la lezione americana significa "rincorsa" all'elettorato moderato di centro?



Massimo D'Alema ha tratto dal voto americano la "lezione": conquistare il centro moderato.
Quando invece i più attenti analisti pongono l'accento della conquista dell'egemonia sul piano dei "valori".
Ecco cosa leggiamo ad esempio oggi sul Corriere della Sera.
L'analisi di Mannheimer smonta completamente l'idea di centro che ha D'Alema.
Tutto questo sarebbe fuori tema su PeaceLink se non toccasse il tema dei valori: quello della pace è - a mio parere - quello che può mobilitare un elettorato disinteressato alla politica tradizionale.
Mi ricollego con questo all'editoriale che ho scritto dopo la vittoria di Bush ( "Perde l'identità debole" http://italy.peacelink.org/editoriale/articles/art_7943.html ).

A.M.

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Cosa insegna all'Italia il voto Usa

UNA LEZIONE DALL'AMERICA

di GIUSEPPE DE RITA

Il risultato delle elezioni presidenziali americane indurrà, vogliamo sperare, le forze politiche italiane a trarne qualche insegnamento in vista dei due fondamentali appuntamenti elettorali nei prossimi diciotto mesi. Forse il più immediato è quello di prendere coscienza che in America non hanno funzionato i tre grandi strumenti fin qui tradizionali della politica: la televisione, per la quale Kerry avrebbe vinto 3 a 0, dopo i duelli sul piccolo schermo; i giornali, che si erano vocazionalmente schierati con lo sfidante e non sono riusciti a decifrare i termini di una sfida già persa; e i sondaggi, che ci hanno raccontato di un testa a testa del tutto inesistente, visti i dati del voto popolare. In Italia nei prossimi diciotto mesi continueremo a privilegiare i tre strumenti sconfitti in America o ne faremo uso meno coatto e pacchiano? Il secondo insegnamento è legato al peso che nelle elezioni americane ha avuto il territorio: sono stati i movimenti comunitari, le contee rurali, la primordiale cultura dell'America di mezzo, le reti territoriali di militanti, la riscoperta del consenso acquisito porta dopo porta, a far pendere la bilancia a favore di Bush. Anche in Italia (la tendenza è sempre più visibile) il voto è legato al territorio, ma le forze politiche sembrano non averne coscienza; forse è più facile concionare in qualche talk-show che trovare gente capace di scarpinare per il Mezzogiorno o migliaia di piccoli comuni cercando consenso porta dopo porta.
Analoga resistenza la politica italiana mostra per un'altra componente essenziale della campagna elettorale americana: l'attivismo su valori conflittuali. Bush ha vinto perché ha saputo mobilitare la tradizionale istanza etica della nazione, che era schierata e si è schierata per il primato della vita, della normalità, del diritto naturale, della famiglia, della religione, affrontando il conflitto con chi appariva difensore di devianze (tipico il rifiuto del matrimonio gay); e sfruttando lo straordinario supporto di militanza dei movimenti evangelici. Far politica in questo modo non ci interessa? Certo non fa parte delle nostre tradizioni, ma è probabile che nei prossimi mesi dovremo imparare: il referendum sulla procreazione assistita scatenerà fondamentalismi etici non riconducibili a mediazioni soffici.
Ulteriore considerazione: sotto la superficie di una leadership personale forte e rozza (da cowboy è stato detto) si è riunito non per incanto ma per scelta strategica, un blocco sociale per molti inatteso: le classi medio basse sono risultate capaci di compattarsi nella tensione di Bush a far muovere l'America, a creare mobilità sociale, a prospettare cambiamento di ceto e di reddito. Non credo che tutto sia legato alla riduzione delle tasse (il popolo dei cinque talenti stava con Kerry); più che l'arma globale della citata riduzione occorre impegnarsi a capire come e dove si distribuisce la nuova composizione sociale e lavorare politicamente su di essa.
Quel che comunque più colpisce ritornando a guardare le cose italiane è che in America ha vinto un uomo che ha messo fuori giuoco sia la tradizionale cultura repubblicana del laissez-faire sia la cultura democratica attenta alla complessità ed alla mediazione e che ha deliberatamente scelto una strategia di «grinta e sentimenti». Esattamente le due componenti che nessun politico italiano ama sfoggiare, ingessato magari in sottigliezze razionali e compresso dal timore di sovraesporsi troppo, ove mostrasse un po' di grinta.

