La nonviolenza e' in cammino. 646



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 646 del 18 agosto 2003

Sommario di questo numero:
1. Mohandas Gandhi: nella pratica
2. Maria Luigia Casieri: una sintesi di Emilia Ferreiro, "Jean Piaget:
caracterizacion del maestro y su obra", 1980
3. Jacques Ranciere presenta "Il ritorno del figlio prodigo" e "Umiliati" di
Jean-Marie Straub e Daniele Huillet
4. Cristina Piccino presenta "Umiliati" di Jean-Marie Straub e Daniele
Huillet
5. Giobbe Santabarbara: esacordio per Cuba
6. Augusto Cavadi: un turismo responsabile e solidale
7. Ileana Montini: la Cina che ci interroga ancora
8. Yang Jiang: nuvole
9. Riletture. Angela Ales Bello, Edith Stein. Invito alla lettura
10. Riletture. Angela Ales Bello, Edith Stein. La passione per la verita'
11. Riletture. Angela Ales Bello, Edith Stein. Patrona d'Europa
12. Riletture. Laura Boella, Annarosa Buttarelli, Per amore di altro
13. La "Carta" del Movimento Nonviolento
14. Per saperne di piu'

1. MAESTRI. MOHANDAS GANDHI: NELLA PRATICA
[Da Mohandas Gandhi, Teoria e pratica della nonviolenza, Einaudi, Torino
1973, 1996, p. 241. Mohandas Gandhi e' il fondatore della nonviolenza. Nato
a Portbandar in India nel 1869, studi legali a Londra, avvocato, nel 1893 in
Sud Africa, qui divenne il leader della lotta contro la discriminazione
degli immigrati indiani ed elaboro' le tecniche della nonviolenza. Nel 1915
torno' in India e divenne uno dei leader del Partito del Congresso che si
batteva per la liberazione dal colonialismo britannico. Guido' grandi lotte
politiche e sociali affinando sempre piu' la teoria-prassi nonviolenta e
sviluppando precise proposte di organizzazione economica e sociale in
direzione solidale ed egualitaria. Fu assassinato il 30 gennaio del 1948.
Sono tanti i meriti ed e' tale la grandezza di quest'uomo che una volta di
piu' occorre ricordare che non va  mitizzato, e che quindi non vanno
occultati limiti, contraddizioni, ed alcuni aspetti discutibili - che pure
vi sono - della sua figura, della sua riflessione, della sua opera. Opere di
Gandhi:  essendo Gandhi un organizzatore, un giornalista, un politico, un
avvocato, un uomo d'azione, oltre che una natura profondamente religiosa, i
suoi scritti devono sempre essere contestualizzati per non fraintenderli;
Gandhi considerava la sua riflessione in continuo sviluppo, e alla sua
autobiografia diede significativamente il titolo Storia dei miei esperimenti
con la verita'. In italiano l'antologia migliore e' Teoria e pratica della
nonviolenza, Einaudi; si vedano anche: La forza della verita', vol. I,
Sonda; Villaggio e autonomia, Lef; l'autobiografia tradotta col titolo La
mia vita per la liberta', Newton Compton; La resistenza nonviolenta, Newton
Compton; Civilta' occidentale e rinascita dell'India, Movimento Nonviolento;
La cura della natura, Lef. Altri volumi sono stati pubblicati da Comunita':
la nota e discutibile raccolta di frammenti Antiche come le montagne; da
Sellerio: Tempio di verita'; da Newton Compton: e tra essi segnaliamo
particolarmente Il mio credo, il mio pensiero, e La voce della verita'.
Altri volumi ancora sono stati pubblicati dagli stessi e da altri editori. I
materiali della drammatica polemica tra Gandhi, Martin Buber e Judah L.
Magnes sono stati pubblicati sotto il titolo complessivo Devono gli ebrei
farsi massacrare?, in "Micromega" n. 2 del 1991 (e per un acuto commento si
veda il saggio in proposito nel libro di Giuliano Pontara, Guerre,
disobbedienza civile, nonviolenza, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1996).
Opere su Gandhi: tra le biografie cfr. B. R. Nanda, Gandhi il mahatma,
Mondadori; il recente accurato lavoro di Judith M. Brown, Gandhi, Il Mulino;
il recentissimo libro di Yogesh Chadha, Gandhi, Mondadori. Tra gli studi
cfr. Johan Galtung, Gandhi oggi, Edizioni Gruppo Abele; Icilio Vecchiotti,
Che cosa ha veramente detto Gandhi, Ubaldini; ed i volumi di Gianni Sofri:
Gandhi e Tolstoj, Il Mulino (in collaborazione con Pier Cesare Bori); Gandhi
in Italia, Il Mulino; Gandhi e l'India, Giunti. Cfr. inoltre: Dennis Dalton,
Gandhi, il Mahatma. Il potere della nonviolenza, Ecig. Una importante
testimonianza e' quella di Vinoba, Gandhi, la via del maestro, Paoline. Per
la bibliografia cfr. anche Gabriele Rossi (a cura di), Mahatma Gandhi;
materiali esistenti nelle biblioteche di Bologna, Comune di Bologna. Altri
libri particolarmente utili disponibili in italiano sono quelli di Lanza del
Vasto, William L. Shirer, Ignatius Jesudasan, George Woodcock, Giorgio
Borsa, Enrica Collotti Pischel, Louis Fischer. Un'agile introduzione e'
quella di Ernesto Balducci, Gandhi, Edizioni cultura della pace. Una
interessante sintesi e' quella di Giulio Girardi, Riscoprire Gandhi,
Anterem]
Nella pratica lo sviluppo della nonviolenza in me e' andato di pari passo
con la mia identificazione con l'umanita' che soffre.

