La nonviolenza e' in cammino. 595



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 595 del 28 giugno 2003

Sommario di questo numero:
1. Seminario della Tavola della pace a Perugia
2. Osvaldo Caffianchi: ancora sulle dieci parole della nonviolenza in
cammino da Assisi a Gubbio
3. Francesca Pilla intervista Vandana Shiva
4. Luciano Capitini: sulla proposta di Lidia Menapace
5. Diego Cozzuol: sulla proposta di Lidia Menapace
6. Mario Di Marco: sulla proposta di Lidia Menapace
7. Gianfranco e Isa Monaca: sulla proposta di Lidia Menapace
8. Enrico Morganti: sulla proposta di Lidia Menapace
9. Giordano Remondi: sulla proposta di Lidia Menapace
10. Giovanni Sarubbi: sulla proposta di Lidia Menapace
11. Maria G. Di Rienzo: guerralingua
12. Rossana Rossanda: il nostro presidente
13. Roberto Burla: aperto il sito della Caritas diocesana di Viterbo
14. La "Carta" del Movimento Nonviolento
15. Per saperne di piu'

1. INCONTRI. SEMINARIO DELLA TAVOLA DELLA PACE A PERUGIA
Il XV seminario nazionale della Tavola della pace (il principale network
pacifista italiano) avra' per tema "L'Europa che vogliamo costruire", e si
terra' presso il Centro studi Villa Umbra (localita' Pila, Perugia) i giorni
28-29 giugno 2003.
Per ulteriori informazioni: tel. 0755736890, e-mail: info at perlapace.it,
sito: www.tavoladellapace.it

2. RIFLESSIONE. OSVALDO CAFFIANCHI: ANCORA SULLE DIECI PAROLE DELLA
NONVIOLENZA IN CAMMINO DA ASSISI A GUBBIO
[Si svolgera' dal 4 al 7 settembre 2003 la camminata da Assisi a Gubbio
promossa dal Movimento Nonviolento come prosecuzione della marcia
Perugia-Assisi per la nonviolenza che si tenne nel settembre 2000. In
preparazione di questa iniziativa, cui tutte le persone amiche della
nonviolenza sono chiamate a partecipare e contribuire (per informazioni,
contatti, adesioni: e-mail: azionenonviolenta at sis.it; sito:
www.nonviolenti.org), da alcuni mesi e' stato promosso un percorso di
riflessione articolato in "dieci parole della nonviolenza", proponendo ogni
mese una parola su cui riflettere. A questo percorso anche il nostro amico
Osvaldo Caffianchi ha voluto contribuire improvvisando questi versi]

1. Forza della verita'
Nell'afferrarsi alla verita'
e' l'unica speranza, nella lotta
con l'angelo si compie per l'intera
notte la prova, e trovi il vero nome.
*
2. Coscienza
La giovinetta Antigone per prima
seppe che viene l'ora in cui si deve
dire di no.
E' con quel no che sorge la coscienza
e' la coscienza che fa luce al mondo.
*
3. Amore
Come insegno' di Mantinea la donna
all'ateniese che sapeva l'arte
piu' necessaria, della levatrice,
l'amore e' cio' che unisce e cio' che salva
ti strappa su' dalla palude e t'alza
dove piu' pura e' l'aria e finalmente
possiamo respirare.
*
4. Festa
Non l'ordine chiuso, non le solenni
maschere del potere, non il passo
che come lama cade e calpesta.
Ma la danza, ma il volto ritrovato.
*
5. Sobrieta'
Non lasciare che a goccia a goccia
ti secchino il midollo i simulacri.
Nella misura e' l'unico segreto
cio' che tu sprechi ad altri manchera'
nel dissipare dissipi te stesso
vuol esser sobria la felicita'.
*
6. Giustizia
Rendere bene per male
avere misericordia
non cedere di un passo all'oppressione.
*
7. Liberazione
Di questo dolore che e' di tutti
lenire la piaga solo e' dato
se di tutti e per tutti e con tutti si sceglie
la parte, il cammino, l'amicizia.
*
8. Potere di tutti
Ascolta la voce dell'altro ed ascolta
con piu' grande attenzione il silenzio dell'altro.
Accogli la spina e la borraccia.
Non ci si libera da soli
non si compie da soli questo lungo viaggio.
E come un bozzolo, chi non si apre
perisce.
*
9. Bellezza
L'errore era nel credere che l'attimo
fuggente fosse bello. Era l'errore
nella fuga del tempo in fumo ed ombra.
Era nell'occhio invece la bellezza
era nel cuore, nel volto accarezzato.
E quella luce resta per sempre.
*
10. Persuasione
Io che sempre appartenni al partito
dei perplessi, che giusta il poeta
di Augusta, di Treviri l'esule ardito,
alle nobili idee sono uso
chiedere cosa celino invisibile
e che del sinolo di lancia e di scudo
sempre sentii la spina nel cuore,
pure volli viandante tra viandanti
incamminarmi con questi compagni
di pìeta' persuasi.

