La nonviolenza e' in cammino. 717



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 717 del 30 ottobre 2003

Sommario di questo numero:
1. Il 4 novembre per la pace
2. Giobbe Santabarbara: un altro 4 novembre, non ipocrita e non subalterno
3. Maria G. Di Rienzo: coalizioni, come mantenerle in vita
4. Uri Avnery: il ghetto nel muro
5. Luciano Bonfrate: sulla proposta di Lidia Menapace
6. Severino Vardacampi: amicus Plato
7. Enzo Mazzi: il segno della croce
8. Riletture: Hannah Arendt, il concetto d'amore in Agostino
9. Riletture: Assia Djebar, Lontano da Medina
10. Riletture: Raissa Maritain, Diario di Raissa
11. Riletture: Fatema Mernissi, Islam e democrazia
12. Riletture: Antonietta Potente, Un tessuto di mille colori
13. Riletture: Rosemary Ruether, Per una teologia della liberazione della
donna, del corpo, della natura
14. Riletture: Edith Stein, La scelta di Dio
15. Riletture: Simone Weil, Lettera a un religioso
16. Riletture: Mary Hunt, Rosino Gibellini (a cura di), La sfida del
femminismo alla teologia
17. Riletture: AA. VV., Donne e religioni. Il valore delle differenze
18. Riletture: AA. VV., E' l'ora delle religioni. La scuola e il mosaico
delle fedi
19. La "Carta" del Movimento Nonviolento
20. Per saperne di piu'

1. INIZIATIVE. IL 4 NOVEMBRE PER LA PACE
[Riproduciamo ancora una volta un estratto da un comunicato del "Centro di
ricerca per la pace" di Viterbo di un anno fa. E' nostra intenzione
riproporre ed estendere l'iniziativa quest'anno]

"Ogni vittima ha il volto di Abele" (Heinrich Boell).
Abbiamo promosso l'idea che il 4 novembre in tutta Italia si realizzino
cerimonie di commemorazione per le vittime di tutte le guerre da parte delle
istituzioni, delle associazioni e delle persone impegnate per la pace e la
nonviolenza.
Cerimonie semplici e silenziose, di cordoglio sincero, di profonda
austerita' e di rigoroso impegno al rispetto e alla promozione della
dignita' umana di tutti gli esseri umani. Di solidarieta' dell'umanita'
intera contro la violenza e la morte. Di opposizione alla guerra e ai suoi
apparati.
Un 4 novembre che nel ricordo di tutte le vittime delle guerre sia anche
monito ed impegno contro le guerre presenti e future, contro tutte le
violenze e contro tutti gli strumenti di morte.
Un 4 novembre che non deve piu' essere strumentalizzato dai comandi militari
che con il loro lavorare per la guerra e inneggiare alla guerra irridono
oscenamente le vittime delle guerre; ma divenire giornata di lutto e di
memoria, e di solenne impegno affinche' mai piu' degli esseri umani perdano
la vita a causa di guerre, affinche' mai piu' si facciano guerre.
"Ogni vittima ha il volto di Abele" (Heinrich Boell).

2. EDITORIALE. GIOBBE SANTABARBARA: UN ALTRO QUATTRO NOVEMBRE, NON IPOCRITA
E NON SUBALTERNO
Ricorrendo il 4 novembre l'anniversario della fine dell'"inutile strage"
della prima guerra mondiale, varie persone impegnate per la pace - ed anche
amici carissimi da cui tanto abbiamo imparato - pensano di doversi
presentare in sparutissimi gruppi alle celebrazioni militari per dare
volantini, inalberare cartelli, sventolar vessilli arcobaleno, esporsi al
rischio di esser pretesto e scaturigine di indecenti schiamazzi in una
situazione in cui si fa memoria di innumerevoli vittime, ed a tutti e'
richiesta quindi la massima compostezza.
E' un errore, un errore di subalternita'.
Poiche' quale e' il messaggio che ne deduce chi osserva (poiche' quando si
manifesta, si manifesta affinche' altri veda e pensi)? Che i pacifisti
guastano le altrui cerimonie (e una cerimonia di commemorazione di caduti),
che i pacifisti sono quattro gatti consapevoli di esserlo, che i pacifisti
non sanno rispettare la dignita' altrui e la serieta' delle occasioni
solenni; nella migliore delle ipotesi: che i pacifisti sono quella
minimissima minoranza in cerca di pubblicita' che approfitta delle
iniziative altrui e vi si scava la sua nicchia, e che purche' non disturbi
il manovratore e si limiti a far colore sulla piazza viene
paternalisticamente recuperata e quindi neutralizzata.
Non e' questo il messaggio da dare.
Il messaggio da dare e' che il 4 novembre deve esere ricordo delle vittime
della guerra, e questo ricordo non puo' essere affidato a quelle strutture
che quelle vittime hanno assassinato: gli eserciti tutti.
Il messaggio da dare e' che i pacifisti non sono affatto una minoranza di
guastafeste o di anime belle confuse; bensi' consapevoli portatori di valori
che la stessa Costituzione italiana afferma, e rappresentativi della
volonta' di vita e dialogo dell'intera umanita'. Sono i poteri militari ad
essere l'arcaico inaccettabile residuo di una troppo lunga epoca di barbarie
che avrebbe dovuto essere finita per sempre sotto il lampo sinistro
dell'orrore assoluto di Hiroshima.
*
Di qui l'iniziativa "Ogni vittima ha il volto di Abele" che a Viterbo
abbiamo gia' realizzato lo scorso anno e quest'anno ripeteremo.
Noi ricorderemo le vittime della guerra, noi renderemo loro omaggio il 4
novembre in silenzio e austerita', con una nostra cerimonia di deposizione
di un omaggio floreale dinanzi al loro sacrario, in assoluto silenzio, in
orario diverso e lontano da quello dell'ipocrita rumorosa sagra degli
eserciti assassini.
Questo significa la nostra posizione ed iniziativa nonviolenta: che non gli
eserciti assassini hanno diritto a render omaggio alle loro vittime, ma chi
alle guerre si oppone e quelle vite avrebbe voluto salvare; che solo chi e'
costruttore di pace e si batte affinche' mai piu' si diano guerre puo'
ricordare le vittime delle guerre senza offenderle ancora. E nel ricordo
delle vittime delle guerre corroborare un impegno di pace e di nonviolenza.
*
Noi pensiamo che perseverando in questa azione rigorosamente nonviolenta
anno dopo anno riusciremo a rendere sempre piu' partecipate le nostre
iniziative di memoria, e rendere sempre piu' evidente l'ipocrisia e
l'immoralita' dei militari scandalosamente in festa innanzi alle tombe delle
vittime loro.
Noi pensiamo che, perseverando in questa azione rigorosamente nonviolenta e
sempre piu' persuadendo altre persone ad unirsi a noi, il 4 novembre possa e
debba diventare, da oscena festa delle forze armate assassine, giornata di
memoria e di impegno per la pace, e celebrazione infine del superamento e
quindi dell'abolizione dell'istituzione militare.
Superamento ed abolizione gia' oggi possibili con la realizzazione del
programma costruttivo della difesa popolare nonviolenta, dei corpi civili di
pace, con quella "Europa neutrale e attiva, disarmata e smilitarizzata,
solidale e nonviolenta" cui in molti in varie forme si sta gia' lavorando, e
che e' merito del movimento delle donne e segnatamente di Lidia Menapace
aver tematizzato e proposto con grande tenacia e lucidita'.

