La nonviolenza e' in cammino. 637



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 637 del 9 agosto 2003

Sommario di questo numero:
1. Enrico Peyretti presenta "Franz Jaegerstaetter. Un contadino contro
Hitler" di Erna Putz
2. Rossana Rossanda: un morto al giorno
3. Riccardo Orioles: liberta' d'informazione e lotta alla mafia
4. Ida Dominijanni: la compassione degradata
5. Un libro sull'accompagnamento internazionale per proteggere gli attivisti
dei diritti umani
6. Ottavio Di Grazia presenta "Prima che l'amore finisca" di Raniero La
Valle
7. Daniela Padoan presenta "Un mondo di donne" a cura di Luise F. Pusch e
Susanne Gretter
8. La "Carta" del Movimento Nonviolento
9. Per saperne di piu'

1. MEMORIA. ENRICO PEYRETTI PRESENTA "FRANZ JAEGERSTAETTER. UN CONTADINO
CONTRO HITLER" DI ERNA PUTZ
[Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: peyretti at tiscalinet.it) per
averci messo a disposizione questo suo articolo gia' pubblicato con il
titolo "la coscienza piu' forte di Hitler" su "Il margine", n. 6, giugno
2002 (per contattare la rivista: c. p. 359, 38100 Trento). Enrico Peyretti
e' uno dei principali collaboratori di questo foglio, ed uno dei maestri
piu' nitidi della cultura e dell'impegno di pace e di nonviolenza. Tra le
sue opere: (a cura di), Al di la' del "non uccidere", Cens, Liscate 1989;
Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il Monte 1998; La politica e' pace,
Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la guerra, Beppe Grande, Torino 1999.
E' diffusa attraverso la rete telematica (ed abbiamo recentemente
ripresentato in questo notiziario) la sua fondamentale ricerca bibliografica
Difesa senza guerra. Bibliografia storica delle lotte nonarmate  e
nonviolente. Una piu' ampia bibliografia dei principali scritti di Enrico
Peyretti e' nel n. 477 del 15 gennaio 2003 di questo notiziario. Erna Putz,
teologa e sociologa austriaca, e' la principale studiosa di Franz
Jaegerstaetter, di cui ha curato la biografia e una raccolta delle lettere
alla moglie. Di Franz Jaegerstaetter ricorre oggi il sessantesimo
anniversario del martirio]
Erna Putz, Franz Jaegerstaetter. Un contadino contro Hitler, Editrice Berti,
Piacenza 2000, pp. 252, lire 25.000.
Questo libro e' una biografia molto accurata nella documentazione,
nell'indicazione delle fonti, nella ricostruzione dei motivi morali,
religiosi, civili dell'obiezione al nazismo e alla sua guerra, e del
conseguente martirio, di Franz Jaegerstaetter, contadino austriaco,
autodidatta, decapitato a Brandeburgo il 9 agosto 1943. Giorno di morte, il
9 agosto: due anni dopo avverra' il raddoppio del crimine atomico sul
Giappone, neppure giustificabile come necessita' di guerra. Giorno di morte
che puo' essere di vita, se dalla soppressione di un uomo libero e dalla
straripante arroganza delle armi omicide nell'atto di aprire un'epoca di
mortale dominio sulla vita dell'umanita' intera, puo' nascere una nuova
umile tenace coscienza e volonta' di pace.
Il libro di Erna Putz e' piu' accurato e preciso del precedente di Gordon
Zahn, Il testimone solitario. Vita e morte di Franz Jaegerstaetter
(Gribaudi, Torino 1968), il quale tuttavia ha avuto grande importanza per
far conoscere tra i cultori della coscienza di pace la figura di
Jaegerstaetter.
*
La vicinanza drammatica di Franziska
Mentre Zahn insiste, gia' dal titolo, sulla solitudine della decisione e
della testimonianza di Franz Jaegerstaetter, dal libro di Erna Putz risulta
invece chiaramente documentato il fatto che almeno Franziska, la moglie di
Franz, comprese molto bene la scelta del marito e gli fu profondamente
vicina nell'isolamento generale, pur dopo aver fatto, nei primi tempi,
pressioni affettive su di lui per ottenere che si comportasse in modo
prudente per non mettersi in mostra come contrario al nazismo (pp. 60-61).
Nel 1942 Franz e' a casa, dopo il secondo periodo di addestramento militare,
per i lavori agricoli ed e' gia' fermamente determinato a non obbedire ad
una nuova chiamata alle armi (p. 83). Nel paese e' isolato, perche' si
avverte la sua differenza dalla gran parte delle persone che si adattavano,
pur senza adesione convinta, a convivere con il sistema nazista. Solo la
moglie, pur esortandolo alla prudenza, fa eccezione. Il fermo proposito di
non combattere la guerra nazista mette grande preoccupazione tra i parenti e
gli amici di Franz, che lo giudicano strano. La madre Rosalia mobilita la
parentela per dissuaderlo. Franziska racconta: "All'inizio l'ho pregato
tanto di non mettere in gioco la sua vita, ma poi quando tutti litigavano
con lui e inveivano contro di lui - vennero anche i parenti - non lo feci
piu'". E dice il motivo: "Perche' vuoi tanto bene a qualcuno e quello non ha
piu' assolutamente nessuno che lo capisce. (...) Se non fossi stata dalla
sua parte non avrebbe avuto proprio nessuno" (p. 109).
E' notevole il fatto che la persona che piu' amava e piu' aveva bisogno
della presenza di Franz, la piu' angosciata al pensiero del rischio che lui
avrebbe corso, riesca a rispettare la sua coscienza. Franziska e' condotta
dall'amore a farsi partecipe del dramma e del coraggio del marito. Certo,
non senza una drammatica fatica interiore. Alla domanda se era d'accordo col
proposito di suo marito, dopo oltre 40 anni risponde: "Fin dove riuscivo"
(p. 109).
Il giorno in cui Franz pronuncia il fatidico rifiuto, egli scrive alla
moglie ringraziandola per tutto l'amore, la fedelta' e "i sacrifici che
dovrai ancora affrontare a causa mia (...). Non dovrai avere collera per
nessuno di quelli che adesso forse ti offendono, perche' l'amore lo esige.
(...) Non essere in collera con la mamma anche se non ci capisce" (pp.
115-116). Franz sente la moglie accomunata nel suo sacrificio per fedelta'
alla coscienza, si sente in debito con lei perche' anche lei e' oggetto di
dolorosa incomprensione. Analoghi sentimenti Franz esprime nella lettera del
suo ultimo giorno (p. 145-146). Marito e moglie sono due coraggiose
solitudini, tra loro unite, che si consolano e si sostengono a vicenda, pur
nella distanza fisica ormai definitiva.
Franziska vede il marito per l'ultima volta il 13 luglio, una settimana dopo
la condanna a morte, meno di un mese prima dell'esecuzione. I venti minuti
della visita in carcere a Berlino sono occupati in gran parte dai tentativi
del parroco del paese, che accompagnava Franziska, di distogliere Franz dal
suo proposito. Il parroco preme sulla coscienza di Franz con l'argomento del
quarto comandamento, il dovere verso la famiglia. La moglie, nella lettera
che gli scrive lo stesso giorno, evita questo argomento. Nel dolore, lei che
avrebbe avuto il maggior titolo per fargli questo richiamo pressante, ha
rispettato la coscienza del suo uomo, e dunque l'ha compresa, sebbene con
fatica. Ella scrive la sera stessa al precedente parroco: "Mi ha detto che
dovra' soffrire molto, ma che, nel contempo, si sente molto felice e che e'
intenzionato a non cambiare idea" (p. 140). Sulla base delle lettere di
Franziska, l'autrice del libro conclude che "mai ella ha abbandonato il
rispetto delle convinzioni di coscienza di Franz per spingerlo a salvarsi la
vita" (p. 161).