2. MATERIALI. MARIA LUIGIA CASIERI: UNA SINTESI DI EMILIA FERREIRO, "JEAN
PIAGET: CARACTERIZACION DEL MAESTRO Y SU OBRA", 1980
[Proseguiamo la pubblicazione di una serie di schede bibliografiche curate
da Maria Luigia Casieri relative all'opera di Emilia Ferreiro. Maria Luigia
Casieri insegna nella scuola dell'infanzia ed e' una delle principali
collaboratrici di questo foglio. Emilia Ferreiro, argentina, docente in
Messico, pedagogista illustre, e' una delle piu' grandi studiose viventi del
processi di alfabetizzazione; e' di fondamentale importanza il suo
contributo sul tema dell'apprendimento della lettura e della scrittura da
parte dei bambini. Tra le opere di Emilia Ferreiro si veda in primo luogo
l'ormai classico volume scritto insieme ad Ana Teberosky, La costruzione
della lingua scritta nel bambino, Giunti, Firenze 1985. Jean Piaget (di cui
Emilia Ferreiro e' stata allieva  e collaboratrice, e su cui ha scritto vari
saggi) e' nato a Neuchatel nel 1896 e scomparso a Ginevra nel 1980; e' uno
dei maestri della psicologia contemporanea, i suoi studi di psicologia, sui
processi cognitivi, sull'infanzia, sull'epistemologia, costituiscono
contributi fondamentali in questi campi. Per una prima introduzione cfr. il
libro-intervista di taglio divulgativo curato da Richard Evans: Jean Piaget,
Cos'e' la psicologia, Newton Compton, Roma 1989 (il libro contiene anche
alcuni scritti di e su Piaget, la nota Autobiografia, ed una bibliografia
generale); tra le opere su Jean Piaget come punto di partenza segnaleremmo
AA. VV., Jean Piaget e le scienze sociali, La Nuova Italia, Firenze 1973.
Ovviamente la bibliografia di e su Piaget e' immensa]
Data di edizione: 1980. Tipo di documento: conferenza in convegno; testo
dattiloscritto. Titolo: Jean Piaget: caracterizacion del maestro y su obra.
Luogo di edizione: Mexico. 20 pagine. Fonte: Semana de Piaget, organizzata
dalla Universidad pedagogica nacional e dalla Direccion general de educacion
especial. Mexico, ottobre 1980. Lingua. spagnolo. Abstract: il testo
tratteggia a pennellate rapide e brillanti la figura di Piaget per
l'importanza e i contenuti del suo contributo teorico che viene colto nella
sua essenzialita' e nella sua originalita', lasciando intravedere la
grandezza dell'uomo e dello studioso, attraverso uno sguardo filtrato
dall'aver lungamente collaborato, in una vicinanza metodologica e umana. Il
testo, con lucidita' di analisi percorsa da vibrante ammirazione, tratteggia
la complessita' e l'ampiezza dell'opera che si intreccia con dettagli
squisitamente narrativi. Collana: Psicologos - Biografia.
*
Sintesi
Trascureremo in questa breve sintesi, gli aspetti che fanno trasparire la
fisionomia della persona dello studioso ginevrino, che ne richiamano alcune
tappe della vita e dell'opera, che pure sono tanta parte del fascino del
saggio.
Ci limiteremo a segnalare quelli che Emilia Ferreiro individua come i nodi
concettuali forti della sua opera, perche' questo illumina sia l'opera
piagettiana che il senso delle scelte  e dell'opera di Emilia Ferreiro.
Innanzi tutto si evidenzia la disponibilita' di Piaget a sottoporre a
revisione la sua stessa opera, laddove la trovasse inadeguata, fino ad
un'eta' molto avanzata. E in effetti a tale processo di revisione sottopose
due importanti ambiti di ricerca: la logica e l'"equilibrazione".
Per quanto riguarda il primo aspetto, nell'ultimo periodo della sua vita
stava lavorando a "stabilire una logica della significazione, una logica
basata sulle implicazioni tra azioni la cui formalizzazione condurrebbe a un
calcolo proposizionale intenzionale" (p. 1) rivedendo il Trattato di logica
del 1949.
Il secondo aspetto "e' la modificazione del modello dell'equilibrazione,
inizialmente proposto nel 1957 in termini di probabilita' sequenziali, e
riformulato totalmente in quell'opera chiave, in quella sintesi ammirevole
che e' L'equilibrazione delle strutture cognitive, pubblicata nel 1975" (p.
2).
Ma la nota piu' caratteristica di Piaget e' di essere "allo stesso tempo
celebre e mal conosciuto". E, soprattutto, afferma la Ferreiro, "mal
compreso".
Mal compreso perche' l'ampiezza dei suoi interessi, di psicologo, di
psicologo dell'eta' evolutiva, di biologo, di epistemologo, esperto di
logica, di storia del pensiero scientifico e di filosofia della scienza, ne
fanno non solo uno studioso dalla spiccata attitudine interdisciplinare ma,
in ciascuno degli ambiti disciplinari citati, uno studioso sui generis che
sfugge ai confini e alle convenzioni delle rispettive discipline.
A fronte di questa versatile interdisciplinarieta' egli e' "un uomo con un
unico progetto (...). Questo unico progetto e' epistemologico. E' costituire
l'epistemologia come scienza con diritto proprio, con problemi definiti in
modo tale che possano dar luogo a una verifica scientifica; una
epistemologia esplicativa e non normativa, che non pretende di dare norme
per la pianificazione scientifica, ma nutrirsi della pratica viva della
scienza attuale. Tentare di comprendere il Piaget psicologo senza fare
riferimento al progetto epistemologico che lo supporta, e' compito
disperato" (pp. 6-7).
"Nella misura in cui comprendiamo che cio' che interessa Piaget e'
rispondere ai grandi interrogativi classici sulla conoscenza, molte cose
oscure divengono chiare. E molto chiare se arriviamo a scorgere che
l'importanza di Piaget per la pedagogia risiede, esattamente, nell'essersi
occupato del modo in cui si passa 'da uno stadio di minore conoscenza a un
altro di maggior conoscenza', tanto nella storia della scienza, come nella
storia individuale. Piu' chiare ancora quando iniziamo a vedere che, in
termini di conoscenza, non ha senso occuparsi di "risposte corrette", quanto
piuttosto di processi di costruzione della conoscenza" (pp. 8-9).
"Ben presto, si rende conto che la psicologia sperimentale esistente non gli
serve per questi fini. Coerente con il suo progetto, non ha allora altra
uscita: convinto dell'importanza dei fatti psicologici per comprendere il
passaggio dalle relazioni tra l'individuo  biologico e il suo ambiente, da
un lato, e tra il soggetto conoscente e l'oggetto di conoscenza, dall'altro,
deve affrontare il compito di creare la psicologia necessaria per il suo
progetto epistemologico" (p. 10).
"Diceva Piaget [che] solamente studiando le modalita' di costituzione di una
condotta arriveremo a comprenderla per cio' che e': lo stadio finale
prodotto da una duratura evoluzione. Il bambino e' il padre dell'uomo, e in
questa incessante ricerca degli antecedenti delle condotte piu' evolute, dei
modi di filiazione tra quelle precedenti e quelle successive, non c'e' un
inizio assoluto: ogni punto di partenza e' arbitrario" (pp. 11-12).
"Se Piaget e', in generale, mal compreso, e' in educazione l'ambito in cui
la cattiva comprensione risulta tragica, in virtu' delle sue conseguenze.
L'applicazione di Piaget all'educazione passa, generalmente, per una certa
maniera particolare di comprendere la nozione di "stadio". E' certo che una
delle grandi scoperte piagettiane fu il porre in evidenza che la crescita
intellettuale non consiste in una addizione di conoscenze, ma in grandi
periodi di ri-strutturazione e, in molti casi, di ristrutturazione delle
stesse informazioni precedenti, che cambiano di natura nell'entrare in un
nuovo sistema di relazioni. Per esempio, nel caso famoso del travaso dei
liquidi, quando versiamo un liquido da un recipiente di certe dimensioni ad
un altro piu' alto e piu' stretto, non si tratta del fatto che il bambino
pre-operatorio non "veda" le due dimensioni; anche se puo' descrivere
adeguatamente le differenze tra i due recipienti, cio' che non puo' e'
operare allo stesso tempo sulle due dimensioni che co-variano in senso
inverso l'una dall'altra. I grandi cambiamenti nello sviluppo non si
relazionano, allora, con incrementi di informazione, ma con le possibilita'
di processare, di operare con l'informazione; le nozioni di conservazione
che promuovono l'evoluzione sono il risultato della strutturazione delle
operazioni.
Ma a partire da una certa nozione semplicista di stadio sorgono quattro
grandi tentazioni:
a)        alcuni pretendono di insegnare le nozioni di conservazione come se
fossero altrettanti contenuti scolastici" (p. 16): questa posizione,
condannata all'insuccesso, ricade nel limite comportamentista di prendere in
considerazione la risposta e non l'attivita' strutturante di cui essa e' il
frutto;
b) "altri, coscienti che le operazioni come tali non possono essere
insegnate, concludono che resta solo da aspettare finche' appaiono" (p. 16):
"sebbene questa posizione riconosce la realta' dell'attivita' strutturante
del soggetto, ignora, da un lato la relativita' delle eta' di accesso ai
distinti stadi (...) e, dall'altro, le difficolta' inerenti alla propria
ristrutturazione" (p. 17). Ignora il ruolo dell'ambiente nell'insorgere dei
conflitti cognitivi e quindi nelle operazioni di ristrutturazione che ne
derivano;
c)         "la terza tentazione consiste nel consultare i libri di Piaget
per sapere in che anno scolastico si debba proporre un certo contenuto" (p.
18): in questo caso si scambia la successione degli stadi con "l'eta'
media", ma soprattutto, "si dissocia il contenuto dal modo di accesso al
contenuto stesso." (p. 18), perdendo di vista il fatto che "non c'e' modo di
appropriarsi di una conoscenza senza comprendere il suo meccanismo di
costruzione" (p. 18);
d)        "la quarta tentazione consiste nel prendere la teoria di Piaget
come se fosse una pedagogia, peggio ancora, come se fosse un insieme di
ricette immediatamente applicabili" (p. 18).
"In realta', queste quattro tentazioni si riducono a una solamente: (...)
cercare di cambiare appena il necessario perche' non cambi niente. (...)
'Prendere sul serio le operazioni e le strutture operatorie, consiste nel
credere che il soggetto possa trasformare la realta'', ci dice Piaget,
insistendo che l'intelligenza e', essenzialmente, invenzione, e non
rappresentazione di una realta' gia' data. (...) Se accettiamo che l'azione
e' l'origine di ogni conoscenza, che l'oggetto cosi' come il soggetto si
modificano mutuamente e senza interruzione nel corso della conoscenza, che
'la posizione costruttivista o dialettica consiste nel considerare la
conoscenza come legata ad una azione che modifica l'oggetto e solamente lo
conquista attraverso delle trasformazioni introdotte da questa azione', non
ci stupiremo di ascoltare Piaget dire: 'L'educazione, nella visione
corrente, consiste nel tentare di convertire il bambino nel tipo di adulto
della societa' alla quale appartiene. Mentre, secondo me, l'educazione
consiste nel rendere creatori (...), inventori, innovatori, e non
conformisti'" (p. 20).

