La nonviolenza e' in cammino. 798



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 798 del 3 gennaio 2005

Sommario di questo numero:
1. Alberto L'Abate: Una lettera dall'India e un appello
2. Silvano Tartarini: Mi abbono ad "Azione nonviolenta" perche'...
3. Rocco Altieri: La scelta della poverta' volontaria per ripensare
l'economia e gli stili di vita
4. Godelieve Mukasarasi: Dopo il genocidio
5. Letture: Arundhati Roy, L'impero e il vuoto
6. Letture: Kathryn Spink, Madre Teresa. Una vita straordinaria
7. Riletture: Rigoberta Menchu' Tam, Rigoberta, i maya e il mondo
8. La "Carta" del Movimento Nonviolento
9. Per saperne di piu'

1. TESTIMONIANZE. ALBERTO L'ABATE: UNA LETTERA DALL'INDIA E UN APPELLO
[Ringraziamo Silvano Tartarini, infaticabile animatore dell'esperienza
nonviolenta dei Berretti bianchi (per contatti: berrettibianchi at virgilio.it)
per averci inviato questa lettera dall'India di Alberto L'Abate. Alberto
L'Abate (per contatti: labate at unifi.it) e' nato a Brindisi nel 1931, docente
universitario, amico di Aldo Capitini, e' impegnato nel Movimento
Nonviolento, nella Peace Research, nell'attivita' di addestramento alla
nonviolenza, nelle attivita' della diplomazia non ufficiale per prevenire i
conflitti; ha collaborato alle iniziative di Danilo Dolci e preso parte a
numerose iniziative nonviolente; come ricercatore e programmatore
socio-sanitario e' stato anche un esperto dell'Onu, del Consiglio d'Europa e
dell'Organizzazione Mondiale della Sanita'; ha promosso e condotto
l'esperienza dell'ambasciata di pace a Pristina, ed e' impegnato nella
"Campagna Kossovo per la nonviolenza e la riconciliazione". E' portavoce dei
"Berretti Bianchi". Tra le opere di Alberto L'Abate: segnaliamo almeno
Addestramento alla nonviolenza, Satyagraha, Torino 1985; Consenso, conflitto
e mutamento sociale, Angeli, Milano 1990; Prevenire la guerra nel Kossovo,
La Meridiana, Molfetta 1997; Kossovo: una guerra annunciata, La Meridiana,
Molfetta 1999; Giovani e pace, Pangea, Torino 2001]

