La nonviolenza e' in cammino. 588



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 588 del 21 giugno 2003

Sommario di questo numero:
1. Maria G. Di Rienzo: il diluvio degli Yakima
2. Enrico Peyretti: Tonino Bello e Aldo Capitini, la religione della pace
3. Federica Sossi presenta "Estranei e nemici" di Annamaria Rivera
4. La "Carta" del Movimento Nonviolento
5. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. MARIA G. DI RIENZO: IL DILUVIO DEGLI YAKIMA
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per
questo testo. Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici di
questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista, giornalista,
regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto rilevanti ricerche
storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento di Storia Economica
dell'Universita' di Sidney (Australia); e' impegnata nel movimento delle
donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta' e in difesa dei
diritti umani, per la pace e la nonviolenza]
Questo e' il mito sul diluvio universale degli Yakima (popolazione nativa
dell'area di Washington). Cosa ne pensi?
"Nei tempi antichi, molta gente andava in guerra contro altre tribu'.
Persino gli uomini-medicina uccidevano delle persone. Ma c'era ancora un po'
di brava gente.
Uno di questi uomini buoni udi' dalla Terra di Sopra l'avvertimento che la
grande acqua stava arrivando. Egli lo disse all'altra brava gente e insieme
decisero di costruire una barca con il cedro piu' grande che avessero
trovato. Appena ebbero terminato di costruirla, arrivo' il diluvio e l'acqua
riempi' le valli e copri' le montagne. La gente malvagia annego', quella
buona si salvo' nella barca. Non sappiamo quanto duro' il diluvio. La canoa
torno' nel posto in cui era stata costruita e puo' essere vista ancora oggi,
sul lato est di Toppenish Ridge.
La Terra verra' distrutta da un altro diluvio, se la gente continuera' a
fare guerre".

2. RIFLESSIONE. ENRICO PEYRETTI: TONINO BELLO E ALDO CAPITINI, LA RELIGIONE
DELLA PACE
[Dal sito del Centro Studi Sereno Regis (via Garibaldi 13, 10122 Torino,
tel. 011532824, fax: 0115158000, e-mail: regis at arpnet.it, sito:
www.arpnet.it/regis) riprendiamo questo intervento di Enrico Peyretti.
Enrico Peyretti (per contatti: peyretti at tiscalinet.it) e' uno dei principali
collaboratori di questo foglio, ed uno dei maestri piu' nitidi della cultura
e dell'impegno di pace e di nonviolenza. Tra le sue opere: (a cura di), Al
di la' del "non uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni,
Servitium, Sotto il Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi
1998; Per perdere la guerra, Beppe Grande, Torino 1999. E' diffusa
attraverso la rete telematica (ed abbiamo recentemente ripresentato in
questo notiziario) la sua fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza
guerra. Bibliografia storica delle lotte nonarmate  e nonviolente.
Tonino Bello e' nato ad Alessano nel 1935, vescovo di Molfetta, presidente
nazionale di Pax Christi, e' scomparso nel 1993; costantemente impegnato
dalla parte degli ultimi, promotore di iniziative di solidarieta' con gli
immigrati, e' stato un grande costruttore di pace. Segnaliamo, tra le molte
sue pubblicazioni, I sentieri di Isaia, La Meridiana, Molfetta 1989; Il
vangelo del coraggio, San Paolo, Cinisello Balsamo 1996; e' in corso la
pubblicazione di tutte le opere in Scritti di mons. Antonio Bello, Mezzina,
Molfetta 1993 sgg., volumi vari. Su Tonino Bello cfr. per un avvio Luigi
Bettazzi, Don Tonino Bello. Invito alla lettura, San Paolo, Cinisello
Balsamo (Mi) 2001; e la biografia di Claudio Ragaini, Don Tonino,  fratello
vescovo, Ed. Paoline, Milano 1994; Nella rete telematica materiali utili di
e su Tonino Bello sono nel sito di Pax Christi:
www.peacelink.it/users/paxchristi, in quello de La Meridiana:
www.lameridiana.it; un'ampia bibliografia e' nel sito www.asscasa.org; tra i
siti di associazioni intitolate al suo nome cfr. ad esempio:
www.dontonino.it ma l'elenco sarebbe lunghissimo.