3. FORMAZIONE. MARIA G. DI RIENZO: COALIZIONI, COME MANTENERLE IN VITA
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per
questo intervento. Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici
di questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista,
giornalista, regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto
rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento
di Storia Economica dell'Universita' di Sidney (Australia); e' impegnata nel
movimento delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta'
e in difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza]

Supponiamo che la vostra coalizione stia lavorando bene, proprio come
avevate sperato. Ha una struttura stabile, ha sostegno nella comunita', e si
propone una crescente lista di scopi da raggiungere. Congratulazioni. Ma non
posso permettervi di crogiolarvi a lungo negli applausi: c'e' ancora del
lavoro da fare, quello per mantenere in vita la vostra creazione.
*
Perche' e' importante?
Perche' per costruire la coalizione avete speso abilita', sensibilita',
tempo, pazienza, e fiducia; perche' avete tirato fuori il meglio da voi
stessi, ma il vero lavoro comincia proprio ora, quando la vostra creatura
inizia a reggersi sui propri piedi. Per avere successo, la coalizione
dev'essere in salute; per essere in salute, ha bisogno della vostra
"manutenzione".
Questo concetto, lo so, non e' molto familiare all'attivismo italiano. Lo
sforzo, da noi, si concentra nell'arrivare al costruire il "tavolo", poi ci
si vanta delle 200 sigle, non si presta alcuna attenzione a come queste
sigle stanno insieme, e (se va bene) tutto quello che si riesce a produrre
sono comunicati roboanti. Quindi, rifletteteci: la maggior parte dei
macchinari necessita di lubrificazione, o di pulitura, ad intervalli
regolari; le pareti delle case hanno bisogno ogni tanto di essere ridipinte,
le automobili di essere revisionate, i corpi umani ed animali di visite
mediche, ecc.
La tecnologia puo' produrre oggetti che hanno scarso bisogno di cura: che
so, un'auto che necessiti di essere revisionata solo dopo aver compiuto
100.000 chilometri. Ma nessuna coalizione fara' tanta strada senza cure.
Nelle relazioni umane, e nel lavoro per il cambiamento sociale, non siamo
arrivati al punto in cui la manutenzione non e' necessaria, e molto
probabilmente non ci arriveremo mai. Un rinnovamento ciclico, conscio e
deliberato, e' necessario per avere un'organizzazione sana: se cominciate a
dare la vostra coalizione per scontata, quello e' il momento in cui essa
comincera' a decadere.
*
Cosa necessita di manutenzione?
In primo luogo le strutture chiave: le relazioni e le funzioni che hanno
contribuito a crearla. E subito dopo la ragion d'essere della coalizione (la
sua visione, la sua missione, i suoi scopi); il metodo decisionale e le
regole che vi siete dati rispetto a rappresentanza, divisione del lavoro,
tipologie d'azione; la corrispondenza fra mezzi e fini; la pianificazione a
breve e a lungo termine; la verifica sulla raccolta e la necessita' di
fondi; la visibilita' ed il sostegno nella comunita'.
Ultimo, ma basilare: lo "spirito" della coalizione, ovvero il piacere, oltre
che la volonta', di lavorare insieme: se riuscite a mantenere buone
relazioni fra tutti coloro che sono coinvolti ottenete una condizione
fondamentale perche' la coalizione continui ad esistere.
*
Come lo si fa, praticamente?
Bene, prima di procedere condividiamo una verita': la maggior parte delle
coalizioni (e dei gruppi di attivisti) non si impegna affatto nel lavoro di
"cura".
Le persone possono non essere consapevoli della sua necessita', o trovarlo
inutile, non prioritario, noioso; possono essere (o percepirsi) talmente
indaffarate e pressate dalle urgenze da giudicarlo una fatica in pia'.
Possono, inoltre, evitarlo perche' non sanno come farlo.
Non e' che una coalizione non possa sopravvivere senza manutenzione: puo',
per un determinato periodo di tempo, affidarsi all'onda dell'emotivita' o
dell'attenzione mediatica sulle questioni che vuole risolvere, e quando
emotivita' ed attenzione vanno calando (e cio' accade inevitabilmente) puo'
resistere per inerzia ancora un altro periodo. Poi si sfascia, o diventa un
contenitore vuoto.
Se decidete di impegnarvi nella manutenzione dovete sapere questo: e' sul
lungo periodo che vedrete i suoi benefici, soprattutto sulla qualita' e
sulla quantita' degli scopi che riuscirete a raggiungere.
Il primo passo del processo di cura prende forma dentro di voi: ovvero,
dovete sviluppare la consapevolezza che esso e' necessario, e subito dopo
prendere la decisione di impegnarvi in esso. Questo primo passo, anche se
cio' puo' apparirvi strano, e' in effetti il piu' difficile e duro
dell'intera faccenda, ma quando lo avrete compiuto (come individui o come
gruppo) esso vi portera' avanti sul cammino molto velocemente.
*
Disegnare un piano di cura
L'assunto di base e' che la pianificazione vi aiutera' a prevenire i momenti
di crisi, e che avendo disegnato un piano non agirete pressati dall'urgenza
o magari dal caos in cui la coalizione e' precipitata.