Cari amici, colleghi o parenti,
scusate il mio lungo silenzio, ma la stanchezza del convegno di Firenze, di
cui sono stato molto contento ma la cui organizzazione ed effettuazione mi
ha portato via molta energia, l'impossibilita' di usare il mio computer per
un collegamento internet (il sistema Alice che avevo prescelto mi impedisce
di ricevere anche la mia posta normale del sistema informatico
dell'Universita', l'unico indirizzo a cui ricevo posta e' alberlab at yahoo.it,
ma quasi nessuno lo conosce perche' speravo di ricevere posta al mio
indirizzo normale), la non sempre facile reperibilita' di un negozio
internet (ce ne sono molti ma in questo momento, ad esempio, essendo in una
casa di cure naturali, si preferisce che i clienti non escano fuori e ci
vuole un permesso speciale della dottoressa) mi hanno impedito di scrivere
se non per problemi urgenti pendenti. Ma ho saputo che vari di voi leggendo
del maremoto che ha colpito una parte dell'India e sapendoci da queste parti
si sono preoccupati ed hanno chiesto nostre notizie.
Noi stiamo tutti bene, a parte piccoli problemi di salute legati al
cambiamento di cibo e di clima,  ed in questo momento io, Anna Luisa e Maria
stiamo godendo delle ottime cure naturali in una bella clinica di
Coimbatore - un comune del Tamilnadu vicino al confine dello stato del
Kerala -, fondata dai genitori seguaci di Gandhi di un industriale che la
considera un servizio pubblico e non pretende di guadagnarci, dove eravamo
gia' stati due anni fa.
*
Le cure, oltre ad una visita medica iniziale ed una quotidiana nella quale
si concordano le cure giornaliere da fare, sono varie: massaggi che qui
chiamano svedesi ma che non sono molto diversi da quelli ayurvedici,
massaggi con vibratore, impacchi di fango, ed a nostra richiesta sauna,
getti di acqua fredda o calda, bagni al sole di fango o avvoltolati da
foglie di banana (fanno sudare moltissimo e tolgono le tossine ed anche
qualche chilo di grasso in eccesso), camminate nel bel giardino della
clinica ma che faccio, devo confessare, non molto frequentemente, e  per noi
due, forse in onore del fatto che veniamo da lontano e non comprendiamo la
lingua del posto in cui viene tenuta la lezione collettiva, anche lezioni
particolari di Yoga, in camera nostra, adattate alle nostre particolari
condizioni fisiche.
Fanno parte della cura anche varie bevande benefiche (di cocco, di yoghourt,
o altre) in vari momenti della giornata, ed  il cibo che viene preparato
anche ad hoc. A me, ad esempio, che per la mia malattia non posso mangiare
ne' roba dolce (a causa del diabete derivante dalla cura di cortisone, del
quale, per fortuna, sono nella fase di decremento), ne' cibo con sale, fanno
una cucina speciale senza questi prodotti.
Ed il tutto ad un prezzo del tutto irrisorio. Pensate che tutto compreso
(per me e mia moglie, un bel cottage, con camera da letto, bagno ed
ingressino dove ricevere gli amici, cibo e tutte le cure) il costo totale a
persona al giorno e' di circa 10 euro (il cambio e' di 57 rupie per un
euro).
*
C'e' quasi da vergognarsi di utilizzare questi servizi a prezzi per noi
cosi' bassi.
In una clinica naturale in Italia dove siamo soliti andare abbastanza
spesso, e dove si ricevono cure dal punto di vista qualitativo decisamente
migliori, ma nel complesso non molto diverse da quelle che riceviamo qui, il
costo giornaliero a persona, tutto compreso, e' di circa 200 euro. E le cure
che ho ricevuto in questo anno negli ospedali pubblici italiani, o nelle
case di cura convenzionate, talvolta con cibo molto carente (a Careggi
l'unico cibo che potevo mangiare era un pure' di patate quotidiano, qualche
yoghourt, biscotti per bambini e te'), per una visita medica quotidiana
(fatta pero' in equipe, ma sotto la direzione abbastanza ferrea del
direttore del reparto), e qualche medicina - alcune costosissime che non mi
sarei potuto mai permettere se avessi dovuto pagarle di tasca mia - il costo
per il servizio sanitario nazionale e' sicuramente molto piu' alto, se ben
ricordo all'incirca  500 euro al giorno, se non di piu',  naturalmente in
media.
*
Ma questo lo dico non per lamentarmi del nostro sistema sanitario che, nel
complesso, mi ha salvato la vita.
Confrontandomi con mio fratello americano (vive negli Usa da oltre 50 anni),
che e' venuto recentemennte a visitarci a Firenze, ho fatto il calcolo che
per le mie due operazioni chirurgiche, per il recupero fisioterapico dopo di
queste, e per le cure dovute alla malattia insorta successivamente (la
miastenia gravis), se le avessi fatte privatamente - come sarebbe
sicuramente successo se avessi vissuto negli Usa - e non attraverso il
nostro sistema pubblico, il costo totale da sopportare da parte mia, e
nostra, sarebbe stato di oltre un miliardo di vecchie lire, circa 500.000
euro. Avrei potuto sopportarle solo  deprivando i miei figli della
possibilita' di avere una loro casa ed un  loro futuro. Non sono affatto
sicuro che  avrei scelto di farlo.
*
Ma passiamo ora al secondo capitolo di questa lunga lettera: quello sul
maremoto che ha colpito parte dell'India.
Delle quattro persone che abbiamo viaggiato insieme dall'Italia, io, mia
moglie, mia figlia Irene, e Maria, una amica di Pisa vicepresidente
dell'Unicef di quella provincia e attiva anche  nei Berretti Bianchi, una
organizzazione molto impegnata nella Rete italiana dei Corpi civili di pace
(che con la nostra Universita' ha organizzato il convegno di dicembre), i
primi tre hanno passato quei giorni a Goa, facendo i bagni di mare e non
avendo, del maremoto, che qualche onda piu' alta che costringeva ad essere
attenti a non essere travolti ed a ritornare salvi a riva; la quarta, Maria,
era invece proprio in un villaggio del Tamilnadu che e' stato il piu'
colpito in assoluto di tutta l'India (basti dire che dei 6.202 morti
dichiarati ad oggi nello stato del Tamilnadu, 4.379 vengono proprio dal
distretto in cui e' collocato quel villaggio), ed ha vissuto percio' in modo
estremamente diretto proprio quell'avvenimento.
*
Di noi tre, goani, c'e' poco da dire. Eravamo andati a Goa per passare il
Natale con mia figlia Alessandra, che ha scelto l'India come sua seconda
patria, e Goa come sede indiana per la vendita dei prodotti tessuti a mano
dagli artigiani del Tamilnadu - in gran parte del Gandhigram, villaggio
universitario con il quale la nostra Universita' di Firenze e' gemellata, ed
in gran parte colorati con colori naturali sui quali in quel villaggio c'e'
uno dei punti di ricerca piu' avanzati dell'India stessa.
A Goa, nei mesi da novembre fino a marzo-aprile c'e' una grossa  affluenza
di turisti da tutto il mondo, ed Alessandra vuole assicurare, attraverso un
mercato locale speciale per turisti, che si tiene tutti i sabato sera con la
presenza di varie migliaia di persone, e con un punto di vendita di tali
prodotti, un valido mercato a questi prodotti che sono molto apprezzati dai
turisti (un giornale locale ha pubblicato un articolo  sul suo lavoro
intitolandolo "il fascino dei colori naturali").
Ma oltre  a questo mercato Alessandra e' in collegamento con molti negozi
del mercato equosolidale in Italia, ed anche all'estero, verso i quali sta
anche cercando di commercializzare tali prodotti facendo anche un lavoro
tecnico di assistenza per migliorare il prodotto (Alessandra e' essa stessa
una tessitrice a mano e si occupa attualmente, come dice lei, di "tessere
rapporti").
Ma lavora in particolare in collegamento con il Ram, una associazione
italiana che oltre a distribuire tali prodotti si occupa anche di turismo
responsabile, di cui lei guida alcuni viaggi nel Sud dell'India, in
particolare nel Tamilnadu, portandoli a visitare l'India dei villaggi e dei
progetti di sviluppo alternativo, alcuni dei quali sostenuti ed ideati da
lei stessa e da alcuni suoi amici che ne condividono le ispirazioni.
*
Uno di questi progetti, un villaggio per bambini abbandonati o di strada, in
parte gia' costruito ed in parte ancora in costruzione, si trova proprio
vicino a Velankanni, del distretto di Nagapattinam, ed e' gestito da una
associazione di giovani gandhiani, Sevalaya, di cui Alessandra e' attiva
sostenitrice.
Mentre noi eravamo con Alessandra a Goa la nostra amica Maria di Pisa era
invece andata a trovare proprio gli amici di Sevalaya, ed a visitare il
villaggio suddetto.
*
Mentre si trovava la' e' avvenuto il maremoto che ha distrutto completamente
un ponte che univa le due parti di quella zona ed ucciso migliaia di
persone.
Le acque sono arrivate a non molti metri dal villaggio stesso. Maria e le
famiglie degli operatori di Sevalaya si sono ritirate a maggiore distanza
dal mare, mentre i suoi operatori si sono dati da fare per alleviare i danni
di molte delle famiglie colpite.
Nel prosieguo di questa lettera e' riportato  l'appello di questa
organizzazione per avere aiuti e svolgere questo lavoro.
*
Ma prima vorrei fare un breve commento su quanto accaduto, anche per le
somiglianze con quanto puo' accadere per il fenomeno guerra.
Quello che e' successo ha tutte le caratteristiche di quei disastri naturali
che e' condiderato impossibile prevenire.
Ma nella realta' su tutti i giornali dell'India e' apparsa la notizia che
disastri di questo tipo sono prevedibili, tanto che il governo ha poi deciso
di costituire, con gli altri paesi dell'area, un servizio speciale per la
previsione di fenomeni di questo tipo.
E la corretta previsione del fenomeno puo' portare almeno ad avvisare in
tempo le persone ed a permettere loro, con l'aiuto di un valido servizio di
protezione civile, che sembra ancora da organizzare, di mettersi in salvo.
Molte volte non ci vuole nemmeno molto, basta salire di un piano nelle
abitazioni a piu' piani.
Cosi' e' successo alla figlia del segretario generale di Sevalaya che studia
in un college non troppo distante da quella zona ed in vicinanza del mare.
Dalla sua stanza al secondo piano ha sentito dei rumori, si e' affacciata
alla finestra, ed ha visto le immense onde del mare (si parla di una altezza
di oltre 9 metri) avvicinarsi, ha chiamato le compagne che incontrava ed e'
scappata subito al piano superiore. Lei e le altre compagne che l'hanno
seguita  si sono salvate, tutte le altre che sono restate nei piani
inferiori sono state travolte dalle acque e sono morte.
*
Altre notizie che mostrano la possibilita' di prevenire la morte di tante
persone in disastri come questi sono riportate in un articolo del giornale
"The Hindu" del primo gennaio 2005.
In un articolo intitolato "Una telefonata ha salvato un intero villaggio" si
narra del fatto che un volontario di un progetto di informazione nei
villaggi che si era trasferito  a Singapore appena visto il maremoto in
azione in quella zona ha telefonato ai suoi vecchi compagni di lavoro
avvisandoli del pericolo imminente. Attraverso altoparlanti e sirene gli
abitanti sono stati avvisati di evacuare le loro abitazioni. Il risultato e'
stato che nessuna persona del villaggio e' restata vittima del maremoto.
Un'altra notizia sulla possibile prevenzione di morti e' riportarta dal
giornale "The Hindu" del 31 dicembre. Li' si parla del fatto che intere
comunita' tribali che ci vivono, o altre persone che si sono recate nelle
foreste vicine al mare, si sono salvate grazie alla protezione degli alberi
della foresta, mentre le altre che si trovavano nelle zone senza alberi sono
state trascinate in mare e sono morte. Il titolo dell'articolo e' infatti
"Dove le foreste hanno salvato la popolazione".
E questo fa venire in mente gli immensi danni ecologici causati dalle
multinazionali che hanno promosso in vari paesi del terzo mondo, ed anche in
molte aree del Tamilnadu, la coltivazione industriale di gamberi. Infatti
per costruire le vasche dove questi animali vengono allevati, vengono
distrutte le foreste di Mongrovie che riparavano i villaggi da fenomeni di
questo tipo lasciando la popolazione del tutto in balia degli eventi
naturali.
Non e' qui il caso di trattare di questo argomento sul quale anche in Italia
sono stati scritti alcuni libri e per il quale si sono distinti, nella lotta
contro questi disastri, i nostri amici Jagannathan e Krishnammal, che
andremo ad incontrare la settimana prossima a Gandhigram, se il lavoro
contro questi disastri non impedisce loro, ed alla  loro famiglia, di
recarsi la' per la grande festa del Pongal (il 15 gennaio) che dovremmo
passare insieme.
*
Tutto questo fa vedere come anche fenomeni considerati "naturali" ed
"ineluttabili" possono essere previsti, ed almeno le loro conseguenze piu'
nefaste possono essere prevenute.
Se poi ricerche piu' approfondite mostrassero un legame, anche se indiretto,
di questi fenomeni con l'inquinamento ambientale portato avanti
dall'industrializzazione dei paesi avanzati (tra i quali anche l'India sta
cercando di entrare, a costi umani altissimi) e che sta creando problemi
grossissimi a livello mondiale (aumento del calore della crosta terrestre,
scioglimento delle calotte glaciali artiche, innalzamento dei livelli dei
mari, cambiamenti climatici rapidissimi, ecc.) il problema e l'urgenza di
lavorare per la prevenzione diventerebbe ancora piu' pressante.
E' questo un insegnamento che dovremmo tener presente e non dimenticare, per
rendere realmente omaggio alle tante vittime di questo disastro (quante
sono? ogni giorno i dati si aggiornano, le ultime notizie dei giornali
indiani parlavano di 50.000, ma in Italia abbiamo saputo si parla di
100.000, per non parlare poi di quelli restati senza tetto e che sono dovuti
scappare in zone distanti dal loro villaggio).
*
Chiudero' questa lettera riportando l'appello degli amici di Savalaya ( che
significa, nella lingua locale, "Servizio ai poveri") che ci ha portato
Ravi, il collaboratore di Sevalaya che ha accompagnato in questa clinica la
nostra amica che ora e' qui con noi a godere di queste cure e che ci ha
raccontato quanto da lei vissuto in quella zona.
L'appello e' corredato di strazianti foto delle cremazioni di massa dei
morti, e di notizie sui problemi dei senza casa, e su  altre tragedie
portate dal disastro.
Gli amici di Sevalaya, che conosciamo ormai da molti anni, ci chiedono di
rendere noto il loro appello, cosa che facciamo volentieri conoscendo la
loro buona volonta' ed il loro impegno sociale.
Sevalaya,come ho detto, ha scelto di assistere la popolazione proprio di
questa area tra le piu' colpite dell'India, ed alla fine dell'appello ci
sono indicazioni utili per chi volesse mandare un aiuto di prima mano, anche
se modesto, alle popolazioni colpite da questo disastro.
*
Sevalaya - Thirukkuvalai
Appello per aiuti alle vittime del maremoto del distretto di Nagapattinam
Il 26 dicembre 2004 e' stato un giorno tragico per noi. Enormi onde sismiche
del mare mosse da un immenso terremoto del fondo marino hanno colpito il
distretto di Nagapattinam uccidendo circa 5.000 persone e rendendone altre
25.000  prive di alloggio.
Le deboli scosse  percepite  in alcune parti del distretto intorno alle 6,30
del mattino  non ci hanno fatto prevedere quello che sarebbe successo. Tra
le 7,30 e le 9 enormi ondate hanno colpito le coste cogliendo di sorpresa le
persone vicine al mare. Non c'e' stato tempo per nessuno per reagire alle
onde che hanno risucchiato anche le persone che erano a due chilometri dalla
costa marina.
I villaggi assistiti da Sevalaya, come Puthupalli, Seruthur, Kameshwarazm,
Villunthamavadai, Vettarikaranrippu, Velankanni sono stati danneggiati, e
migliaia di abitanti sono stati uccisi o privati delle loro abitazioni.
Quando abbiamo visitato villaggi come Serothur, Prathaparamapruam, dopo che
le acque si sono ritirate abbiamo trovato corpi di bambini e di donne
annegati.
Gli abitanti di un  villaggio hanno detto che "prima di rendersi conto di
quello che succedeva molti hanno trovato la morte nell'acqua, e sono morti
62 bambini e 4 donne che giocavano a cricket sulla spiaggia". Sono state
distrutte tutte le abitazioni vicino alla costa. A Velankanni 2.000 persone
sono annegate, tra queste una gran parte di turisti che erano andati a fare
il bagno nel mare.
Le persone che vivono vicino alla costa hanno paura che il maremoto si
ripeta e sono scappate in altre zone dove pensano di essere piu' sicure.
Sevalaya ha aiutato le persone che scappavano a cucinare e rifocillarsi e si
e' curata di loro a Thirukkuvalai, ed ha dato loro sostegno morale
aiutandoli a non avere paura che il maremoto si ripetesse.
La situazione e' allarmante: centinaia di uomini, donne e bambini sono
morti, e migliaia di persone sono senza tetto. Sevalaya desidera intervenire
velocemente per alleviare i loro dolori, e fa appello a voi affinche'
aiutiate generosamente coloro che hanno perduto i loro familiari e la loro
abitazione.
A questo scopo Sevalaya ha aperto un fondo "Tsunami Relief Fund" (Fondo di
soccorso per le vittime del maremoto). Mandate per favore il vostro
contributo a questo conto corrente: "Sevalaya: Tsunami Relief Fund", A/c No.
01100060132, State Bank of India / Code No. 0936, Thiruthuraipoondi,
Tamilnadu - South India.