Aldo Capitini e' nato a Perugia nel 1899, antifascista e perseguitato,
docente universitario, infaticabile promotore di iniziative per la
nonviolenza e la pace. E' morto a Perugia nel 1968. E' stato il piu' grande
pensatore ed operatore della nonviolenza in Italia. Opere di Aldo Capitini:
la miglior antologia degli scritti e' (a cura di Giovanni Cacioppo e vari
collaboratori), Il messaggio di Aldo Capitini, Lacaita, Manduria 1977;
recentemente e' stato ripubblicato il saggio Le tecniche della nonviolenza,
Linea d'ombra, Milano 1989; una raccolta di scritti autobiografici,
Opposizione e liberazione, Linea d'ombra, Milano 1991; e gli scritti sul
Liberalsocialismo, Edizioni e/o, Roma 1996. Presso la redazione di "Azione
nonviolenta" (e-mail: azionenonviolenta at sis.it) sono disponibili e possono
essere richiesti vari volumi ed opuscoli di Capitini non piu' reperibili in
libreria (tra cui i fondamentali Elementi di un'esperienza religiosa, 1937,
e Il potere di tutti, 1969). Negli anni '90 e' iniziata la pubblicazione di
una edizione di opere scelte; sono fin qui apparsi un volume di Scritti
sulla nonviolenza, e un volume di Scritti filosofici e religiosi. Opere su
Aldo Capitini: oltre alle introduzioni alle singole sezioni del sopra citato
Il messaggio di Aldo Capitini, tra le pubblicazioni recenti si veda almeno:
Giacomo Zanga, Aldo Capitini, Bresci, Torino 1988; Fabrizio Truini, Aldo
Capitini, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole 1989; Tiziana
Pironi, La pedagogia del nuovo di Aldo Capitini. Tra religione ed etica
laica, Clueb, Bologna 1991; Rocco Altieri, La rivoluzione nonviolenta. Per
una biografia intellettuale di Aldo Capitini, Biblioteca Franco Serantini,
Pisa 1998; Antonio Vigilante, La realta' liberata. Escatologia e nonviolenza
in Capitini, Edizioni del Rosone, Foggia 1999; numerosi utilissimi materiali
di e su Aldo Capitini sono nel sito dell'Associazione nazionale amici di
Aldo Capitini: www.cosinrete.it]
Chiederemo a questi due testimoni e profeti se si possa parlare di religione
della pace.
Ci interessa sapere se la pace e' il cuore di una religione, delle religioni
che vivono nel mondo di oggi; se puo' essere la parola comune, la luce
comune che guida il cammino delle religioni in dialogo; e prima ancora se
puo' essere, per i cristiani, e se e' davvero, il cuore caldo, la speranza,
la promessa, il pegno, la gioia nel pieno della fatica e delle tribolazioni,
l'impegno concreto.
Vorremmo sapere se la pace non e' solo orizzonte e speranza della religione,
delle religioni, ma, di piu', se la pace e' il nuovo nome segreto delle
religioni, se e' il mistero luminoso che alle religioni si offre, se e'
cioe', veramente, il nome piu' intimo di Dio.
Guardiamo ora a queste due figure singolari entrambe, e singolare anche il
loro accostamento: un vescovo cattolico sui generis, e un "libero religioso"
anti-cattolico.
Dico subito, per chiarezza, qual e' l'ipotesi che mi orienta in questa
ricerca, ipotesi che voglio sempre verificare o correggere:
L'etica dell'unita' umana, cioe del valore inviolabile dell'umanita'
riconosciuta e venerata in ogni altro essere umano, giudica tutte le
culture, le filosofie, le religioni, le politiche, le economie. Tutte le vie
umane sono giudicate dall'etica di pace nonviolenta, cioe' dal "rispetto
della vita" (Albert Schweitzer). E' dunque possibile, secondo l'esperienza
fatta da ciascuno, che questa etica porti a riformare o, al limite,
rifiutare e sorpassare, ogni religione della quale si siano constatati gravi
tradimenti, errori, sordita', ritardi su questo punto primario ed
essenziale, oppure a scoprirvi meglio di prima un evangelo di pace.
Nei giorni scorsi, in un convegno a Camaldoli, Piero Stefani diceva: la
crescita della comprensione della Parola nel tempo ci ha condotti a
comprendere l'evangelo della pace, che prima non era considerato essenziale.
Siamo in ritardo nel leggere i segni dei tempi, la storia, alla luce di
quell'evangelo. E Innocenzo Gargano: la teologia della pace e' la teologia
delle vittime, di Cristo vittima perche' non ci siano piu' vittime.
*
* Tonino Bello vescovo: una passione per la pace
"Siate  soprattutto  uomini. Fino in fondo. Anzi, fino in cima. Perche'
essere uomini fino in cima significa essere  santi" (Dal Testamento
spirituale, in Tempi di fraternita', n. 5, 1993, p. 4).
