Un nuovo libro sulla DPN (Difesa popolare Nonviolenta)



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Antonino Drago

PRESENTAZIONE DELLE NOVITA’ DEL  LIBRO
Antonino Drago:
Difesa popolare nonviolenta. Premesse teoriche, principi politici e nuovi scenari
Ed. Gruppo Abele, 2006, pp. 384, euro 22

Per sfatare preconcetti di emotività e irrazionalità, i primi tre capitoli (su otto) del libro sono dedicati alla fondazione razionale (scientifica) della difesa popolare nonviolenta. Questa fondazione viene raggiunta con una argomentazione (che viene anche sintetizzata nei parr. 5 e 6 della Prefazione e rappresentata con uno schema nelle pagg. 31-34) che, senza richiedere cognizioni scientifiche particolari, fa buon uso della esperienza delle teorie scientifiche alternative del passato. Se nonostante la semplicità dell’argomentazione, questa fondazione fosse ritenuta troppo difficile, si possono considerare solo i paragrafi successivi al terzo, e anche qui i  punti successivi a terzo. 

1) La enormità del problema (trovare una maniera alternativa di difendersi da quella che usa le bombe nucleari assieme a tutta la organizzazione militare, statale e sociale conseguente) trova soluzione in un vero e proprio cambiamento di paradigma (secondo la celebre espressione dello storico della scienza, T.S. Kuhn), per cui dopo il cambiamento la stessa realtà sociale e storica viene percepita e compresa in una maniera alternativa (così come fu per le rivoluzioni scientifiche dei quanti e della relatività). Per fortuna in questo caso il nuovo paradigma ci è noto da vari decenni: è quello della nonviolenza di Gandhi, la quale ha dato la prova di efficacia storica con la liberazione dell’India e con la liberazione dei Paesi dell’Est nel 1989.   

2) Il cambiamento di paradigma (verso la nonviolenza) viene sostanziato con una nuova maniera di ragionare, induttiva in maniera sistematica, fino a organizzare una teoria in una nuova maniera. Questa è la maniera con cui hanno ragionato e teorizzato Galilei (nascita della metodologia scientifica), Leibniz (fondazione della scienza alternativa), Lavoisier (prima teoria scientifica alternativa), S. Carnot (prima teoria fisica alternativa), Freud (prima teoria alternativa della persona), Marx (prima teoria alternativa della società), Einstein (prima teoria fisica riconosciuta da tutti come alternativa). La nuova organizzazione è stata ricavata infatti dalla comparazione delle maggiori teorie scientifiche alternative a quella dominante newtoniana ed è stata coerentemente applicata per la prima volta al caso di una teoria sociale.

3) Questa nuova maniera di ragionare è precisata formalmente dall’uso di doppie negazioni che indicano una distinzione che negli ultimi decenni è stata dichiarata (dai logici matematici) cruciale: quando affermano indicano la logica classica, invece quando non affermano indicano che siamo in una logica del tutto differente, non classica. “Non violenza” è una doppia negazione, che non ha una parola equivalente affermativa. Quindi la stessa parola “non violenza” di Gandhi introduce ad una logica alternativa e ad una organizzazione alternativa della teoria.

4) Si fa leva sulla lunga esperienza storica di movimenti popolari che hanno realizzato grandi cambiamenti sociali, e perfino affrontato guerre, senza armi e magari nonviolentemente; dei quali i più significativi sono stati il movimento di Gandhi rispetto all’impero coloniale britannico e i movimenti del 1989.

5) novità politica (anche rispetto alla teoria marxista), meritoriamente introdotta nella pratica e nella teoria dai maggiori maestri della nonviolenza (Tolstoj, Gandhi e Lanza del Vasto): la critica del progresso occidentale e la proposta di uno sviluppo alternativo; proposta poi ripresa dagli ecologisti e da molti economisti.

6) Unendo queste due scelte alternative (sul tipo di organizzazione e sul tipo di sviluppo) si ottiene uno (il verde) dei possibili quattro modelli di sviluppo (MDS, introdotti per primo da Galtung negli anni ‘70); cioè, una pluralità di differenti concezioni della vita e del mondo, per cui si ammettono come compresenti più ideologie; quindi non si schiaccia più la realtà in bianco e nero, con uno dei due che vuole schiacciare l’altro per eliminarlo e così ridurre tutta la realtà al solo suo schema interpretativo; il che costituisce la principale violenza culturale, il monolitismo.

7) Con i quattro MDS si ottiene di nuovo quello che il primo pensiero sociale strutturale, il marxismo, iniziò: una coscienza storica del processo storico della modernità; ma ben presto questa coscienza storica fu persa, perché il marxismo mancava di una delle due scelte alternative che definiscono i quattro modelli di sviluppo; aveva la scelta alternativa sulla organizzazione economica (in definitiva, della organizzazione sociale), ma non la scelta sul tipo di sviluppo.

8) La fondatezza razionale della difesa popolare nonviolenta (DPN) è illustrata dal fatto che essa può essere intesa come un idealtipo alla Max Weber di difesa, in esatta contrapposizione all’idealtipo della difesa distruttiva tradizionale: questi idelatipo costituiscono due modelli difensivi opposti e tra loro incommensurabili. 