2. STRUMENTI. SILVANO TARTARINI: MI ABBONO AD "AZIONE NONVIOLENTA"
PERCHE'...
[Ringraziamo Silvano Tartarini (per contatti: berrettibianchi at virgilio.it)
per questo intervento. Lo ringraziamo anche per averci messo a disposizione
questa breve scheda di presentazione: "Silvano Tartarini e' poeta e
costruttore di pace; nato a Forte dei Marmi nel 1947, ha pubblicato Primi
versi e Furto a nessuno, rispettivamente nel 1966 e 1967 (Giardini, Pisa),
Poeti, nel 1992 (Pananti, Firenze) e L'uno e il contrario, nel 1995 (Manni,
Lecce). Con l'inedito L'uno e il contrario e' stato finalista al Carducci
nel 1994; sue poesie sono uscite su "Paragone", "Erba d'Arno", "Pegaso", "
La Contraddizione", "Sinopia" e altri periodici; e' stato tra i fondatori
della rivista "Nativa"; e' stato curatore delle pagine di poesia della
rivista "Sinopia" ed e' redattore - molto assente - del mensile  "Guerre &
Pace". Ha scritto tre saggi critici su Carlo Cassola: uno di questi e' stato
pubblicato negli atti del convegno "Carlo Cassola. Letteratura e disarmo",
Firenze, 4 aprile 1987, un altro e' stato pubblicato dal Comune di Volterra
a seguito del convegno "Volterra per Cassola" del 10 maggio 1996, mentre un
altro servi' per un corso di aggiornamento per insegnanti delle scuole medie
organizzato su questo tema dalla Fondazione Bianciardi di Grosseto. Di lui
hanno scritto Romano Luperini, Gianfranco Ciabatti, Giovanni Commare e Carlo
Cassola; si sono altresi' occupati di lui Cesare Garboli e Manlio Cancogni.
E' stato segretario della Lega per Il disarmo unilaterale dal 1984 al 2000;
come segretario della L. D. U., ha lanciato con altri nel 1990 l'iniziativa
"Volontari di pace in Medio Oriente", a cui hanno subito aderito Alberto
L'Abate e Francesco Tullio; sull'esperienza e' poi uscito un "Quaderno della
Difesa popolare nonviolenta": Volontari di pace in Medio Oriente, a cura di
Alberto L'Abate e Silvano Tartarini, La Meridiana, Molfetta (Ba) 1993. Ha
partecipato all'iniziativa di Mir Sada e nel maggio del 1999 era a Belgrado
bombardata anche dal governo italiano; e' stato in Iraq nel 1990, 1991, 1993
e nel 1998 con l'iniziativa "scudi umani". Ha promosso nel 1999 la
fondazione dell'associazione Berretti Bianchi onlus, di cui e' segretario.
Da alcuni anni coordina il lavoro organizzativo che, recentemente, ha visto
la nascita della Rete italiana dei Corpi civili di pace". "Azione
nonviolenta" e' la rivista mensile del Movimento Nonviolento fondata da Aldo
Capitini nel 1964, e costituisce un punto di riferimento per tutte le
persone amiche della nonviolenza. La sede della redazione e' in via Spagna
8, 37123 Verona, tel. 0458009803, fax: 0458009212, e-mail:
azionenonviolenta at sis.it, sito: www.nonviolenti.org; l'abbonamento annuo e'
di 29 euro da versare sul conto corrente postale n. 10250363, oppure tramite
bonifico bancario o assegno al conto corrente bancario n. 18745455 presso
BancoPosta, succursale 7, agenzia di Piazza Bacanal, Verona, ABI 07601, CAB
11700, intestato ad "Azione nonviolenta", via Spagna 8, 37123 Verona,
specificando nella causale: abbonamento ad "Azione nonviolenta"]

