LETTERA 101



LETTERA 101
31 ottobre 2004

ottobre 2004
marzo 2004 
1
Il giorno delle nozze della regina Elisabetta Seconda, mentre tutta la
stampa del Regno Unito e del mondo intero si lasciava andare a un'orgia di
notizie, fotografie e interviste a storici, ecclesiastici, sarte,
gioiellieri e produttori  di mirabolanti torte nuziali, il quotidiano
comunista londinese "Daily Worker" dedicò l'intera prima pagina alla
cronaca minuziosa del matrimonio di un'oscura dattilografa, di nome Mary
Smith (o qualcosa del genere). Era certamente uno sberleffo repub-blicano;
ma era anche qualcosa di più: un richiamo contro la convinzione dei
mass-media che la  Terra, la storia e la vita delle persone siano
importanti solo se legate ai VIP o espresse in cifre con molti zeri.
Temo (in realtà ci sono abituato) di essere considerato  un idiota o un
inguaribile terzomondista (che poi per molti miei autorevoli colleghi è la
stessa cosa ) se dedico la prima parte di questa LETTERA alla vittoria
elettorale delle sinistre in Uruguay invece che alle imminenti elezioni
negli Stati Uniti. Lo faccio per molteplici ragioni che chiarirò, la prima
delle quali è che le elocubrazioni Bush-Kerry sono ormai al momento della
verità e, la seconda, che almeno un terzo degli uruguaiani è di ascendenza
italiana. Ciononostante la nostra cosiddetta opinione pubblica sa ben poco
di questo paese latino-americano, patria di grandi scrittori come Juan
Carlos Onetti, Mario Benedetti ed Eduardo Galeano. Voglio allora raccontare
ai più giovani fra i miei lettori, e ricordare ai meno giovani, che,
nell'interminabile inverno delle dittature militari latino-americane,
dall'inizio degli anni '70 al 1985, dell'Uruguay si potè dire che era "un
piccolo paese trasformato in un immenso carcere". Il fascismo dei militari,
la loro ossessione anticomunista si abbatterono sulla popolazione con
feroce brutalità, Le prigioni erano tanto affollate che talvolta i detenuti
erano costretti a dormire nei cortili, sotto le intemperie. La pratica di
orrende torture, diffusa al punto da poter essere considerata "normale".
Come raccon-tò Costa Gavras nel suo "L'amerikano", istruttori di sevizie
particolarmente efferate e "scientifiche" venivano forniti dal Pentagono.
Le desapariciones  erano frequenti. Centinaia di migliaia di uruguaiani
furono costretti a fuggire, in esilio. Non pochi furono raggiunti e
assassinati dagli sgherri dell'Operazione Condor, l'internazionale del
terrore fondata da Pinochet. Poi, per molteplici ragioni, alcune delle più
importanti dittature latino-americane crollarono sotto il peso della loro
stessa insensatezza, con una specie di "effetto-domino": una dopo l'altra,
quella brasiliana, quella argentina e infine quella uruguaiana. Mentre
rimanevano al potere i regimi militari andini, cileno e paraguaiano, in
Brasile, in Argentina e in Uruguay. essi si trasformarono nelle cosiddette
"democradure": miscele di democrazia e dittatura o, meglio, precarie
democrazie controllate e limitate dai militari.
Quando Clotilde ed io vi arrivammo, nel tardo agosto del 1985, in Uruguay
questa trasformazione era appena avvenuta e il paese viveva una inquieta
atmosfera, insieme dolorosa e coraggiosa. Ricordo quella Montevideo: una
città completamente "europea" strangolata, a partire dagli anni '50, dalle
leggi del commercio internazionale, le quali alzavano (e alzano) i dazî
contro l'espor-tazione dei prodotti uruguaiani (carne, cuoio, lana):
palazzi mai portati a termine, negozi bellissimi e vuoti, maree di
cittadini che improvvisavano mestieri di sopravvivenza. Rivedo ancora, con
infinita pietà, un vecchio signore che indossava un abito elegante  e
pulito, ma con i polsini della giacca e i risvolti dei pantaloni lisi e
sfilacciati; chiese a Clotilde se per caso non volesse comprare
dell'aspirina, mostrò il palmo della destra, v'erano due compresse.
Dalle prigioni uscivano persone, alcune delle quali avevano nel volto la
fierezza di non essersi mai arrese e molte altre parevano inebetite dai
patimenti, faticavano a parlare e a sorridere. Se qualcuno provava a
chiedere la punizione dei peggiori carnefici, l'esercito interveniva
brutal-mente per proclamare la necessità della pacificazione  nazionale.,
cioè l'impunità per i carnefici. Durante il nostro soggiorno, un giudice
coraggioso ordinò l'arresto di un colonnello  colpevole di infinite
atrocità Subito lo Stato Maggiore proibì che l'ordine fosse eseguito.
Quando i quotidiani pubblicarono il comunicato dell'esercito, eravamo con
un giornalista che era stato seviziato da quell'ufficiale. Ricordo ancora
il suo volto farsi pallidissimo mentre leggeva il comunicato; ne sono
sicuro,  si sentiva di nuovo nella sala della tortura.
Tuttavia i partiti riprendevano coraggiosamente il loro lavoro; la
Democrazia cristiana stava insieme alle sinistre in un Frente Amplio
antifascista. Lo presiedeva un oriundo italiano, il generale Liber Seregni,
un uomo che aveva la dignità del nostro Parri: lo avevano appena estratto
da una spaventosa cella sotterranea, dove era stato più volte torturato per
ordine dei suoi ex colleghi; adesso nel povero appartamento che gli fungeva
da ufficio, riceveva continuamente giovani e anziani che volevano
"ricominciare": soprattutto nei quartieri periferici in cui i militari
avevano seminato per anni terrore e sospetti, la gente riprendeva a
organizzarsi per risolvere i gravissimi problemi collettivi: scuole,
sanità, trasporti, caro-vita. Nelle fabbriche i sindacati si rinsaldavano.
A Montevideo, un milione e mezzo di abitanti, si vendevano più quotidiani
che a Roma. Giorno dopo giorno, lentamente e rischiosamente, la democrazia
andava fortificandosi.