3. CINEMA. JACQUES RANCIERE PRESENTA "IL RITORNO DEL FIGLIO PRODIGO" E
"UMILIATI" DI JEAN-MARIE STRAUB E DANIELE HUILLET
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 14 agosto 2003 (che lo riprende da "Le
monde diplomatique" dell'aprile 2003). Jacques Ranciere e' professore
all'universita' di Paris VIII, autore tra l'altro di La fable
cinematographique, Seuil, Paris 2001. Jean-Marie Straub (nato a Metz nel
1933, abbandono' la Francia condannato in contumacia a un anno di prigione
dal tribunale delle forze armate di Metz per essersi rifiutato di fare il
servizio militare in Algeria) e Daniele Huillet (nata a Parigi nel 1936)
sono due cineasti (non solo compagni di lavoro ma anche nella vita) che
hanno realizzato un cinema di straordinario valore sia formale che politico.
Tutti i loro film, a parere di chi scrive, sono di grande potenza euristica
e preziosa qualita' espressiva. In volume cfr. Testi cinematografici,
Editori Riuniti, Roma 1992]
Il dittico di Jean-Marie Straub e Daniele Huillet Il ritorno del figlio
prodigo e Umiliati si basa su un romanzo di Elio Vittorini, Le donne di
Messina, storia di un'effimera comunita' costruita alla fine della seconda
guerra mondiale in Italia, da persone provenienti da regioni diverse.
La trama di un libro non interessa mai particolarmente Straub e Huillet. Il
loro lavoro consiste sempre nel tirarne fuori delle tensioni - nel duplice
senso del termine: dei confronti di pensiero e delle differenze di
intensita' sensibile. Delle Donne di Messina non restano che brevi
frammenti: in un film precedente tratto dallo stesso romanzo, Operai,
contadini (2001) erano quattro capitoli composti da monologhi intrecciati
nei quali la comunita' operaia e contadina si autodefiniva attraverso le
argomentazioni dei suoi scontri e l'affermazione della sua potenza
sensibile.
Se Il ritorno del figlio prodigo riporta in scena l'immagine di quella
comunita', Umiliati circoscrive i capitoli in cui questa viene messa
brutalmente di fronte alla legge economica e politica esterna: la guerra
finita, la Repubblica, il nascente miracolo economico. La continuita' sembra
scontata.
Non c'e' niente da fare. La destra logica che simpatizza con le utopie prima
di sacrificarle alla dialettica della storia non appartiene a Straub e
Huillet. Cio' che li ha attratti nel libro di Vittorini, e' il riconoscervi
la stessa tensione che muove il loro cinema e il loro marxismo: tensione che
si puo' riassumere in due nomi, Bertolt Brecht e Friedrich Hoelderlin:
l'artista che voleva fare un teatro il piu' rigorosamente possibile con la
dialettica marxista e il poeta che e' stato tra i primi a immaginare quella
rivoluzione delle forme sensibili di cui il materialismo marxiano riprende a
suo modo l'idea.
Brecht e Hoelderlin: da una parte il gioco dialettico dei pensieri tradotti
nei corpi per smontare i meccanismi del potere e i loro effetti su chi li
subisce; dall'altra l'affermazione della nuova comunita' sensibile e del
rischio che corrono quanti si avventurano in questo ignoto. L'arte di
Daniele Huillet e Jean-Marie Straub non cessa di tendersi tra questi due
poli, libera nel manifestarne la segreta parentela.
All'epoca di Lezioni di storia, i cineasti mettevano in rilievo il cinismo
dei senatori romani, che sbrigavano nel lusso dei loro giardini gli "affari
del signor Giulio Cesare", ovvero la legge del profitto, trionfante grazie
alle prodezze dei guerrieri e alle congiure di palazzo. E' ancora una
lezione di economia politica che in Umiliati viene rinfacciata agli
artigiani della comunita' dai rappresentanti della nuova Italia. Ma il senso
della lezione di storia come il dispositivo delle voci che l'enunciano e dei
corpi che ricevono e' cambiato.
Operai contadini sembrava persino escludere ogni lezione. La comunita' era
sottratta alla logica che vuole per ogni storia un finale e per i bei sogni
un finale triste. I molteplici conflitti messi in atto dai protagonisti -
operai/contadini; capi/masse; uomini/donne; traditori/fedeli - confluivano
in un unico tono di fondo, nel lirismo di una parola che esprimeva, nella
lingua piu' alta, la potenza dei costruttori di un nuovo mondo, incarnato
nel gusto e nel profumo di un fuoco, nella cottura della ricotta o in
un'escursione alla ricerca dell'alloro. La comunita' non aveva fine,
soltanto dei momenti sensibili, presenti per sempre. Spesso chini per
leggere il quaderno con il loro testo, i protagonisti li rivelavano
regolarmente per sfidare uno spettatore immaginario che il testo designava
con un' ironica frase interrogativa : "l'inquirente, il giudice, Dio?".
Nessuna fine del percorso, nessun tribunale o astuzie della storia. Di
fronte al giudice assente stava diritta, in Operai, contadini come in
Sicilia (1998), la stessa figura di donna del popolo incarnata dalla stessa
attrice, Angela Nugara, che affermava nell'eloquio delle tragedie la
capacita' collettiva o il possesso di "una vita propria". Ora, dei dodici
protagonisti di Operai, contadini, soltanto lei e' scomparsa in Umiliati,
sostituita da un vecchio contadino che interviene col gesto della mano a
chiedere una parola che non gli e' concessa. Questa scomparsa diventa
simbolo, come la sostituzione di una musica apocalittica, presa a prestito
da Varese, al canto di speranza di una cantata di Bach.
La prospettiva e' brutalmente cambiata. Il presente della comunita' ha
stavolta una fine. Il tribunale della storia ha luogo, e non tanto per
esprimere delle sentenze ma per umiliare uomini e donne della comunita'. I
quali, inizio su un poggio, in piena luce, coi loro abiti sciupati, gli
occhi spesso bassi, le mani talvolta dietro alle spalle, sono sottoposti al
tiro incrociato dei giudici sistemati a un livello inferiore nella frescura
di un vallone e nella certezza delle loro ragioni.
In effetti non ci sono piu' quaderni. Il procuratore e i tre giudici
conoscono la loro lezione - di economia e di storia - secondo le sue due
versioni: borghese (la legge della proprieta' illustrata da un personaggio
dalla posizione non identificata) e proletaria (la legge della storia
spiegata dai tre partigiani con il fazzoletto rosso). Di fronte - se cosi'
si puo' dire, visto che nessuna inquadratura mettera' mai insieme le due
parti di cui al contrario e' sottolineata l'assenza di un luogo comune - le
parole e i gesti della comunita' sembrano ridursi a scatti di collera o di
impotenza.
Si tratta comunque di un tribunale bizzarro. "Chi sei?" viene chiesto al
"procuratore". Nessuna risposta. Nel libro di Vittorini questo "Carlo il
Calvo" armato del doppio metro dell'agrimensore, appariva come un enigmatico
manipolatore. Qui e' solo una voce che anima un corpo: una voce quasi
ventriloqua a cui corrisponde uno sguardo allucinato. Cio' che viene
affermato attraverso questa voce insieme rassicurante e laboriosa, e' la
legge senza tempo della proprieta': terreni e case, terre, fiumi, mari e
vulcani, spiega, compongono una trama senza smagliature in cui ogni cosa
appartiene a qualcuno: cio' che non e' di Caio e' di Tizio e quello che non
appartiene ne' all'uno ne' all'altro e' dell'amministrazione pubblica.
Non c'e' sul catasto un luogo in cui comunita' come la loro possono
esistere. Ma il monologo risuona come un'orazione funebre piu' che come una
requisitoria. Su quei fiumi e crateri che sono tutti di un padrone, la voce
di questo strano procuratore sembra stendere un velo man mano che la sua
parola li evoca. E' come se la voce impersonale si sdoppiasse, e nel
discorso del furbo manipolatore di Vittorini entrasse clandestinamente la
voce del poeta, un Hoelderlin svegliato bruscamente dal suo sonno che misura
cosa sono divenuti il suo mondo e il suo sogno.
La voce dei partigiani ("i cacciatori" in Vittorini) non rivela emozioni
nello spiegare alla gente del villaggio cosa e' la loro comunita': una
cooperativa come tutte le altre se non si distinguesse per la ristrettezza
delle sue operazioni, l'arretratezza del suo materiale e una produttivita'
ridicola.
Le scansioni fortemente articolate del testo, che Daniele Huillet ha
disposto in sequenza ritmica, giocando anche su quelle hoelderliniane
"sospensioni antiritmiche" che offre il risalire degli accenti nella lingua
italiana, assumono qui una diversa funzione. Nel monologo allucinato del
"procuratore" contibuiscono a sottrarre un mondo. Nella retorica dei
fazzoletti rossi, rigirano nella piaga il coltello dell'ironia. Se Carlo il
Calvo esprime la legge senza tempo dello spazio, loro sono i portaparola dei
tempi, la giovinezza del mondo. Possono allegramente lanciarsi la palla del
gioco dialettico senza guardare coloro a cui parlano, e che sono come dietro
le loro spalle, a correre a piedi dopo il treno della storia. Loro conoscono
la Repubblica, la legge del mercato e il boogie-woogie. Dei buoni brechtiani
insomma.
Questo brechtismo non appartiene decisamente ai registi. I cacciatori
ripartono, col treno della storia, senza avere catturato l'uomo che
cercavano, pero' hanno raggiunto un altro scopo: distruggere la comunita'.
Gli Straub, rimangono dietro, a piedi, constatando che il treno e' passato e
rifiutandosi di dargli ragione. Nell'ultima inquadratura, Siracusa, la
compagna del capo che non ha piu' niente da dire a quelli che se ne vanno,
si tiene la testa tra le braccia sulla soglia chiusa della casa, nella posa
della Derelitta di Botticelli. Ma un ultimo grido, un "Eh, si'", che passa
dalla rassegnazione all'affermazione ultima, distende le sue braccia, mentre
la macchina da presa scende in un ultimo movimento che inquadra, all'altezza
dei piedi nudi, le braccia pendenti col pugno chiuso.

