[gc] Le carte di Silvio Berlusconi per uscire dalla casa del "Grande fratello"



Sul sito: Mariastella Gelmini, la scuola e il signorino di Giuseppe Aragno

Le carte di Silvio Berlusconi per uscire dalla casa del “Grande fratello”

Giuliano Ferrara, sulle pagine de “Il Foglio”, ha invitato in settimana Silvio Berlusconi a riprendere in mano il proprio destino: “Berlusconi deve liberarsi della molta stupidità e inesperienza politico-istituzionale che lo circonda, e deve decidersi: o accetta di naufragare in un lieto fine fatto di feste e belle ragazze oppure si mette in testa di ridare, senza perdere più un solo colpo, il senso e la dignità di una grande avventura politica all’insieme della sua opera e delle sue funzioni”.

di Gennaro Carotenuto

Il quotidiano della CEI “Avvenire” intanto ha messo sul tappeto un punto ineludibile: Berlusconi deve “sgomberare il terreno dagli interrogativi più pressanti, che non vengono solo dagli avversari politici ma anche da una parte di opinione pubblica non pregiudizialmente avversa al premier”.

Figurarsi, pensa lo stolto, con l’estate alle porte, l’anziano libertino (“rattuso” in napoletano) starà visionando i book delle nuove Noemi da portarsi a Villa Certosa e i famigli (chissà se lo fanno di persona Gasparri, Cicchitto, Bondi…) staranno già caricando le casse di champagne sui voli di Stato e chiunque non crede, obbedisce, combatte è comunista. Nella chiusura della campagna elettorale, a Cinisello Balsamo, un Berlusconi particolarmente iracondo ha insultato così chi lo contestava prima di inscenare la solita gag compiacente sulle signore presenti: “Siete dei poveri comunisti. Vergogna!” Non è così, ha ricordato il quotidiano della CEI. Esiste un’opinione pubblica che magari ha votato per Berlusconi, che non è certo manipolata da Marco Travaglio e Rupert Murdoch (che, uomo di destra, agirebbe per ripicca, sic!) e considera Vauro blasfemo, ma non è così evoluta da accettare questo simulacro della realtà. Non è pronta, semplicemente, ad accettare un primo ministro e un governo (prima ancora che un paese) che va a puttane e dove alle feste, in mancanza di farina, non resta che affiancare la forca.

No, Silvio non può più stare a pettinare le veline. E Berlusconi non è uomo da arrendersi senza combattere. Per anni, dalla bicamerale in avanti, il centrosinistra si è illuso come Chamberlain a Monaco di poterlo contentare, limitare, addomesticare, sostenendo perfino che l’antiberlusconismo non paghi. Ma adesso Berlusconi, che un paio di mesi fa sembrava avere i colli fatali di Roma ai suoi piedi e che invece oggi teme di vivere un 24 luglio prolungato e si guarda le spalle tra i suoi alla ricerca del Bruto che sferrerà la prima coltellata, sa che non se la caverà con un Minzolini compiacente, con un Ghedini troppo cinico da ragliare quell’agghiacciante utilizzatore finale come sinonimo di “puttaniere” oppure tagliando qualche nastro all’Aquila o magari facendo le corna a Barack Obama al G8. La vicenda Mauro a Strasburgo lo conferma. Qualcuno dotato di senno può sostenere che ci sia un complotto franco-polacco o del PPE contro Berlusconi? Semplicemente il nostro capo del governo non aveva l’autorevolezza per imporre il proprio uomo.

Per resistere Berlusconi deve ricostituire quel consenso con i poteri fattici, la CEI, la BCE, Confindustria, senza il quale né le maggioranze bulgare di cui dispone in parlamento più che nel paese né l’infinita capacità corruttiva che lo caratterizza possono bastare. Altrimenti Mario Draghi, Gianfranco Fini o chi per loro, eletti o meno ma con la stessa maggioranza e blocco sociale, potrebbero davvero fare quel governo del fare che l’uomo del fare non è stato capace di fare mentre naufragava negli ozi di Capua (o Villa Certosa o Palazzo Grazioli o dove vuole, anni fa un magistrale pezzo di Luigi Pintor aveva calcolato che solo nelle ville in Sardegna Berlusconi possedesse 77 cessi), rimuovendolo senza neanche promuoverlo al Quirinale.

Ci siamo baloccati per anni a pensare che purtroppo gli italiani sono così, che amano Berlusconi e che l’invidiano nel senso buono del termine: vorrebbero essere come lui, con Noemi sulle ginocchia, Patrizia che l’aspetta in camera da letto e Apicella che fa finire tutto a tarallucci e vino. E invece mai come in questo momento la distanza tra Silvio e gli italiani è stata così siderale. L’uomo dei 77 cessi o delle 77 chirurgie plastiche è altrove, pensa a sé come neanche al tempo delle leggi ad personam e può solo nascondere le rughe del paese: “la crisi è percepita, spendete” blatera da mesi copiando George Bush del post-11 settembre. Sappiamo come è finita nelle strade d’Iraq e in quelle statunitensi e già oggi non basta più la censura né sulla crisi né sui ginecei. La crisi economica non può essere esorcizzata col silenzio e non un ricco qualsiasi ma il “presidente del fare” non può passare di festa in festa con costumi che non solo la maggioranza cattolica del paese considera disdicevoli.