3. RIFLESSIONE. FRANCESCA PILLA INTERVISTA VANDANA SHIVA
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 25 giugno 2003. Francesca Pilla,
dottoressa in scienze poltiiche, scrive sul quotidiano "Il manifesto".
Vandana Shiva, scienziata e filosofa indiana, direttrice di importanti
istituti di ricerca e docente nelle istituzioni universitarie delle Nazioni
Unite, impegnata non solo come studiosa ma anche come militante nella difesa
dell'ambiente e delle culture native, e' oggi tra i principali punti di
riferimento dei movimenti ecologisti, femministi, di liberazione dei popoli,
di opposizione a modelli di sviluppo oppressivi e distruttivi, e di denuncia
di operazioni e programmi scientifico-industriali dagli esiti
pericolosissimi. Tra le opere di Vandana Shiva: Sopravvivere allo sviluppo,
Isedi, Torino 1990; Monocolture della mente, Bollati Boringhieri, Torino
1995; Biopirateria, Cuen, Napoli 1999, 2001; Vacche sacre e mucche pazze,
DeriveApprodi, Roma 2001; Terra madre, Utet, Torino 2002 (edizione riveduta
di Sopravvivere allo sviluppo); Il mondo sotto brevetto, Feltrinelli, Milano
2002. Le guerre dell'acqua, Feltrinelli, Milano 2003]
L'incontro con Vandana Shiva avviene in un'affollata universita' napoletana,
nella facolta' di scienze politiche della Federico II, circondata da
studenti, attivisti, donne, che la tempestano di domande.
Dopo il seminario organizzato dalla cooperativa "O' Pappece" sui temi della
globalizzazione e sulle forme di resistenza ai sistemi monopolisti, e' una
corsa per ascoltare ancora la fisica indiana che da oltre 15 anni si batte
per contrastare le multinazionali arrivate in India a sfruttare i terreni e
le comunita' locali.
Vandana Shiva ha fondato un'organizzazione, Navdanya, che raccoglie dieci
milioni di agricoltori indiani e che sostiene l'importanza della
biodiversita' per combattere l'introduzione della monocoltura e la
neocolonizzazione occidentale. Attualmente e' direttrice della "Fondazione
per la scienza, la tecnologia e l'ecologia" ed e' fra i membri del Third
world network, una rete internazionale di associazioni per lo sviluppo e le
relazioni Nord-Sud. Definita la "santona no global", ha sempre detto di
preferire l'espressione "pro local" a "no noglobal". Ma in un'accezione
atipica perche' "la dicotomia locale/universale - scrive nel volume
Sopravvivere allo sviluppo, Isedi - e' mal posta se applicata alle
tradizioni indigene e occidentali del sapere, perche' il sapere occidentale
e' una tradizione locale che si e' diffusa nel mondo attraverso la
colonizzazione intellettuale. L'universale si diffonde come sistema aperto.
Il locale globalizzato si diffonde invece con la violenza e l'inganno. Il
primo livello di violenza che si riversa sui saperi locali e' quello di non
riconoscerli come tali".
I suoi testi - molti dei quali pubblicati in Italia: Monocolture della
mente, Bollati Boringhieri; Biopirateria, Cuen; Vacche sacre e mucche pazze,
DeriveApprodi; Terra madre, Utet, edizione riveduta di Sopravvivere allo
sviluppo; Il mondo sotto brevetto, Feltrinelli; Le guerre dell'acqua,
Feltrinelli - hanno rappresentato e rappresentano una vera "didattica" per
il movimento no global. Sono testi dove Vandana Shiva pone l'accento
sull'ecologia sociale come metodo di resistenza e di costruzione di
alternative alle conseguenze di uno sviluppo fondato sulla distruzione
ambientale che induce i paesi poveri a sottoscrivere e applicare i programmi
di aggiustamento strutturale decisi dal Fondo monetario internazionale, che
comportano sempre drastici tagli al welfare state e una politica di
privatizzazione dei "beni comuni", come l'acqua, l'elettricita', i
trasporti, le risorse naturali.
Con i suoi vestiti colorati e un sorriso calmo, la "donna dell'Himalaya"
ascolta e risponde senza fretta, camminando nel centro storico napoletano.
Alla fine raggiungiamo un bar dove mediattivisti indipendenti e giornalisti
preparano le telecamere, i registratori, le penne e i blocchetti e anche in
questo caso vale il principio della condivisione.
- Francesca Pilla: Lei ha contribuito a sviluppare in India un'ampia
opposizione agli effetti della globalizzazione economica. Inoltre, ha spesso
sottolineato la necessita' di un'allenza con i gruppi di attivisti nel Nord
del pianeta. A che punto e' la tessituta della rete Nord-Sud?
- Vandana Shiva: Tutti vogliamo convertire i discorsi in pratiche d'azione.
Abbiamo pero' livelli e condizioni differenti. Questo non e' un problema,
bensi' una risorsa. Ritengo che ogni luogo abbia il suo specifico livello
d'interazione e discussione e non si devono imporre le proprie dinamiche di
discussione ad altri. Con queste premesse dobbiamo costruire una rete di
solidarieta' con il Sud e con i paesi dell'Est Europa unendo le energie,
condividendo le esperienze e rispettando le differenze. E' su questa strada
che gli attivisti occidentali devono combattere le proprie battaglie. Non si
tratta di un soccorso etico o morale, ma di un meccanismo fondamentale per
cambiare i giochi del potere. In questo momento, per esempio, i polacchi
stanno tentando di difendere le loro fattorie che presto saranno risucchiate
nelle logiche del mercato mondiale, ma i leaders politici di Varsavia fanno
accordi per consentire l'espropriazione da parte delle multinazionale
dell'agro-business. Una delle sfide del movimento dei movimenti e' riuscire
a unire le forze dei paesi dell'Est con quelli del Sud del mondo per
ribellarsi e difendere i propri spazi si autonomia.
- F. P.: Cosa vuol dire in concreto?
- V. S.: Certo non bastano gli appuntamenti internazionali, come possono
essere i forum sociali continentali. In Occidente, ad esempio, e' importante
modificare le azioni quotidiane, trasformandole in testimonianza politica.
Decidere cosa comprare o mangiare, come vestirsi o viaggiare per esempio
sono tutte azioni attraverso le quali si puo' fare politica e opposizione
alle multinazionali. Devo ammettere che molti si stanno muovendo in questa
direzione, ma non e' ancora abbastanza. Il cambiamento passa nel
decentramento e nella diversificazione, deve cioe' creare pluralismo
culturale e biologico in contrapposizione alla concezione di comunita'
fondata sulla fabbrica, produttrice di monocolture insostenibili in natura e
nella societa'. Difendere quello che hai e non consentirne la distruzione e'
un bisogno primario per ogni individuo. Ma ripeto: voi in Occidente dovete
riuscire a unirvi al Sud e all'Est dove il decentramento e la
diversificazione ancora esistono.
- F. P.: Certo e' un passaggio fondamentale, ma non cosi' scontato e
automatico...