Nell'ora esatta dell'esecuzione, che lei non conosceva, Franziska provo'
"un'intensa sensazione di affetto e di unione con il marito" (p. 156).
Il coraggio di Franziska, prima e dopo la morte del marito, e' dimostrato
inoltre dal fatto che fu accusata anche lei, sia dalla famiglia, sia
dall'intero villaggio, della morte di Franz. Mentre le vedove dei soldati
erano oggetto di pieta' e di partecipazione, lei dovette sopportare un forte
rifiuto: "Era terribile non tanto il fatto che lui fosse morto quanto il
fatto che i vicini erano ostili nei miei confronti mentre prima mi volevano
bene", ricordera' trent'anni dopo, aggiungendo: "Non ho mai creduto che la
gente potesse essere veramente cattiva" e riconoscendo che, anche grazie
alla predicazione dell'amore per il prossimo da parte di un altro nuovo
parroco, "si e' affievolito il rifiuto della gente nei miei confronti" (p.
164).
E' tutta di Franz la decisione di far valere piu' della vita il dovere di
non uccidere a servizio del dominio nazista, ma la moglie Franziska, in
definitiva, si e' associata, nel rispetto, nel sostegno, nel riconoscimento,
alla testimonianza del marito. L'amore e l'unita' di vita non impedi', ma
allargo' alla moglie l'estrema scelta di verita' che Franz poneva dentro
l'impero della menzogna. La fecondita' della sua testimonianza, che si
allarghera' ad altri anche lontano nel tempo e nello spazio, cominciava,
ancora nel buio della violenza, a dare forza e luce alla compagna della sua
vita, della sua morte, della sua coscienza.
*
Contro il nazismo per motivo religioso
L'opposizione alla dittatura, alla iniquita' e al bellicismo del nazismo e
di Hitler ha, in Franz Jaegerstaetter, un fondamentale motivo religioso
cristiano. Mi preme accomunare questa posizione della sua coscienza a quella
di altri forti e positivi oppositori delle dittature violente. In Italia,
l'antifascismo di Aldo Capitini fu chiaramente, ed egli lo ribadi' molte
volte, una opposizione religiosa, di lui "libero religioso", e non appena
politica. Josef Mayr-Nusser, altoatesino, illegalmente reclutato nelle SS,
il 4 ottobre 1944 rifiuta il giuramento e, condannato, muore di stenti in
prigionia durante la deportazione, ma da tempo, la sua fede e la sua
personale matura riflessione teologica e morale lo pone agli antipodi
dell'idolatria nazista (Francesco Comina narra la vicenda di Mayr-Nusser nel
bel libro Non giuro a Hitler, edizioni San Paolo, 2000). La profonda
straordinaria resistenza spirituale al nazismo di Etty Hillesum, la giovane
olandese ebrea-cristiana (di cui Adelphi ha pubblicato le Lettere e il
Diario, e sulla cui spiritualita' sono gia' comparsi diversi studi), e'
sostanziata di vivacissima ricerca religiosa, di intensa preghiera, e di
presenza di Dio. Di altri casi italiani venuti col tempo in luce, penso ora
a Primo Mazzolari, a Nando Fabro, ai migliori nella Fuci di Montini e
Righetti: essi, intimamente lontani dal compromesso ufficiale della chiesa
col fascismo, prepararono con un lavoro formativo e culturale, la
liberazione interiore senza la quale poco poteva valere la liberazione
esterna, come troppi fatti hanno dimostrato.
Non interessi, non competizione politica, ma valori superiori,
irrinunciabili, separavano totalmente queste ed altre persone dal culto
fascista e nazista della forza, priva di rispetto per la vita e i diritti
della persona umana.
Di questo genere fu il cammino di Franz Jaegerstaetter. Egli muore per la
fede. E, nello stesso tempo, muore per la liberta' politica e la dignita'
del suo popolo. Quando e' luce interiore, rapporto personale con Dio che da'
senso ed orienta l'esistenza, e non e' l'ideologia di una struttura
ecclesiastica che agisce coma una componente sociale, con i suoi interessi
in rivalita' con altre correnti, la fede contribuisce, anche con la forza
dei martiri-testimoni, a difendere ed affermare quei valori umani di
civilta' che credenti e non credenti insieme sentono costitutivi della
dignita' umana e i credenti sanno necessari al rispetto dell'immagine di Dio
nell'uomo.
Franz legge quotidianamente la Bibbia e annota in un ordinato quadernetto,
sotto il titolo Cio' che ogni cristiano deve sapere, 209 considerazioni
personali sulla Sacra Scrittura. Una di queste dice: "A nessuna potenza
terrena e' consentito di assoggettare le coscienze. Il diritto divino
prevale sul diritto umano" (p. 148). Negli anni '30, per un cattolico, la
lettura personale della Bibbia era un'audacia, raro segno di indipendenza
spirituale e di seria consapevolezza nel proprio rapporto religioso. Franz
scrive che le "guide", i preti e i vescovi, erano stati "sviati o intimiditi
con minacce", ma egli ha avuto la fortuna di conoscere movimenti di studio
della Bibbia, sicche' aggiunge (generalizzando un dato che forse non era
cosi' generale): "Se la chiesa negli ultimi tempi non si fosse fortemente
premurata di divulgare tra i laici le Sacre Scritture e comunque delle buone
letture, i fedeli non avrebbero potuto orientarsi quando le guide personali
venivano portate via o costrette al silenzio" (p. 174). Questa indipendenza
dalle posizioni ufficiali del clero lo accomuna, in generale, ai resistenti
indipendenti citati sopra. In carcere, Franz prega con i compagni di cella,
che lo ricordano per questo. Le sua annotazioni sulla Bibbia dimostrano,
scrive Erna Putz, "la sicurezza e la corretta visione con cui il contadino
si muove in questo ambito. Anche in fatto di problematiche teologiche Franz
Jaegerstaetter dimostra una sicura capacita' di giudizio, proprio come
quella che lo caratterizza rispetto ai temi politici" (p. 147-148). Al
parroco che, nella visita in carcere, gli ricordava i doveri verso la
famiglia, per farlo desistere dal rifiuto di servire nell'esercito, egli
replica, come dice nell'ultima lettera alla moglie, con le parole di Gesu':
"Chi ama padre, madre, sposa e figli piu' di me non e' degno di me" (p. 140;
145).
Del nerbo religioso della sua resistenza, anzi, della sua liberta', Franz e'
perfettamente e umilmente consapevole. Nell'ultimo carcere scrive: "Se Dio
non mi avesse dato grazia e sostegno anche nel morire per la mia fede, se
necessario, forse farei semplicemente cio' che fa la maggior parte della
gente. (...) Se altri avessero ricevuto tutte le grazie che ho ricevuto io,
forse avrebbero fatto cose molto migliori di me". "Anche se scrivo con le
mani incatenate, cio' e' pur sempre preferibile ad una volonta' incatenata"
(non e' una metafora, era effettivamente tenuto sempre ammanettato). "A che
pro, dunque, Dio ha fornito agli uomini un intelletto e una libera volonta'
se non ci e' neppure concesso, come alcuni dicono, di giudicare se questa
guerra che la Germania sta conducendo sia giusta o ingiusta?" (p. 153, 154).