Il piano puo' essere sviluppato dall'intera coalizione in assemblea
plenaria, o da un sottogruppo formato allo scopo (usualmente quest'ultimo
funziona meglio, e l'assemblea detta le linee guida generali, lasciando ad
esso il resto del lavoro).
Rivedete le priorita' che vi ho segnalato al secondo punto (Cosa necessita
di manutenzione?) e fate attenzione a non scambiare la cura con la ricerca
di capri espiatori ove verifichiate che qualcosa, o piu' di qualcosa, non
sta funzionando.
Rendere il piano eccessivamente informale significhera' che nessuno o quasi
vi prestera' attenzione, renderlo eccessivamente formale produrrebbe una
rigidita' di cui non avete bisogno: cercate una via di mezzo, incorporando
il piano nella ragion d'essere della coalizione. Potrebbe trattarsi di una
scadenza fissa (ogni tre mesi, ogni sei, ecc.) in cui all'ordine del giorno
aggiungete un punto di verifica da discutere alla fine, ovvero il rispondere
liberamente a una domanda (o a piu' domande, dipende da quanto tempo avete e
dallo stato di salute della coalizione), ad esempio: nel lavoro fino a qui
svolto abbiamo tenuto insieme i nostri fini e i nostri mezzi?
Ovviamente non tutti i punti hanno bisogno di essere verificati con la
stessa frequenza, ed il piano in ultima analisi dipende dalla natura, dalla
storia, dalla composizione e dagli scopi della coalizione.
Se l'idea vi sorride, potreste includere nel piano una giornata particolare,
una sorta di festa/verifica da tenersi all'aperto, in un parco o in un
bosco, al termine della vostra attivita' annuale (che solitamente cade in
estate, no?): momenti come questi sono assai formativi rispetto alla
capacita' di comunicare e di avere relazioni. Non abbiate paura di includere
nelle domande relative alla manutenzione queste due: Siamo felici di quello
che abbiamo deciso sino ad ora? Stiamo bene insieme?
Lo so, maneggiare i sentimenti, dare loro diritto di cittadinanza, e'
un'altra cosa che gli attivisti in Italia evitano con scrupolosa cura (a
causa di un malinteso senso di "adultita'", direbbe Mafalda) subendo, con
una pervicacia masochista che per me ha dell'incredibile, tutti i
contraccolpi negativi di questo atteggiamento: azioni che non riescono,
gruppi e coalizioni che si sciolgono senza aver concluso nulla, attivisti
che scompaiono.
Se arrivate al momento di verifica in uno stato di tensione (ci sono stati
scontri all'interno della coalizione, alcuni membri non si fanno piu'
vedere, e cosi' via), potreste prendere in considerazione l'idea di
utilizzare un/una facilitatore/facilitatrice proveniente dall'esterno. La
manutenzione potrebbe in questo caso prendere la forma del "piu' e meno".
Ovvero, chi facilita vi chiedera': cosa vi piace di piu' dei vostri
incontri, e cosa vi piace di meno? Cosa ha funzionato di piu', e cosa di
meno, nelle azioni? Una volta redatto questo schema, potreste proseguire
con: cosa ha necessita' di cambiare nelle vostre riunioni? eccetera.
Stabilite in anticipo che qualsiasi siano le opinioni espresse esse si
riferiranno all'operato delle persone e non alle persone stesse:
stigmatizzate pure quell'azione o quelle parole, ma non aggredite le persone
che hanno commesso l'azione per voi sbagliata, o hanno detto le parole per
voi sbagliate. Esse possono cambiare, proprio come voi, e devono trovare
aperta e praticabile l'opzione di cambiare, e inoltre, voi potreste scoprire
di avere torto. Naturalmente, esistono anche i casi in cui potreste dover
chiedere ad una persona di andarsene, e al gruppo che essa rappresenta nella
coalizione di mandare un altro rappresentante, o addirittura potreste dover
chiedere al gruppo di abbandonare la coalizione: puo' essere difficile, e'
senz'altro doloroso, ma a volte e' inevitabile (quando tale persona o
gruppo, ad esempio, non rispetta gli accordi in modo sistematico).
*
Mantenere acceso il fuoco
E' la parte centrale del lavoro di cura: il tenere in vita lo spirito che vi
ha messi insieme, che ha creato la coalizione. E' anche la parte meno
riducibile a schema, ma vediamo che si puo' fare.
Innanzitutto, siete consci che le persone si uniscono ai gruppi per ottenere
dei risultati rispetto ad un'istanza qualsiasi, ma siete anche consapevoli
che vogliono fare questo lavoro in modo piacevole? Se i membri della
coalizione cominciano a pensare: "Perche' dovrei continuare ad impegnarmi in
qualcosa che e' pura routine e fatica, senza ritorno di nessun tipo, che mi
fa stare male per la tensione, gli attacchi personali, il clima pesante,
l'impossibilita' di dire quello che sento?", il loro pensiero successivo e'
che la vita e' piena di altre opportunita' dove possono mettere il loro
impegno, e presto non li vedrete piu'.
Percio', fate in modo che la coalizione sia un bel posto in cui stare: ogni
tanto mettete da parte il lavoro e godete solo della reciproca compagnia.
Andate insieme al cinema, o a mangiare la pizza, organizzate una scampagnata
o una festa di compleanno a sorpresa, celebrate regolarmente ogni successo
ottenuto. Le persone rimarranno coinvolte non solo per lo scopo politico e
sociale della coalizione, ma perche' si sentiranno "affermate" come esseri