- V. S.: In agricoltura il collegamento, il dialogo tra piccoli agricoltori
e' un principio essenziale per portare avanti qualsiasi battaglia. Ritengo
che questa sia la componente principale in ogni luogo: abbiamo bisogno che
sia cosi' anche in Europa. Vedi, l'uniformita' e la centralizzazione sono
alla base del degrado ecologico e sociale di tutto il pianeta. Un precesso
"degenerativo" che, invece di fermarsi, si sta diffondendo nei paesi in via
di sviluppo. Cosi' nel Sud, ma anche in Europa, invece di tendere alla
differenziazione ci si uniforma al modello industriale e agricolo
statunitense. La maggioranza dei cittadini europei non vuole un
appiattimento delle politiche nazionali sulle logiche della globalizzazione
economica. E tuttavia i governi europei costantemente disattendono le
aspettative di una migliore qualita' della vita con una politica che, mentre
induce a credere nella possibilita' di riforme sociali, propone
parallelamente l'asservimento delle comunita' locali alle grandi
multinazionali. Attualmente, coesistono due sistemi: la monocoltura
statunitense e i sottosistemi della diversita'. Molti studiosi, e io con
loro, sono convinti che il secondo modello sia piu' produttivo. L'Europa e'
seduta al centro, cosi' puo' ancora decidere di andare verso la diversita',
la democrazia, il rispetto delle differenze o, al contrario, verso la
monocoltura.
- F. P.: Nella prima settimana di luglio a Napoli si terra' il secondo
appuntamento dei gruppi e delle associazioni per costruire il Forum sociale
del Mediterraneo di Barcellona. Le difficolta' di riunire attorno a un
tavolo realta' cosi' diverse, come possono essere quelle italiane, libanesi,
tunisine, alegrine, spagnole appare enorme...
- V. S.: Ogni politica innovativa costruisce le proprie basi secondo le
condizioni di attuabilita' in un dato momento storico. Non penso che bisogna
essere disfattisti e insicuri in quello che organizziamo, ma guardare il
contesto e cogliere il potenziale. Ci sono dei problemi nel Mediterraneo
come ci sono in India. In ogni situazione esiste un potenziale, ma puo'
essere raccolto solo attraverso la nostra determinazione. Sono convinta che
in nessun luogo ci saranno mai le condizioni ideali per coinvolgere le
comunita'. Dipende molto da noi. Finche' le persone saranno creative e
solidali, pronte a condividere le esperienze, potranno provocare uno piccolo
cambiamento. Ma poi sappiamo che i piccoli cambiamenti possono crescere,
irrobustirsi, germineranno e i nuovi germogli inizieranno a fiorire. La
transizione alimenta cioe' se stessa. Per troppo tempo in politica si e'
adottata una parola che non posso sopportare: "posizione". La realta' non e'
una posizione, e' un processo. "Posizione" e' una parola artificiale, io non
ho una posizione, il mio e' un cammino, un percorso, un impegno in divenire.
Raccogliamo i frammenti dei processi, le evoluzioni. Tutti noi non siamo
esseri stagnanti con posizioni immutabili. E' necessario comprendere quali
energie possiamo mettere in campo e capire chi e che cosa e' agli antipodi
della nostra idea di societa'. Personalmente, ritengo le multinazionali
alimentari agli antipodi della mia comunita' e le combatto, mentre posso
convivere con i contadini e i loro piccoli commerci. Sbaglia chi propone la
chiusura, l'assenza del mercato. I contadini nelle piu' isolate regioni
dell'Himalaya hanno costituito un mercato, fondato sul baratto e' vero, ma
questo dimostra che nessuna societa' e' mai stata totalmente chiusa.
- F. P.: I progetti del futuro?
- V. S.: Partecipo a una commissione sul futuro alimentare organizzata in
Toscana che crede in una politica della diversita', della localizzazione ed
e' contraria all'agricoltura biochimica. I gruppi impegnati nei lavori, un
team globale con i principali attivisti del mondo, stanno cercando di
costruire difese per il futuro contro lo sviluppo distruttivo e l'ecologia
del terrore. L'idea e' quella di formare una commissione mondiale e spingere
i governi a promuovere la diversita'. Poi c'e' la battaglia in India contro
la privatizzazione dell'acqua. Da un anno e mezzo abbiamo dato vita a un
movimento chiamato "water liberation" per la difesa della sovranita'
comunitaria sull'acqua. Il mese scorso abbiamo conseguito un successo contro
la privatizzazione del fiume Shivnat costringendo il governo a rescindere il
contratto con la Coca cola. Un progetto che prevedeva un'imponente diga che
avrebbe spostato tutti i villaggi, nel raggio di due miglia dalle rive del
fiume. Le donne si sono battute per un anno, poi la corte suprema ha deciso
di sostenere le comunita' locali, definendo il piano un'appropriazione
illegale.
Ora stiamo cercando di impedire la privatizzazione delle rive del Gange. Una
societa' francese ha intenzione di prelevare 635 milioni di litri per
spostarli nelle condotte di Dheli. Contrastiamo anche il megaprogetto di 200
miliardi di dollari per spostare il corso naturale della maggioranza dei
fiumi indiani. Far confluire l'acqua nelle grandi citta' e nelle aree
industriali significherebbe sottrarre un bene primario per dieci anni alle
comunita' lungo la riva. Per il prossimo futuro invece uno degli
appuntamenti cui partecipero' sara' la mobilitazione per fermare il Wto, che
si riunira' a Cancun in settembre. Il primo obiettivo degli attivisti
globali e' infatti fermare il Wto prima che renda irreversibili i meccanismi
che mettono in ginocchio i contadini e i piccoli produttori nel Sud del
mondo.
- F. P.: Lei si e' battuta contro le guerre contro l'Afghanistan e l'Iraq,
condotte in nome della lotta al terrorismo. Lei cosa pensa del concetto di
guerra preventiva?
- V. S.: La parola terrorismo ha un significato complesso. Terrorismo e' un
sistema che porta appunto terrore e diffonde paura. Il terrorismo arriva
nell'economia indiana e trascina via con se' le sicurezze dei contadini, li
catapulta con forza nella societa' del XXI secolo. L'11 settembre tutti gli
occhi erano puntati sulle due torri del World trade center che crollavano.
Molti hanno scritto parole toccanti sulle vittime delle Twin Towers.
Quell'impeto di commozione e solidarieta' ha coinvolto anche me. Quel giorno
io ero in un piccolo villaggio tra le montagne, chiamato Evisa. E quel
giorno 23 persone sono morte di stenti. Sottrarre le risorse alle comunita',
avere coscienza di provocarne la morte fisica, spingere i contadini a
coltivare per il mercato e' terrorismo a banda larga, e' la profonda e
permanente violenza quotidiana in ogni societa'. L'11 settembre e' un giorno
solo e ha distrutto due palazzi in una citta'. La globalizzazione e' l'11
settembre ogni giorno, in ogni momento.