La sua fede non svolazzava nei cieli, lontano dalla brutta terra, ma gli
dava la luce per il giusto giudizio, del quale si assumeva la totale
responsabilita'. Non pensava a punire o colpire nessuno per il male che
condannava, ma offriva se stesso, la propria vita, in pegno della verita'
che gli aveva toccato la coscienza. Osserva Erna Putz che, nella prima meta'
del '900, "la devozione o l'aspirazione alla santita' erano pressoche'
sinonimo di inesperienza delle cose del mondo o di ingenuita' politica" (p.
204): tutto il contrario del nostro contadino obiettore e martire.
Nel testamento, scritto con le mani legate, Franz dice: "Amiamo i nostri
nemici, benediciamo coloro che ci maledicono, preghiamo per coloro che ci
perseguitano. L'amore vincera' e vivra' per l'eternita'. Fortunati coloro
che hanno vissuto nella carita' divina e muoiono in essa" (p. 244).
"Meraviglia la scarsa considerazione della chiesa nei suoi confronti", nota
l'autrice (p. 8). Ma cio' cambio' col tempo. Nel 1979 l'autrice del libro
pubblicava nel giornale diocesano un articolo dal titolo: Nella sua
coscienza ricca di doni egli seppe riconoscere gli oscuri segnali del tempo.
Jaegerstaetter era un profeta. Dopo esitazioni e cautele dei vescovi
precedenti, preoccupati di non urtare chi aveva partecipato alla guerra,
finalmente nel 1983 il vescovo Aichern presento' Jaegerstaetter come "un
autentico esempio di vita cristiana" (p. 198).
Ma gia' nel 1945 Franz Jaegerstaetter era stato riconosciuto "un grande
santo" dal suo primo parroco, che ritorno' nel paese per  raccoglierne
l'eredita' spirituale (p. 200), e poi nel 1961 in una testimonianza del
parroco di Brandeburgo che lo aveva assistito nelle ultime ore (p. 158). Una
eventuale proclamazione canonica (nella diocesi di Linz sono state avviate
solo nel 1993 le procedure per questo, p. 220), peraltro oggi molto
abbondanti e quindi meno significative, darebbe rilievo a questa singolare
santita' laica, pacifica, politica.
Franz Jaegerstaetter, piu' di vent'anni dopo la morte, ebbe un'influenza
decisiva sul Concilio Vaticano II, quando, nel documento su "la chiesa nel
mondo contemporaneo", i vescovi affrontarono i temi della pace e
dell'obiezione di coscienza. Il merito di fare in qualche modo "partecipare"
Franz al Concilio con un suo determinante "magistero" morale, fu di Jean e
Hildegard Goss, membri eminenti del Mir (Movimento Internazionale della
Riconciliazione, gloriosa associazione ecumenica per la pace). Hildegard,
ancora oggi attiva nell'educazione alla pace, e' austriaca come
Jaegerstaetter. Essi fecero conoscere la testimonianza dell'obiettore
antinazista all'arcivescovo di Bombay, Roberts. Questi comprese bene e prese
a cuore il problema. Intervenendo efficacemente, citando piu' volte come
esemplare il caso di Jaegerstaetter, l'arcivescovo (che poi mando' a
Franziska il testo del suo intervento) riusci' a fare stralciare dal
documento un passo in cui, in caso di dubbio, si affidava all'autorita'
politica la decisione se una guerra fosse "giusta". Sarebbe stata
un'assurdita'. Si e' mai visto un governo che giudica ingiusta la propria
guerra? Sappiamo che il Concilio, anche per l'opposizione dei vescovi degli
Stati Uniti, potenza allora impegnata nella guerra del Vietnam, delibero'
una dichiarazione molto cauta e timida sugli obiettori di coscienza (Gaudium
et Spes, n. 79). Roberts invece ne aveva suggerita un'altra ben piu' chiara:
"Il Concilio raccomanda l'esempio di quelle nazioni che da oltre mezzo
secolo e anche nell'ora del pericolo si sono sforzate di rispettare
l'opposizione [alla guerra] della coscienza individuale".
"Martiri come Franz Jaegerstaetter non dovrebbero mai avere la sensazione di
essere soli", senza l'appoggio delle chiese - dichiaro' l'arcivescovo
Roberts in Concilio - denunciando il fatto che "quasi tutte le chiese
nazionali in quasi tutte le guerre si sono erte a braccio morale della
nazione", anche nelle guerre palesemente ingiuste. E concluse: "Dobbiamo
percio' affermare apertamente (...) che e' diritto e compito di ogni
cristiano obbedire alla voce della propria coscienza, prima della guerra e
durante la guerra" (pp. 204-207).
Erna Putz ha pubblicato in tedesco le Lettere dalla prigionia e appunti di
Franz Jaegerstaetter obiettore al servizio militare nel 1943 (Veritas,
Linz-Passau 1987), che sarebbe bello poter leggere interamente in italiano.
L'anno prossimo, 2003, nei 60 anni dalla morte di Franz, sara' un'occasione
per fare memoria di una tale testimonianza di pace. Sara' anche il
quarantesimo anniversario della Pacem in terris, l'enciclica di Papa
Giovanni, che sulla pace ando' piu' avanti del discorso conciliare.
Grazie al "Gruppo Franz Jaegerstaetter", di Pisa, che svolge da anni una
bella intensa attivita' nel nome di questo martire della pace, possiedo - ma
soltanto nella traduzione italiana - il testo della sentenza del Tribunale
di Berlino, sezione penale n. 17, del 7 maggio 1997, che annulla la sentenza
militare di condanna a morte  emessa il 6 luglio 1943 dalla Corte marziale
del Reich a carico di Franz Jaegerstaetter "riconosciuto colpevole di
disfattismo". Gli atti completi del processo sono andati perduti. Sulla
traduzione italiana di quella sentenza di annullamento possiedo un commento
giuridico del prof. Rodolfo Venditti, insigne magistrato, giurista studioso
del diritto penale militare e dell'obiezione di coscienza, cui ha dedicato
importanti pubblicazioni scientifiche. Il breve commento del prof. Venditti,
che avrebbe preferito esaminare il testo tedesco, e' inedito. Venditti
osserva che la riabilitazione di Jaegerstaetter e' avvenuta in base alla
nuova legge tedesca (5 gennaio 1951) "per la riparazione delle ingiustizie
nazionalsocialiste commesse nell'ambito del diritto penale", ed e' motivata
dal fatto che la sentenza della Corte del Reich ebbe motivi chiaramente
politici: quella Corte, infatti, aveva definito Jaegerstaetter "avversario
del nazionalsocialismo". La sentenza del 1997 non e' direttamente una
riabilitazione ne' un riconoscimento del diritto di Jaegerstaetter
all'obiezione di coscienza, ma e' l'annullamento di una condanna falsata
dalla volonta' tirannica del regime nazista.
Prima di conoscere il libro di Erna Putz scrissi un articolo su
Jaegerstaetter, in base alle conoscenze che ne avevo, del quale mi permetto
di riprendere la conclusione: "Passano tutti gli Hitler, ma i testimoni
della pace continuano a precedere il nostro cammino e ad indicarci la
strada. I potenti d'un momento, che terrorizzano tanti, sono la faccia buia
della storia, sono la mano della morte, e passano. Le coscienze illuminate,
anche se solitarie e incomprese, come Franz Jaegerstaetter, rimangono,
crescono col tempo, illuminano il cammino di chi li segue, sono piu' forti
perche' piu' vive. Franz Jaegerstaetter e' piu' forte di Hitler".
*
Colgo l'occasione per segnalare:
- Alfons Riedl, Josef Schwabeneder (Hg), Franz Jaegerstaetter - Christlicher
Glaube und politisches Gewissen [Fede cristiana e coscienza politica],
Verlag Taur, 1997.