Mi abbonero', perche' ancora non sono riuscito a farlo, ad "Azione
nonviolenta".
In passato, mi sono abbonato una sola volta o due, se ricordo bene. Le
ragioni del mio non essere abbonato, sono state molte e diverse. Confesso:
non mi sembrava che sempre la nonviolenza abitasse tutta o in parte in quel
contenitore. Anzi, a volte mi sembrava che non ci abitasse affatto o forse
e' perche' una rivista e' come una casa e la devi abitare per amarla e io
semplicemente non l'abitavo che a tratti. O forse la colpa e' solo mia
poiche' non vivevo la nonviolenza e a volte la usavo come un'amante
occasionale che poi lasciavo. Chissa' qual e' la ragione prima del mio
essere ultimo.
*
Ma ora so perche' mi voglio abbonare: e' perche' ci voglio essere in quella
casa e voglio dire la mia ora che la casa nonviolenta si muove in direzione
di un progetto in cui credo e che amo. Parlo del progetto dei Corpi civili
di pace.
Un caro amico, con il quale non sono quasi mai andato d'accordo, ma a cui
voglio un gran bene, mi ribadiva sempre che la nonviolenza e' solo
testimonianza e niente esiste al di fuori di questo. A volte, ho creduto che
avesse ragione e non e' detto che non finisca poi di crederlo un giorno, ma
ancora credo nella possibilita' del fare, magari poco perche' noi siamo
poco, ma sempre nella possibilita' del fare. E ora che la casa della
nonviolenza si muove per fare e verso tutto quello in cui credo, come faccio
a non esserci. C'ero anche gia' l'anno scorso e per questo motivo.
Brindo all'anno nuovo perche' sia veramente nuovo, e a tutti gli amici della
nonviolenza.

3. RIFLESSIONE. ROCCO ALTIERI: LA SCELTA DELLA POVERTA' VOLONTARIA PER
RIPENSARE L'ECONOMIA E GLI STILI DI VITA
[Ringraziamo Rocco Altieri (per contatti: roccoaltieri at interfree.it) per
averci messo a disposizione il suo saggio di presentazione del vol. 6 del
dicembre 2004 dei "Quaderni Satyagraha" da lui diretti, volume monografico
dedicato al tema "La gioia della poverta' conviviale". Rocco Altieri e' nato
a Monteleone di Puglia, studi di sociologia, lettere moderne e scienze
religiose presso l'Universita' di Napoli, promotore degli studi sulla pace e
la trasformazione nonviolenta dei conflitti  presso l'Universita' di Pisa,
docente di Teoria e prassi della nonviolenza all'Universita' di Pisa, dirige
la rivista "Quaderni satyagraha". Tra le opere di Rocco Altieri segnaliamo
particolarmente La rivoluzione nonviolenta. Per una biografia intellettuale
di Aldo Capitini, Biblioteca Franco Serantini, Pisa 1998. Per abbonarsi ai
"Quaderni Satyagraha" (per contatti: tel. 050542573, e-mail:
roccoaltieri at interfree.it, sito: pdpace.interfree.it): abbonamento annuale
30 euro da versare sul ccp 19254531, intestato a Centro Gandhi, via S.
Cecilia 30, 56127 Pisa, specificando nella causale "Abbonamento Satyagraha"]