umani, perche' il loro spirito umano verra' nutrito.
*
Gestire il cambiamento
Dovete anche tenere presente che "manutenzione" non significa "mantenimento
delle cose cosi' come stanno": ad esempio, potreste crescere.
Se la vostra coalizione lavora bene, e' assai probabile che nuovi gruppi vi
si avvicinino e chiedano di entrare a farne parte. E questo porta con se'
anche dei problemi. Se crescete, poiche' ogni crescita e' un nuovo inizio,
avrete necessita' di rimettervi a punto, di ridirezionarvi rispetto alla
visione, ecc. Inoltre, le nuove persone non sono solo portatrici di nuove
risorse, ma richiedono il vostro sforzo per il loro inserimento. Potrebbe
anche accadere che mentre la coalizione diventa piu' visibile, piu'
accettata dalla comunita', vi siano pressioni perche' essa agisca su altre
istanze, o perche' membri di essa amministrino effettivamente un servizio,
eccetera. Questo potrebbe generare conflitti, trascinarvi distanti dal
vostro scopo originario, e persino distruggere la coalizione.
Tentare di rispondere a tutti i bisogni che vi possono venire prospettati
significhera', nella maggior parte dei casi, che tenterete di spalmare una
piccola razione di burro su una fetta di pane troppo grande: e cioe', la
qualita' di cio' che fate finira' per deteriorarsi.
In sintesi, crescere e cambiare devono essere scelte vostre: non si tratta
di un binomio cambiamento/stagnazione, o crescita/morte. Voi potete
scegliere come crescere e cambiare, in che modi, e quando. Dovete rimanere
"forti" in cio' che gia' avete e siete, ed accertarvi che il cambiamento
vada in una direzione salutare e produttiva. Ogni volta in cui il
cambiamento e la crescita si prospettano, accettarli significa far nascere
di nuovo, simbolicamente, la coalizione: percio' dovete essere voi a
controllare il processo, e non il contrario. Nessuna coalizione puo'
maneggiare tutti i problemi ed i bisogni di una comunita', quindi non
abbiate timore di passare la mano (assieme alla gloria e ai mal di testa) a
qualche altro soggetto, e di tracciare dei limiti alle responsabilita' che
siete disposti a prendervi. Se cadete nel delirio di onnipotenza (possiamo
fare tutto) o nella sindrome del controllo (solo noi dobbiamo farlo), non mi
resta che pronosticarvi il piu' amaro dei fallimenti.
*
Modificare la "centratura"
Poniamo il caso che la vostra coalizione, determinata e allegra,
comunicativa ed efficace, abbia raggiunto gli scopi che si era
originariamente prefissa. Vi eravate messi insieme, ad esempio, per ottenere
modifiche sostanziali alla viabilita' pubblica: e ce l'avete fatta, c'e' un
nuovo piano del traffico a cui voi avete collaborato, una nuova linea di
autobus o la metropolitana di superficie; il comune ha messo a disposizione
le biciclette per i cittadini che vogliono usarle, eccetera. Avete ridotto
l'inquinamento nella vostra citta' come volevate, e cominciato a suggerire
un nuovo rapporto fra esseri umani e mobilita' urbana.
Potreste sciogliervi: ma avete avuto successo lavorando insieme per qualche
anno, le relazioni fra le persone all'interno della coalizione sono buone,
avete affinato le vostre capacita' al punto da saper gestire conflitti
interni ed esterni, cambiamenti e difficolta' strutturali. Percio', siete
riluttanti a por termine all'esperienza, ed e' un bene, a patto che siate
capaci di modificare la vostra "centratura". Pensate a cosa puo' essere
rimasto incompiuto nel vostro sogno originario, o sviluppate un'idea nuova a
partire dal vostro successo: cos'altro puo' essere cambiato, nel rapporto
fra i cittadini e la citta', rispetto alla salute e all'inquinamento?
Potreste anche scegliere di rimanere come siete e continuare a seguire la
viabilita' pubblica. Se lo avete fatto bene, perche' non continuare? Suona
ragionevole, ma e' la piu' difficile fra le opzioni prospettate. Il mondo
attorno a voi cambia (la vostra citta' l'avete cambiata proprio voi), ed
anche il vostro mondo interiore cambia. Nuove direzioni, e nuove spinte, vi
si presenteranno comunque. Il rischio che correte, nel tenere la coalizione
cosi' com'e', e' di diventare "stantii", non rilevanti, di perdere il
sostegno costruito nella comunita' e di trasformarvi in controllori del
vostro operato di ieri, anziche' continuare ad agire.
*
Sciogliere la coalizione
Se un cambiamento di "centratura", e quindi di prospettiva, e'
oggettivamente impossibile, potete decidere di chiudere l'esperienza.
Tenete in tasca i fazzoletti: le coalizioni non sono immortali, e nessuno si
aspetta che lo siano. Vengono costruite per conseguire degli scopi, e se
tali scopi sono stati raggiunti, ci si puo' ben rallegrare per il lavoro
fatto e passare ad altro. A costruirne una seconda, magari, su tutt'altra
istanza. Ma ricordate sempre che il lavoro di costruzione e' un lavoro
lento, paziente, persistente. Quando entrate in una coalizione, o ne
costruite una, accettate a priori il fatto che le cose non andranno veloci
come vorreste e tenete in mente che l'esperienza potrebbe finire, per
migliaia di motivi, ben prima di aver conseguito dei risultati.