4. CINEMA. CRISTINA PICCINO PRESENTA "UMILIATI" DI JEAN-MARIE STRAUB E
DANIELE HUILLET
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 14 agosto 2003. Cristina Piccino e'
giornalista e critica cinematografica e teatrale]
L'anteprima italiana di Umiliati, l'ultimo film di Jean-Marie Straub e
Daniele Huillet sara' al prossimo Festival del film di Torino (nuova
direzione Roberto Turigliatto e Giulia D'Agnolo Vallan), pure se una
proiezione c'e' gia' stata, quasi clandestina (il 26 luglio) al festival
teatrale di Radicondoli, dedicato all'incontro tra teatro di attori
professionisti e non come sono quelli con cui lavorano i registi. Ma in
video visto che non si disponeva di sale cinematografiche, il che e' un
paradosso pensando al lavoro magnifico su ogni immagine, movimenti
interiori, respiro dello sguardo che compone l'opera di Straub e Huillet.
Comunque non e' il solo, almeno per quanto riguarda il nostro paese dove il
cinema di questi due preziosi registi viene sistematicamente respinto se non
censurato: troppo scomodo, malato di una lucidita' che spaventa specie oggi,
nella situazione italiana di informazione blindata, azzeramento di memoria e
"caccia alle streghe" che sono quegli immaginari inafferabili, endemicamente
fuori controllo. Ci ironizza Straub quando dice che l'Italia non sa neanche
dell'esistenza di questo film, eppure, dice lui, e' dal '69 che paghiamo le
bollette e viviamo qui. In Francia Umiliati (prodotto dalla complice di
sempre Martine Marignac per Pierre Grise Production) e' uscito con una
tenitura a Parigi di sette settimane in tre piccole sale, e a Lyon di tre.
Dopo Torino sara' al festival di Roma di Edoardo Bruno, Enrico Ghezzi lo ha
preso per Fuori orario, e pero' nessun distributore si sogna di farlo uscire
nelle sale italiane, non parliamo della Venezia di De Hadeln che i suoi
"scandali" preferisce costruirli su misura. Lo ha voluto invece il festival
di Locarno dove si vedra' oggi e domani nella sezione "Cineasti del
presente".
Eppure Umiliati che si presenta in forma di dittico, una prima parte, Il
ritorno del figlio prodigo, "seguito" del precedente Operai, contadini, e
Umiliati, in cui la stessa comunita' contadina, anch'essa fuori controllo,
viene stritolata dalle logiche che formano la nuova Italia del dopoguerra,
e' un film italiano nel senso profondo del termine. Non ovviamente nei dogmi
nazionali (o europei o altro) che non appartengono per definizione al
cinema: piuttosto nella capacita' di rendere concreti i meccanismi di
storia, cultura, politica, economia nella piacevolezza inconsumabile della
luce di Renato Berta, catturata in quei boschi intorno a Buti - che ai
cineasti ha dato la cittadinanza onoraria. Nei volti degli attori, tutti
appunto non professionisti che li hanno accompagnati in questa trilogia nata
dalla scrittura di Elio Vittorini (stavolta come per Operai, contadini, la
partenza e' Le donne di Messina), impastandosi con la poetica
dell'immaginario feroce eppure giocoso di Straub-Huillet. Nella musica, qui
di Edgar Varese, che dissolve in bianco lo schermo e ricompone i frammenti
narrativi.
Anche stavolta come nei due film precedenti, il primo atto passa per la
regia teatrale, stessi attori che troveremo poi sullo schermo, stesse parole
e uguale intensita', ma come in tutto il loro cinema che si intreccia
comunque intimamente alla teatralita', il legame e' poetica, realta' e suo
straniamento, potere, antagonismi, rivolte spezzate, e quel germe di storia
italiana (ma non solo) che e' nel passaggio all'economia industriale come
chiave di modernita'. La radice insomma di quanto oggi significa
globalizzazione, che riguarda i contadini costretti a piegarsi alle regole
del "boom economico" e per altri aspetti il pensiero, la produzione
intellettuale, fino alla stessa natura del cinema.
Il ritorno del figlio prodigo riprende una sequenza di Operai, contadini: un
ragazzo, Spina, torna dalla citta' dove e' andato a vendere un asino e un
barroccio: lo hanno deriso, e' ingenuo, "antico", fuori dal tempo. In
Umiliati si consuma la sconfitta, uomini e donne della comunita' diventano i
perdenti, inghiottiti dalle necessita' del potere, dai compromessi che non
escludono nessuno. C'e' ad esempio l'immagine provocatoria dei tre ragazzi
col fazzoletto rosso al collo, tre partigiani trionfanti perche' dentro alla
loro epoca, che loro, i contadini lavorano per niente e in America con la
stessa fatica si producono quintali di grano, e in citta' si guadagna bene,
e ci si diverte, si balla il boogie-woogie. Non e' comunque questione di
nostalgia, di tradizioni e di comunita' nel senso "spaventoso" del termine,
luoghi cioe' di chiusura, dinamica di controllo o a sua volta di altri
poteri. Il processo con cui il "nuovo" condanna il "vecchio" rimanda ad
altro, tocca la liberta', l'utopia, l'intuzione di quel mondo migliore
possibile in cui si mescolano passato, presente, futuro. Lo sguardo di
Straub-Huillet e' uno sguardo allargato: sara' questo a renderlo
intollerabile?