4. PROPOSTE. LUCIANO CAPITINI: SULLA PROPOSTA DI LIDIA MENAPACE
[Ringraziamo Luciano Capitini (per contatti: capitps at libero.it) per questo
intervento. Luciano Capitini e' impegnato nel Movimento Nonviolento, nella
Rete di Lilliput, e in numerose altre esperienze e iniziative nonviolente]
Si', occorrera' inventarsi qualcosa... parliamone.

5. PROPOSTE. DIEGO COZZUOL: SULLA PROPOSTA DI LIDIA MENAPACE
[Ringraziamo Diego Cozzuol (per contatti: sito at bandieredipace.org) per
questo intervento. Diego Cozzuol fa parte del coordinamento della campagna
Pace da tutti i balconi (sito: www.bandieredipace.org), di cui e' stato uno
degli ideatori]
Volevo cogliere l'occasione per comunicarvi e soprattutto condividere con
voi le motivazioni che hanno spinto noi del coordinamento della campagna
"Pace da tutti i balconi" a invitare i cittadini a mantenere esposta la
bandiera della pace anche oltre la fase "mediaticamente visibile" del
conflitto iracheno.
I mesi di osservazione "da vicino" del fenomeno, i molti contatti avuti col
trascorrere del tempo, ci hanno restituito un volto della campagna molto
diverso da come lo avevamo immaginato il 15 settembre 2002. Allora
l'obiettivo sperato era unicamente quello di riuscire grazie al lavoro di
diffusione locale dell'iniziativa e delle bandiere da parte delle
associazioni e ong nazionali che a mano a mano davano la loro adesione, a
stimolare un fenomeno che potesse diventare un sufficiente strumento di
pressione politica contro la scelta scellerata di una partecipazione
italiana al conflitto in Iraq.
Quando ad un certo punto le bandiere hanno cominciato a comparire
dappertutto e i numeri sulla diffusione sono diventati astronomici, ci siamo
resi conto che non solo non era piu' possibile, ma perdeva anche senso
tentare di "governare" o cercare di "pilotare" il fenomeno. Non eravamo piu'
di fronte ad una campagna nel senso classico del termine ossia una
mobilitazione collettiva che attende indicazioni da un coordinamento, ma di
fronte ad un gesto che rappresentava una presa di coscienza civica da parte
dei cittadini, un simbolo attraverso il quale ognuno poteva esprimere il suo
consenso al valore fondamentale ed alto della pace. La bandiera ormai si
diffondeva per canali autonomi, ma la cosa a dir la verita' non ci ha
preoccupati, anzi, e' il fine ultimo di ogni campagna raggiungere la presa
di coscienza personale dei cittadini. In questo senso, non "funzionando"
piu', la campagna ha funzionato in pieno.
L'impatto politico c'e' stato e si e' dimostrato molto piu' forte di quello
da noi preventivamente sperato proprio quando il fenomeno ha perso la sua
fase "pilotata" o "indotta" dall'alto, per configurarsi come
un'autoaffermazione di volonta' dei cittadini "dal basso".
La prova evidente di cio' e' che a tutt'oggi molti non sanno nemmeno
dell'esistenza di una campagna e di un coordinamento, nemmeno all'interno
delle associazioni, ma allo stesso tempo nessuno ignora l'importanza del
fenomeno. (per prendere atto di cio' che comunque e' stata la campagna basta
visitare il sito www.bandieredipace.org).
Giunti a questo punto inoltre non potevamo piu' dire che tutte le bandiera
della pace esposte rappresentassero a senso unico una protesta contro il
conflitto iracheno.
*
Per molti la propria bandiera ha fatto comprendere che il mondo e'
costantemente ferito da conflitti e che i conflitti nascono da ingiustizie
che si perpetrano spesso a causa del nostro stile di vita. Per altri le
bandiera al balcone sono divenute persino uno stimolo sempre presente a
gesti di pace nella propria casa, nella propria famiglia. Per altri ancora
la propria bandiera ha svelato l'animo del proprio vicino, in bene e
talvolta in male. Un ampio panorama di queste "letture" e "motivazioni"
della bandiera lo possiamo trovare sfogliando il database messo a
disposizione da Peacelink, nel quale 13.500 persone hanno segnalato la
propria bandiera appesa con la possibilita' di lasciare per l'appunto un
commento (http://db.peacelink.org/volontari/search2.php?id=5).
*
Ecco allora la questione: se le bandiere sono diventate strumento espressivo
fortemente personale, se ogni bandiera rappresenta una declinazione
personalizzata della parola "pace", se ogni cittadino l'ha esposta compiendo
un gesto completamente attivo e responsabile e per questo veramente civico
(finalmente), come possiamo credere di detenere l'autorita' necessaria per
"dare indicazioni"? Ogni cittadino e' stato libero di esporla; ogni
cittadino decidera' il momento del ritiro a seconda della motivazione con la
quale l'ha esposta. Chi l'ha esposta contro la guerra all'Iraq e crede che
la guerra sia finita, l'ha gia' tolta. Chi l'ha esposta contro la guerra
all'Iraq e ha capito che la guerra non e' terminata, la tiene ancora
esposta. Chi ha capito che di guerra nel mondo si muore ogni giorno la
terra' esposta ancora per molto. Chi ha esposto la bandiera perche' ha
capito che la pace e' la via del mondo di domani la terra' al proprio
balcone a vita.
Non sembri questa una posizione un po' deresponsabilizzata da parte nostra,
e' piuttosto una scelta che vuole rispettare la presa di coscienza dei
cittadini e pone completa fiducia in loro. Una posizione che si preoccupa di
scongiurare qualsiasi "manipolazione" delle bandiere, anche magari fatta in
buona fede e con le migliori intenzioni.
*
E a quanto pare la cosa funziona: non e' assolutamente incredibile che ci