4. RIFLESSIONE. URI AVNERY: IL GHETTO NEL MURO
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 23 ottobre 2003. Uri Avnery e' nato ad Ha
nnover nel 1924, ed e' emigrato in Palestina all'avvento del nazismo; gia'
militante dell'Haganah e combattente nella guerra del 1948; piu' volte
parlamentare, giornalista, impegnato nell'opposizione democratica e nel
dialogo col popolo palestinese; e' tra le voci più vive del movimento
pacifista israeliano. Opere di Uri Avnery: Israele senza sionisti, Laterza,
Bari 1970; Mio fratello, il nemico, Diffusioni 84, Milano 1988]

"First of all, the wall must fall", prima di tutto il muro deve cadere.
Questo slogan e' nato alcune settimane fa, spontaneamente, proprio davanti
al muro nella citta' di Kalkiliya, nel luogo dove la barriera gira verso
est, addentrandosi in profondita' nel territorio palestinese. Dall'altra
parte c'erano dei palestinesi che stavano dimostrando. Serviva uno slogan in
rima, buono per il megafono, sono arrivate quelle sette parole. Esprimono
con chiarezza cio' che bisogna fare. Inutile illudersi, non si tratta delle
mura di Gerico da abbattere suonando le trombe. Chi lo sta costruendo lo fa
affinche' quel muro resti per l'eternita', cosi' come sostengono che la
"Gerusalemme unita" e' "l'eterna capitale di Israele". La destra israeliana
non considera alcun periodo di tempo inferiore all'"eternita'". Purtroppo
pero' anche nella sinistra israeliana c'e' chi pensa che il muro abbia
creato una situazione "irreversibile". E altre "eternita'".
*
Il nostro muro viene spesso paragonato a quello di Berlino.
Dal punto di vista politico e visuale il paragone e' calzante. Anche perche'
quel muro non era solo una mostruosita' architettonica urbana. Era parte
della sezione tedesca della cortina di ferro che tagliava il paese in due e
che si estendeva dal Mar Baltico a nord fino al confine della Cecoslovacchia
a sud - circa un migliaio di chilometri, piu' o meno la lunghezza del mostro
di Sharon.
Anche in Germania il muro era una grande muraglia, un insieme di mura e
reti, torrette e postazioni di fuoco, zone off limits, strade per le
pattuglie e "corridoi di morte" dove i soldati aprivano il fuoco. Il muro
divideva il paese, violava il panorama, separava le famiglie da una parte e
dall'altra. Un mostro che incuteva terrore, un simbolo del potere e dei suoi
obiettivi ultimi.
Chiunque ci si e' trovato davanti ha sentito dentro di se' che il muro
rappresentava un punto di non ritorno nella storia tedesca, che quella
separazione era eterna e che quindi non aveva senso combatterlo. Non pochi
politici hanno basato la loro azione sul fatto che quel muro non sarebbe mai
caduto. Per tutti, a destra e a sinistra, era un dato di fatto. Nessuno lo
metteva in discussione. La situazione era "irreversibile".
*
Poi, un giorno, come l'imprevista eruzione di un vulcano, ecco che e'
caduto, quasi da solo.
In pochi secondi l'irreversibile e' diventato reversibile. La situazione e'
cambiata, il mostro scomparso dalla faccia della terra, come i dinosauri.
Alcuni giorni prima della caduta del muro avevo passato il confine per
andare a Berlino. I poliziotti erano rudi: "Passaporti. Siediti. Aspetta".
Pochi giorni dopo il crollo, gli stessi agenti erano sorridenti e gentili:
"prego signore, grazie signore, vorrebbe per favore, solo un momento" -
prova che non solo i muri ma anche le persone, per fortura, sono
"reversibili".
*
Vi e' pero' una grandissima differenza tra il muro in Germania e quello
costruito da Israele.
La Germania dell'est aveva un confine fissato da accordi internazionali
raggiunti al termine della seconda guerra mondiale. E il muro era stato
costruito rispettando al millimetro quella linea di confine. Il suo percorso
era evidente. Nel nostro caso non c'e' nulla di evidente, non c'e' stato
alcun accordo, non c'e' alcun confine. Tutto viene disegnato da anonimi
pianificatori. E' facile immaginarli seduti in uffici con l'aria
condizionata e una grande mappa. Su di essa vi sono solo gli insediamenti e
le vie per collegarli tra di loro evitando i centri arabi. Le citta'
palestinesi e i villaggi non vi sono riportati, come se la pulizia etnica,
alla quale mirano tanti in Israele (e nel governo Sharon) fosse gia' stata
realizzata.
Questa e' la caratteristica principale del muro, la sua inumanita'.
Coloro che l'hanno pianificato hanno del tutto ignorato l'esistenza di
esseri umani non ebrei. Hanno tenuto conto delle valli e delle colline,
degli insediamenti e delle strade, ma hanno ignorato del tutto le citta', i
quartieri e i villaggi palestinesi, i loro abitanti e i loro campi. Come se
non esistessero.
*
Cosi' il muro ora divide i bambini dalle scuole, gli studenti dalle
universita', i pazienti dai dottori, i villaggi dalle fonti d'acqua, i
contadini dai campi.
Come un bulldozer corazzato che irrompe in un villaggio e distrugge tutto
cio' che incontra, il muro taglia le migliaia di piccoli fili che
costituiscono il tessuto della vita quotidiana dei palestinesi, come se non
fossero gia' piu' li'. Per i pianificatori quelle vite non esistono, il
paese e' ormai privo di non ebrei. All'inizio del terzo millennio, essi
agiscono sulla base del principio sionista della fine dell'Ottocento: "Una
terra senza popolo per un popolo senza terra". In realta' l'idea del muro ha
profonde radici nel pensiero sionista e lo ha accompagnato sin dall'inizio.
In "Der Judenstaat", Theodor Herzl gia' scriveva: "In Palestina dovremo
costituire parte del muro dell'Europa contro l'Asia... un avamposto della
cultura contro la barbarie". Oltre cento anni dopo, il muro di Sharon
esprime lo stesso punto di vista.
Gli osservatori esterni non possono capire. Arafat mi ha raccontato che,
nella sua recente visita negli Usa, Abu Mazen ha mostrato a Bush una mappa
del muro. Il presidente e' rimasto choccato e agitando la mappa sotto gli
occhi del vicepresidente Cheney avrebbe gridato: "Cos'e' questa cosa? Dov'e'
finito lo stato palestinese?".
*
Con la sua sola esistenza il muro esprime potere.
Il suo messaggio e' chiaro: noi siamo potenti, possiamo fare tutto cio' che
vogliamo, imprigioneremo i palestinesi in piccole enclave e li taglieremo
fuori dal mondo. Ma questa e' autoconsolazione. Il muro esprime in realta'
le antiche paure ebraiche. Nel medioevo gli ebrei si circondavano di mura
per sentirsi sicuri, molto prima che fossero costretti a vivere nei ghetti.
Uno stato che si circonda di mura non e' altro che uno stato-ghetto. Un
ghetto molto forte, certo, molto armato, un ghetto che terrorizza tutti i
vicini - ma sempre un ghetto che si sente sicuro solamente dietro mura,
torrette di guardia e filo spinato. Israele non arrivera' mai alla pace a
meno che non si liberi di questa mentalita' del ghetto.
E il primo passo non potra' che essere la distruzione del muro.

5. RIFLESSIONE. LUCIANO BONFRATE: SULLA PROPOSTA DI LIDIA MENAPACE
[Ringraziamo Luciano Bonfrate, amico e sostenitore del "Centro di ricerca
per la pace" di Viterbo, per questo intervento]

