. DA TRADURRE. EMILIA FERREIRO: LES RELATIONS TEMPORELLES DANS LE LANGAGE
DE L'ENFANT
Emilia Ferreiro, Les relations temporelles dans le langage de l'enfant,
Librairie Droz, Geneve-Paris 1971, pp. XVI + 390. E' la prima opera di
Emilia Ferreiro, la pubblicazione della sua gia' straordinariamente
innovativa tesi ginevrina. Con prefazione di Jean Piaget.

16. DA TRADURRE. DELIA LERNER: LEER Y ESCRIBIR EN LA ESCUELA: LO REAL, LO
POSIBLE Y LO NECESARIO
Delia Lerner, Leer y escribir en la escuela: lo real, lo posible y lo
necesario, Fondo de Cultura Economica, Mexico 2001, 2003, pp. 200. Analisi,
prospettive e proposte di una delle animatrici della Rete latinoamericana di
alfabetizzazione.

17. DA TRADURRE. ANA TEBEROSKY, LILIANA TOLCHINSKY: MAS ALLA' DE LA
ALFABETIZACION
Ana Teberosky, Liliana Tolchinsky, Mas alla' de la alfabetizacion, Ediciones
Santillana, Buenos Aires 1995, 2000, pp. 326. Una approfondita esplorazione
delle diverse dimensioni del tema. Al libro hanno contribuito anche Artur
Gomez de Morais, Mireille Bilger, Rosa Simo' e Neus Roca, Luis Maruny Curto,
Maribel Ministral Murillo, Manuel Miralles Texido', Myriam Nemirovsky,
Carmen Gomez-Granell.

18. DA TRADURRE. LILIANA TOLCHINSKY LANDSMANN: APRENDIZAJE DEL LENGUAJE
ESCRITO
Liliana Tolchinsky Landsmann, Aprendizaje del lenguaje escrito. Procesos
evolutivos e implicaciones didacticas, Anthropos, Barcelona 1993, pp. 352.
In cinque parti, una ricognizione puntuale ed acuta ad opera di una delle
piu' note studiose.

19. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

20. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, sudest at iol.it,
paolocand at inwind.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 795 del 31 dicembre 2004

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