5. RIFLESSIONE. GIOBBE SANTABARBARA: ESACORDIO PER CUBA
[Giobbe Santabarbara, come e' noto, e' una delle principali firme di questo
foglio, ed impenitente un bastian contrario]
In un recente articolo (La difficile anomalia di essere Cuba, sul quotidiano
"Il manifesto" del 20 luglio 2003, anticipazione di un editoriale del n.
83/84 della rivista "Latinoamerica" in uscita il primo agosto), il
giornalista Gianni Mina' (per contatti: g.mina at giannimina.it), che del
popolo cubano e' sincero e devoto amico, ed il cui impegno per la democrazia
e i diritti umani e' tenace e notissimo, ha scritto giustamente: "Se [Cuba]
perde la sua indipendenza, la sua decorosa poverta', il domani della stessa
isola potra' solo avvicinarsi o alla disperazione del Guatemala, o alla
violenza della Colombia (dove il presidente Uribe governa concedendo mano
libera ai paramilitari che hanno trucidato mille persone in sei mesi) o alla
tragedia del Peru' ... Ai cubani, insomma, nell'era di Bush jr (che deve
pagare il debito elettorale agli anticastristi della Florida che gli hanno
fatto vincere in modo rocambolesco le elezioni) tocchera' la vita miseranda
che le multinazionali e la finanza speculativa degli Stati Uniti (e anche
dell'Unione Europea?) sceglieranno per loro...
"Per questo se non si e' ipocriti non e' fuori luogo ricordare la
quotidianita' del Guatemala oggi parlando di Cuba. Magari per cercare di
capire cosa sta accadendo nell'Isola dove la sindrome dell'assedio Usa ha
portato purtroppo il governo a scegliere scorciatoie brutali invece di
aperture democratiche...
"'Come faccio a parlare di diritti umani a Cuba - ha dichiarato una volta
Frei Betto, teologo della liberazione - quando in America latina milioni di
persone non hanno conquistato ancora i diritti animali, quelli di avere un
tetto, uno straccio per ripararsi dalla pioggia o dal sole, il cibo di tutti
i giorni da dare ai propri figli e ai piu' deboli?'.
"E allora, come mi ha chiesto Maria Suino, consigliere regionale Ds del
Piemonte, sconcertata dall'iniziativa del suo partito, 'e' legittimo
giudicare un paese non per cio' che ha conquistato (educazione, sanita',
tutele sociali, cultura, pratica sportiva) ma per cio' che ha fallito
(diritti politici, liberta' di informazione)?'.
"Io dico che e' legittimo perche' ogni coercizione va respinta.
"Quello che non e' accettabile e' favorire con le proprie azioni chi ha
deciso di cancellare a qualunque costo, anche con la provocazione e il
terrorismo, uno straordinario momento di emancipazione collettiva come e'
stata la rivoluzione cubana, pur fra tante contraddizioni, errori, miopie,
durezze".
Cosi' Gianni Mina'. E due cose vorremmo sottolineare di questo intervento
(che vorremmo invitare i lettori a leggere integralmente, ed integralmente
merita di essere letta altresi' la bella rivista da Mina' diretta,
"Latinoamerica"): che "ogni coercizione va respinta" (ovvero che occorre
opporsi intransigentemente alle violazioni dei diritti umani commesse dal
regime cubano), e che alle manovre statunitensi per riasservire a se'
l'isola e condannare alla violenza e alla fame e alla morte il popolo cubano
occorre opporsi ugualmente.
Ma detto questo qualche considerazione ancora vorremmo aggiungere.
*
1. Parlare di Cuba vuol dire parlare di due cose distinte: in concreto (ma
quasi a nessuno di coloro che contano, e di coloro che le fandonie di coloro
che contano si bevono, interessa granche' la realta' concreta dell'esistenza
altrui e quella cosa preziosa e difficile che ha nome verita') vuol dire
parlare di un popolo e un'isola, di una storia, una societa' e uno stato;
per metafora, invece, vuol dire parlare della vicenda del movimento
comunista del Novecento; vuol dire parlare della lotta del sud del mondo
contro la plurisecolare e persistente conquista e rapina, il colonialismo e
l'imperialismo del nord del mondo; vuol dire parlare dei fini e dei mezzi
dei movimenti di liberazione.
*
2. Che a Cuba, nella Cuba rivoluzionaria, si commettano gravi violazioni dei
diritti umani e' una verita' indiscutibile. A cominciare dai plotoni di
esecuzione comandati da Che Guevara subito dopo la vittoria della
rivoluzione. Quello che c'era prima era molto peggio, tutti lo sappiamo e
nessuno e' autorizzato a dimenticarlo: ma questa non e' una giustificazione
per gli errori e gli orrori compiuti dalla rivoluzione, che pur tanti meriti
ha avuto ed ha.
A chi ci chiede cosa pensiamo del regime cubano non abbiamo mai avuto
esitazioni a rispondere che esso e' illiberale e autocratico, e che ha
commesso crimini assai gravi. Ma a chi ci chiedesse cosa pensiamo del
governo statunitense non avremmo esitazioni a dire che si tratta della piu'
mostruosa macchina criminale dei nostri giorni. E che se a Cuba violazioni
ai diritti umani si danno di gran lunga le piu' aberranti son quelle che si
consumano nella base militare statunitense di Guantanamo.
Non solo: che Cuba, la Cuba rivoluzionaria, ovvero la sua leadership, abbia
per decenni pensato ed agito nel continente e altrove la strategia fochista
e guerrigliera, strategia militarista i cui esiti a noi sembrano oggi a un
giudizio d'insieme nefasti (ma ancora una volta il giudizio storico deve
essere complesso e dialettico e contestuale, qui noi parliamo ovviamente dal
nostro punto di vista, che e' il punto di vista della nonviolenza, e
intransigentemente antimilitarista, che anche nella critica piu' dura alle
scelte e alle azioni salva la dignita' delle persone e ne comprende le
ragioni e le tensioni anche laddove non le giustifica e fin le contrasta),
e' un dato di fatto. Drammatico, roccioso, ineludibile. Ma insieme: che il
popolo cubano abbia - anche negli errori ed orrori della sua leadership, e
comunque anche sull'impulso di quella leadership - dato prova di una
generosita' internazionalista luminosa e magnanima, neppur questo puo'
essere contestato, ed e' merito storico che non ha eguali (puo'
avvicinarvisi forse il moto che si ebbe nella coscienza europea quando
Franco aggredi' la repubblica spagnola, e da Rosselli a Orwell, da Simone
Weil a Tomaso Serra, tutta l'Europa civile accorse a difesa della terra e
del popolo di Cervantes, e di Federico).
Leggendo Marx e Brecht apprendemmo la necessita' di uno sguardo contestuale,
di un approccio dialettico. Ma leggendo Serge e Solzenicyn apprendemmo la
necessita' di uno sguardo concreto, di una visione che ritenga come
fondamento e parametro il diritto alla vita e alla dignita' di ogni essere
umano. Cosi' Cuba ci sta a cuore una volta di piu' perche', nel mare di
sangue dell'America Latina dominata dalle oligarchie e dalle multinazionali
e dalle mafie e dal fascismo autoctoni e da quelli globali e globalizzati,
essa e' nel suo popolo ancora una resistenza e una speranza e un esempio
della e per l'umanita'; e una volta di piu' ci sta a cuore perche' quanto vi
e' negli assetti di potere e nei modelli organizzativi e nei macchinismi
ideologici in essa dominanti di liberticida e di disumanato abolito ha da
essere.
*
3. Non vale per me l'argomento che il resto dell'America latina e' assai
peggio. Lo so. E' vero. Ed e' un merito grande di Cuba. Ma questo non
giustifica ingiustizie e crimini. E non vale per me l'argomento che Cuba e'
un paese assediato, sotto embargo, con un pezzo di territorio in cui la
potenza giugulatrice tiene una base militare che e' gia' una testa di ponte
e una camera di tortura. Lo so. E' vero. Ed e' un merito grande di Cuba aver
resistito. Ma questo non giustifica ingiustizie e crimini.
*
4. E quindi non ho esitazioni nel dire che occorre sostenere l'impegno
affinche' i diritti politici e civili a Cuba siano finalmente rispettati.
Cosi' come non ho esitazioni nel dire che oltre i diritti civili e politici
vi sono anche quelli sociali e che a questo riguardo per molti aspetti Cuba
e' superiore di gran lunga agli Stati Uniti e all'Europa.
*
5. Ma detto questo ancora non e' detto nulla. Perche' il nocciolo della
questione e' che Cuba deve essere aiutata e difesa. La popolazione cubana,
la dignita' di Cuba, la sua indipendenza. Perche' Cuba non deve tornare ad
essere un gigantesco postribolo nelle citta' e un regime schiavista nelle
campagne; perche' Cuba non deve tornare ad essere il retrobottega e la bisca
dei mafiosi americani; perche' Cuba non deve piu' essere teatro di uno
sterminio come gia' al tempo della Conquista.
*
6. Ma non voglio eludere l'altro aspetto - quello simbolico - della
questione, e mi perdoneranno i ventiquattro lettori se me la sbrigo di
fretta in pochissime righe: d'altronde chi mi conosce da qualche decennio sa
quanto complesso sia cio' che mi capita di pensare in questo ambito, e chi
non mi conosce non ci perde niente a risparmiarsi il mio lungo e fors'anche
labirintico argomentare. E quindi:
a) troppo frettolosamente mi pare si liquidi la vicenda del movimento
comunista del Novecento, che e' ancora, per dirla con Sartre, il nostro
"affaire", la cosa che ci riguarda: nelle sue tragedie e nella sua ricerca,
in cio' che di falso e di atroce ha implicato ed in cio' che di giusto e di
vero ha inverato. Chi scotomizza il proprio passato e' condannato a
ripeterlo: per questo mi sembra cosi' necessario replicare e finanche dar
sulla voce a chi preferirebbe non parlarne piu', a chi mitologizza nel
demonico o nell'angelicato, a chi troppo facilmente storicizza ed archivia,
insomma a tutti gli immemori e i pusillanimi, agli ignoranti e agli astuti.
Ancora occorre farci i conti con quella vicenda che tutti vivamente ci
tocca, e cavarne il nocciolo razionale e radicalmente ripudiare quel che di
osceno e infero in essa e' stato, schierandosi sempre, e sempre e solo,
dalla parte delle vittime, e dal punto di vista delle vittime anche quella
storia leggendo. in dolore e rigore. Vi sono stati due comunismi nel
Novecento: da un lato quello di chi ha eretto campi di concentramento e
organizzato plotoni d'esecuzione, e dall'altro lato quello di chi nei campi
di concentramento ha sofferto e di fronte ai plotoni di esecuzione si e'
trovato, e per abolirli per sempre e subito sempre e per sempre si e'
battuto. E questo secondo comunismo, sogno di una cosa e uscita dalla
preistoria, scelta morale e agire quotidiano, deliberare in comune e
condividere il pane, se cosi' posso dire, e' ancora il nostro.
b) E piu' in generale tutte le vicende dei movimenti novecenteschi di
resistenza e di liberazione, di rivendicazione della dignita' umana, di
eguaglianza e di riconoscimento di umanita', di promozione comune e di
universale solidarieta', vanno ereditate, criticate e - con un unico
movimento di distanziamento e recupero a un tempo - superate (se questo
vecchio linguaggio della filosofia classica tedesca piu' essere ancora
utilizzato): cogliendone e combattendone limiti ed errori ed orrori, certo,
ed insieme cogliendone e accogliendone tensione e attenzione, passione e
idealita', anelito e calore, quanto in esse vi e' di aggettante e sorgivo,
di liberante e fraterno e sororale, tutto quel che e' implicato nell'emblema
da antico bestiario (e moderna esperienza) della talpa, la vecchia talpa
ancora.
c) E per concludere: sul rapporto tra i fini e i mezzi si gioca tutto il
futuro dell'umanita': o il movimento di quante e quanti si battono per il
diritto e la liberazione dei popoli e delle persone, per la solidarieta'
internazionale e la dignita' umana, per la verita' e la giustizia, per la
pace e la convivenza, avra' la capacita' di scegliere la nonviolenza, ovvero
quella teoria-prassi esistenziale, sociale e politica, quella riforma morale
e intellettuale, che afferma la necessita' della coerenza tra mezzi e fini
nell'agire nel mondo e sul mondo, con e tra le persone ed i popoli (quel
sinolo che Gandhi affermava con la splendida equazione e metafora del seme e
della pianta come chiave ed emblema del rapporto che i mezzi e i fini
lega) - oppure vincera' la catastrofe - che sta gia' vincendo del resto - e
l'umanita' sara' annientata. Decidersi occorre, e il tempo stringe. Stringe
come un cappio.
Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'.
*
In guisa di postilla ricordar vorremmo anzitutto alcune buone letture:
quella sintesi ottima di Giuliano Pontara che e' nelle voci da lui
compilate - e particolarmente quelle su Gandhismo e  Nonviolenza - nel
Dizionario di politica diretto da Bobbio, Matteucci e Pasquino (Utet, poi
Tea); di Tzvetan Todorov, Memoria del male, tentazione del bene, edito da
Garzanti; di Franco Fortini le voci Comunismo e Marxismo (nate come articoli
di giornale, poi riprese in volume rispettivamente in Extrema ratio,
Garzanti e in Non solo oggi, Editori Riuniti; riprodotte l'una e l'altra
anche su questo notiziario); di Guenther Anders le Tesi sull'eta' atomica
(piu' volte riprodotte su questo foglio nella traduzione di Renato Solmi per
Einaudi); la grande Memoria del fuoco di Eduardo Galeano (Sansoni); vari
libri di Giulio Girardi; e come sempre I sommersi e i salvati di Primo Levi
(presso Einaudi, naturalmente). Su Cuba in particolare vorremmo segnalare
anche almeno: Carlos Franqui, Diario della rivoluzione cubana, Alfani;
Janette Habel, Cuba fra continuita' e rottura, Erre emme (ora Massari
Editore); Aldo Garzia, C come Cuba, Elleu Multimedia. Ed oltre alle buone e
utili letture anche quest'altra - se ci e' concesso: un articolo a firma del
direttore responsabile di questo foglio, Tre tesi per una riflessione
necessaria, apparso nel volume terzo dei sempre utilissimi "Quaderni della
fondazione Che Guevara", Massari Editore, Bolsena (Vt) 2000 (e riprodotto
qualche anno fa anche su questo notiziario).