Il Corriere della Sera 8/11/04

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Area di centro, la maggioranza non segue la politica

il Sondaggio
La struttura del mercato elettorale italiano va mutando. Un tempo esso era suddiviso in categorie relativamente precise, legate perlopiù ad appartenenze ideologiche e/o territoriali. Oggi solo una parte, in calo quantitativo, può essere ricondotta a quello schema. Per molti, le denominazioni «sinistra», «centro» e «destra» continuano, per comodità, ad essere impiegate, ma assumono significati differenziati e spesso lontani da quelli tradizionali. In particolare, con la dizione «elettorato di centro», di cui tanto si è discusso in questi giorni (con interventi, tra gli altri, di Diamanti, Sartori, Scalfari), sono compresi almeno due tipi di elettori, con motivazioni e orientamenti diversi. C'è chi si definisce di centro, per così dire «consapevolmente», come scelta politica deliberata. E chi invece dichiara di sentirsi genericamente «di centro», perché «non so dove altro mettermi», non ha intenzione di «stare con nessuno» e non ha voglia o capacità di pensarci più di tanto. I primi sono mediamente più anziani, piuttosto informati sugli avvenimenti, fiduciosi nel funzionamento delle istituzioni, con una frequenza alle funzioni religiose superiore alla media, politicamente definibili come «moderati». E, in larga misura, hanno ben chiara la loro intenzione di voto. I secondi - che costituiscono la maggior parte (80%) di chi si autocolloca al centro nel continuum sinistra-destra - viceversa, sono generalmente più giovani, assai meno interessati alla politica, critici verso molti aspetti della società, in gran parte indecisi se e per chi votare. Per vari aspetti possono essere forse assimilati a chi non vuole o non sa definire la propria posizione sul continuum. Anche tra questi, infatti, gran parte (90%) afferma di non essere interessata alla politica e/o indecisa sulla scelta di voto. Per la loro distanza dalla vita politica, potremmo definire l'insieme di tutti costoro «esterni» a questultima.
Questa distinzione aiuta anche a chiarire la questione della numerosità dell'elettorato di centro. Nelle ricerche scientifiche, per misurare la posizione di un individuo, gli viene spesso sottoposta la rappresentazione grafica del continuum sinistra-destra, invitandolo a collocarvisi. In questi casi, si definisce di centro circa un quarto degli intervistati (il dato è comune a tutte le indagini: EES 2004: 24,6%; Itanes 2001: 23%; Ispo: 25%). Quando invece il sondaggio è condotto per telefono, lintervistato, senza una raffigurazione davanti a sé, tende a riferirsi non tanto alla propria posizione sul continuum, a dove si «sente», quanto ad altre dimensioni, come la scelta ideologica o elettorale. Di conseguenza, la numerosità di chi si pone al centro diminuisce sino al 9-10% (da quando c'è il confronto tra i poli, pochissimi si orientano a votare «al centro») e, spesso, data anche l'indecisione sul voto, si accrescono i rifiuti di collocarsi. In realtà, la contraddizione tra le diverse metodologie è meno rilevante: spesso, infatti, la percentuale complessiva di «esterni» (chi si colloca al centro «perché non so dove mettermi» e chi rifiuta di posizionarsi sul continuum) è simile e corrisponde nell'insieme a circa il 40% dell'elettorato.
Dunque, un segmento molto vasto, anche se variegato. Del quale è fondamentale conquistare il consenso. Infatti, i movimenti tra una coalizione e l'altra, da parte di chi è già collocato in uno dei due poli, sono pochissimi. L'esito delle consultazioni dipende quasi completamente dalla capacità di conquistare (o, meglio, di «mobilitare») chi non è schierato, è indeciso, non sa se e per chi votare. E la maggior parte di questi indecisi si colloca al centro ed è, appunto, «esterna» alla politica.
Con quali argomenti si può aggredire questa area? Certamente non con le categorie tradizionali, di destra o di sinistra, o, peggio, con quelle teoriche (il welfare, il liberalismo, ecc). Un ruolo fondamentale è naturalmente ricoperto dall'immagine del leader, dalla sua capacità di conquistare la fiducia di chi lo vede o lo ascolta. Ma ancora più importante è la natura dei messaggi: che devono essere semplici, concreti, legati direttamente alla vita personale. Negli ultimi anni, in questo segmento hanno ad esempio suscitato molta attenzione gli slogan sulle tasse di Berlusconi, la questione pace/guerra e, di recente, quella della fecondazione assistita. Temi facili da comprendere, su cui è agevole prendere posizione, vuoi per convinzioni «morali» radicate (alle quali ad esempio fa riferimento l'iniziativa di Buttiglione e Ferrara) o, più spesso, per esperienza personale.
Gli «esterni», lontani dal dibattito e dalle alchimie del palazzo e della politica quotidiana, che spesso si posizionano al centro più per indifferenza che per scelta, costituiscono il vero arbitro delle prossime elezioni.
Renato Mannheimer

Il Corriere della Sera 8/11/04