Sollecitato a dare un contributo alla proposta "per un'Europa neutrale e
attiva, disarmata e smilitarizzata, solidale e nonviolenta" promossa da
Lidia Menapace e dalla Convenzione permanente di donne contro le guerre, e
raccolta e sostenuta da molte autorevoli personalita', vorrei segnalare
alcuni vecchi libri, ed uno seminuovo, che apportano a mio modesto avviso
utili contributi al "programma costruttivo" della proposta.
Vi e' un libro di Gene Sharp, di prima della caduta del muro di Berlino, che
a mio avviso propone idee ancor oggi utilizzabili nella direzione della
realizzazione pratica della difesa popolare nonviolenta e del superamento
della difesa armata: Gene Sharp, Verso un'Europa inconquistabile, Edizioni
Guppo Abele - Eirene, Torino - Bergamo 1989. Sharp, come e' noto, e'
l'autore dell'eccellente manuale in tre ponderosi volumi Politica
dell'azione nonviolenta, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1985-1997, ed uno dei
piu' importanti studiosi della nonviolenza. Quel libro - sebbene legato a
una fase storica del passato - offre all'Europa idee assai perspicue,
studiarlo non sarebbe inutile.
Naturalmente non si puo' parlare di difesa popolare nonviolenta e non
valorizzare il libro di Ebert, uno studioso fondamentale in questo ambito:
Theodor Ebert, La difesa popolare nonviolenta, Edizioni Gruppo Abele, Torino
1984; una raccolta di saggi ancora di grande utilita'.
Un lavoro assai utile in questo ambito di ricerche mi pare che sia anche
quello di Brian Martin, La piramide rovesciata. Per sradicare la guerra, La
Meridiana, Molfetta (Ba) 1990. Lo studioso australiano offre molte idee
interessanti.
E su alcuni profili implicati e' sempre un valido strumento di
approfondimento il libro di Jacques Semelin, Per uscire dalla violenza,
Edizioni Gruppo Abele, Torino 1985, un contributo che va alle radici della
violenza.
Infine il libro seminuovo, che poi e' la seconda edizione rivista e
aggiornata di un libro gia' pubblicato alcuni anni fa e ora nuovamente edito
con titolo parzialmente modificato: Emanuele Arielli, Giovanni Scotto,
Conflitti e mediazione, Bruno Mondadori, Milano 2003.
Mi pare che gia' questa breve panoramica (molti altri libri potrebbero
essere citati, ed un repertorio assai significativo e' nella nota
bibliografia ragionata redatta da Enrico Peyretti e pubblicata - nella sua
piu' recente versione aggiornata - alcuni giorni fa su questo stesso foglio)
attesti la maturita' e la fattibilita' di un'alternativa nonviolenta per
l'Europa anche specificamente nell'ambito delle politiche cosiddette di
difesa e di sicurezza.
Credo che l'incontro dell'8 novembre a Verona presso la Casa della
nonviolenza, in cui la proposta di Lidia Menapace trovera' una ulteriore
elaborazione - e si definira' un percorso di pubblica proposizione di
essa -, potra' essere un momento (un kairos) di grande rilevanza per
l'intero movimento europeo per la pace, e mi associo all'auspicio che ad
esso incontro partecipino quante piu' persone amiche della nonviolenza sia
possibile, e che tutte apportino, in fecondo colloquio, il loro contributo,
poiche' ve ne e' grande bisogno e grande urgenza.

6. RIFLESSIONE. SEVERINO VARDACAMPI: AMICUS PLATO
[Il nostro buon amico Severino Vardacampi, prezioso e urticante
collaboratore di questo foglio, esprime qui ruvidamente un'opinione (appunto
doxa, non episteme), che offre alla discussione, alla critica, al dialogo]

Tante persone - anche di volonta' buona - alla notizia della decisione di un
magistrato di accogliere una legittima richiesta di un genitore di due
bambini che frequentano una scuola pubblica del nostro paese, hanno ceduto
al solito riflesso condizionato: di dover subito prender partito e "dare la
linea", e dire la loro, anche se hanno ben poco da dire nel merito poiche'
ignorano i termini esatti della questione.
Piantiamola di fare i furbi: le persone che - in assoluta buona fede, va da
se' - pensano di cavarsela citando due frasi di autori illustri (che cosi'
decontestualizzate ovviamente recano insieme verita' ed errore), ripetono lo
stesso errore che vedemmo trent'anni fa in quei molti giovinetti generosi e
sprovveduti che pensavano di poter fronteggiare complessi problemi mandando
a memoria il libretto rosso di Mao (o abbecedari equivalenti). Si e' visto
come e' finita. La religione e' una cosa seria, ed e' una cosa seria la
legge, come sapeva bene Franz Kafka.
Capisco che in un paese in cui fanno i ministri della giustizia personaggi
che dell'amministrazione della giustizia persino ostentano di non capir
granche', che di studi giuridici ne hanno pochi o punti, che addirittura si
fanno vanto di incitare alla sedizione, qualunque cittadino si sente
legittimato ad atteggiarsi a principe del foro e delle pandette vindice, ma
le baruffe chiozzotte in materia di si' grande momento soltanto giovano
all'ulteriore degrado della vita pubblica.
Ci pare necessario chiedere che si abbia rispetto della persona e
dell'insegnamento di quel galileo che fu assassinato, e non si riduca la sua
vicenda, che ancora - in forme certo volta a volta diverse - ci interroga e
convoca tutti, a un misero idolo consumisticamente, superstiziosamente e per
cosi' dire nazionalisticamente fruito.
E si eviti di fare ancora una volta il gioco delle tre carte, anche se a
darne l'esempio, scandalosamente, e' addirittura il capo dello stato (di
quel saggio di Croce, chi scrive queste righe, non si e' limitato a leggere
solo il titolo, suvvia).
E si abbia rispetto della coscienza altrui, e si rifletta una buona volta
prima di ripetere il gesto di Minosse.
*
Per quel che riguarda chi scrive queste righe in questa vicenda tre cose,
anzi quattro, restano ferme:
a) che fino a prova contraria l'ordinanza del magistrato e' coerente con il
dettato della Costituzione e ne invera lo spirito; si possono sostenere tesi
diverse ma vanno argomentate in termini di diritto, di ermeneutica
giuridica, non con gli insulti o con la forza del numero (le leggi esistono
proprio per impedire che i piu' forti, o i piu' numerosi, soverchino e
opprimano i piu' deboli o meno numerosi nei loro inalienabili diritti);
b) che in nulla e' lesa la dignita' di una religione se i simboli di essa
non vengono impropriamente ostentati nei luoghi pubblici in cui a tutti
viene offerto un servizio pubblico, che deve esere reso senza offendere la
coscienza di alcuno, senza nessuno discriminare per i propri convincimenti
di fede: ed e' chiaro che la presenza del simbolo di una, ed una sola,
religione nelle aule scolastiche implica una effettuale "diminutio" di chi
ad essa non aderisce; l'istituzione pubblica non e' soggetto che debba fare
scelte di fede, ma luogo di incontro delle persone che esse si' queste
scelte possono compiere;
c) che l'evocata legge del periodo fascista cui si appoggiano i fautori di
una posizione - chiedo venia - estremista (e sovversiva: quando a
propugnarla e' un ministro che ha pur giurato fedelta' alla Costituzione),
e' per l'appunto una legge del regime fascista, che deve cedere alla legge
fondamentale del nostro ordinamento giuridico nato dalla lotta che l'infamia
e l'orrore fascista ha sconfitto: la Costituzione della Repubblica Italiana,
che e' nitida nel riconoscere ad ogni persona il diritto di essere
rispettata nelle sue idee, di non essere discriminata per la sua fede;
d) che ogni convincimento religioso ed ogni convincimento filosofico merita
rispetto finche' non confligge con la liberta' e la dignita' umana altrui.
Il ricordo delle guerre di religione che hanno insanguinato l'Europa e il
mondo per una lunga teoria di secoli e delle quali ancora non si vede la
fine, ispiri a noi tutti un atteggiamento piu' umile, piu' dialogico, piu'
umano.