6. ESPERIENZE. AUGUSTO CAVADI: UN TURISMO RESPONSABILE E SOLIDALE
[Ringraziamo Augusto Cavadi (per contatti: acavadi at lycos.com) per averci
messo a disposizione questo suo articolo (di cui pubblichiamo uno stralcio)
apparso sull'edizione palermitana di "Repubblica" il 14 agosto 2003. Augusto
Cavadi, prestigioso intellettuale ed educatore, collaboratore del Centro
siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato" di Palermo, e' impegnato
nel movimento antimafia e nelle esperienze di risanamento a Palermo,
collabora a varie qualificate riviste che si occupano di problematiche
educative e che partecipano dell'impegno contro la mafia. Opere di Augusto
Cavadi: Per meditare. Itinerari alla ricerca della consapevolezza, Gribaudi,
Torino 1988; Con occhi nuovi. Risposte possibili a questioni inevitabili,
Augustinus, Palermo 1989; Fare teologia a Palermo, Augustinus, Palermo 1990;
Pregare senza confini, Paoline, Milano 1990; trad. portoghese 1999; Ciascuno
nella sua lingua. Tracce per un'altra preghiera, Augustinus, Palermo 1991;
Pregare con il cosmo, Paoline, Milano 1992, trad. portoghese 1999; Le nuove
frontiere dell'impegno sociale, politico, ecclesiale, Paoline, Milano 1992;
Liberarsi dal dominio mafioso. Che cosa puo' fare ciascuno di noi qui e
subito, Dehoniane, Bologna 1993, seconda ed.; Il vangelo e la lupara.
Materiali su chiese e mafia, 2 voll., Dehoniane, Bologna 1994; A scuola di
antimafia. Materiali di studio, criteri educativi, esperienze didattiche,
Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1994;
Essere profeti oggi. La dimensione profetica dell'esperienza cristiana,
Dehoniane, Bologna 1997; trad. spagnola 1999; Jacques Maritain fra moderno e
post-moderno, Edisco, Torino 1998; Volontari a Palermo. Indicazioni per chi
fa o vuol fare l'operatore sociale, Centro siciliano di documentazione
"Giuseppe Impastato", Palermo 1998, seconda ed.; voce "Pedagogia" nel cd-
rom di AA. VV., La Mafia. 150 anni di storia e storie, Cliomedia Officina,
Torino 1998, ed. inglese 1999; Ripartire dalle radici. Naufragio della
politica e indicazioni dall'etica, Cittadella, Assisi, 2000; Le ideologie
del Novecento, Rubbettino, Soveria Mannelli 2001. Vari suoi contributi sono
apparsi sulle migliori riviste antimafia di Palermo. Indirizzi utili:
segnaliamo il sito: http://www.neomedia.it/personal/augustocavadi (con
bibliografia completa)]
E' preziosa un'iniziativa del Ciss ("Cooperazione internazionale sud-sud")
cui, proprio in questi giorni, ad alcuni di noi e' dato partecipare a titolo
per cosi' dire di cavie.
Il Ciss (organizzazione non governativa nata a Palermo da una ventina
d'anni) cogestisce  qui ad Olinda e Recife nel nord-est brasiliano - fra
altre decine di progetti nelle zone piu' disparate del globo - un intervento
triennale di promozione di ragazzi (e soprattutto di ragazze) di quartieri
difficili. Ancora adolescenti, vengono accolti in un centro sociale
polivalente, coinvolti in attivita' ricreative e formative (dalla capoeira
all`alfabetizzazione informatica), avviati all'inserimento sociale e - nei
limiti del possibile - professionale.
Ebbene, nell'ottica di un turismo "responsabile", il Ciss ha anche
organizzato per queste settimane di agosto un viaggio in Brasile che
consenta non solo di conoscere da vicino l`effettiva realizzazione di questo
e di simili progetti, ma in qualche modo di contribuirvi. Infatti, mediante
una selezione dei posti dove si dorme, si mangia, si acquistano i prodotti
dell`artigianato, e' possibile saltare la mediazione delle grandi agenzie
multinazionali e far guadagnare, direttamente ed esclusivamente, la gente
del luogo. Inoltre i servizi turistici abituali (prenotazioni,
accompagnamento durante i trasporti, guida durante le visite ai monumenti,
traduzioni estemporanee...) vengono svolti gratuitamente da operatori dello
stesso Ciss - residenti sia in Italia che nello stesso Brasile - e in cambio
una percentuale della quota di partecipazione al viaggio viene destinata al
finanziamento dei progetti.
Superfluo aggiungere che questa modalita' organizzativa consente un contatto
con persone e ambienti che i circuiti turistici tradizionali neppure
sfiorano. Non altrettanto superfluo specificare che turismo equo e solidale
non equivale necessariamente a noia o seriosita': i ritmi dei balli nella
praia della Gunga o le sfumature del verde oceanico che lambisce il bianco
abbacinante delle dune di Mango Secco non risultano meno emozionanti solo
perche' qualcuno tenta di accostarvisi con atteggiamento rispettoso della
bellezza della natura e della dignita' delle persone.