Qualcuno potrebbe accogliere con fastidio o disinteresse la proposta
"antiquata" di un tema francescano che, secondo il titolo accordato a questo
numero dei "Quaderni Satyagraha", puo' apparire una vuota figura retorica,
un banale ossimoro che unisce due elementi in realta' antitetici: la gioia e
la poverta'.
Ma non c'e' da stupirsi di tali reazioni, se gia' ai tempi di Francesco "i
figli di Adamo non avevano voce ne' sensi per voler trattare fra loro o
parlare della poverta'. La odiavano di tutto cuore, come fanno anche oggi, e
non riuscivano a dire nemmeno una parola amichevole a chi si informava di
lei" (1). E non erano solo gli stolti e gli ignoranti ad averla in abominio,
ma anche i grandi e i sapienti che, interpellati da frate Francesco,
rispondevano sdegnosi: "Che strana dottrina vieni tu a metterci negli
orecchi? La poverta', che vai cercando, resti per sempre a te e ai tuoi
figli e alla tua discendenza dopo di te! Quanto a noi, siamo risoluti a
godere a fondo dei piaceri e ad abbondare di ricchezze, perche' la nostra
vita e' breve e triste, e quando l'uomo muore, non c'e' per lui luogo di
refrigerio. Noi non abbiamo trovato nulla di meglio che stare allegri,
mangiare e bere per tutto il tempo della nostra vita" (2).
Francesco e' un uomo che nella gerarchia delle virtu' evangeliche ha sempre
dato il primo posto alla Poverta', considerata regina, fondamento e custode
di ogni virtu', condizione essenziale della imitatio Christi. E' stato,
infatti, detto dal Salvatore del mondo: "Beati i poveri in spirito, perche'
di essi e' il regno dei cieli" (Matteo, 5, 3). E, si badi, l'evangelista ha
scritto "e'", non "sara'".
La beatitudine annunciata ai poveri non e' un'utopia di ieri o di domani, ma
e' la profezia sempre attuale che introduce nella storia dell'umanita' una
prospettiva di speranza e di cambiamento. Abbracciare sorella Poverta' e',
quindi, una scelta evangelica che ha una forte valenza politica e sociale.
*
In questo quaderno, la poverta' viene indagata non soltanto in quanto
dimensione etica e religiosa fondamentale, ma anche in quanto categoria
sociologica utile a una critica dei miti della modernita', facendo ricorso a
quei "pensatori radicali" che piu' di altri hanno posto, al centro del loro
interesse, "gli ultimi" tra gli uomini.
John Ruskin e' stato il primo pensatore sociale, nell'Inghilterra vittoriana
dell'Ottocento, ad accusare l'economia politica di essere una scienza
ingannevole, a dismal science, in quanto si e' estraniata da ogni
considerazione etica.
Il suo libro Unto this Last (3) ispiro' profondamente Gandhi e il suo
programma per l'indipendenza indiana: il movimento Sarvodaya, che significa
"agire per il bene di tutti, nessuno escluso". Gandhi, quando era ancora in
Sudafrica, entusiasmatosi alla lettura di Ruskin, ne appronto' un compendio
in gujarati che pubblico' a puntate, durante il 1908, sul settimanale
"Indian Opinion". Sulla versione inglese (4) e' stata condotta la traduzione
di questo scritto fondamentale, che ora viene offerto, per la prima volta in
italiano, alla riflessione dei lettori dei "Quaderni Satyagraha". Il saggio
di Itala Ricaldone Unto This Last - Antyodaya - Fino a questo Ultimo, sempre
nell'indice in questo quaderno, puo' fornire l'inquadramento storico e una
semplice, ma preziosa chiave di lettura di questo scritto.
*
E' sembrato, inoltre, opportuno, in questa sede, pubblicare lo scritto di
Ivan Illich che ricorda la visita che fece, durante il suo viaggio in India,
alla capanna dove aveva vissuto il Mahatma. E' un testo bellissimo, di
purezza cristallina, tra i piu' poetici e ispirati di Ivan, che coglie
nell'essenzialita' e nella funzionalita' degli spazi abitativi l'essenza di
un messaggio e l'impronta indelebile di una vita improntata alla poverta'
volontaria.
Majid Rahnema, che fu grande amico di Illich, e che oggi, dopo la morte di
Ivan, si puo' ritenere a buon diritto l'erede e il continuatore del suo
"pensiero sovversivo", nel Discorso sulla poverta', qui pubblicato (5),
riprende e sviluppa alcuni dei temi piu' cari alla corrosiva critica sociale
di Illich.
Fondamentale e', innanzitutto, comprendere la differenza di significato tra
miseria e poverta', riprendendo la distinzione fatta gia' da San Tommaso
d'Aquino, che per poverta' intendeva la mancanza del superfluo e per miseria
la mancanza del necessario.
L'immiserimento e' il processo di dipendenza, marginalita' e sfruttamento
cui sono state ridotte in epoca moderna le popolazioni rurali. Polanyi (6)
ha raccontato in modo magistrale la storia della "grande trasformazione" di
una popolazione di dignitosi contadini in una folla di mendicanti e di
ladri, a causa delle recinzioni delle terre comuni (enclosure) indotte
dall'avvento della rivoluzione industriale in Inghilterra.
Allíopposto della miseria va intesa la poverta' conviviale, un concetto
affine al sarvodaya gandhiano, che esprime una condizione esistenziale di
resistenza nonviolenta all'invasione delle merci industriali, promovendo la
difesa delle culture indigene e delle conoscenze comunitarie di strumenti
semplici e solidali, utilizzati nella produzione domestica per
l'auto-consumo (7).
La convivialita' e' un termine mutuato dal lessico sociologico di Illich (8)
e indica il contrario della produttivita' industriale. Illich ha svelato una
semplice verita': "La macchina non ha soppresso la schiavitu' umana, ma le
ha dato una diversa configurazione. Infatti, superato il limite, lo
strumento da servitore diviene despota" (9). "Cosi' allo strumento azionato
secondo il ritmo dell'uomo succede un uomo che agisce secondo il ritmo dello
strumento, e tutti i modi d'agire umani ne vengono trasformati" (10). La
produzione industriale di beni e servizi e' diventata la mega-macchina che
"riduce gli uomini a materia prima lavorata dagli strumenti. E tutto questo
in misura non piu' tollerabile. Poco importa che si tratti di un monopolio
privato o pubblico: la degradazione della natura, la distruzione dei legami
sociali, la disintegrazione dell'uomo non potranno mai servire a uno scopo
sociale" (11).
Bisogna capire in tempo qual e' il "punto critico" in cui l'utensile afferma
il suo monopolio sull'uomo e manifesta tutta la sua contro-produttivita'.
Uno dei miti piu' consolidati del processo di industrializzazione e'
l'opinione che l'avvento delle macchine a vapore abbia liberato l'uomo dalla
bruta fatica. In realta', essa si e' solo spostata verso la base della
piramide sociale e geografica, diventando, se possibile, ancor piu'
spossante e abbrutente per chi sta in basso. Si pensi, ad esempio, alla
condizione dei lavoratori nelle fabbriche e nelle miniere nel Sud del mondo,
le cui attivita' estrattive sono diventate determinanti in un processo di
accresciuto utilizzo dei metalli e dei combustibili fossili.
Come ha scritto Lewis Mumford nel Mito della macchina: "Furono gli schiavi
minerari, la meccanizzazione, il militarismo e le occupazioni da essi
derivate a sopprimere la gioia del lavoro quotidiano e a trasformarlo in una
fatica implacabile e abbrutente" (12). "La maledizione della guerra e quella
della miniera sono quasi interscambiabili: e' la morte che li unisce" (13).
"Ben presto la citta', concepita in origine come rappresentante del cielo,
assunse molte delle caratteristiche di un accampamento militare: un luogo di
confino, di esercitazioni quotidiane e di punizione. Restarsene incatenati,
giorno dopo giorno, anno dopo anno, a un'unica occupazione, in un'unica
bottega, a svolgere addirittura un'unica azione manuale, che era soltanto
parte di una serie di analoghe operazioni: fu questa la sorte dell'operaio"
(14).
Agli antipodi del modello industriale si colloca la proposta di una societa'
conviviale, in cui, scrive Illich: "lo strumento moderno sia utilizzabile
dalla persona integrata con la collettivita', e non riservato a un corpo di
specialisti che lo tiene sotto il proprio controllo. Conviviale e' la
societa' in cui prevale la possibilita' per ciascuno di usare lo strumento
per realizzare le proprie intenzioni" (15).
Con accenti enfatici, che tradiscono la nostalgia per il mondo
pre-industriale, cosi' Mumford ricorda la qualita' del lavoro compiuto con
gli strumenti conviviali: "Ovunque si usassero liberamente utensili e forza
muscolare sotto il controllo degli stessi operai, il loro lavoro era vario,
ritmico e spesso assai soddisfacente, come lo e' qualsiasi rituale
significante. (...) La maggior ricompensa della giornata lavorativa
dell'artigiano non era il salario, ma il lavoro stesso, compiuto in un
ambiente comunitario. In questa economia arcaica c'era il momento di
sgobbare e quello di rilassarsi, il momento di digiunare e quello di
banchettare, il momento dello sforzo disciplinato e quello del gioco senza
pensieri. Nell'identificarsi con il proprio lavoro e nel cercare di
eseguirlo perfettamente, l'uomo riplasmava il proprio carattere" (16).
Per evocare questa realta' comunitaria, pre-industriale, Illich introduce
l'espressione di societa' vernacolare, dove il vernaculum designa le
attivita' produttive domestiche, locali, auto-sostenute. Rahnema ne riprende
l'espressione per distinguere, per l'appunto, la "poverta'" delle societa'
vernacolari dalla "miseria" delle societa' moderne, sviluppando una critica
radicale a un altro mito fondante dell'economia moderna: quello della
"scarsita'". Il mito dello sviluppo industriale si fonda, infatti, sulla
pretesa di sconfiggere la poverta' e di costruire un mondo di abbondanza
(17). In realta', il mercato capitalistico non ha fatto che accrescere la
miseria dei contadini del Sud del mondo, penetrando nelle economie
pre-industriali e distruggendone le basi della sopravvivenza.
*
La "scarsita'" e' un concetto relativo, non assoluto, definendosi come un
rapporto tra mezzi e fini. Essa appare come una funzione dei rapporti di
produzione, determinata dall'accesso alle risorse naturali, dal possesso
degli utensili necessari, dalla conoscenza delle tecniche opportune. La
scarsita' e' avvertita solo dalla moderna societa' industriale che ha un
ossessivo fine produttivistico da inseguire, pena la sua morte. Infatti, il
funzionamento dell'economia di mercato non puo' essere pienamente afferrato
senza tener presenti gli effetti delle macchine impiegate nella produzione
di massa. Come ha scritto Polanyi: "Poiche' le macchine complesse sono
costose esse non rendono a meno che vengano prodotte grandi quantita' di
merci. Esse possono essere fatte funzionare senza che si abbia una perdita
soltanto se lo sbocco delle merci e' ragionevolmente assicurato e se la
produzione non deve essere interrotta per la mancanza delle materie prime
necessarie ad alimentare le macchine" (18).
Questo processo inarrestabile di espansione industriale e di crescita
economica, senza sostanziali differenze tra il modello blu o rosso, tra
capitalismo e socialismo di stato, genera la scarsita', scatenando la
competitivita' per l'accaparramento di risorse limitate, fino a determinare
la guerra. Sono i processi di crescita dei bisogni delle societa'
industriali che creano la scarsita' di materie prime, di terra, di tempo.
Come ha dimostrato l'antropologo Marshall Sahlins, le societa' arcaiche
erano immuni dalla "tragedia" della scarsita' e vivevano nell'abbondanza dei
beni naturali, perche' i loro bisogni materiali erano limitati, e
disponevano di una incredibile quantita' di tempo da dedicare alle relazioni