2
Sono passati vent'anni, le difficoltà economiche dell'Uruguay sono ancora
assai gravi: il paese ha risentito duramente della crisi economica
argentina del 2002, essendo i due stati confinanti strettamente legati
dall'interscambio. I governi di centro- destra hanno sempre minuziosamente
seguito i "consigli" del Fondo Monetario Internazionale, e perciò, come
spesso avviene in questi casi, il prodotto interno lordo è migliorato ma le
condizioni di vita della gente sono diventate anche più dure. A 175 anni
dalla proclamazione della Repubblica (per la cui nascita combatté anche
Giuseppe Garibaldi), gli elettori hanno detto "basta" ai  due tradizionali
partiti di potere - il Blanco e il Colorado - espressione della borghesia
massonica e autoritaria, e hanno eletto al primo scrutinio un presidente
candidato dal Frente Amplio: uno scienziato figlio di poverissima gente. A
vent'anni dall'epoca dei golpe e delle camere di tortura, più dei due terzi
dell'America Meridionale sono ora retti dalle sinistre. Nell'ambito del
Mercosur (l'area di libero scambio del cosiddetto Cono Sud) sono di
sinistra tre governi (l'Uruguay, l'Argentina e il Brasile) su quattro (il
quarto è il Paraguay). Ancora dieci anni fa nessuno avrebbe osato sperarlo.
3
Eventi marginali in una Terra in cui il potere politico ed economico (e
dunque il futuro) risiedono quasi completamente altrove? Può ben darsi; e
però è un fatto che nel mondo "subalterno" circolano fermenti, nascono,
muoiono e rinascono testarde speranze che i Grandi non riescono a
controllare come vorrebbero; che l'omologazione non è realtà compiuta; che
un gruppo di nazioni "secondarie" riunite intorno ai paesi della nuova
America Latina sta diventando scomodo protagonista di organismi
internazionali, per esempio sul cosiddetto libero commercio. L'Uruguay dei
governi di centro-destra era uno dei vassalli cui la Casa Bianca affidava i
lavori sporchi all'ONU, le proposte su Cuba e sulle guerre; non lo sarà
più. Con buona pace del signor Fukuyama, la storia non è finita.
4
Temo che il suo nome - Helwé Jacaman - fosse ormai noto a pochi; ma la
vecchia signora che il mese scorso si è spenta nella sua Betlemme ha
diritto al fiore del ricordo. Era stata una di quegli abitanti della
piccola Città Santa che si sparsero per tutta l'America Latina, agli inizi
del secolo scorso, costretti all'emigrazione dalla miseria, e chiamati
turchi perché turco era il loro passaporto. García Márquez li vide a
Macondo, ma moltissimi altri finirono a Santiago del Cile, dove ormai i
loro discendenti sono decine di migliaia, o in altri stati del continente.
La famiglia di Helwé approdò in Nicaragua, per chissà quali misteriosi
tragitti imposti dalla povertà. Tornata nella sua Palestina, Helwé portò
con sé il ricordo della povertà e della durezza dell'esilio. Furono questi
ricordi, queste esperienze di dolore, a guidare sempre la sua vita, insieme
alla fierezza per la sua origine. La guerra dei Sei Giorni la colse mentre
era assistente sociale  a Betlemme e, benché cristiana, elemento di
prim'ordine delle Lega delle donne arabe. Non.si arrese, mai,
all'occupazione israeliana, fedele a un'obiezione di coscienza non violenta
ma forte e chiara contro il regime militare. Dal suo incontro, negli anni
del Concilio, con il prete-operaio francese Paul Gauthier e con la Rete
Radiè Resch (un'associazione italiana di solidarietà internazionale)
naecque a Betlemme un quartiere di case a riscatto chiamato "Città della
Stella". Il comitato  locale che presiedeva all'iniziativa, formato per lo
più da maggiorenti arabi, tendeva, come spesso avviene ai Benefattori, a
concepire  la realizzazione come un aiuto misericordioso a un generico
pauperismo. Helwé ebbe sempre chiaro che si trattava, invece, di dare
dignità e speranze a persone travolte dalle avversità politiche e dalle
disgrazie; di aiutare le donne a diventare protagoniste della vita sociale,
di fare tutto ciò che era possibile perché i cittadini di Betlemme non
diventassero, per disperazione, manovalanza a buon prezzo e senza diritti
al servizio sgli israeliani; o, come un giorno lei e i suoi cari, dovessero
andarsene lontano, abbandonando le speranze palestinesi.
Dio le conceda il riposo dei Giusti
ettore masina

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riconoscente a chi, facendolo, vorrà darmene notizia