Un appello di Susan Galleymore



UN APPELLO DI SUSAN GALLEYMORE

Ad alcuni mezzi d'informazione
ad alcune persone e associazioni impegnate per la pace e i diritti umani

Gentili signori,
sperando che la cosa non vi dispiaccia, vi inviamo come anticipazione
l'editoriale del fascicolo di domani del notiziario telematico quotidiano
"La nonviolenza e' in cammino".

Il Centro di ricerca per la pace di Viterbo

Viterbo, 21 gennaio 2005

Mittente: Centro di ricerca per la pace
strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo
tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

* * *

1. EDITORIALE. SUSAN GALLEYMORE: CIO' CHE SAPPIAMO, CIO' CHE VOGLIAMO
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per
averci messo a disposizione nella sua tradizione il seguente articolo di
Susan Galleymore, pubblicato da "Awakened Woman", che apparira' anche nel
libro di prossima uscita a cura del gruppo di donne pacifiste CodePink, How
to Stop the Next War Now (ovvero: Come fermare ora la prossima guerra).
Susan Galleymore, madre di un militare, ha fondato "MotherSpeak",
un'organizzazione che si propone di far crescere la consapevolezza nella
condivisione delle storie di vita di coloro che hanno sperimentato e stanno
sperimentano guerra e terrorismo (il sito e' www.motherspeak.org)]

Siamo madri, padri, coniugi, nonni e figli di militari.
Stiamo imparando a flettere i nostri muscoli politici, e vi invitiamo ad
unirvi a noi. Quando ci radunammo nelle strade per protestare contro la
guerra preventiva, il nostro presidente disse: "Io non ascolto i gruppi di
parte". E noi andammo a casa.
Quando i nostri cari furono trasferiti in Afghanistan alla ricerca di Osama
bin Laden, e in Iraq alla ricerca delle armi di distruzione di massa, noi
guardammo cio' che accadeva alla televisione: il caos a Kabul, il terrore a
Tora Bora, il bombardamento di Baghdad. E restammo a casa.
Quando il nostro presidente disse: "I nostri coraggiosi uomini e donne in
uniforme stanno condividendo i doni della liberta' e della democrazia con
coloro che non comprendono la liberta': ma noi gliela insegneremo", abbiamo
visto il nostro esercito bombardare Fallujah, e Karbala, e Najaf, e Samarra,
e Ramadi, e Sadr City. E abbiamo visto gli iracheni resistere ai nostri
"doni di liberta'".
Quando i nostri soldati morti furono portati in segreto alla base aerea di
Dover il nostro presidente disse: "Sarebbe irrispettoso per le famiglie dei
morti mostrare bare avvolte nella bandiera". E noi abbiamo annuito, e
ringraziato Dio perche' il morto seguente non era nostro figlio.
Poi, improvvisamente, era proprio nostro figlio, o il figlio di un amico, o
un amico di nostro figlio. E alcuni di noi si sono detti: "Un momento. E chi
pensa ai figli morti di Kabul, e Tora Bora, e Baghdad, e Fallujah, e
Karbala, e Najaf, e Samarra, e Ramadi, e Sadr City? Ci avevano detto che i
nostri ragazzi e le nostre ragazze erano la' per liberare i loro ragazzi e
le loro ragazze, non per ucciderli".
*
E abbiamo appreso che i reclutatori militari mentono ai nostri idealisti
studenti di liceo, per persuaderli ad arruolarsi.
Abbiamo appreso che, nonostante le promesse del nostro presidente di
dislocare fondi per l'istruzione, il cibo, il vestiario e gli stipendi dei
nostri soldati, molti di essi non hanno sufficiente addestramento, ne' cibo
decente ed acqua, o vestiario protettivo, e che le loro paghe sono state
ridotte.
Abbiamo appreso che il Dipartimento della Difesa mente sul numero di
statunitensi morti e feriti, e non menziona mai il numero dei civili morti
e feriti.
Abbiamo imparato che i media, come pappagalli, ripetono la retorica della
paura che il nostro presidente usa per forzarci al silenzio.
*
Ma noi non taceremo piu'.
Ora seguiamo i reclutatori dell'esercito nei licei, e smascheriamo le loro
bugie.
Ora parliamo dello sfruttamento delle nostre truppe e dell'inadeguata
fornitura di istruzione, cibo, uniformi, materiale di protezione.
Ora invitiamo i media ad unirsi a noi quando andiamo a ritirare i resti dei
nostri cari, avvolti nelle bandiere, dall'esercito.
E assicuriamo agli altri statunitensi che non troviamo affatto irrispettoso
condividere il nostro dolore.
Ora diciamo loro che il nostro presidente sorvola sulla Convenzione di
Ginevra, e da' per scontato che vada bene abusare dei civili; che le persone
che amiamo affrontano pericoli mortali per proteggere gli interessi delle
corporazioni economiche nel loro progetto di privatizzazione dell'industria
irachena; che l'esercito dispensa antidepressivi alle nostre truppe per
sedare i loro sospetti e la loro sfiducia rispetto ai massacri di Baghdad, e
Fallujah, e Karbala, e Najaf, e Samarra, e Ramad e Sadr City.
Ora diciamo ai compatrioti statunitensi che la "guerra al terrorismo" ci
rende meno sicuri in casa nostra, e piu' disprezzati in tutto il mondo.
*
E abbiamo anche altro da fare.
Vogliamo portare a casa 165.000 soldati dalle basi in Afghanistan e Iraq.
Ma non intendiamo fermarci qui.
Vogliamo che le nostre truppe tornino a casa da Camp Bondsteel e Camp
Monteith in Kosovo, da Camp Sarafovo in Bulgaria, da Camp Doha in Kuwait, da
Camp Andy in Qatar, e dalle oltre 38 basi in Okinawa e dalle oltre cento
basi in Sud Corea.
Vogliamo portare a casa il mezzo milione di soldati che occupa oltre 725
basi militari Usa nel resto del mondo.
Ci rifiutiamo di sostenere queste basi e l'avvilimento sociale e culturale
dei civili forzati a partecipare ai bar e ai bordelli che sorgono loro
intorno, all'ubriachezza, alle droghe, e alla violenza che le accompagnano.
*
Spostiamo i miliardi di dollari che oggi si spendono per mantenere queste
basi per l'istruzione, la salute ed il benessere di tutti gli statunitensi.
Finanziamo con essi le cure necessarie ai nostri soldati feriti, contaminati
da tossici chimici, psicologicamente traumatizzati.
Finanziamo progetti abitativi per i soldati senza casa.
Mettiamo questi soldi a disposizione del futuro delle vedove e degli orfani
dei soldati morti.
Tassiamo gli eccessi di profitti che le corporazioni e gli individui stanno
facendo sulla guerra e l'occupazione, e spendiamo questi milioni per
ripagare gli afgani e gli iracheni della distruzione che abbiamo fatto
irrompere nelle loro terre.
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E non fermiamoci qui.
Arrestiamo immediatamente la produzione e l'uso delle munizioni ad uranio
impoverito, delle bombe aeree a carburante, delle mine antiuomo, delle bombe
nucleari.
E smettiamo di vendere e donare queste armi ai governi in giro per il mondo.
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Le famiglie dei militari stanno imparando a fare queste cose.
Unitevi a noi.
Insieme, potremo concretizzare il nostro potere, flettere i nostri muscoli
politici, e creare un mondo che sia veramente democratico.

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