- videocassetta Franz Jaegerstaetter: un contadino contro Hitler, (27
minuti, in vhs) prodotta dall'Associazione Franz Jaegerstaetter, via Endrici
27, 38100 Trento (tel. 0461233777, oppure 810441).
- Il capitolo Un nemico dello Stato (pp. 76-86), in Thomas Merton, Fede e
violenza, prefazione di Ernesto Balducci, Morcelliana, Brescia 1965.
- Una bella nota di Paolo Giuntella in "Adista", n. 11, 13 febbraio 1993,
pp. 9-10.

2. RIFLESSIONE. ROSSANA ROSSANDA: UN MORTO AL GIORNO
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 5 agosto 2003. Rossana Rossanda e' nata a
Pola nel 1924, allieva del filosofo Antonio Banfi, antifascista, dirigente
del Pci (fino alla radiazione nel 1969 per aver dato vita alla rivista "Il
Manifesto" su posizioni di sinistra), in rapporto con le figure piu' vive
della cultura contemporanea, fondatrice del "Manifesto" (rivista prima, poi
quotidiano) su cui tuttora scrive. Impegnata da sempre nei movimenti,
interviene costantemente sugli eventi di piu' drammatica attualita' e sui
temi politici, culturali, morali piu' urgenti. Opere di Rossana Rossanda: Le
altre, Bompiani, Milano 1979; Un viaggio inutile, o della politica come
educazione sentimentale, Bompiani, Milano 1981; Anche per me. Donna,
persona, memoria, dal 1973 al 1986, Feltrinelli, Milano 1987; con Pietro
Ingrao et alii, Appuntamenti di fine secolo, Manifestolibri, Roma 1995; con
Filippo Gentiloni, La vita breve. Morte, resurrezione, immortalita',
Pratiche, Parma 1996; Note a margine, Bollati Boringhieri, Torino 1996. Ma
la maggior parte del lavoro intellettuale, della testimonianza storica e
morale, e della riflessione e proposta culturale e politica di Rossana
Rossanda e' tuttora dispersa in articoli, saggi e interventi pubblicati in
giornali e riviste]
Un morto al giorno fra i soldati americani in Iraq.
O e' una guerriglia organizzata o e' un'insistente diffusa collera
popolare - e non e' detto quale delle due ipotesi sia per gli invasori piu'
funesta. Certo non se ne vede la fine. E' stato meno che scarso il giubilo
che sarebbe dovuto seguire alla liberazione, neanche Bremer riesce a formare
un governo e un'amministrazione, si saccheggia, compra e vende tutto e di
tutto, i boys sono sottoposti a temperature meteorologiche e politiche
insopportabili, la sola autorita' e' quella degli imam, divisi fra sciiti e
sunniti, e in essa allignano quelle identita' di "bricolage", come dice
Khaled Fuad Allam, che sono alla base delle guerre sante e dei
fondamentalismi. E quanto resti del partito Baath, le cui milizie parevano
essersi sciolte sotto l'attacco dell'esercito degli Stati Uniti e della Gran
Bretagna, non e' chiaro.
Sicuramente non e' un dopoguerra. E' una guerra permanente di bassa
intensita', come in Cecenia. E forse senza leader noti, anche se Bush mette
ricompense favolose per chi gli consegnera' Saddam Hussein - come e' gia'
successo a colui che ha denunciato i suoi figli, salvo venir giustiziato dai
suoi dopo - per esporne il corpo e far vedere che dunque la guerra e' vinta.
Ma non era gia' vinta?
E chi dice che con la morte di Saddam cesserebbero le quotidiane sparatorie?
E come avviene che un paese che aveva buoni motivi per abominarlo, oggi
sembra abominare di piu' l'Occidente?
Bel risultato della nostra civilta'. Lo aveva previsto soltanto il
pacifismo, che non e' semplicemente un movimento nonviolento, ma il solo in
grado di fare un'analisi corretta della situazione e della natura
controproducente di un attacco esterno su un mondo come quello islamico
sconvolto dalla modernizzazione e fracassato nelle sue identita'. E la
guerra ne ricompone oggi una elementare, vendicativa, in una spirale senza
fine.
*
Se politica significa conoscenza dei fatti e previsione degli sviluppi, Bush
e Blair si sono dimostrati politicamente nulli. Non gli resta che la forza
militare, agitando la quale procedono a tentoni, minacciando ora questo ora
quello, ora l'Iran, ora la Siria, ora qualcuno in Arabia Saudita, incapaci
di imporre anche il loro proprio ordine. Agitano lo spettro di Al Qaeda e lo
evocano.
E' sconcertante il silenzio e l'assenza di ogni iniziativa europea. I nostri
leader continentali, quando non si muovono come valletti di Bush, che e' il
caso dell'Italia e della Gran Bretagna, non hanno ne' idee ne' parole.
Eppure il Medioriente e' nostro vicino, abbiamo secolari motivi per
conoscere quell'antica civilta' con cui abbiamo conflitto ma ci siamo anche
intrecciati. E per dubitare che si possa umiliarla e zittirla all'infinita
tenendosene il petrolio, come delirano gli ideologi prossimi alla Casa
bianca. Peggio, se l'Europa parla e' per offrire i suoi soldati a una
pacificazione e ricostruzione che sono di la' da venire, malamente coperti
dall'Onu.
Ha perfino smesso di attaccare le menzogne utilizzate da Stati Uniti e Gran
Bretagna sulla necessita' della guerra: se mai esse sono state inutili,
perche' la guerra si poteva fare lo stesso, leggiamo nelle nostre piu'
importanti gazzette. Saddam Hussein era un tiranno, e' stato un bene
abbatterlo, e bisogna augurarsi che gli americani ci riescano, perche' fra
un gangster democratico e uno coranico e' meglio il primo. E questo sarebbe
un ragionamento.
*
Se i popoli, quello americano in testa, fossero altro che una congerie di
consumatori, manderebbero a casa i loro dirigenti e cambierebbero linea di
180 gradi. Se avessero a cuore la democrazia dove non c'e', se ne
occuperebbero come si fa con una fragile pianta, che va annaffiata invece
che prenderla a fucilate.
Nessuno ha allargato le radici dell'odio, in perfetto parallelismo con gli
attentati dell'11 settembre, quanto il documento che e' seguito sulla new
strategy americana: aumentare un potenziale militare cui nessun esercito
regolare potrebbe far fronte, fa apparire il terrorismo come solo ricorso,
non vincente ma capace di ferire a lungo. E di esso nessuno riuscira' ad
aver ragione finche' ne rimangono le cause e qualcuno e' disposto a metterci
la vita; non occorrono ne' grandi mezzi ne' grandi numeri. Bush ha atomiche
di varie dimensioni e flessibilita' e il Medio oriente ha avuto e avra' i
suoi terroristi.
Lo scontro di civilta' non c'entra. C'entra un Occidente che e' o invasore o
assente, cui sfuggono velenosamente di mano tutti i problemi del nuovo
millennio.