L’argine è rotto. Da una parte “l’Espresso” fa flop con foto dove nulla di rilevante penalmente si vede e dove neanche si dà soddisfazione al voyerismo dell’antiberlusconismo più irriflessivo. Dall’altra parte in compenso entra in scena un faccendiere come Giampaolo Tarantini, l’imprenditore pugliese che avrebbe speso 100.000 Euro al mese per la villa accanto a Villa Certosa per ingraziarsi il primo ministro. Sembra un personaggio da fiction per lo squallore che emana. Poi spunta una Patrizia D’Addario, una Barbara Montereale… Nelle foto di questa poveretta senz’arte né parte c’è tutta una visione di mondo: gli abbracci a Flavio Briatore, Fabrizio Corona, Emilio Fede come carta d’identità. Basterà il racconto della poveretta in questione sul re taumaturgo che le dona 10.000 Euro per lenire i danni?

Non basta più, ma s’illude chi può pensare che le soluzioni alla crisi possono essere cercate al di fuori del regime, magari in un’opposizione che resterà allo sbando a lungo e dove perfino Francesco Rutelli si concede all’antiberlusconismo in assenza totale di altre idee. Al più si stanno accelerando i tempi per quel berlusconismo senza Berlusconi che la biologia comunque avvicina. Ma ad oggi è ancora il padrone di Mediaset quello che dà le carte e che ora deve passare alla controffensiva non con le stesse armi tristi ma efficaci del gruppo “L’Espresso” (foto di Di Pietro a Montenero di Bisaccia? Rivelazioni sulla vita sessuale di Franceschini?), ma governando il paese e ricostituendo il consenso scalfito che le urne due settimane fa ci hanno detto essere limitato a un italiano su tre tra quanti si sono presi il disturbo di andare a votare. Per resistere e rilanciare ci sono almeno tre fronti dove il primo ministro, per dimostrare di essere ancora in arcione, si deve esercitare subito, presto e bene. Uno di questi è coperto, sugli altri due dovrà giocare alla luce del sole e non sarà facile.

Il primo fronte è quello del segreto. Non basta più neanche la legge sulle intercettazioni per rassicurare il primo ministro. Quanta gente è in grado di ricattare il primo ministro? Non parlo di accompagnatrici occasionali come Patrizia D’Addario o dal ruolo ancora incerto come Noemi Letizia. Di quanti avvocati Mills comprati con 600.000 sterline è disseminata la carriera di Berlusconi? Quanti Gianpaolo Tarantini allietano la vita di Berlusconi? All’apice del successo poteva convenire loro star zitti ma al momento della frana potrebbero tornare all’incasso o pensare che convenga loro parlare. Quanti “eroi” come Vittorio Mangano sono stati finora in silenzio ma da domani potrebbero tornare a ricattare il signor B.?

Può fidarsi di servizi segreti che hanno permesso che Villa Certosa e Palazzo Grazioli diventassero un colabrodo? Forse non è a rischio l’incolumità del capo del governo, chi può volergli male? Ma anche un primo ministro che ha fondato la televisione commerciale in Europa quanto può resistere vivendo come fosse nella casa del “Grande fratello”? E soprattutto Silvio Berlusconi è l’uomo più ricco e più potente d’Italia o è solo l’uomo più ricattabile?

Sciolto, non si sa come, questo primo ineludibile nodo, Berlusconi dovrà passare al contrattacco alla luce del sole. Verso la chiesa cattolica e verso quella parte di consenso di massa e per scelta che vanta ma verso i quali ha potuto poco: le piccole e medie imprese, le partite IVA. Sono i punti due e tre del piano di uscita dalla crisi personale in cui si è cacciato. Se riprendere i deliri dell’epoca della povera Eluana Englaro e convertirli in legge sul testamento biologico sarebbe economicamente a costo zero, gli altri punti del prezzo da pagare alla CEI per chiudere un occhio su una vita libertina poco consona a un politico devoto, ha invece un costo altissimo: scuole cattoliche e sostegno alle famiglie.

Sulle scuole ha sguinzagliato Mariastella Gelmini (leggete questo magistrale Geppino Aragno) in rampa di lancio per succedere a Roberto Formigoni come governatore della Lombardia, con in testa una sola idea meravigliosa: togliere alla scuola pubblica per dare alla privata. Non è facile, perché se l’obbiettivo è quello di fare uscire le private da un mercato di nicchia e farle diventare come da programma un’alternativa reale alla pubblica istruzione i costi, economici prima che politici, divengono altissimi, e aprono dossier sindacali inestricabili. Finora i tagli (come se fosse poco) hanno inciso sulla qualità dell’educazione e sul destino dei giovani precari. Difficile ma necessario andare oltre.

Ancora peggio va sul fronte quoziente familiare e simili. Una cosa sono le parole o fare le scampagnate al family day e un’altra sono politiche vere di sostegno alle famiglie e alla natalità (basterebbe guardare alla Francia) che costano punti del PIL. E ancora più difficile è il punto tre, accontentare le piccole e medie imprese, il popolo delle partite IVA che per Berlusconi ha votato in massa e che non può più essere tenuto a freno solo aizzandolo contro gli immigrati o chiudendo gli occhi sull’evasione fiscale. Adesso per non mugugnare si aspettano una politica robusta ed espansiva, detassazioni, aiuti fiscali, una spallata alle banche che avranno pure resistito meglio di quelle straniere alla crisi ma solo perché conservative e incapaci di aiutare il paese quando ne ha bisogno. E’ quello che si è fatto all’estero e che Berlusconi ha creduto di poter solo fingere di fare.

Soldi, soldi, soldi, Berlusconi per venir fuori dalla casa del Grande fratello ha bisogno di montagne di soldi per governare davvero. Dovrebbe avere una visione di futuro come quella di Barack Obama e soprattutto dovrebbe convincere Giulio Tremonti a trovare le risorse senza far esplodere conflitti sociali irrisolvibili. Forse è vero, la stagione di Silvio Berlusconi sta per finire. Ma è difficile che per l’Italia ci sarà un lieto fine di feste e belle ragazze.

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