7. RIFLESSIONE. ENZO MAZZI: IL SEGNO DELLA CROCE
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 29 ottobre 2003. Enzo Mazzi (per
contatti: emazzi at videosoft.it), sacerdote, e' impegnato nell'esperienza
della comunita' dell'Isolotto a Firenze ed e' una delle figure piu' vive
dell'esperienza delle comunita' di base, e della riflessione e delle prassi
di pace, solidarieta', liberazione, nonviolenza. Tra le opere di Enzo Mazzi
e della Comunita' dell'Isolotto segnaliamo almeno: Isolotto 1954/1969,
Laterza, Bari 1969; Ernesto Balducci e il dissenso creativo, Manifestolibri,
Roma 2002]

Il crocifisso e' un simbolo. Il suo significato sta altrove.
Dalle pareti di una scuola, di un tribunale, di una chiesa, di una banca, di
un carcere, di una caserma, come dalla sommita' di una montagna, la croce
lancia un messaggio. Anzi ne lancia molti. In questi giorni di polemiche a
causa della sentenza del tribunale dell'Aquila, che impone di toglierlo da
una scuola, si sono moltiplicati i significati del crocifisso: sigillo dei
valori di pace, fraternita', solidarieta' alla base dell'identita' italiana,
testimonianza del dolore universale, riscatto del sangue versato per la
giustizia. Tutto vero. Stringi stringi pero' a rigore di teologia e di
storia tutti i significati finiscono per confluire nel grande mare del
potere. Il crocifisso e' simbolo non di un qualsiasi volgare potere, ma del
potere dei poteri, potere assoluto, trascendente e quindi globale, potere di
Cristo morto, risorto e trionfante, potere che vive e si manifesta in ogni
tempo nella Chiesa cattolica e nella sua gerarchia.
Si dira' che e' riduttivo un simile modo di vedere. Come fa ad essere
simbolo del potere l'icona della vittima per eccellenza del potere: Gesu'
pendente dalla croce? Semmai sara' simbolo del valore salvifico universale
della sofferenza e della solidarieta'. Ma allora com'e' che Costantino ha
messo la croce sui suoi labari e in quel segno ha ucciso e in quel segno ha
vinto? Com'e' che da quel momento la croce e' trionfo e vittoria? E' vero
che poi Costantino in omaggio alla croce ha abolito la crocifissione. Non
pero' la sostanza del supplizio. Si potrebbe continuare sul filo della
storia, dalla croce indossata dai crociati, alla croce brandita dai
conquistatori, alla croce usata per accendere i roghi di eretici e streghe.
Ma questo appello alla storia e' talmente conosciuto da apparire quasi
ovvio. Piu' stringente e meno conosciuto e' l'appello alla teologia.
*
La croce e' la' a testimoniare un principio fondamentale della teologia
cattolica tuttora dominante: il sacrificio dell'innocente e' il vero
fondamento della storia.
Si chiama teologia sacrificale. Abele, archetipo dell'innocente, non puo'
non essere sacrificato perche' in realta' l'innocenza di Abele e' solo
apparente. Abele porta su di se' indelebile la colpa originale. E' questa
colpa che rende inevitabile il sacrificio di Abele. Caino e' solo uno
strumento, perverso, del carattere radicalmente distruttivo del peccato
originale. Sacrificio inevitabile quello di Abele ma anche insufficiente -
continua la teologia sacrificale - perche' la colpa e' infinita in quanto
colpisce il Dio infinito, mentre l'espiazione di quanti si voglia Abele e'
sempre espiazione di creature finite e quindi finita essa stessa. C'e' un
solo sangue che, pur non potendo sopprimere nella storia il sacrificio di
Abele, puo' dargli pero' un senso e un senso pieno e positivo: il sangue del
Figlio di Dio. La storia rimarra' segnata fino alla sua fine dal sacrificio
degli innocenti-colpevoli perche' il sangue di Gesu' non cambia il corso
della storia. Cristo riscatta di fronte alla giustizia divina il sangue di
ogni Abele in modo misterioso e sostanzialmente invisibile. Il riscatto
storico puo' e deve essere affidato alla dimensione non della giustizia ma
della carita' come anticipazione di cio' che sara' reale e compiuto solo
alla fine della storia. Il grido del sangue di Abele puo' e deve sciogliere
i cuori ma non deve intaccare i meccanismi del potere. La croce e' stata
elevata e amata non come vessillo del riscatto storico ma come simbolo
supremo del riscatto trascendentale senza storia. La gerarchia religiosa
puo' gridare quanto vuole contro l'ingiustizia, ma le sue parole sono
svuotate in radice di significato e rese incoerenti dalla ostensione del
crocifisso oltreche', s'intende, dalla ritualita' eucaristica di tipo
sacrificale.
*
E' stato facile per ogni potere oppressivo, fino dagli inizi del
cristianesimo, fin da Costantino, strumentalizzare la croce come invito alla
rassegnazione di fronte alla sofferenza e di fronte alla ingiustizia. Su
tale strumentalizzazione e' stata costruita la ideologia del dominio e,
nell'orizzonte del dominio, la cultura della carita' cristiana nel Medioevo
e nel tempo della Controriforma. Da tale strumentalizzazione e' nata
l'ideologia capitalista della guerra di tutti contro tutti. Ma non e'
proprio questa cultura della carita' che torna a dominare anche nel nostro
tempo in conseguenza del declino della cultura della giustizia e dei
diritti? E, immancabile, insieme al dominio della cultura della carita'
torna il dominio della croce. Il decreto del giudice dell'Aquila lo ha messo
in particolare evidenza con la sollevazione di scudi che ne e' nata. Ma la
Moratti ci aveva gia' pensato: croce e opere di bene.
*
La risposta della teologia sacrificale, sebbene da un certo punto in poi sia
stata quella dominante, non e' pero' l'unica. Nel profondo dell'anima
cristiana si e' da sempre sviluppata un'altra risposta: quella che il
teologo della liberazione padre Ignacio Ellacuria ha chiamata "soteriologia
storica" o teologia della salvezza storica. A differenza della teologia
sacrificale, la soteriologia storica contesta il destino di perennita'
storica del sacrificio di Abele. E lo fa in atteggiamento critico anche nei
confronti di un certo marxismo che nega fiducia al proletariato straccione
(lumpenproletariat).
Il grido del sangue di Abele non e' solo lamento impotente senza riscatto
storico. E' anche grido di lotta per non dire di rivoluzione. Di conseguenza
i "poveri" e gli "oppressi" non sono solo destinatari del vangelo della
salvezza trascendente e sul piano storico oggetto di solidarieta'
caritatevole. Sono essi stessi soggetti storici del proprio riscatto e del
riscatto universale. E' cosi' che nelle comunita' di base, da cui quella
teologia traeva ispirazione, la croce ha incominciato ad essere sostituita
dal vangelo.
*
C'e' stato un momento in cui nei paesi dell'America Latina dominati da
feroci dittature, come ad esempio in Salvador, Guatemala, Uruguay, era
passibile di arresto o di sparizione chi veniva trovato in possesso della
Bibbia, si noti bene non in possesso della croce ma della Bibbia,
specialmente della "Biblia latino-americana", la cui traduzione era
considerata sovversiva. Tanto che monsignor Oscar Romero, il vescovo di San
Salvador ucciso all'altare nel 1979, poco prima di morire aveva consigliato
ai catechisti e cristiani delle comunita' di base di sotterrare la Bibbia.
Ho portato l'esperienza delle comunita' di base. Ma solo come esempio. Il
processo critico verso la croce da parte del "cattolicesimo dei diritti e
del riscatto storico dei poveri" ha dimensioni molto piu' vaste. Meno croce
e piu' Vangelo valeva anche nella scuola di Barbiana da dove don Milani
aveva tolto il crocifisso. E vale oggi per tante esperienze di fede
cristiana. Il problema e' che il sistema dei media non ne da' notizia.
*
Cosa voglio dire? Sostanzialmente che e' ingenuo e superficiale appellarsi
ai valori della croce. Un po' piu' di dignita' personale e di profondita'
sia storica sia teologica e un po' piu' di attenzione ai processi sociali di
oggi non farebbe male neanche a sinistra e negli stessi movimenti. La croce
e' scandalo non solo per qualche appartenente ad altre religioni ma anche
per tanti credenti, portatori di una fede cristiana come quella del gesuita
ucciso in Salvador. La croce e' scandalo per chiunque lotti per il riscatto
storico dell'essere umano.