3. RIFLESSIONE. RICCARDO ORIOLES: LIBERTA' D'INFORMAZIONE E LOTTA ALLA MAFIA
[Dalla rivista elettronica di Riccardo Orioles (per contatti:
riccardoorioles at libero.it), "Tanto per abbaiare",  n. 190 del 4 agosto 2003,
riportiamo i seguenti paragrafi. Riccardo Orioles e' giornalista eccellente
ed esempio pressoche' unico di rigore morale e intellettuale (e quindi di
limpido impegno civile); militante antimafia tra i piu' lucidi e coraggiosi,
ha preso parte con Pippo Fava all'esperienza de "I Siciliani", poi e' stato
tra i fondatori del settimanale "Avvenimenti"; ha formato al giornalismo
d'inchiesta e d'impegno civile moltissimi giovani. Per gli utenti della rete
telematica vi e' la possibilita' di leggere una raccolta dei suoi scritti
(curata dallo stesso autore) nel libro elettronico Allonsanfan. Storie di
un'altra sinistra. Sempre in rete e' possibile leggere una sua raccolta di
traduzioni di lirici greci, ed altri suoi lavori di analisi (e lotta)
politica e culturale, giornalistici e letterari. Due ampi profili di
Riccardo Orioles sono in due libri di Nando Dalla Chiesa, Storie (Einaudi,
Torino 1990), e Storie eretiche di cittadini perbene (Einaudi, Torino 1999)]
... Per quanto personalmente mi riguarda - sono un giornalista, e sono
siciliano - i miei interessi hanno a che fare con la liberta' d'informazione
e la lotta alla mafia. In entrambi i settori, mi sento minacciato dalla
destra ma non garantito dal centrosinistra senza trattino.
Io, per esempio, non credo che la Rai debba essere fatta a pezzi e
privatizzata. Non credo in un'informazione completamente in pugno agli
imprenditori. Certo, con un imprenditore solo la situazione e' peggiore che
se ce ne fossero due o tre: ma i due o tre, quando ci fossero, non
tarderebbero a mettersi d'accordo sui punti essenziali, esattamente come
hanno fatto quelli delle assicurazioni, dei telefoni e gli altri "liberi
concorrenti". Su questo, non mi fido di Prodi (o D'Alema). Sono pronto a
fare dei compromessi con loro (oligarchia) per non far vincere Berlusconi
(tirannide), ma senza abbandonare la mia idea (democrazia).
Non parliamo poi dell'antimafia. Qua, Fassino ha appena finito di mandare un
messaggio di solidarieta' al suo esponente siciliano sorpreso a trattare
appalti con i mafiosi. Fassino sara' un galantuomo, ma il suo messaggio in
Sicilia verra' pagato in vite umane. Se il leader dell'opposizione, di
fatto, dichiara di non considerare importante la questione dei poteri
mafiosi, e' evidente che questi ultimi andranno avanti e non indietro. E io
non me lo posso permettere, perche' sono siciliano. Il centrosinistra potra'
essermi utile contro i mafiosi con coppola e lupara: ma quelli imprenditori
e politici, a quanto pare, me li dovro' combattere da solo. E sta bene:
uniti nel primo caso, ognuno per se' nel secondo...
*
Per gli appalti all'ospedale Garibaldi di Catania, condannati una serie di
politici e manager fra cui Giuseppe Castiglione e Giuseppe Ursino.
Quest'ultimo, che e' il principale manager dell'editore catanese Ciancio,
organizzava le riunioni della commissione incaricata di valutare gli appalti
direttamente nello studio del suo principale. Che ogni tanto s'affacciava:
"mi raccomando, lavorate bene!".
*
Per altri appalti, la settimana scorsa, arrestati ventisette fra
imprenditori e politici in tutta la Sicilia. Uno di loro era in diretto
contatto col clan Santapaola e con le famiglie mafiose di Barcellona Pozzo
di Gotto. Queste ultime, coinvolte dieci anni fa nell'assassinio del
giornalista Beppe Alfano, lo erano anche negli appalti delle ferrovie (cfr.
www.terrelibere.it) che l'anno scorso indirettamente causarono il disastro
ferroviario a Rometta. Il messinese, una volta "provincia babba", edesso e'
quasi interamente dominato da Cosa Nostra.
Nelle poche zone ancora "libere", la mafia s'inserisce acquisendo attivita'
economiche e organizzando attentati: l'ultimo, alla Legambiente a Milazzo.
In Sicilia, l'87 per cento degli appalti viene ancora aggiudicato con
ribassi inferiori all'uno per cento, come ai tempi di Ciancimino. La gara al
ribasso non si verifica quasi mai, o per intimidazione o per intrallazzo.
*
A Palermo, al processo Dell'Utri, il pentito Salvatore Contorno (uno di
quelli "storici", utilizzato da Falcone), dichiara quanto segue: "Avendo
paura, non ho mai fatto alcuna dichiarazione sugli onorevoli Andreotti e
Berlusconi. La vita me la guardo io perche' non mi protegge nessuno".
*
Ad Agrigento, l'ex sindaco Sodano rinviato a giudizio per una villa abusiva,
in piena zona dei templi, intestata alla vecchia suocera. Gli ecologisti, a
suo tempo, sollevarono una battaglia contro l'abusivismo, guidati dal
diessino Giuseppe Arnone: Arnone fu trombato alle elezioni, e Sodano prese
una valanga di voti.
*
A Roma, l'ex comunista Giuliano Ferrara intervista, su un giornale di
Berlusconi, il diessino Vladimiro Crisafulli appena incriminato per aver
concordato appalti coi mafiosi. Il politico rivendica con orgoglio: "Gli
appalti non sono farina del diavolo, sono materia della politica e io sono
qui per convogliare finanziamenti". Il giornalista lo giustifica con
entusiasmo: un politico siciliano non puo' fare a meno di trattare dai
mafiosi.
*
A Palermo, il presidente della Regione Cuffaro, sotto inchiesta per concorso
esterno in associazione mafiosa, esercita ancora regolarmente le sue
funzioni (di presidente; di associato mafioso, non si sa). A Bronte, il
sindaco Salvatore Leanza, inquisito per vari e gravi reati gia' nel '93,
partecipa regolarmente ai comizi elettorali del centrosinistra. A Messina il
sindaco, condannato per peculato, non e' stato sospeso dalla carica - come
la legge prevederebbe - dal prefetto. A Palermo, il Crisafulli di cui
dicevamo sopra non e' stato espulso ma si e' semplicemente "autosospeso" dal
partito. A Palermo i dirigenti regionali diessini, riunitisi, esprimono una
condanna durissima verso il loro collega traditore - grazie soprattutto
all'intervento di Claudio Fava: "Ricordiamoci di Pio La Torre!" - e
annunciano una conferenza nazionale sulla questione morale, di cui adesso
riconoscono l'esistenza. Restano tuttavia isolati dai vertici del partito,
il cui segretario nazionale - che non e' Berlinguer - solidarizza con
Crisafulli.
*
Questa e' una settimana qualunque in Sicilia, una settimana normale.
Nel 1978, secondo la sentenza dei giudici di Palermo, il senatore Giulio
Andreotti aveva regolari rapporti coi vertici della vecchia mafia siciliana.
Un capo della vecchia mafia era Spatola, che fece assassinare il giudice
Costa, il primo ad incriminare i trafficanti di droga. Un altro capo era don
"Tano" Badalamenti, quello che fece ammazzare il nostro compagno Peppino
Impastato. Peppino diceva che la mafia e' appoggiata o almeno tollerata
dagli imprenditori siciliani e dal governo nazionale. I giudici, con la
sentenza che accertava i legami mafiosi di Andreotti, gli hanno dato
pienamente ragione. Venticinque anni dopo, la questione della mafia e'
ancora la piu' importante, e la piu' rimossa, di tutta la politica italiana.
Venticinque anni dopo, Peppino ha ancora ragione.
*
... Ha scritto Nando dalla Chiesa "Un uomo della Democrazia Cristiana per
eccellenza ha avuto un incontro con i capi di Cosa Nostra prima
dell'assassinio di Piersanti Mattarella, presidente della Regione Sicilia e
uomo di spicco del suo stesso partito. Ha poi avuto un incontro dopo il suo
assassinio. E nulla ha detto, su nulla ha avvisato, nessuno ha denunciato.