9) Le strategie del passato vengono rivisitate interpretandone le tre maggiori (Sun Tzu, L. Carnot, von Clausewitz) come preludi ad una strategia nonviolenta.

10) Facendo tesoro della tripartizione di Galtung, violenza diretta (personale), culturale e strutturale (delle istituzioni), si dà una serie di definizioni di nonviolenza: si passa da quella dell’ambito personale a quella dell’ambito strutturale, fino all’ambito massimo del cambiamento di MDS allo scopo di costruire quello verde gandhiano.

11) Viene proposta una nuova teoria dei conflitti, che include: la teoria su cui Galtung ha fondato il primo manuale dell’ONU per la risoluzione dei conflitti, la teoria di Freud (sui conflitti interiori) e quella di Marx (sui conflitti sociali); inoltre questa nuova teoria sviluppa modelli di risoluzione di tipo scientifico. 

12) Viene indicato l’apporto che le teorie scientifiche (dei conflitti) possono offrire per definire una DPN: teoria dei giochi, equazioni differenziali, teoria delle catastrofi, logica, storia della scienza, ecc. .
 
13) La DPN viene così illustrata attraverso i suoi elementi caratteristici: quelli strutturali (le due scelte alternative a quelle della difesa distruttiva militare), quelli soggettivi (percezione e concezione alternativa dei conflitti), quelli oggettivi (solidarietà sociale, comunità, logica alternativa, tecniche giuridiche e di azione sociale).

14) Vengono elencati i principali scenari della DPN, rispetto ad ognuno dei quali la risposta della DPN deve essere diversa, pur basandosi sempre sulla solidarietà sociale.

15) Sono elencate le precondizioni sociali (solidarietà sociale, Servizio civile, Protezione civile, ecc.) per realizzare una DPN movimentista; e vengono posti i principi politici per realizzare una DPN organizzata dallo Stato.

16)  Viene valorizzata la parte non armata della Resistenza italiana, che configura una prima approssimazione storica di una DPN.

17) Per attualizzare la realizzazione della DPN viene caratterizzato l’evento epocale per la nonviolenza, il 1989, sia nei suoi mutamenti strutturali sui MDS nel mondo (nascita di un essenziale pluralismo di modelli di sviluppo), sia nei concetti di guerra e di difesa, sia nella strategia del movimento per la pace (italiano e mondiale). 

18) Vengono illustrate le iniziative movimentiste, sia italiane che internazionali, per la DPN in questo particolare momento storico, non più la invasione del Paese rispetto ad una guerra nucleare, ma la interposizione nonviolenta nei conflitti internazionali.

19) Rispetto all’istituzione di una alternativa nella difesa massimamente distruttiva si considerano i tentativi compiuti finora dagli Stati e poi si caratterizza il caso italiano come il più avanzato del mondo per aver già iniziato la istituzione giuridica della DPN statale: dal 1985 sono state emesse in proposito dieci sentenze della Corte Costituzionale, sanciscono la DPN l’art. 8 legge 230/98 e l’art. 1 legge 64/01, la inizia il decreto Pres. Cons. Ministri 18/2/2004 che ha istituito il Comitato consultivo per l’Ufficio Nazionale del Servizio Civile per la Difesa civile non armata e nonviolenta.

20) Vengono notate le difficoltà del caso italiano per procedere nella istituzionalizzazione della DPN: le ONG della cooperazione internazionale sono deboli (poca autonomia dal MAE, dagli enti ecclesiastici e dai partiti, poca attenzione ad una politica contro la guerra e per la pace); la lotta sociale alla mafia viene condotta (Libera) senza rifarsi alla nonviolenza, ma solo alla legalità formale; dal momento della istituzione del Servizio civile volontario (2001), gli Enti di Servizio Civile hanno cambiato atteggiamento: da sostenitori della obiezione di coscienza e del suo progetto politico della DPN, sono caduti in una politica di loro crescita per mezzo della manodopera, per loro gratuita, dei giovani in servizio civile; la Protezione Civile è una istituzione statale evanescente (un solo incaricato governativo e tanto volontariato poco strutturato); la sinistra politica si dà per sconfitta storicamente, invece di reagire al 1989 ampliando le sue basi teoriche e sociali; la destra è in corsa per l’arricchimento all’americana e per le avventure autoritarie (giustificate col decentramento statale di tipo leghista); la struttura militare, per seguire il modello militare USA, è sorda ad ogni discorso di alternativa nella difesa e non presenta nessuna crisi di coscienza personale di qualche militare; la cappellania militare è esclusivamente cattolica (include almeno un centinaio di frati francescani!), è elevata a parte integrante della struttura di comando militare  delle FFAA ed è sempre pronta a benedire come operazione di pace quelle che sono operazioni di guerra; le scuole di peacekeeping civle volute dall’ONU in Italia sono nate solo come scuole a cogestione militare (S. Anna Pisa, Roma 3, Torino); l’ONU che aveva riconosciuto l’intervento civile non armato (Agenda per la Pace di Ghali) è stato umiliato dalla politica da ultima superpotenza degli USA.