amicali e parentali. Scrive Sahlins: "Siamo portati a ritenere poveri
cacciatori e raccoglitori perche' non hanno nulla, ma forse per questo
dovremmo ritenerli liberi. I loro beni estremamente limitati li esonerano da
ogni precauzione riguardo alle necessita' quotidiane permettendo loro di
godersi la vita" (19).
*
L'Uomo Economico, come sostiene Marcel Mauss (20), e' un'invenzione
borghese. Le societa' arcaiche non e' che abbiano represso i propri desideri
e i propri impulsi materialistici. Semplicemente queste societa' erano
fondate su basi diverse: nelle comunita' indigene la nozione di proprieta'
e' inapplicabile, perche' l'uomo appartiene alla terra e non la terra
all'uomo; in nessun posto il lavoro viene affittato o venduto, non esiste il
lavoro salariato; l'aspetto caratteristico dell'economia primitiva e'
l'assenza di qualunque desiderio di trarre profitti dalla produzione o dallo
scambio. Come recita un proverbio inglese: Want not, lack not (niente
desideri, niente privazioni).
A questo punto e' sembrato quanto mai opportuno dare spazio alla difesa
delle culture e delle economie indigene che e' stata al centro del II
Vertice dei Popoli Originari dell'Amerindia, svoltosi a Kito (Ecuador), dal
21 al 25 luglio 2004.
Alla Cumbre (assemblea) hanno partecipato i rappresentanti di oltre 60
popoli o nazionalita' indigene americane, quasi esclusivamente provenienti
dall'America Latina. Vi si e' recata dall'Italia la Fondazione Neno
Zanchetta, presente con una delegazione di sette persone (21). Grazie al
lavoro della Fondazione Zanchetta siamo in grado di pubblicare in questo
numero una serie di riflessioni e di documenti che testimoniano la pervicace
resistenza nonviolenta dei popoli indigeni nel difendere la propria civilta'
e il proprio stile di vita, nel rifiutare líomologazione al modello unico
dell'Occidente industrializzato.
Al Forum delle Nazioni Unite dedicato ai popoli indigeni, che si e' svolto a
New York dal 10 al 21 maggio, la Banca mondiale ha presentato un rapporto
secondo cui il livello di poverta' delle popolazioni indigene
latinoamericane e' rimasto sostanzialmente immutato nel corso dell'ultimo
decennio, salvo leggeri mutamenti in positivo per le zone urbane del
Guatemala e della Bolivia.
I parametri usati dallo studio sono: scolarizzazione, redditi pro-capite,
occupazione, accesso alla sanita'. Gli indigeni, pero', non sono convinti
dei risultati dello studio e chiedono che gli organismi finanziari
internazionali rivedano i criteri di misurazione della poverta' e dello
sviluppo sostenibile: "E' una visione del benessere concepita in base
all'economia di mercato e al consumo. Il fatto che noi siamo esclusi da
questi privilegi non significa che siamo poveri", ha detto Ester Camas,
indigena Ixacavar del Costa Rica. Ha spiegato che, per gli indigeni, altri
sono gli indicatori economici: l'accesso alla terra e alle risorse naturali,
per esempio, o le scorte alimentari, che sono ben altra cosa dal "paniere
familiare" basato sui prodotti di mercato. "Essere indigeni non significa
essere poveri. Dobbiamo fare uno sforzo per cercare nuovi modi di definire
la poverta', in base a cio' che per i nostri popoli e' il buon vivere e il
benessere", dice l'ecuadoriano Cesar Rumanjinga. Non solo gli studi delle
istituzioni finanziarie peccano di etno-centrismo nel definire cosa e'
poverta': secondo quanto denuncia Tomas Alarcon dell'organizzazione
peruviana di giuristi indigeni Capaj, quel che le istituzioni finanziarie
omettono di considerare e' l'importante contributo delle popolazioni
indigeni alle economie del proprio paese: "Non parlano mai, questi
indicatori, della cura dell'ambiente e delle risorse naturali. Dovremmo
essere ricompensati per questo". E Jose' Carlos Morales del popolo Brunca
del Costa Rica, aggiunge: "Un tempo i governi si vergognavano delle
comunita' indigene. Ora siamo un capitale, serviamo allo Stato per chiedere
soldi. Ma noi non vi abbiamo accesso" (22).
*
Il saggio di Romeh Diwan, Il Mahatma Gandhi, Amartya Sen e la poverta', si
occupa della poverta' in India. Nella sua analisi vi troviamo esaminate tre
visioni del povero: 1) il povero come "deprivato", secondo la definizione di
Sen; 2) il povero come "degradato", secondo la visione di Illich; 3) il
povero come "dominato", secondo l'analisi gandhiana dello sfruttamento
elite-masse.
Nel confrontare le tesi del premio Nobel per l'economia con la visione
gandhiana, il lavoro intellettuale di Sen appare profondamente inserito
nell'ideologia liberale, dando un notevole contributo a molti dei suoi
obiettivi e soffrendo di molte delle sue limitazioni. Le raccomandazioni
politiche di Sen mirano a creare un "capitalismo temperato". Basate
sull'accettazione e l'adeguatezza dello stato esistente e del sistema dei
mercati, si rivolgono all'elite, di cui egli e' un membro, e suggeriscono un
aumento delle spese per la salute pubblica, l'alfabetizzazione, la crescita
economica e la regolamentazione dei mercati al fine di evitare grosse
ingiustizie. Se queste politiche possano portare all'eliminazione della
poverta' e' una questione discutibile.
Come ha affermato Rahnema: "La propagazione generalizzata della miseria e
dell'indigenza e' uno scandalo sociale evidentemente inammissibile,
sopratutto in societa' perfettamente in grado di evitarlo... ma non e'
aumentando la potenza della macchina per produrre beni e prodotti materiali
che questo scandalo avra' fine, perche' la macchina messa in azione a questo
scopo e' la stessa che fabbrica sistematicamente la miseria. Si tratta oggi
di cercare di comprendere le ragioni multiple e profonde dello scandalo"
(23).
*
Seguendo questa direzione di ricerca, le proposte politiche di Gandhi
appaiono rivoluzionarie, si rivolgono alle masse, mirano a rafforzare il
potere della famiglia e dei villaggi, a discapito delle strutture
accentratrici dello Stato e del "libero mercato" globalizzato. Gandhi si
oppone alla produzione industriale di massa, che genera disoccupazione,
propugnando la produzione da parte delle masse (24). Invita, inoltre, i
popoli della terra ad adottare volontariamente la semplicita' e la
moderazione negli stili di vita. E' questo il solo modo per bloccare
l'escalation della guerra a livello mondiale: "Nella nuova prospettiva il
soddisfacimento del maggior numero possibile di bisogni materiali non sara'
piu' lo scopo della vita, che sara' al contrario la limitazione di tali
bisogni, compatibilmente con un minimo di benessere. Non dovremo piu'
preoccuparci di ottenere quello che possiamo, ma rifiuteremo di prendere
quello che non tutti possono avere" (25).
Gandhi auspica una austerita' di vita che, gia' secondo Tommaso d'Aquino non
e' qualcosa di triste, ma di gioioso, perche' l'uomo austero non e' isolato
e chiuso in se stesso, ma aperto agli altri, e al possesso dei beni
(l'avere) preferisce coltivare le relazioni di amicizia (l'essere). Ha
scritto l'Aquinate nella Summa Theologica, riecheggiando Aristotele:
"Austeritas secundum quod est virtus non escludit omnes delectationes, sed
superfluas et inordinatas: unde videtur pertinere ad affabilitatem, quam
Philosiphus amicitiam nominat, vel ad eutrapeliam, sive joconditatem" (26).
E' questa la gioia sperimentata nella propria vita da Giovanni Ermiglia,
trapassato nel gennaio di quest'anno nell'eterna Compresenza dei morti e dei
viventi. Fondatore di Assefa, uomo austero nei costumi, ma estremamente
aperto e cordiale con le persone, Itala Ricaldone ne tratteggia, a
conclusione del quaderno, un ricordo fortemente empatico verso il suo
straordinario lavoro di solidarieta' in sostegno dei contadini senza terra
dei villaggi piu' poveri dell'India. Giovanni Ermiglia e' la prova di quanto
anche una singola persona, purche' fortemente persuasa, possa fare per
promuovere concretamente un cambiamento nonviolento nella direzione della
giustizia e della pace.
*
Note
1. Sacrum Commercium, in Fonti francescane, Padova, Edizioni Messaggero,
1982, p. 1633.
2. Loc. cit.
3. Il libro esce nel 1862 e raccoglie quattro saggi gia' pubblicati nel 1959
sulla rivista "Cornhill Magazine". L'edizione italiana piu' recente e': J.
Ruskin, A quest'ultimo, Torino, Marco Valerio Editore, 2003.
4. Ora in The Collected Works of Mahatma Gandhi, "Sarvodaya", Vol. VIII
(January-August 1908), Delhi, Publications Division, 1962, pp. 239-375.
5. E' il testo proposto il 24 settembre 2004, al numeroso pubblico accorso
ad ascoltarlo nella sala del Palazzo Ducale di Lucca in apertura delle
attivita' annuali della Scuola per la Pace, diretta da Aldo Zanchetta.
6. K. Polanyi, La grande trasformazione (1944), Torino, Einaudi, 1974.
7. Cfr. V. Shiva, Sopravvivere allo sviluppo, Torino, Isedi, 1990.
8. Cfr. I. Illich, La convivialita', Milano, Mondadori, 1974. Nella visione
di Illich e' evidente l'influsso delle riflessioni di Lewis Mumford, che a
sua volta, negli anni della formazione, ebbe per mentore lo scozzese Patrick
Geddes, che aveva teorizzato l'opposizione tra una paleo-tecnica di tipo
industriale e una "neo-tecnica" (cfr. P. Geddes, Citta' in evoluzione,
Milano, Il Saggiatore, 1970, pp. 83-119), descritta con gli stessi caratteri
degli strumenti conviviali prefigurati poi da Illich. Geddes (1854-1932) fu
un sociologo e un pianificatore urbano (cfr. H. Meller, Patrick Geddes:
Social Evolutionist and City Planner, London and New York, Routledge, 1990)
che in gioventu' era stato profondamente affascinato dalla critica di J.
Ruskin e W. Morris alla societa' industriale. Il cerchio dei nessi si chiude
e la nonviolenza si scopre un fiume carsico che lavora in profondita' e
all'improvviso riemerge per opera di personalita' straordinarie.
9. I. Illich, op. cit., p. 13.
10. Ibid., p. 63.
11. Ibid., p. 12.
12. L. Mumford, Il mito della macchina, Milano, il Saggiatore, 1969, p. 330.
13. Ibid., p. 332.
14. Ibid., p. 333.
15. I. Illich, op. cit., p. 14.
16. L. Mumford, op. cit., p. 331.
17 Cfr. W. Sachs, Archeologia dello sviluppo, San Martino di Sarsina (Fo),
Macroedizioni, 1992.
18. K. Polanyi, La grande trasformazione, Torino, Einaudi, 1974, p. 55.
19. M. Sahlins, L'economia dell'eta' della pietra: scarsita' e abbondanza
nelle societa' primitive, Milano, Bompiani, 1980, p. 26. Inoltre, per le
popolazioni nomadi la "ricchezza" e' un peso, il possesso di beni un
fardello e si limitano a possedere solo gli oggetti che possono essere
comodamente trasportati. Per il nomade il valore decisivo e' la liberta' di
movimento. "Il nomade autentico e' un nomade povero. Mobilita' e proprieta'
sono in contraddizione" (Ibid., p. 24).
20. Cfr. M. Mauss, Sociologia e antropologia, Torino, Einaudi, 1965.
21. Erano presenti, in qualita' di osservatori, il presidente della
Fondazione Aldo Zanchetta, il vicepresidente Rodrigo Rivas, i consulenti
scientifici Aldo Gonzales e Joe L. Washington, i collaboratori Roberto
Bugliani e Andrea Gazzaniga, il cineoperatore Roberto Giovannini.
22. www.carta.org/cartamondo/archivio/americasud/040521america_latina.htm
23. M. Rahnema, Quand la misere chasse la pauvrete', Paris, Fayard, 2003,
cit. in A. Zanchetta, recensione al libro di Rahnema, contenuta in questo
quaderno.
24. P. Dasgupta, Production by the Masses and the Philosophy of Charka,
Calcutta, Sribhumi, 1983.
25 M. K. Gandhi, Teoria e pratica della nonviolenza, Torino, Einaudi, 1973,
p. 119.
26. Tommaso d'Aquino, Summa Theologica, cit. in I. Illich, op. cit., p. 14.