Dunque colui che avrebbe dovuto spronare piu' di ogni altro gli uomini dello
Stato a investigare e sapere sapeva e ha taciuto. Tutto cio' puo' essere
caduto giudiziariamente in prescrizione, ma politicamente, moralmente pesa
come un macigno. Il giudizio storico su Giulio Andreotti, sulla sua funzione
nella DC, sul suo ruolo di uomo di Stato, non puo', non potra' prescindere
da questa agghiacciante verita'. La quale ne trascina - sotto il profilo
stringente della logica - molte altre: quel che fece Cosa Nostra negli anni
immediatamente prima e immediatamente dopo".

4. RIFLESSIONE. IDA DOMINIJANNI: LA COMPASSIONE DEGRADATA
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 5 agosto 2003. Ida Dominijanni (per
contatti:  idomini at ilmanifesto.it) e' una prestigiosa intellettuale
femminista]
Tornano le minacce di Al Quaeda, torna l'allarme attentati, livello giallo,
nei cieli statunitensi e occidentali, tornano paure motivate e paranoie
irrazionali, torna la retorica fondamentalista islamica contro il "grande
Satana" americano e torna la retorica missionaria americana contro gli
infedeli islamici. Manca poco piu' di un mese al secondo anniversario
dell'11 settembre e il linguaggio del terrorismo e dell'antiterrorismo e'
sempre piu' avvitato su se stesso e sempre piu' virtuale, da una parte e
dall'altra come in uno specchio. Distinguere fra minacce "reali" e allarme
immaginario non si puo' ed e' insensato cercare di farlo: come scrive il
"Guardian" di ieri, la paura dell'attacco, piu' che l'attacco vero, e'
l'arma piu' potente in mano ai terroristi; ma e' anche l'arma piu' potente
in mano all'amministrazione americana per perseverare nella sua strategia di
guerra antiterroristica, che, come dimostra il medesimo riattivarsi del
circuito dell'allarme, fallisce il suo obiettivo.
La rivelazione dell'ultimo "Newsweek", per cui l'allarme attentati sarebbe
scattato sulla base della scoperta, in alcuni nascondigli di Al Quaeda, di
macchine fotografiche e microimpianti hi-fi modificati per veicolare
microarmi, riporta gli interrogativi al punto di partenza: si possono usare
le bombe e gli eserciti contro i taglierini usati come armi di distruzione
di massa, mentendo a tutto il mondo sulle presunte armi di distruzione di
massa del regime iracheno? Non si puo', e se si fa non serve. Circolo
ripetitivo desolante, se non si ha la forza di spingere lo sguardo sotto e
dietro questo scenario ufficiale, alla ricerca di altri modi
dell'elaborazione del sintomo del terrorismo e della risposta al terrorismo.
L'ultimo numero della rivista "Iride" pubblica un bell'articolo della
filosofa americana Martha Nussbaum, che associando le immagini dell'11
settembre a quelle di Troia in fiamme si interroga sulla necessita', la
forza e le ambiguita' della compassione: ovvero su quel sentimento che
sempre ci prende di fronte alle vittime, ma non sempre, come sarebbe dovuto,
nella stessa misura, perche' e' piu' facile mettersi nei panni di un
prossimo simile a noi che di uno diverso, piangere le vittime delle Torri
gemelle che quelle del genocidio in Ruanda, accorgersi delle donne afghane
quando entrano a far parte della legittimazione della guerra antitalebana
che quando ne parlavano le femministe; o al contrario, talvolta puo' essere
piu' facile capire le ragioni di un estraneo che quelle di un fratello o di
una sorella. Gli americani, scrive Nussbaum, dopo l'11 settembre hanno
"nazionalizzato" la compassione: invece che elaborare quell'evento come un
sintomo della fragilita' umana l'hanno introiettato come un avviso della
fragilita' americana. Si' che "una compassione angusta, incapace di
includere cio' che e' distante", e' diventata anche una compassione
"polarizzante", usata per dividere il mondo in "noi" e "loro". E come sui
campi di hockey, dove imperversa il coro U-S-A, U-S-A, non si puo' avere
compassione per un giocatore dell'altra squadra.
Ma chi impara a intonare quel coro con tutto il suo investimento libidico, e
perche'? Qui soccorre la linea di scorrimento fra pubblico e privato, che
Nussbaum va a rintracciare, sulla scorta di una fine psicoanalista come
Nancy Chodorow, nel "narcisismo patologico" dei giovani maschi americani,
malati di analfabetismo emotivo e educati al mito del controllo,
dell'autosufficienza, del danaro e dello status; nelle storie di bambini
pronti a umiliare i loro compagni di scuola perche' non fanno le settimane
bianche o non vestono firmato. Da qui a gerarchizzare la compassione in base
alla razza e alla nazionalita' ci vuol poco. E ci vuol poco a distorcere per
sempre il senso di una tragedia collettiva: "L'esperienza del terrore e del
dolore per le nostre torri puo' essere proprio questo, un'esperienza di
terrore e di dolore per le nostre torri. Un gradino piu' in basso, puo'
essere lo stimolo per una rabbia cieca e aggressiva contro tutte le squadre
di hockey avversarie e i cattivi arbitri del mondo".

5. LIBRI. UN LIBRO SULL'ACCOMPAGNAMENTO INTERNAZIONALE PER PROTEGGERE GLI
ATTIVISTI DEI DIRITTI UMANI
[Da "Peace Brigades International" (per contatti: pbi.to at inrete.it)
riceviamo e diffondiamo]
Da settembre sara' disponibile la ristampa del libro "Unarmed Bodygard -
International Accompaniment for the Protection of Human Right" di Liam
Mahony e Luis Enrique Eguren, edizioni Kumarian Press.
Per anni l'accompagnamento internazionale e' stato implementato con successo
come strumento per proteggere gli attivisti dei diritti umani minacciati in
tutto il mondo.
In questo libro, Mahony ed Eguren presentano degli esempi tratti
dall'America Latina (Guatemala, El Salvador, Haiti e Colombia) e dallo Sri
Lanka.
Focalizzando l'attenzione sui primi eventi in Guatemala e sul ruolo di
"Peace Brigades International", e fornendo informazioni comparative sulle
modalita' di lavoro utilizzate negli ultimi anni, gli autori raccontano con
efficacia una storia reale della moderna costituzione di questo nuovo
strumento nella protezione dei diritti umani.
Le interviste a coloro che sono direttamente coinvolti negli accompagnamenti
internazionali forniscono una prezioso approfondimento man mano che il
lettore acquisisce maggiore comprensione di cio' che davvero e'
l'accompagnamento internazionale.
E' possibile acquistare il libro presso la segreteria di "Peace Brigades
International" facendo pervenire il proprio ordine dal primo settembre 2003.
Costo: 26 euro + spese di spedizione.
