8 marzo per Leyla Zana





8 MARZO PER LEYLA ZANA



Quando, per conto dell’Associazione Culturale Punto Rosso, avviammo la
campagna per la scarcerazione di Leyla Zana sapevo che avrei vissuto
un’esperienza appassionante e dolorosa, non che avrei conosciuto una donna
di straordinaria qualità. Ma, nel corso del rifacimento ad Ankara del
processo che nel 1994 l’aveva condannata, con altri tre deputati del DEP, a
quindici anni di carcere, ho avuto modo di vederla e ascoltarla. Purtroppo,
benché a pochi metri, in aula siamo sempre state separate da un muro di
gendarmi o di agenti di polizia o di soldati e con Leyla Zana non sono mai
riuscita a scambiare neppure una parola. Tuttavia tra le tante anomalie
orribili di questo processo ce n’è una buona: agli imputati è concesso di
intervenire quando e quanto vogliono. E Leyla Zana, così come gli altri tre
deputati, Hatip Dicle, Orhan Dogan, Selim Sadak, la parola l’hanno presa
spesso e mi è diventato progressivamente chiaro quello che pensano e come lo
pensano.

Sono in carcere da più di nove anni e mezzo. Ma, nell’udienza del novembre
scorso, reagendo alla proterva violazione da parte della Corte del loro
diritto a difendersi portando prove e testimonianze, non hanno esitato. Non
solo nella critica alla Corte, nel rivendicare la loro storia politica e nel
dichiarare il loro appoggio alle campagne politiche delle organizzazioni
curde e delle associazioni per i diritti umani. Ma anche chiedendo il
riconoscimento reale da parte dello Stato dei diritti linguistici della
popolazione curda ­ tutte le mezze riforme in materia del Governo sono
rimaste sulla carta ­ e  aderendo alla campagna affinché ad Abdullah Öcalan
vengano concesse condizioni carcerarie meno feroci,al limite della tortura,
delle attuali.

I quattro imputati sono molto diversi tra loro per base culturale e quindi
per forme e contenuti dell’argo-mentazione. E Leyla Zana è questo: una donna
orgogliosa di essersi politicizzata dopo aver peregrinato per la Turchia per
poter incontrare il marito, già sindaco di Diyarbakir, incarcerato dopo il
colpo di stato del 1980. Per scoprire, quando riuscì a incontrarlo, che era
stato torturato e che non poteva parlargli, perchè un poliziotto non le
permetteva di usare il curdo, l’unica lingua che  conosceva. Fino ad allora
era stata una donna che si occupava solo della famiglia,una moglie e una
madre. Diventerà una dirigente del movimento curdo. E lo diventerà senza
abbandonare la sua propensione originaria. Imparerà il turco per comunicare
col marito e per aiutare le altre mogli o le figlie o le madri di altri
curdi incarcerati a comunicare con i loro familiari. Sarà una militante
pacifista in quel contesto di guerra. Rivolgerà il suo impegno alle
condizioni di estrema arretratezza sociale della popolazione curda, divisa
in tribù, attraversata da faide, retta da rapporti patriarcali,
caratterizzata dalla più totale sottomissione della donna e lo Stato turco,
da sempre, ha usato questa condizione di arretratezza per dividere i curdi e
dominarli. Leyla Zana aveva anche tentato di  costruire luoghi di dialogo
tra curdi e turchi perchè se pace sarà possibile tra le due popolazioni lo
sarà solo sulla base del rispetto delle reciproche identità. Infine, il
ricorso alle modalità  democratiche della lotta politica, quindi, appunto,
la candidatura nel 1991 alle elezioni parlamentari e l’elezione.

Sarà per fermare lo spargimento di sangue in una faida tra tribù che Leyla
Zana cadrà nella trappola di un curdo traditore, che l’accuserà di aver
fatto nelle riunioni di conciliazione l’apologia della lotta armata. E sarà
anche affermando che il suo obiettivo era la pacificazione tra curdi e
turchi che formulerà in curdo il suo giuramento di fedeltà allo Stato turco,
al momento dell’insediamento del Parlamento subito dopo le elezioni: ciò che
le costerà l’accusa di separatismo e di terrorismo e la terribile
persecuzione giudiziaria che la porterà in carcere.