7. RIFLESSIONE. ILEANA MONTINI: LA CINA CHE CI INTERROGA ANCORA
[Ringraziamo Ileana Montini (per contatti: ileana.montini at tin.it) per questo
intervento. Ileana Montini, prestigiosa intellettuale femminista, gia'
insegnante, e' psicologa e psicoterapeuta. Nata nel 1940 a Pola da genitori
romagnoli, studi a Ravenna e all'Universita' di Urbino, presso la prima
scuola di giornalismo in Italia e poi sociologia; giornalista per
"L'Avvenire d'Italia" diretto da Raniero La Valle; di forte impegno
politico, morale, intellettuale; ha collaborato a, e fatto parte di, varie
redazioni di periodici: della rivista di ricerca e studio del Movimento
Femminile DC, insieme a Tina Anselmi, a Lidia Menapace, a Rosa Russo
Jervolino, a Paola Gaiotti; di "Per la lotta" del Circolo "Jacques Maritain"
di Rimini; della "Nuova Ecologia"; della redazione della rivista "Jesus
Charitas" della "famiglia dei piccoli fratelli e delle piccole sorelle"
insieme a fratel Carlo Carretto; del quotidiano "Il manifesto"; ha
collaborato anche, tra l'altro, con la rivista "Testimonianze" diretta da
padre Ernesto Balducci, a riviste femministe come "Reti", "Lapis", e alla
rivista di pedagogia "Ecole"; attualmente collabora al "Paese delle donne".
Ha partecipato al dissenso cattolico nelle Comunita' di Base; e preso parte
ad alcune delle piu' nitide esperienze di impegno non solo genericamente
politico ma gramscianamente intellettuale e morale della sinistra critica in
Italia. Il suo primo libro e' stato La bambola rotta. Famiglia, chiesa,
scuola nella formazione delle identita' maschile e femminile (Bertani,
Verona 1975), cui ha fatto seguito Parlare con Dacia Maraini (Bertani,
Verona). Nel 1978 e' uscito, presso Ottaviano, Comunione e liberazione nella
cultura della disperazione. Nel 1992, edito dal Cite lombardo, e' uscito un
libro che racconta un'esperienza per la prevenzione dei drop-out di cui ha
redatto il progetto e  curato la supervisione delle operatrici: titolo: "...
ho qualche cosa anch'io di bello: affezionatrice di ogni cosa". Recentemente
ha scritto la prefazione del libro di Nicoletta Crocella, Attraverso il
silenzio (Stelle cadenti, Bassano (Vt) 2002) che racconta l'esperienza del
Laboratorio psicopedagogico delle differenze di Brescia, luogo di formazione
psicopedagogica delle insegnanti e delle donne che operano nelle relazioni
d'aiuto, laboratorio nato a Brescia da un progetto di Ileana Montini e con
alcune donne alla fine degli anni ottanta, preceduto dalla fondazione,
insieme ad altre donne, della "Universita' delle donne Simone de Beauvoir".
Su Ileana Montini, la sua opera, la sua pratica, la sua riflessione, hanno
scritto pagine intense e illuminanti, anche di calda amicizia, Lidia
Menapace e Rossana Rossanda]
In estate si viaggia, ma come si viaggia? Gli aeroporti sono gremiti di
gente che transita in uscita e in entrata carica di valigie e piena di
entusiasmo. Viaggiare, vedere luoghi sconosciuti e tornare per raccontare e'
ormai un comportamento quasi obbligato, se ci si vuole sentire moderni. I
tour operator mettono a disposizione le guide in lingua che, piu' o meno,
spiegano la storia e i monumenti del Paese visitato ad ascoltatori spesso
totalmente a digiuno di tali conoscenze.
Ora, tra i viaggi accessibili c'e' anche la Cina. Quella Cina che e' stata,
fino alla morte del "grande timoniere" Mao Tse Tung, per molta sinistra
internazionale l'esempio di un socialismo  perfettamente adeguato alla
storia e alla civilta' dell'"Impero di mezzo".
A quei tempi ricevevo dall'ambasciata cinese in Italia dei bellissimi
calendari annuali dove, tra una foto e l'altra di straordinari paesaggi di
canne di bambu' e panda, si raccontava degli eroici "medici scalzi" o della
manutenzione, opera del popolo, contro l'inquinamento del grande fiume
Giallo. In realta' i "medici scalzi" erano delle normali persone che non
avevano studiato mai medicina e che ricevevano un'investitura dall'alto
(della politica). In quanto all'inquinamento dopo la rivoluzione con
l'industrializzazione era diffuso come ovunque sull'intero globo.
Ci abbiamo creduto alla "rivoluzione culturale" e forse non in pochi abbiamo
pianto la morte, nel 1976, di Mao. Poi il silenzio. Nessuno di noi ricorda
piu' la Cina di quei tempi e nessuno analizza il motivo di quella cieca
fede. Com'e' potuto accadere?
Ora i turisti che a frotte invadono la Cina e ne sentono, imperioso, il
fascino, non hanno la minima idea di come era la Cina di prima dell'avvento
del maoismo.
Pechino e' una citta' immensa, dove grandi palazzi e grattaceli convivono,
ancora per poco, con residue catapecchie della vecchia citta'. Ma e' una
citta', una citta' inquinata e brutta.
I turisti vengono accompagnati a visitare la "Citta' Proibita" e pochi altri
monumenti del passato. Perche' pochi  monumenti sono rimasti.
Uno di questi e' il "Tempio dei Lama" (Yung He Gong), che serve come
attrazione turistica con i pochi vecchi monaci residui importati dalla
Mongolia. Questo tempio era famoso per le sue statue e i suoi dipinti
erotici, ma molti degli originali sono scomparsi, o sono stati rubati o
venduti.
Nella odierna Pechino non esiste piu' un solo vero tempio  o palazzo o
giardino, perche' tutto cio' che odorava di "borghesia" e' stato distrutto.
Il regime socialista aveva un sogno: abbattere la civilta' passata e ergervi
sopra quella nuova, con nuovi palazzi, case e fabbriche.
Pechino aveva le mura e tantissimi templi, ma il regime comunista li hanno
resi "utili" per farne una citta' "produttiva" con le fabbriche e le case
collettive. Cioe' li ha trasformati in caserme o cose del genere.
Tutto o quasi di cio' che era  antico in Cina e' andato distrutto con una
furia e una precisione "religiosa" inimitabili. Ma ai turisti non viene
detto ne' dai tour operator, ne', ovviamente, dalle solerti e simpatiche
guide cinesi che devono ogni tanto recitare la formula: "Come dice il nostro
Presidente...".
Dove c'erano le grandi stupende mura ore corre l'autostrada che gira intorno
alla citta'. E dove c'era la seconda cerchia a sud di Tienanmen, corre una
lunga fila di blocchi di appartamenti per i quadri del partito.
Ma qualcosa del genere e' accaduta anche in altre epoche e in altri paesi.
Facciamo un solo esempio. I turisti che visitano la Scozia apprendono che la
rivoluzione protestante ha distrutto monasteri e chiese cattoliche
magnifiche, come la famosa cattedrale di Elgin.
Che cosa voglio dimostrare? Che i moderni regimi marxisti come quello
d'impronta maoista, gli antichi regimi religiosi o i piu' vicini sistemi
politici, come e' accaduto nell'ex Jugoslavia dove i musulmani hanno
distrutto le chiese ortodosse e gli ortodossi le moschee, quando devono
impiantarsi o imporsi tendono a distruggere il passato. Perche' il passato
e' portatore di segni e simboli. Perche' il passato architettonico,
urbanistico, degli oggetti, della cultura in genere, e' un rievocatore del
potere precedente. Ma cosi' facendo si cancella la memoria dell'umanita', la
catena delle conoscenze scientifiche e ideologiche nell'illusione
dell'azzeramento punitivo, celebrativo e come apertura innovativa. Che
l'abbiano fatto i protestanti in Scozia ci sembra comprensibile, ma che la
stessa operazione l'abbiano condotta i marxisti maosti in Cina o sovietici
in Russia, non siamo disposti a farci i conti e cosi' stendiamo sopra  una
pietosa censura.
Invece no. E' tempo di studio e riflessione. Prima domanda. Come mai e'
potuto accadere tutto questo in un regime anticapitalistico? Con quali
strumenti culturali possiamo interpretare questi fatti?