siano ancora tante bandiere che continuano a sventolare dai balconi di ogni
citta' e paesino?
A questa motivazione sopra descritta ne aggiungo un altro paio molto
importanti.
Se percorriamo infatti il fenomeno, ci rendiamo conto che la bandiera ai
balconi ha avuto estrema efficacia sia perche' e' esteticamente bella e
armoniosa, e quindi capace di auto-pubblicizzarsi, ma soprattutto perche' e'
rimasta sui balconi in maniera costante. Come avrebbe potuto incidere la
bandiera della pace esposta per uno o per qualche giorno? E proprio questa
esposizione costante l'ha trasformata da simbolo a testimone della volonta'
di pace di chi l'ha esposta, per chi l'ha esposta e per chi la vede. Le
bandiere esposte pur diminuite di numero continuano a "lavorare" in maniera
ininterrotta, efficace, implacabile, invitando con la loro presenza ad
operare per instaurare una cultura della pace. Ha senso depotenziare questa
testimonianza ancora in atto facendole togliere dai balconi?
Ancora, bisogna che consideriamo che, oltre a tutte le guerre attualmente in
corso, e' in fase avanzata di preparazione un nuovo conflitto che si
inserisce nella stessa linea strategica che ha portato al conflitto Iracheno
e che per le stesse dinamiche coinvolgera' nuovamente da vicino il nostro
paese, ovvero una guerra contro l'Iran. Non ha senso che proprio dalle
associazioni e dai movimenti impegnati per la pace partano segnali di
"abbassamento della guardia".
*
Queste motivazioni a mio avviso sono gia' sufficienti per superare il
disagio di carattere prettamente estetico della progressiva scoloritura
dovuta all'esposizione al sole. In ogni caso non credo si possa lanciare un
invito a togliere le bandiere dai balconi motivandolo con il solo fatto che
sotto il sole estivo sbiadiscono. E' un motivo un po' troppo "debole".
Ognuno di noi in questi mesi si e' preso cura della propria bandiera senza
che nessuno glielo suggerisse: l'ha ristesa dopo che il vento l'arrotolava
sul davanzale o sulla ringhiera della terrazza, l'ha lavata quando era
sporca. Non c'e' bisogno di tutori o consiglieri per queste cose. Per lo
stesso motivo, credo che chi vuole tenere esposta la bandiera a lungo
valutera' se ad un certo punto la bandiera troppo scolorita non vada
sostituita con una nuova. Per molti cittadini il valore simbolico che ha
assunto la bandiera della pace al proprio balcone val bene un'annuale spesa
di 5 euro per una bandiera, parte dei quali poi vanno come offerta a qualche
associazione.
*
Per il motivo poi della testimonianza continuativa sopra descritta, e per
l'oggettiva impossibilita' di avvisare tutti i cittadini italiani su una
data o su piu' date, direi che non ha forse tanto senso che sprechiamo
energie a riguardo. Il gesto della bandiera ha funzionato e continua a
funzionare; lasciamolo stare e evitiamoci la preoccupazione di "gestirlo":
e' un segno che oramai e' stato compreso, assimilato e fatto proprio dai
cittadini. Se come associazioni e movimenti intendiamo renderci solleciti
nei riguardi della bandiera deve essere casomai per difenderne il valore
trasversale e universale, per garantire ai cittadini una difesa nei riguardi
di eventuali manipolazioni del simbolo dai vari "centri di potere" di turno,
da eventuali attacchi di diffamatori da parte di qualche media... Queste
sono cose senz'altro alla nostra portata e delle quali i cittadini
necessitano.
*
Veramente utile e urgente sarebbe invece cercare come movimenti e
associazioni impegnati per la pace di ingegnarci a trovare altri e nuovi
messaggi e gesti intelligenti. Piu' pragmaticamente, visto che infilare un
altro successo pari alla bandiera e' oggettivamente difficile, non sarebbe
male trovare delle modalita' unitarie di azione. Tipo cominciare a
collaborare tutti con qualche iniziativa sotto il segno della bandiera della
pace.
Come potete prendere atto dal contributo di Mariagrazia Bonollo [apparso sul
notiziario di ieri], la formula adottata per l'Arena di Pace possiede le
credenziali per diventare una modalita' di proposta locale in continuita'
con le bandiere ai balconi. Noi come coordinamento ci abbiamo creduto e
continuiamo a crederci. Trasportare questa formula nel locale, pur in
maniera opportunamente ridotta, con la sua modalita' propositiva a 360 gradi
sui vari temi e ambiti legati alla pace significa dare ai cittadini la
possibilita' di approfondire e radicare le motivazioni a favore della pace,
di conoscere ambiti nei quali impegnarsi attivamente, di vedere in faccia e
stringere legami con persone della medesima sensibilita'.
"Arene" o Piazze di Pace che dir si voglia da proporre da parte delle
associazioni e realta' locali su un canovaccio o un'impostazione generale ma
realizzabili in maniera autonoma e personalizzata a seconda delle
sensibilita' locali sono a nostro avviso una possibilita' proponibile e alla
portata, e avrebbero il pregio di riferirsi strettamente alla bandiera e
rimotivarla.
Questa e' una proposta, ma non deve essere ne' l'unica ne' pretende d'essere
esaustiva.
Insomma, concludendo, il senso della nostra posizione e': lavoriamo tutti
per offrire nuove motivazioni e occasioni di approfondimento e impegno per
la pace ai cittadini, ma lasciamoli completamente padroni del loro segno.
Queste nostre osservazioni e riflessioni sono il risultato di nove mesi di
esperienza, di osservazioni e di contatti quotidiani con persone,
associazioni, istituzioni ed enti locali sul fenomeno.

