pace a Gaza?



cari saluti
ettore masina
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Ettore Masina
sito web: http://www.ettoremasina.it







LETTERA 109
settembre 2005




1
Avevo, di Gaza, un ricordo doloroso e aspro, come di un luogo polveroso e
cencioso: una specie di miserabile Hong Kong, per via della densità della
popolazione, ma, poi, a differenza della frenetica arrività di quella
metropoli, come sospesa  in una dimensione fuori del tempo. Gli enormi
campi profughi, inchiodati  dagli  occupanti alla loro precarietà di
strutture, sempre sull'orlo  di epidemie evitate soltanto dall'eroismo  dei
medici  palestinesi, i posti di blocco israeliani  che frammentavano la già
esigua Striscia, la protervia dei villaggi  dei coloni, con la loro
abbondanza di acqua sottratta alla popolazione araba; le spiagge circondate
di filo spinato, le famiglie  divise  a forza, essendo impossibile tornare
nella zona, se per qualche ragione la si era dovuta lasciare, le scuole
perennemente  chiuse dagli occupanti come luoghi pericolosi, i coprifuoco,
le frontiere sbarrate con la conseguenza della disoccupazione  di massa, le
case distrutte dai bulldozer dell'esercito Š Un inferno di miseria e di
odio,  un popolo tenuto per 38 anni sotto un  regime crudele, che
distruggeva, giorno dopo giorno, ogni parvenza di diritto. (Nel 1991, a una
delegazione di parlamentari italiani da me presieduta, il generale Zach e
il signor Phines Avivi - i due massimi espoenti della cosiddetta
"Ammi-nistrazione civile" dei territori occupati dichiararono senza
vergogna che nella Strisica applicavano volta a volta le vecchie leggi del
Protettorato britanico o quelle egiziane oppure i bandi militari).
Vedere adesso, negli schermi  televisivi, la festa di Gaza sbiadisce in me
la tristezza delle  immagini che mi portavo nel cuore: e provoca, una volta
di più, il rispetto e l'ammirazione per  un popolo che, confinato in un
ghetto di vinti, ha saputo conservare la propria identità e la propria
ansia di libertà.
2
Più che doloroso, è vedere l'assalto palestinese alle sinagoghe dei coloni:
luoghi, a suo tempo,  consacrati al culto  e - aggiungo per quel che mi
riguarda come cristiano - sedi in cui si proclamava quella Scrittura, in
cui è contenuta la rivelazione  dell'amore  di Dio. E però non si deve
dimenticare che le sinagoghe  dei coloni sono state spesso i luoghi del
nazionalismo e razzismo  teocratico più acceso: e che negli ultimi  tempi
erano addirittura trasformate in fortini dai quali  i peggiori  sionisti
hanno combattuto contro i soldati  della loro stessa nazione. Andandosene,
i coloni hanno ottenuto  che le loro case fossero distrutte perché nessuno
dei palestinesi potesse entrarvi, neppure quelli  che a suo tempo furono
cacciati dalle proprie case dall'invasione israeliana. Avere abbandonato le
sinagoghe  in un territorio  su cui esse sono state per due generazioni di
palestinesi il simbolo dell'occupa-zione  militare  è stata una scelta
provocatoria. Era stato annunziato dal governo israeliano che le sinagoghe,
sconsacrate, sarebbero state demolite come le case dei coloni o smontate e
rimosse. Non lo si è fatto: mentre finge un passo avanti sul cammino della
pace, Sharon non dimentica di inchiodare i palestinesi  al sospetto
dell'opinione pubblica internazionale.
3
No, non è un passo verso la pace quello compiuto da Sharon, ma una
decisione puramente strategica. Non si cammina verso la pace imponendo
scelte unilaterali e continuando a erigere i muri della vergogna. Non si
aprono spiragli di pace creando un territorio dichiarato libero ma i cui
confini sono sigillati: in cui non si può costruire (o far funzionare) un
porto né un aeroporto  né si possono avere collegamenti con le altre aree
della Palestina. Per ridare libertà a un carcerato, non basta fare uscire
il secondino dalla sua cella, è la porta che va aperta. Gaza rimane, nella
volontà di Sharon, una specie di bantustan, una parvenza di entità statale,
sotto il controllo di Israele. Né si va verso la pace indurendo le
richieste all'Autorità palestinese, chiedendole, come condizione di
effettivo  riconoscimento statale, di spegnere subito e definitivamente i
focolai della violenza dei gruppi armati. Come dimenticare che, durante la
seconda Intifada, Sharon ha fatto sistematicamente distruggere le caserme e
gli arsenali della polizia palestinese, le sue linee di comunicazione, gli
automezzi e persino le carceri? E i governanti di Israele, che a suo tempo