4. ESPERIENZE. GODELIEVE MUKASARASI: DOPO IL GENOCIDIO
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per
averci messo a disposizione la sua traduzione di questa intervista ripresa
da "Libertas (Rights & Democracy's Newsletter)" di dicembre 2004. Godelieve
Mukasarasi fa parte dell'associazione Coalition for Women's human rights in
conflict situations (Coalizione per i diritti delle donne nelle situazioni
di conflitto)]

"Libertas": Qual e' lo stato corrente delle vittime sopravvissute al
genocidio in Ruanda e quali sono le sfide che state affrontando?
Godelieve Mukasarasi: La maggior parte dei sopravvissuti fa parte
dell'organizzazione nazionale Ibuka (che significa "Ricorda"), che lavora
per preservare la memoria del genocidio, promuove la giustizia ed il
miglioramento delle condizioni socioeconomiche dei sopravvissuti, e la
ricostruzione del paese.
Molte vittime di sesso femminile fanno parte dell'Associazione delle vedove
del genocidio d'aprile (Avega: Association des Veuves du Genocide d'Avril).
Il governo ruandese ha creato un fondo per l'assistenza ai sopravvissuti, il
Farg (Fonds d'assistance aux rescapes du genocide), e ha una cura speciale
dell'istruzione per gli orfani e dell'assistenza sanitaria per gli
svantaggiati. Molte istituzioni e agenzie hanno assistito le vittime nel
processo di riabilitazione sociale. Le necessita' di tutti i sopravvissuti
non sono certo state tutte soddisfatte, e persistono problemi strutturali,
in special modo riguardo ai bambini che sono diventati capi famiglia e ai
piu' anziani.
Le sfide che stiamo fronteggiando includono: la miseria della maggioranza
dei sopravvissuti (in special modo le donne e le loro famiglie); i problemi
e le malattie causate dalle conseguenze della violenza e dello stupro; la
non uscita dal trauma, giacche' non vi sono servizi o cliniche con
specializzazione nella salute mentale in tutto il paese; la lentezza dei
processi di giustizia, ove spesso i sopravvissuti sono meno preparati dei
prigionieri, che in prigione vengono istruiti; la gran quantita' di persone
senza casa e la mancanza delle strutture di base per dar loro un'abitazione.
*
"Libertas": La creazione del tribunale internazionale ha avuto un effetto
positivo sui sopravvissuti?
Godelieve Mukasarasi: Certamente, da un lato, perche' le vittime provano
sollievo dal modo di procedere del tribunale. Ma, dall'altro lato, il suo
impatto e' ancora debole. Manca la protezione per i testimoni e le vittime,
manca il sostegno alle famiglie dei testimoni, o alle famiglie di quelli che
avevano dichiarato di voler testimoniare e sono stati uccisi prima di
poterlo fare. Manca anche il sostegno a vittime di un certo tipo, quali le
donne vittime di stupro, che sono state psicologicamente maltrattate, il che
costituisce un abuso dei loro diritti umani. Tutti i sopravvissuti
desiderano un cambiamento positivo, per loro stessi e per tutto il popolo
del Ruanda. Chiedono strategie per prevenire futuri genocidi, di modo da
poter avere sicurezza della propria sopravvivenza e di quella dei loro
figli, un impegno chiaro per la loro protezione, che sia basato sulla
giustizia e combatta l'impunita'. Infine, chiedono si venga incontro ai loro
bisogni primari, quali la salute, l'istruzione, e il potere economico.