8. RILETTURE. HANNAH ARENDT: IL CONCETTO D'AMORE IN AGOSTINO
Hannah Arendt, il concetto d'amore in Agostino, SE, Milano 1992, pp. 168,
lire 25.000. Il primo libro di Hannah Arendt, la sua dissertazione di
dottorato pubblicata a Berlino nel 1929.

9. RILETTURE. ASSIA DJEBAR: LONTANO DA MEDINA
Assia Djebar, Lontano da Medina, Giunti, Firenze 1993, 2001, pp. 304, euro
9,5. La grande scrittrice algerina all'ascolto delle donne al tempo del
Profeta.

10. RILETTURE. RAISSA MARITAIN: DIARIO DI RAISSA
Raissa Maritain, Diario di Raissa, Morcelliana, Brescia 1966, 2000, pp. XX +
416. A cura del marito Jacques, una raccolta postuma di testi inediti di
Raissa, perlopiu' in forma di diario.

11. RILETTURE. FATEMA MERNISSI: ISLAM E DEMOCRAZIA
Fatema Mernissi, Islam e democrazia, Giunti, Firenze 2002, pp. 222, euro 12.
Segnaliamo ancora una volta questo bel libro della grande intellettuale
marocchina.

12. RILETTURE. ANTONIETTA POTENTE: UN TESSUTO DI MILLE COLORI
Antonietta Potente, Un tessuto di mille colori, Icone, Roma 2001, pp. 80,
euro 3,62. La riflessione della teologa italiana da molti anni in Bolivia
sulle "differenze di genere, di cultura, di religione" e la prospettiva
ecumenica.

13. RILETTURE. ROSEMARY RUETHER: PER UNA TEOLOGIA DELLA LIBERAZIONE DELLA
DONNA, DEL CORPO, DELLA NATURA
Rosemary Ruether, Per una teologia della liberazione della donna, del corpo,
della natura, Queriniana, Brescia 1976, pp. 240. Una raccolta di saggi della
grande teologa.

14. RILETTURE. EDITH STEIN: LA SCELTA DI DIO
Edith Stein, La scelta di Dio, Citta' Nuova, Roma 1974, Mondadori, Milano
1997, pp. 144, lire 12.000. Una raccolta di lettere di Edith Stein dal 1917
al 1942.

15. RILETTURE. SIMONE WEIL: LETTERA A UN RELIGIOSO
Simone Weil, Lettera a un religioso, Adelphi, Milano 1996, pp. 142, lire
16.000. Un scritto, ancora una volta profondo e drammatico, della
grandissima pensatrice.

16. RILETTURE. MARY HUNT, ROSINO GIBELLINI (A CURA DI): LA SFIDA DEL
FEMMINISMO ALLA TEOLOGIA
Mary Hunt, Rosino Gibellini (a cura di), La sfida del femminismo alla
teologia, Queriniana, Brescia 1980, pp. 208. Una bella antologia di scritti
di teologhe femministe.

17. RILETTURE. AA. VV.: DONNE E RELIGIONI. IL VALORE DELLE DIFFERENZE
AA. VV., Donne e religioni. Il valore delle differenze, Emi, Bologna 2002,
pp. 176, euro 12. Gli atti del settimo incontro cristiano-musulmano svoltosi
a Modena nel 2001.

18. RILETTURE. AA. VV.: E' L'ORA DELLE RELIGIONI. LA SCUOLA E IL MOSAICO
DELLE FEDI
AA. VV., E' l'ora delle religioni. La scuola e il mosaico delle fedi, Emi,
Bologna 2002, pp. 160, euro 10. Gli atti di un convegno svltosi a Brescia
per iniziativa del Centro di educazione alla mondialita' (Cem).

19. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

20. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it;
angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it

Numero 717 del 30 ottobre 2003