Per informazioni e richieste: segreteria di "Peace Brigades International -
Italia", strada della Luigina 41, 10023 Chieri (To), tel.39-349-3186494,
e-mail: pbi.to at inrete.it

6. LIBRI. OTTAVIO DI GRAZIA PRESENTA "PRIMA CHE L'AMORE FINISCA" DI RANIERO
LA VALLE
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 7 agosto 2003. Ottavio Di Grazia e'
docente di storia delle religioni all'Istituto suor Orsola Benincasa,
Universita' di Napoli, e di storia della diaspora ebraica all'Universita' di
Trieste. Raniero La Valle e' nato a Roma nel 1931, prestigioso
intellettuale, giornalista, gia' direttore de "L'avvenire d'Italia",
direttore di Vasti - scuola di critica delle antropologie, presidente del
comitato per la democrazia internazionale, gia' parlamentare, e' una delle
figure piu' vive della cultura della pace; autore, fra l'altro, di: Dalla
parte di Abele, Mondadori, Milano 1971; Fuori dal campo, Mondadori, Milano
1978; (con Linda Bimbi), Marianella e i suoi fratelli, Feltrinelli, Milano
1983; Pacem in terris, l'enciclica della liberazione, Edizioni Cultura della
Pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1987; Prima che l'amore finisca, Ponte
alle grazie, Milano 2003]
L'ultimo libro di Raniero La Valle - Prima che l'amore finisca. Testimoni
per un'altra Storia possibile, Ponte alle Grazie, pp. 348, euro 16 - nasce
da dentro. Intendo da emozioni, da un sentimento della vita, dal rigore
morale, da incontri che hanno segnato non solo la sua vita privata. Anzi che
nascono proprio nel punto in cui quella vita privata - non una semplice
autobiografia - ha incrociato la vita pubblica, spazio in cui si annodano
faticosamente i tanti fili di una riflessione serrata sul nostro tempo; in
cui si intrecciano i momenti salienti del Novecento attraverso una galleria
di ritratti di protagonisti e testimoni, biografie ed eventi cruciali della
nostra storia piu' o meno recente. Questo libro, dunque, non e' solo il
racconto della vita di Raniero La Valle "ma di come essa sia stata
attraversata dagli altri". E' un libro che parlando di "altri" puo' essere
letto anche come la storia di ciascuno di noi.
"Raccontare il Novecento" potrebbe essere ancora un altro titolo per questo
denso e bellissimo libro. Un altro perche' ne ha gia' due, come due sono i
titoli che accompagnano ciascun capitolo quasi a rappresentare la fitta
trama di un lungo romanzo che presenta due livelli di lettura. La prima e'
quella che si confronta con personaggi ed eventi del Novecento. La seconda
cerca piuttosto di esprimere un sentimento della vita e del mondo che si e'
sedimentato nel tempo e che e' il frutto di questi stessi incontri e di cio'
che gli eventi grandi e piccoli del Novecento hanno suscitato nell'autore.
Una lunga storia che intende porsi come un "antidoto contro la cultura della
disperazione, contro l'idea che la storia non abbia senso alcuno, che
l'umanita' venga dal nulla e non vada in nessun luogo". Personaggi ed eventi
che testimoniano appunto di "un'altra storia" che intende fronteggiare i
rischi di quell'approdo nichilistico che sarebbe secondo alcuni "la piu'
bella conquista dell'Occidente". In realta' tutto lascia supporre che siamo
dentro questa deriva. Eppure da questi ritratti, da queste storie emerge la
forza di una passione che ha saputo testimoniare una tenace resistenza
contro ogni forma di resa: "prima che l'amore finisca". Prima, cioe', di
essere sommersi dall'insignificanza, dal frastuono della vuota chiacchiera,
dalla violenza inaudita che si esprime attraverso il trionfo della tecnica,
della guerra come metodo di soluzione dei conflitti, del disprezzo del
diritto, della assoluta precarieta' legata ai processi di globalizzazione e
alle trasformazioni sociali, politiche ed economiche, del lungo tramonto
della politica moderna. Un tragico percorso in cui i caratteri fondativi
della politica della modernita' non stanno piu' insieme. Accanto a questi
effetti (e non sono gli unici) si registra un crescente spaesamento, una
agghiacciante solitudine, uno spettacolo di ostentata desolazione.
Quest'ultimo libro di La Valle va letto come se si ascoltasse un racconto e
ascoltandolo trovarvi le risposte alle domande che tutti ci poniamo. Uno
sguardo - quello di La Valle - che presuppone un amore per il tempo e la
storia. Tempo e storia fatti di uomini e donne, con nome e cognome; volti
incatturabili che si stagliano imperiosi sulle macerie del Novecento. Tempo
e storia che si fanno memoria. Memoria che custodisce una debole speranza
messianica che diventa cura e amore nel quadro di un presente trasformato in
una soffocante macchina che produce solitudine e ingiustizia.
Ritratti ed eventi si intrecciano. Si comincia con il toccante ritratto
della madre Mercedes testimone di cio' che puo' significare l'incontro tra
culture. Una donna che sognava una "citta'" umana, amabile, fraterna e un
mondo senza identita' chiuse, arroganti nemiche. Una donna che sognava
incontri, rapporti, scambi. Una donna che ha lasciato una "eredita' di
amore". Si prosegue con la figura di Padre Benedetto Calati, monaco
camaldolese, testimone di una chiesa lontana dai trionfalismi mediatici,
fatta di potenza spirituale e di raccoglimento. Un uomo capace di dialogare
e per il quale la Parola di Dio era "Sacramento di amicizia". Un uomo che si
nutriva di Parola e di parole, di musica e di arte. Un uomo che sperimentava
il mistero dell'amore divino nel dialogo e nella capacita' di ascolto. Amico
di Rossana Rossanda e di Mario Tronti, e di tutta una generazione di
comunisti e di comunisti-cristiani (da Felice Balbo e Franco Rodano), Padre
Benedetto era convinto che la verita' abitasse tutti gli uomini e le donne,
senza presunzione e senza esibiti regimi di verita'. Su questa scia l'altro
ritratto del cardinale Lercaro, vescovo di Bologna in anni cruciali della
nostra storia. Fu una delle guide della maggioranza favorevole alla svolta
del Concilio Vaticano II voluto da papa Giovanni. Anche lui uomo del dialogo
e strenuo difensore della pace. Come papa Giovanni, un gigante del
Novecento.
Le storie di La Valle si intrecciano con le storie bibliche, con i momenti
drammatici di un secolo che ha conosciuto inaudite violenze, di fronte alle
quali nessun linguaggio puo' essere adatto. Eppure, si fanno strada, nel
libro di La Valle, immagini di un secolo che non e' stato solo tragedia,
distruzione, totalitarismo e morte. Vi sono pagine che raccontano di
speranze, di passioni civili e politiche come quelle dedicate al senatore,
pastore valdese Tullio Vinay, la cui vicenda politica puo' essere riassunta
nel titolo del capitolo a lui dedicato: "l'amore come problema politico".
E che dire del ritratto di Enrico Berlinguer, che rimanda a una stagione
ancora da studiare compiutamente, ma che poneva all'ordine del giorno una
visione dell'agire politico nutrito da un ampio respiro etico.
La Valle non sfugge al dovere di descrivere con lucidita' pagine amare della
storia del nostro paese (il caso Moro, la stagione del terrorismo, le
complicita', i silenzi) cosi' come non elude i nodi decisivi della storia
internazionale. Una storia riletta alla luce di "un'altra storia possibile".
La storia degli ultimi, la storia della poverta', la storia di figure
cruciali che hanno testimoniato in altri contesti la possibilita' della
speranza. Marianella Garcia Villas, presidente della Commissione dei diritti
umani del Salvador su tutti. La galleria dei ritratti si arricchisce di
figure come Carretto, Italo Mancini, Claudio Napoleoni, Dossetti, Turoldo,
Balducci, Tonino Bello, Di Liegro, Garavini,Taubes, Illich, per finire con
personaggi meno noti come Giuliana e Wael Zuaiter. L'ultima parola e'
dedicata alla compagna di una vita: Cettina.
Gia' soltanto a scorrere i nomi (forse per i piu' giovani molti di essi non
dicono nulla), sicuramente tra i protagonisti del dibattito culturale e
politico non solo italiano, non si fa fatica a cogliere la complessita' dei
temi trattati da La Valle. Della ricostruzione di pagine fondamentali della
nostra storia.