6. PROPOSTE. MARIO DI MARCO: SULLA PROPOSTA DI LIDIA MENAPACE
[Ringraziamo Mario Di Marco (per contatti: mdmsoft at tin.it) per questo
intervento. Mario e' responsabile degli obiettori di coscienza in servizio
civile presso la Caritas diocesana di Viterbo, ed e' uno dei fondamentali
punti di riferimento a Viterbo per tutte le persone di volonta' buona]
Pur avendo esposto la bandiera a partire da dicembre scorso, quando ancora
"non era di moda", l'ho tolta gia' da diversi giorni proprio perche', come
dice Lidia Menapace, temevo divenisse abituale vederla e quindi perdesse il
valore che aveva avuto, derivato da precise circostanze.
Ritengo dunque opportuno esporla per sottolineare messaggi specifici e penso
che l'inizio delle stagioni ed il 2 giugno possano andar bene, ma, accanto a
queste date, ne andrebbero individuate altre, comunque importanti. Ad
esempio penso che nel nostro Paese sia opportuno esporre le bandiere anche
nella settimana di Natale e in quella di Pasqua, anche se non tutti sono
cristiani credenti.

7. PROPOSTE. GIANFRANCO E ISA MONACA: SULLA PROPOSTA DI LIDIA MENAPACE
[Ringraziamo Gianfranco e Isa Monaca (per contatti: giamo at everyday.com) per
questo intervento. Gianfranco e Isa Monaca, costruttori di pace, collaborano
alla bella rivista "Tempi di fraternita'" (sito: www.tempidifraternita.it);
un bel profilo biografico di Gianfranco e' nel sito www.astilibri.com]
Ci siamo consultati in casa e siamo del parere di lasciare le bandiere (noi
ne abbiamo tre) appese come si trovano, e se si va in vacanza si portano e
si appendono nell'albergo o pensione o seconda casa o agriturismo o bed &
breakfast o dove si va.
E' importante pero' dirlo e motivare la decisione: la bandiera della pace
non si ammaina. Sul palazzo del Quirinale mica si toglie la bandiera
nazionale? E se si rovina o si stinge, banissimo, la si puo' sempre
rinnovare.
Ma, ripetiamo, bisogna farlo sapere a tutti, nei limiti del possibile
(stampa nazionale e locale e porta a porta).

8. PROPOSTE. ENRICO MORGANTI: SULLA PROPOSTA DI LIDIA MENAPACE
[Ringraziamo Enrico Morganti (per contatti: pov1934 at iperbole.bologna.it) per
questo intervento. Enrico Morganti e' presidente del Centro servizi
volontariato bolognese]
Sono d'accordo con quanto riportato dal n. 592 della newsletter.
Quello che Lidia Menapace propone, lo abbiamo fatto ad inizio giugno.

9. PROPOSTE. GIORDANO REMONDI: SULLA PROPOSTA DI LIDIA MENAPACE
[Ringraziamo Giordano Remondi (per contatti: ed.camaldoli at lina.it) per
questo intervento. Giordano Remondi e' monaco di Camaldoli, e limpido
costruttore di pace]
Sulla questione della bandiera della pace ancora esposta:
1. Noi l'abbiamo in tre posti: Eremo e Monastero di Camaldoli e poco piu' in
basso le monache camaldolesi, a dieci chilometri. Essendo d'estate, col
movimento che abbiamo, non mi pare logico toglierle e credo che siano
intuibili i motivi.
Oltretutto abbiamo un convegno sulla "Pacem in terris" per il ponte di
Ognissanti.
2. Concordo con il dubbio pratico, ma altre soluzioni mi trovano incerto
sulla loro opportunita', come altri hanno gia' detto.
3. Ma la guerra e' davvero finita? Lasciamo stare l'Iraq, perche' le sabbie
mobili anche della nostra partecipazione italiana bisognera' che con
l'autunno ci si dia una "regolata" per uscirne. E Israele-Palestina? E il
Congo? tanto per non dimenticarci dei piu' grossi conflitti.

10. PROPOSTE. GIOVANNI SARUBBI: SULLA PROPOSTA DI LIDIA MENAPACE
[Ringraziamo Giovanni Sarubbi (per contatti: gsarubb at tin.it) per questo
intervento. Giovanni Sarubbi, amico della nonviolenza, promotore del dialogo
interreligioso, dirige l'eccellente rivista e sito de "Il dialogo"
(www.ildialogo.org)]
Non so chi ha avuto per primo l'idea delle bandiere per la pace ai balconi.
Chiunque sia stato ha avuto una grande idea, semplice da mettere in pratica
e coinvolgente. La gente ha capito immediatamente di cosa si trattava ed
istintivamente ha aderito, senza tanti ragionamenti.
Voler istituzionalizzare un movimento spontaneo, cresciuto con un porta a
porta basato sull'emulazione di cio' che si vedeva fare agli altri, credo
sia un errore. Lasciamo che la gente spontaneamente faccia cio' che crede
della bandiera che ha esposto al proprio balcone.
L'importante e' aver suscitato un vasto movimento di opinione a favore della
pace.