8. TESTIMONIANZE. YANG JIANG: NUVOLE
[Da Yang Jiang, Il te' dell'oblio, Einaudi, Torino 1994, p. 48. Nata nel
1911 a Wuxi, nello Jiangsu, autrice di romanzi e racconti, Yang Jiang era
una studiosa di letteratura che stava traducendo il Chisciotte quando in
Cina divampo' il movimento noto come "rivoluzione culturale"; nel libro
autobiografico da cui abbiamo ripreso il brano che segue l'autrice, che fu
vittima delle violenze e del totalitarismo di quell'esperienza, racconta con
dignita', pudore ed amore per la verita' grandi la vicenda sua e del suo
paese]
Si dice che "le nuvole rosa si disperdono facilmente". Ma anche quelle nere
non durano in eterno.

9. RILETTURE. ANGELA ALES BELLO: EDITH STEIN. INVITO ALLA LETTURA
Angela Ales Bello, Edith Stein. Invito alla lettura, Edizioni San Paolo,
Cinisello Balsamo (Mi) 1999, pp. 94, euro 6,20. Una sintetica introduzione e
un'essenziale antologia.

10. RILETTURE. ANGELA ALES BELLO: EDITH STEIN. LA PASSIONE PER LA VERITA'
Angela Ales Bello, Edith Stein. La passione per la verita', Edizioni
Messaggero Padova, 1998, 2003, pp. 142, euro 11. L'itinerario esistenziale,
filosofico e spirituale di Edith Stein nella lettura della sua piu' profonda
studiosa italiana.

11. RILETTURE. ANGELA ALES BELLO: EDITH STEIN. PATRONA D'EUROPA
Angela Ales Bello, Edith Stein. Patrona d'Europa, Piemme, Casale Monferrato
(Al), 2000, pp. 156, euro 10,33. La riflessione di Edith Stein su alcuni dei
temi decisivi del pensare, dell'agire, dell'esistere umano.

12. RILETTURE. LAURA BOELLA, ANNAROSA BUTTARELLI: PER AMORE DI ALTRO
Laura Boella, Annarosa Buttarelli, Per amore di altro. L'empatia a partire
da Edith Stein, Raffaello Cortina Editore, Milano 2000, pp. 118, euro 8,25.
Due delle piu' rilevanti pensatrici italiane in dialogo con la testimonianza
e l'opera della grande filosofa e religiosa assassinata ad Auschwitz.

13. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

14. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it;
angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it

Numero 646 del 18 agosto 2003