PeaceLink sostiene la rivolta nonviolenta dei monaci e della popolazione in Myanmar (ex Birmania)



Seguiamo con apprensione l'evolversi della lotta nonviolenta. Invitiamo tutti i mediattivisti a mobilitarsi per raccogliere testimonianze e annodare i fili della solidarietà internazionale.

PeaceLink sostiene la rivolta nonviolenta dei monaci e della popolazione in Myanmar (ex Birmania).

Nel nome di Aung San Suu Kyi, donna birmana attiva da molti anni nella difesa dei diritti umani e premio Nobel per la Pace, rivendichiamo una condanna generale e l'isolamento dei militari fascisti al potere.

Consideriamo la dittatura militare birmana un "governo abusivo". Si è imposto con un golpe contro la maggioranza dei cittadini che avevano votato democraticamente per la democrazia e per Aung San Suu Kyi.

L'Europa non ha fatto abbastanza per isolare la giunta militare birmana.

Basti pensare che - come sostiene Amnesty International - un elicottero d'attacco prodotto in India (l'Advanced Light Helicopter - Alh) e fornito alle forze armate birmane non potrebbe funzionare senza componenti essenziali di provenienza europea.


Alessandro Marescotti
Presidente di PeaceLink





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Myanmar, raid nei monasteri, militari blindano centro di Yangon
giovedì, 27 settembre 2007 8.22 144 - REUTERS ITALIA
			

Di Aung Hla Tun

YANGON (Reuters) - I generali al potere in Myanmar hanno lanciato diversi raid prima dell'alba nei monasteri ribelli, cercando di reprimere la più grande protesta contro la giunta degli ultimi 20 anni, ignorando gli appelli internazionali a fermare la repressione.

Le incursioni fanno supporre che i generali, che hanno convissuto con le sanzioni occidentali per anni e hanno sempre ignorato qualsiasi appello al cambiamento, non stiano ascoltando le pressanti richieste, il giorno dopo che cinque monaci sono stati uccisi nelle proteste di massa, come denunciato dall'opposizione.

Altro spargimento di sangue sembra inevitabile, dopo che i monaci su stazioni radio straniere in lingua birmana hanno invitato i loro compagni a non arrendersi e le forze di sicurezza hanno steso barriere di filo spinato nei principali incroci nel centro di Yangon.

Alle prime ore di oggi apparivano tranquille le strade dell'ex capitale, dove le truppe uccisero circa 3000 persone nella repressione della rivolta del 1988.

Soldati e polizia hanno piazzato anche sette autopompe da usare come idranti vicino alla Pagoda Sule, che è stata l'epicentro della protesta, entrata nella seconda settimana.

I raid nei monasteri infiammeranno con ogni probabilità gli animi dei 56 milioni di abitanti birmani, stanchi di 45 anni di ininterrotto regime militare e di difficoltà economiche.

"Le porte dei monasteri sono state sfondate, hanno saccheggiato e portato via molte cose", ha detto un testimone. "E' come vivere in un inferno vedere i monasteri invasi e i monaci trattati con crudeltà".

Persone che abitano vicino ai monasteri di Yangon, la capitale morale della nazione buddista, hanno riferito che almeno 500 monaci sono stati portati via nei camion dell'esercito.

Fronteggiando la più seria minaccia alla loro autorità dal 1988, la giunta ha ammesso che un uomo è stato ucciso e altri tre feriti, quando i soldati hanno sparato ieri colpi di avvertimento e gas lacrimogeni per disperdere la folla.

I capi della protesta ribattono che almeno cinque monaci sono stati uccisi, mentre i soldati e la polizia cercava di allontanare i dimostranti.

Secondo alcuni testimoni, 100.000 persone si sono riunite ieri a Yangon dove le strade riecheggiavano delle urla di rabbia per l'uso della violenza contro i monaci.

Nella notte la polizia ha arrestato due membri della Lega nazionale per la democrazia, ha detto il portavoce del partito di opposizione. Anche due politici dissidenti di altri partiti sono stati incarcerati.

La reazione della comunità internazionale è stata molto forte, a cominciare dal segretario di Stato Usa Condoleezza Rice, che ha definito la vicenda "una tragedia" e chiesto ai generali di lasciare entrare nel paese un inviato delle Nazioni Unite per incontrare la leader dei democratici, Aung San Suu Kyi.

Tuttavia in una riunione di emergenza del Consiglio di sicurezza dell'Onu, la Cina ha escluso il ricorso a sanzioni o a condanne ufficiali dell'uso della forza.

La storia insegna che la giunta non si muove sulla base delle minacce di Francia e Gran Bretagna - ex potenze coloniali --, secondo cui i leader saranno ritenuti responsabili del bagno di sangue. Il premier britannico Gordon Brown ha detto che "il tempo dell'impunità" è finito.

Gli Usa e i 27 stati della Ue hanno chiesto ai generali di avviare un dialogo con i leader filo-democratici, che comprenda il premio Nobel Suu Kyi, e i gruppi etnici minoritari.

I ministri degli Esteri del G8 si sono accordati su una formula simile, ma senza minacciare sanzioni, per rispetto della posizione della Russia.

Alcuni partecipanti alla riunione hanno riferito che Rice e il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, il cui paese si è schierato con la Cina nel bloccare le iniziative dell'Onu contro Myanmar, si sono scontrati sulla questione delle sanzioni.

Washington e Parigi hanno chiesto alla Cina di usare la sua influenza per convincere la giunta a fermare la repressione.

Secondo diversi diplomatici, la Cina ha parlato con i generali della giunta delle preoccupazioni internazionali, ma Pechino si è finora astenuta dal criticarli pubblicamente.