Due parole ancora sul movimento curdo oggi e più in generale sulla militanza
democratica in Turchia. Leyla Zana non è stata e non è una figura anomala.
Il partito curdo DEHAP (il partito curdo legale è continuamente sciolto
dallo Stato, quindi continuamente costretto a ricostituirsi, a cambiare nome
e figure dirigenti) affida il 40 per cento dei ruoli di direzione alle
proprie donne. Sono donne i sindaci di questo partito a Dogubeyazit,
Kisiltepe e Derig. L’obiettivo della  liberazione della donna curda dai
vincoli patriarcali e tribali è al primo posto nel programma del partito. E’
cioè, e non solo su questa materia, uno straordinario partito moderno di
sinistra. A loro volta le associazioni turche per i diritti umani ­ una
delle componenti più attive e più influenti della lotta per la
democratizzazione della Turchia ­ sono dirette da donne di grandi capacità e
di grande coraggio. A Istanbul Lerzan Tascier, infaticabile organizzatrice.
Eren Keskin, avvocatessa con centocinquanta denunce a carico per aver
dichiarato che gli stupri nel Curdistan come a Istanbul contro le attiviste
curde o per i diritti umani sono opera dalla polizia e dalla gendarmeria. Ad
Ankara Feray Salman, altra infaticabile organizzatrice. Ancora a Istanbul
Sefika Gulmuz, alla testa dell’organizzazione dei curdi fuggiti dai loro
villaggi incendiati, e Sehnaz Turan, avvocatessa, che viene da Diyarbakir,
dove dirigeva l’Associazione per i Diritti Umani, e che ora dirige
l’associazione degli avvocati TOHAV, impegnata nella difesa degli imputati
dei processi politici

(Silvana Barbieri, Associazione Culturale Punto Rosso, articolo apparso
sulla rivista Paese delle donne)



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NOTA INFORMATIVA SULL’UNDICESIMA UDIENZA

DEL PROCESSO A LEYLA ZANA



Il Tribunale turco per la Sicurezza dello Stato ha respinto la richiesta
della liberazione di Leyla Zana  e degli altri tre parlamentari curdi nel
corso del rifacimento del loro processo, nel quale sono accusati di aver
aiutato all’inizio degli anni ’90 il PKK. E’ stata questa l’ undicesima
volta che il tribunale respinge tale richiesta. La Corte ha fissato  la
prossima per il 12 marzo. La decisione contro Leyla Zana, Premio Sacharov
del Parlamento Europeo, e contro i suoi tre ex colleghi, è stata
immediatamente criticata  dai rappresentanti al processo  del Parlamento
Europeo. Essi hanno inoltre dichiarato che il rilascio di Leyla Zana e degli
altri tre parlamentari agevolerebbe  la richiesta della Turchia di entrare
in Europa.

L’avvocato degli imputati Alatas rilasciando una dichiarazione all’agenzia
stampa DIHA ha detto che gli assistiti ormai non vogliono parlare più in
aula, perché vi si parla a vuoto. Alatas ha detto che gli avvocati
continueranno la battaglia legale, nonostante i comportamenti negativi del
Ministro della Giustizia e del tribunale. Alatas ha richiamato inoltre
l’attenzione  sul fatto che il processo non va ad un esisto positivo.

“Sono convinto che il Governo turco si rende conto che la liberazione di
Leyla e degli altri tre imputati sarebbe un passo importante per la
Turchia”,  ha dichiarato  il co-presidente del Comitato  Parlamentare
turco-europeo, Joost Lagendijk, ai giornalisti dopo l’udienza del processo.
E ha aggiunto: “Certamente è difficile influenzare la Corte,  ma penso che
possiamo creare un clima nel quale anche i giudici possano rendersi conto
che la Turchia  sta andando avanti e che essi non possono rimanere
indietro”.

Gli avvocati di Leyla Zana, Hatip Dicle, Selim Sadak e Orhan Dogan hanno
chiesto al Tribunale   la liberazione dei  loro assistiti in tutte le
udienze del processo, sin dal suo inizio nel marzo del 2003 . I quattro
parlamentarifurono condannati nel 1994 a 15 anni di prigione, con un
verdetto  che è stato oggetto di molte critiche, per aver collaborato, disse
l’accusa,  con i ribelli curdi nella lotta armata per l’autogoverno nel
sud-est del paese. Nel 2001 la Corte di Giustizia di Strasburgo ha
dichiarato iniquo il processo a loro carico,  perché gli accusati non erano
stati  messi in grado di far deporre i loro testimoni e non erano stati
informati in tempo utile dei cambiamenti delle accuse nei loro confronti.

Ai quattro  è stato concesso un nuovo processo  a seguito delle riforme
democratiche , adottate dalla Turchia al fine di conformarsi  agli standard
europei  e  di avere una risposta  positiva alla domanda d’ ingresso  nella
U.E. Il nuovo processo, tuttavia, è stato  criticato  sia in Turchia che
all’estero,  in quanto ricalca il processo precedente.

I diritti  umani costituiscono  una delle condizioni poste dalla U.E.  per
l’ingresso della Turchia.  I leader dell’U.E.  decideranno nel prossimo
dicembre se iniziare o meno i colloqui per l’ingresso  della  Turchia, dopo
aver verificato i progressi da essa compiuti per conformarsi agli standard
europei.




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