11. RIFLESSIONE. MARIA G. DI RIENZO: GUERRALINGUA
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per
questo intervento. Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici
di questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista,
giornalista, regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto
rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento
di Storia Economica dell'Universita' di Sidney (Australia); e' impegnata nel
movimento delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta'
e in difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza]
Ogni guerra e' guerra contro le parole, oltre che contro le persone. Nessun
guerrafondaio si dichiarera' "fiero" degli effetti di una bomba a grappolo,
ma sara' sicuramente "fiero" delle proprie truppe, del loro coraggio e delle
loro "giuste" intenzioni.
Quando una guerra finisce sotto i riflettori dei nostri media (quando ne
viene scelta una, non quando ne scoppia una, perche' di quelle in corso non
ci sta parlando nessuno), subito cominciamo a sentire discorsi in una sorta
di neolingua. Nel famoso romanzo 1984 di George Orwell, la neolingua era un
linguaggio politico disegnato allo scopo di restringere la capacita' di
pensiero dei cittadini, al punto che essi non avevano termini per ideare
liberamente alcunche'. In 1984 la liberta' e' definita come schiavitu', e la
schiavitu' come liberta': questo per convincere ciascuno ad essere uno
schiavo felice e consenziente. Non e' sorprendente, percio', che chi da'
inizio alle guerre voglia restringere la capacita' di pensiero altrui al
fine di ottenere accettazione e sostegno. Seguendo la lezione orwelliana
chiamero' il loro linguaggio "guerralingua". Ogni guerra ha il suo
vocabolario.
*
La seconda guerra mondiale introdusse nel linguaggio di tutti i giorni nuove
parole come "blitz" il cui significato si e' poi distanziato da quello
originario; inoltre, le sue suggestioni sono ancora all'opera: poiche' gli
Usa facevano parte degli Alleati, e i nemici erano l'Asse, quest'ultima
parola ha un fascino a cui Bush non sa resistere. L'Asse del Male non potra'
mai divenire l'Alleanza del Male, anche se significa la stessa cosa.
Forse a causa della sua dichiarata temperatura, la Guerra Fredda ha lasciato
meno tracce nel nostro vocabolario, tranne che in quello di Berlusconi, che
se non usa "cortina di ferro" o "muro di Berlino", vede "sovversivi rossi" e
"complotti comunisti" dietro ogni angolo.
La guerra di Corea ci ha portato il concetto di "lavaggio del cervello":
l'unica spiegazione possibile per il crollo nervoso dei soldati statunitensi
era che i coreani possedessero una segreta arma psicologica che "lavava" via
dai loro cervelli tutto il magnifico addestramento bellico.
La guerra del Vietnam ci ha lasciato in eredita' linguistica i "body bag" e
il "fuoco amico".
L'invasione della Cambogia fu riportata come "incursione" ed ufficialmente
descritta come "azione di polizia" (il Presidente Usa poteva intraprendere
un'azione di polizia senza l'approvazione del Congresso): i poliziotti erano
talmente maldestri che due milioni di persone morirono durante questo
ripristino della legalita'.
*
Il primo Premio Guerralingua va senz'altro, in ordine di tempo, al
Colonnello dell'aeronautica statunitense che, nel 1974, disse ai
giornalisti: "State sempre a dire che bombardiamo, bombardiamo, bombardiamo.
Non e' un bombardamento, e' sostegno aereo alle truppe".
La guerralingua e' stata particolarmente prolifica nel costruire sostituti
dei verbo "uccidere": spazzare via, eliminare, neutralizzare, ecc., nel
tentativo di rendere i campi di battaglia, nel nostro pensiero, meno
disturbanti. Notate, prego, che si tratta di termini (come per "danno
collaterale") che si riferiscono in origine a qualcosa di inanimato, o di
"meno" che umano. Nessuno vuole pensare di star uccidendo altri esseri
umani, neppure quando lo fa.
Inoltre, la guerralingua ha inventato le "parole camaleonte", quelle che
cambiano colore a seconda di chi le dice: i cosiddetti "irregolari", ovvero
combattenti non identificabili immediatamente da un'uniforme, possono essere
"guerriglieri" o "terroristi" se prendono il governo e cio' non piace agli
Usa (Nicaragua), ma se sono irregolari spalleggiati dagli Usa stessi
diventano "contras" (sempre Nicaragua). I terroristi di un paese diventano i
combattenti per la liberta' di un altro paese...
Pensate: fino alla guerra del Vietnam, i nomi delle "operazioni" erano
tenuti segreti sino al completamento delle stesse, come per "Operation
Overlord" che si riferiva allo sbarco in Normandia. A partire dalla prima
guerra del Golfo (Operazione Scudo nel Deserto, Tempesta nel Deserto) non
solo sono immediatamente pubblicizzati, ma vengono creati con criteri di
marketing.
Ovviamente "Operazione Liberta' Duratura" e' piu' attraente di "Operazione
Ammazza i Terroristi".
E inneggiare alla liberta' dell'Iraq ottiene maggior sostegno che chiamare
una guerra "Operazione rovescia il governo iracheno e impadronisciti dei
pozzi di petrolio".
La guerra del Golfo ha seminato nel nostro linguaggio le "bombe
intelligenti", gli "interventi chirurgici" (sembra quasi che un dottore stia
guarendo il bersaglio, invece che distruggerlo), i "bombardamenti di
precisione" e, come detto, i "danni collaterali"; la questione che questa
terminologia solleva e' la seguente: se i bombardamenti sono cosi' precisi e
chirurgici, com'e' che ci sono i "danni collaterali"? Nella guerra all'Iraq,
le armi biologiche e chimiche sono diventate "armi di distruzione di massa",
nel tentativo di focalizzare la nostra attenzione sui loro terrificanti
risultati, anziche' sulla loro natura.
*
Naturalmente, tali operazioni linguistiche non sono limitate alle guerre.
L'uso della parola "liberta'" in Italia e' diventato osceno da quando se ne
e' appropriata la destra: la liberta' del mercato, la liberta' dell'impresa,
ad esempio, riferiscono a concetti del lavoro umano lo status di "soggetti
agenti", quasi di figure umane. Ma sono gli esseri umani a potere e dover
esercitare le loro liberta', non i loro prodotti. Un altro esempio e' la
mutazione dei "licenziamenti" in "ristrutturazione dell'azienda". Quando ci
si trova a spasso con la lettera di licenziamento in tasca, dev'essere di
vero conforto pensare che non ci hanno, in realta', dato una pedata nel
didietro come pensiamo: siamo stati semplicemente "ricollocati"...