5. LETTURE. ARUNDHATI ROY: L'IMPERO E IL VUOTO
Arundhati Roy, L'impero e il vuoto. Conversazioni con David Barsamian,
Guanda, Parma 2004, pp. 160, euro 10. L'autrice de Il dio delle piccole
cose, impegnata nei movimenti per la pace, l'ambiente e i diritti umani, si
racconta e riflette sulla drammatica situazione del mondo di oggi. Con una
simpatetica introduzione di Naomi Klein.

6. LETTURE. KATHRYN SPINK: MADRE TERESA. UNA VITA STRAORDINARIA
Kathryn Spink, Madre Teresa. Una vita straordinaria, Piemme, Casale
Monferrato (Al) 1997, 2003 (nuova edizione riveduta e ampliata), pp. 384,
euro 4,90. Una notissima biografia di madre Teresa di Calcutta.

7. RILETTURE. RIGOBERTA MENCHU' TAM: RIGOBERTA, I MAYA E IL MONDO
Rigoberta Menchu' Tam, Rigoberta, i maya e il mondo, Giunti, Firenze 1997,
pp. X + 350, lire 22.000. Rigoberta si racconta e riflette; e' da leggere (o
rileggere) d'un fiato anche questo suo secondo libro, scritto con la
collaborazione di Dante Liano e Gianni Mina', che "hanno stimolato, raccolto
e curato la testimonianza di Rigoberta, valorizzandone le straordinarie doti
di narratrice".

8. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

9. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, sudest at iol.it,
paolocand at inwind.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 798 del 3 gennaio 2005

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