Esemplari le pagine dedicate al conflitto israeliano-palestinese cosi' come
il tentativo di leggere le categorie apocalittiche sulla scia della piu'
grande tradizione di studiosi ebrei: da Scholem a Taubes, il grande studioso
e rabbino tedesco autore di una delle piu' originali e vertiginose letture
della teologia di San Paolo.
La Valle mostra, attraverso questa serie di ritratti e descrizioni di
eventi, che nonostante il nostro essere gettati tra un'aurora che "abbiamo
vissuto e una notte che ci e' piombata addosso", nonostante lo scialo di
effimere apocalissi teorizzate dai filosofi della fine della storia e
incarnate, per esempio, dall'amministrazione Bush, c'e' la speranza di una
irruzione messianica che sappia ancora dire l'inaudita bellezza di ogni
inizio. Speranza messianica che si costruisce sull'impegno e la decisione di
ciascuno di noi.

7. LIBRI. DANIELA PADOAN PRESENTA "UN MONDO DI DONNE" A CURA DI LUISE F.
PUSCH E SUSANNE GRETTER
[Dal quotidiano "Il manifesto dell'8 agosto 2003. Daniela Padoan e'
un'apprezzata giornalista, traduttrice, saggista, operatrice culturale]
Karen Blixen, nella Mia Africa, racconta una storia che le veniva narrata da
bambina: una notte, un uomo che viveva nei pressi di uno stagno viene
risvegliato da un terribile  fragore: e' l'argine che sta cedendo. Si
precipita a tappare la falla correndo di qua e di la' e, quando ha finito,
se ne torna a letto. Al mattino, affacciandosi alla finestra, vede che i
suoi passi disordinati hanno creato sul terreno il disegno di una cicogna.
"Quando il disegno della mia vita sara' completo, vedro', o altri vedranno,
una cicogna?" si chiede Blixen.
Proprio la traccia biografica che si fa figura e' la giocosa invenzione di
Un mondo di donne: trecento ritratti celebri (Pratiche editrice, pp. 381, 21
euro), raccolta di brevi schede biografiche che non vogliono racchiudere, ma
solo disegnare vite di donne, per un verso o per l'altro, depositarie di un
segno del proprio percorso. Sfogliando il libro subito ci si spalanca un
mondo di donne che appaiono - nelle fotografie e nei ritratti di ogni
pagina - belle, un po' folli, volitive o stravaganti, corrucciate o
sorridenti, mai ingessate in un ruolo sovrapposto alla vita,
provvidenzialmente diverse dagli "uomini importanti", impennacchiati,
bardati nelle divise che ne dicono il potere, che Virginia Woolf, nelle Tre
ghinee, ci fa intravedere dagli scorci dei tribunali, delle chiese, di tutti
i luoghi delle istituzioni.
Si incontra il volto intenso di Gertrude Stein, la bellezza ombrosa di Tina
Modotti, l'eleganza affilata di Clarice Lispector, il sorriso appartato di
Ingeborg Bachmann. Si riconoscono volti amati, si scrutano volti
sconosciuti. Senza rendersene conto si e' presi nel gioco: perche' manca
proprio Karen Blixen? come mai non c'e' Hannah Arendt? Un esercizio
virtualmente infinito perche' questo libro - pur potendo contenere tutte le
donne - non si cura affatto di essere esaustivo, non ha nessuna pretesa di
completezza, non ha alcuna mira enciclopedica; e' evidente, anzi, che l'idea
maschile dell'opera volta a contenere il tutto, l'universale, e' rigettata
alle radici. I ritratti che lo compongono sono assolutamente parziali e
disomogenei e a volte dicono solo di sfuggita i fatti essenziali, per
concentrarsi su un unico punto sul quale l'autrice getta un arbitrario
fascio di luce: perche' quella e' la cosa che le interessa, quello e' il
disegno che ha visto e vuole farci vedere.
Capita cosi' che nel profilo di Ingeborg Bachman l'autrice scelga di citare
una sola frase per lei significativa del pensiero della scrittrice
austriaca: "il fascismo inizia nel rapporto tra esseri umani, il fascismo e'
la prima cosa che si manifesta nel rapporto tra un uomo e una donna". Basta
compulsare la stessa voce su una qualsiasi enciclopedia letteraria per
godere dell'effetto comico della comparazione.
Un mondo di donne - nato in Germania da una serie di preziose agendine
tascabili che hanno riscosso grande successo e tradotto in italiano per
l'amorevole cura di Maria Gregorio - e' una sorta di albero genealogico
femminile che ci fa riconoscere l'autorita' di altre donne, ci fa amare il
disegno tracciato dalle loro esistenze, in un'apertura di liberta' e di
forza alimentata da quella "folla nel cuore" di cui parlava Emily Dickinson
in un verso della sua poesia omonima.
Leggiamo cosi' di Pearl Buck, scrittrice americana, vincitrice del Nobel per
la letteratura nel 1938, che dopo una vita intensa con due matrimoni e
l'adozione di otto bambini, si e' cimentata nella scultura, nella
cinematografia e nell'agricoltura, per iscriversi a settant'anni a un corso
di danza e iniziare una relazione amorosa con il suo insegnante di
quarant'anni piu' giovane.
Oppure, si apprende di Amalie Sieveking, una amburghese nata alla fine del
'700 che, essendosi resa conto, dalle relazioni dei medici, del destino di
quei bambini rachitici condannati a una parziale reclusione "perche' le
carrozzine hanno prezzi irraggiungibili per la povera gente", fa fabbricare
alcune carrozzine e paga un certo numero di disoccupati perche' portino a
spasso i bambini.
Un'altra figura notevole e' quella di Amalie Dietrich, giovane amburghese di
poveri natali: dopo avere sposato un farmacista che la introduce ai concetti
fondamentali della botanica, diventa una tra le piu' grandi naturaliste
tedesche. Amalie, ci racconta la scheda, pur avendo da poco dato alla luce
una figlia, "si separa da Wilhelm, che osserva con crescente perplessita'
l'accanimento con cui la moglie si dedica al lavoro, e affida la bambina in
custodia". Compra un carretto a mano a cui attacca un cane e va a cercare
esemplari di piante nelle Alpi salisburghesi, spesso dormendo all'addiaccio.
La sua vita ha una svolta quando un armatore di Amburgo, che progetta un
museo naturalistico ed etnografico dei mari del sud, la manda per dieci anni
in Australia con un incarico di ricerca. Amalie raccoglie e spedisce in
Germania casse e casse di esemplari di piante e insetti, alcuni dei quali
prendono il suo nome, come l'alga Sargassum Amalie e la vespa Odynerus
Dietrichianus. Nel 1873 torna in patria con due aquile che ha addomesticato,
"il viso solcato da mille rughe, quasi una pergamena su cui siano trascorsi
uragani" - scrivera" la figlia; che, per nulla risentita, ne stendera' la
biografia e le stara' al fianco fino alla morte.
"Le biografie non sono mai ideologiche" dice Maria Gregorio, "e leggendole
ci si ritrova dentro un immenso ventaglio di vite possibili. Questa
pluralita' mostra che non esiste un punto di vista femminile; esistono
invece le donne, ciascuna con il suo proprio modo d'essere". Non esistono
ne' letteratura, ne' arte, ne' architettura al femminile: esistono
scrittrici, artiste, architette che, nel momento in cui si prendono la
liberta' di pensare il mondo lo reinventano a partire dalla propria
esperienza di se', inducendo in noi che leggiamo la voglia di fare
altrettanto. 'Per questo riprendere le parole che un'altra ha gia' detto da'
senso al nostro essere donne e non uomini, e fa si' che non sia sempre
necessario, per ognuna e per ogni generazione, ricominciare tutto daccapo".

8. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

9. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it;
angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it

Numero 637 del 9 agosto 2003