favorirono la creazione di Hamas per indebolire l'OLP, non possono
pretendere che l'odio palestinese, dopo 38 anni di feroce occupazione,
perda di colpo i suoi aculei mortiferi.
4
Tuttavia, se pure il ritiro da Gaza non è un passo verso la pace dei
trattati. rimane pur sempre un soffio di libertà che riempie i polmoni dei
due popoli della Palestina: di quello musulmano, poiché rinvigorisce  le
sue speranze; e di quello israeliano perché rianima l'opinione pacifista.
Non  c'è dubbio che il popolo israeliano, nella sua grande maggioranza,
vuole sicuramente la pace, ma non tutti hanno avuto ben chiare, in tutti
questi anni, le dimensioni della tragedia di un regime militare che
inevitabilmente ha inasprito (ma forse si dovrebbe dire: imbarbarito) gli
occupanti e i vinti. Penso che l'opinione pubblica israeliana (come anche
quella mondiale) abbia avuto sino a qualche mese fa un deficit di
informazione e di consapevolezza sulla situazione dei palestinesi: che era
invece patrimonio di tutti i suoi intellettuali che hanno visitato i
territori occupati e persino di molti  militari Ma ora la vicenda dei
coloni, della loro irriducibilità e della loro violenza  ha aperto molti
occhi. Gran parte di Israele comincia non solo a capirlo ma a
testimoniarlo. L'estate scorsa, a Roma, in un grande convegno di
psicoanalisti, uno dei maggiori psichiatri israeliani, Uri Hadar, ha
introdotto la sua relazione con queste parole: "Voglio ringraziare gli
organizzatori per avermi invitato in questa meravigliosa città. Sono
particolarmente grato per questo invito perché considero, date le
circostanze, assolutamente non scontato che la comunità internazionale
accetti noi accademici israeliani. Come certamente sapete bene, noi siamo
stati complici - per il fatto stesso di non avere protestato ad alta voce -
del maltrattamento continuo dei palestinesi nei territori occupati, e della
continua violazione dei loro più elementari diritti civili e umani. Dico
questo in segno di sfida nei confronti di questa complicità, come
assunzione  di un obbligo morale, strettamente connesso alla nostra
posizione di privilegio nella società, di far risuonare le sirene d'allarme
ogni qualvolta vengono calpestati diritti umani fondamentali. Dico questo
anche per una condizione di disperazione e indignazione personale, uno
stato affettivo che è costitutivo della mia identità di israeliano nella
comunità internazionale".
Il professor Uri Hadar parla di "disperazione e indignazione" perché,
sembra, non crede che la sua sensibilità possa essere contagiosa in
Israele. Io credo, invece, che questo sia un vero passo  verso la pace: che
la vicenda "coloniale" di Gaza abbia aperto molti occhi e molti cuori. La
pace non comincia dalle bandiere ammainate ma dalla comprensione della
crudeltà del passato.
ettore masina
*****
Š arroventato dall'uso (!) nei mesi estivi il mio computer si  è messo in
vacanze anch'esso. Ne è derivato un blocco della mia corrispondenza. Mi
scuso con tutte le amiche e gli amici che mi hanno scritto e prometto
solennemente di riscattarmi dalle mie inadempienze. Lo stesso vale per
l'aggiornamento del mio sito.
*****
Sono lieto di comunicarvi   che l'Editore Rubbettino ha pubblicato un mio
nuovo libro: "L'airone di Orbetello", sottotitolo " Storia e storie di un
cattocomunista". ("Cattocomu. nista è l'epiteto che spesso - molto spesso -
mi è stato rivolto a causa delle mie scelte politiche e religiose). Dopo il
"Diario di un cattolico errante" (Gamberetti) e "Il prevalente passato", è
un terzo  "diario in pubblico": contiene cioè i miei mugugni (o,  talvolta,
furori), i miei   sorrisi e le mie testarde speranze.
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"L'airone di Orbetello" sarà presentato a Roma lunedi 26 settembre, alle
ore 21, nella sala della parrocchia di San Roberto Bellarmino, via Panama
12. Ne parleranno Maurizio Chierici, Simonetta Fiori e Riccardo Della
Rocca. Ovvio: ci sarò anch'io; e spero che ci sarete anche voi.
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LETTERA viene inviata a chiunque me ne faccia richiesta. Il mio indirizzo
è: via Cinigiano 13, 00139 Roma, tel. (06) 810.22.16. Un contributo alle
spese di fotocopiatura  e postali è assai gradito. I versamenti possono
essere effettuati sul ccp 49249006 intestato a Luca Lo Cascio, via Leone
Magno 56, 00167 Roma.
I testi di LETTERA possono essere integralmente o parzialmente riprodotti.
Sarò grato a chi vorrà darmene notizia.