12. RIFLESSIONE. ROSSANA ROSSANDA: IL NOSTRO PRESIDENTE
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 24 giugno 2003. Rossana Rossanda e' nata
a Pola nel 1924, allieva del filosofo Antonio Banfi, antifascista, dirigente
del Pci (fino alla radiazione nel 1969 per aver dato vita alla rivista "Il
Manifesto" su posizioni di sinistra), in rapporto con le figure piu' vive
della cultura contemporanea, fondatrice del "Manifesto" (rivista prima, poi
quotidiano) su cui tuttora scrive. Impegnata da sempre nei movimenti,
interviene costantemente sugli eventi di piu' drammatica attualita' e sui
temi politici, culturali, morali piu' urgenti. Opere di Rossana Rossanda: Le
altre, Bompiani, Milano 1979; Un viaggio inutile, o della politica come
educazione sentimentale, Bompiani, Milano 1981; Anche per me. Donna,
persona, memoria, dal 1973 al 1986, Feltrinelli, Milano 1987; con Pietro
Ingrao et alii, Appuntamenti di fine secolo, Manifestolibri, Roma 1995; con
Filippo Gentiloni, La vita breve. Morte, resurrezione, immortalita',
Pratiche, Parma 1996; Note a margine, Bollati Boringhieri, Torino 1996. Ma
la maggior parte del lavoro intellettuale, della testimonianza storica e
morale, e della riflessione e proposta culturale e politica di Rossana
Rossanda e' tuttora dispersa in articoli, saggi e interventi pubblicati in
giornali e riviste]
Quella parte del popolo italiano che crede nell'etica repubblicana cui
eravamo giunti dopo il 1948 non capisce che il presidente della Repubblica
Carlo Azeglio Ciampi abbia firmato la legge che salva Silvio Berlusconi dal
processo di Milano. Non mette in dubbio che egli abbia rispettato la lettera
della procedura nei molti interventi fatti sulla proposta governativa, per
emendarla dei suoi aspetti meno presentabili; cosi' aveva fatto anche con la
legge Cirami. Ma le ha emendate, queste leggi, per farle passare, per
lubrificare le intemperanze di una maggioranza che lede il senso comune dei
cittadini - stavolta in quel principio elementare per il quale tutti sono
uguali davanti alla legge.
Si era sperato che il presidente intervenisse a bloccare la "Casa delle
liberta'" almeno quando esagera, magari avvertendo il premier in tempo dei
limiti che il Colle considerava invalicabili, evitando cosi' il clamore d'un
rinvio alle camere. Ciampi non l'ha fatto, ci ha detto, per salvare
l'onorabilita' del premier mentre sta per assumere anche la presidenza del
semestre europeo.
E qui non siamo a un problema di procedure ma di giudizio morale e politico.
Morale perche' pensa dunque cosi' male o di Berlusconi o dei magistrati da
ritenere che sarebbe stato senz'altro condannato. Politico perche' sbaglia
se crede di salvare in questo modo l'onorabilita' dell'Italia e del suo
governo.
Capisco che un capo dello stato non si trova nella condizione piu' agevole
per sentire quel che si pensa di noi in Europa: non e' a lui che vanno a
dire quel che dicono a noi semplici cittadini. Dicono che siamo un paese
senza vergogna, che abbiamo un premier che non ha il senso della decenza,
domandano: come permettete che questo avvenga? non vi sentite umiliati?
*
Il nostro presidente della Repubblica di questo non ha contezza, cosi' come,
se ha fatto ieri un gesto di cortesia verso il ministro Pisanu,
svillaneggiato dalla Lega che ne chiede le dimissioni, non sembra turbato
dall'immagine di se' che da' un governo quando considera al piu' delle
battutacce quelle della Lega, che domandano di "contrastare attivamente" con
i mezzi della Marina militare i barconi degli infelici che cercano di
approdare alle nostre coste.
E questo mentre almeno duecento cadaveri stanno fluttuando a sud della
Sicilia, e non sono i primi e di questo passo non saranno gli ultimi.
Il nostro presidente si commuove sull'evento rappresentato dalla
Costituzione europea, la quale su questo punto rimanda spensieratamente alle
leggi di ogni stato, per cui per l'Italia la Bossi-Fini va benissimo, anzi
potra' peggiorare se cosi' vorra' la "Casa delle liberta'".
*
Carlo Azeglio Ciampi e' molto attento alla lettera della Costituzione, che,
e' vero, non gli concede molto. Lo e' anche se talvolta la forza un poco,
come e' stato nel caso della guerra all'Iraq, quando di fatto l'Italia l'ha
votata sotto la copertura di un eventuale permesso delle Nazioni Unite che
avrebbero messo sotto i piedi la carta propria e quella della Costituzione.
Non e' della sua correttezza che si puo' dubitare, e' sulla sua cultura che
bisogna riflettere. E' un modesto conservatore, che ha resuscitato i riti
piu' tradizionali della patria e fa sventolare su tutta la penisola migliaia
di bandiere dal colore rettificato, ma non si interroga sui principi morali
della cittadinanza e della convivenza cui eravamo arrivati, con gran parte
dell'Europa, e che stanno prima e a monte della Costituzione. E che la
crudelta' della globalizzazione rende piu' pressanti. Una cultura e' piu'
che una legge, la si ha o non la si ha. Interventi e assenze, parole e
silenzi del nostro presidente parlano della sua.

13. INFORMAZIONE. ROBERTO BURLA: APERTO IL SITO DELLA CARITAS DIOCESANA DI
VITERBO
[Ringraziamo gli amici della Caritas di Viterbo per questa buona notizia.
Don Roberto Burla e' direttore della Caritas diocesana di Viterbo, e un
amico molto caro. Il sito della Caritas diocesana e' www.caritasviterbo.it]
Come ha detto il Santo Padre, la pace passa anche "attraverso innumerevoli
gesti di pace".
L'apertura del sito web della Caritas diocesana, avvenuta in questi giorni,
e' innanzitutto uno di questi gesti, semplice ma probabilmente necessario
per chi, volendo essere vicino ai problemi degli uomini, e' chiamato a
parlare gli stessi linguaggi, compreso quello di internet, il piu' diffuso
nel villaggio globale.
In tal modo la Caritas, come vuole il suo statuto, si impegna nella
promozione della testimonianza della carita' in forme consone ai tempi e ai
bisogni, in vista dello sviluppo integrale dell'uomo, della giustizia e
della pace, con particolare attenzione agli ultimi e con prevalente funzione
pedagogica.
Come ci si puo' aspettare, il sito porta sul web l'identita', la struttura,
l'organizzazione e le attivita' della Caritas diocesana ed allo stesso tempo
apre una finestra sui grandi temi planetari che interpellano la coscienza
dell'uomo di oggi, quali la pace, la giustizia, le vecchie e nuove poverta',
i problemi dello sviluppo, l'immigrazione.
Ma non ci si vuole limitare al solito statico depliant cibernetico da
visitare una volta e basta, bensi', oltre a garantire un aggiornamento
frequente su cio' che accade, il sito offre a tutte le realta' no-profit
viterbesi (ma anche ad istituzioni ed altre entita' interessate) un nuovo
strumento per la promozione delle proprie attivita': "Appuntamenti di pace".
Si tratta di un calendario comune destinato a raccogliere gli annunci, gli
appelli e qualche notizia circa le iniziative locali che si svolgono dentro
e fuori il mondo ecclesiale viterbese nel campo della pace, della giustizia
e della solidarieta'.
In tal modo chi organizza le iniziative puo' capire quali sono le date
migliori per proporle, evitare sovrapposizioni e magari coordinarsi con
altre realta' per raggiungere gli obiettivi in modo piu' efficace.
Chi invece e' interessato a partecipare a tale genere di iniziative potra'
contare su un quadro organico e aggiornato che, quando raggiungera' una
certa consistenza, sara' diffuso anche via e-mail ed in forma cartacea.
Invitiamo dunque tutti a visitare il sito e, in particolare, ci rivolgiamo
alle realta' che operano nel campo della solidarieta', della pace, della
giustizia sociale, della difesa dei dirittti, a farsi presenti sin da subito
segnalandoci le iniziative gia' programmate o anche solo comunicandoci la
propria e-mail e l'eventuale sito web.

14. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

15. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it;
angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it

Numero 595 del 28 giugno 2003