Ecco una idea della santita' per Tonino Bello: compimento della nostra
umanita'. Quel che va "mortificato" in noi e' quel che abbiamo di disumano,
non la nostra umanita'. Da cio', il desiderio appassionato di don Tonino che
la vocazione e l'immagine umana si realizzino  in tutti, specialmente in chi
ha le sue doti represse, oppresse, impedite dalla violenza e dalle miserie;
desiderio di liberazione del disegno originario e singolare di Dio in ogni
singola persona, per la felicita' di questa, per  la gloria di Dio, per
l'armonia e bellezza del mondo.
Don  Tonino dice, in una frase del suo Programma pastorale 1989-90: "E'
illusione tragica pensare che l'eccedenza di sacro ci riscatti dalla
carestia di santita'" (Scritti di mons. Antonio Bello, d'ora in poi Scr. A.
B., Mezzina, Molfetta, 1993, vol. 1, p. 340).
C'e' un episodio che ho sentito raccontare, in testimonianza diretta, da una
ragazza impegnata nella Rete di formazione alla nonviolenza, quando, a
Torino, nell'ora stessa del suo funerale a Molfetta, ci riunimmo in molti
per ricordare, ascoltare, pregare con e per don Tonino. La ragazza era
venuta all'incontro con una rosa in mano e racconto':
"Una volta don Tonino, al termine di una Route internazionale di Pax
Christi, dato che conosco le lingue, mi invito' all'altare per tradurre la
messa. Io mi schermivo, perche' non sono assolutamente pratica di messe.
Durante la celebrazione, ad un certo punto, lui tiro' fuori da sotto
l'altare un secchio di rose rosse, ne diede una ad ognuno dei presenti,
dicendo: 'Uscite per strada e regalate questa rosa al primo passante'. Lui
intanto rimase ad aspettare, tutto felice. Anch'io uscii con la mia rosa, ma
dopo poco rientrai con la rosa ancora in mano, e dissi a don Tonino: "L'ho
tenuta, perche' il passante che ho incontrato sono io". Lui mi  abbraccio' e
mi disse con un gran sorriso: 'Un'altra volta la invito a ballare, ma non a
Molfetta, se no poi qualcuno fa delle chiacchiere sciocche'".
"Regala questa rosa al primo che incontri, al tuo prossimo". Un'azione
poetica, profetica, liturgica, un gesto liberamente inventato nel mezzo
dell'eucarestia, e del tutto confacente. Non dice forse il vangelo: "Se stai
presentando la tua offerta all'altare e li' ti ricordi che il tuo fratello
ha qualche cosa contro di te, lascia la tua offerta li' davanti all'altare e
va' prima a riconciliarti col tuo fratello: poi torna e presenta la tua
offerta" (Matteo  5, 23-24)?
Questo e' il vangelo che proclama il primato della pace sul culto: primato
di valore e anche primato cronologico. E' una delle parole alte del vangelo
della pace: poiche' Dio fa pace con noi, lontani da lui, la nostra
eucarestia, la nostra risposta grata, e' anzitutto fare la pace con il
fratello e con il nemico.
Nessuna di queste parole e' superflua: non si tratta di purificarti
deponendo un tuo rancore (questo e' ovvio), ma di andare incontro al rancore
dell'altro con l'offerta della riconciliazione.
Nell'episodio narrato, attraverso il simbolo della rosa - bellezza,
gratuita', dono, grazia, delicatezza, tenerezza - don Tonino manda
l'eucarestia nella strada, non con una processione sacra, ma per mano della
ragazza "niente pratica di messe".
Ogni dono, anche il piu' modesto, e' segno della grazia, del dono massimo
che riceviamo. Chi non puo' credere alla grazia divina, puo' credere al dono
fraterno. Chi crede alla grazia divina, e' spinto a donare quello che puo'
al fratello. Ecco il sacramento quotidiano, stradale, nelle mani di tutti,
per  tutti: donare qualcosa di se', il proprio impegno, il lavoro
volontario, i frutti del proprio talento, la propria gentilezza, compagnia,
ascolto; tutto cio' che puo' suscitare, magari chissa' quando, in passanti
tristi e grigi un moto di "gratitudine" alla vita, cioe' di "eucarestia".
Per tutte le religioni abramitiche e' rivelazione divina il racconto che
vede in Adamo e in Eva l'immagine di Dio. Noi possiamo dire: il sacramento,
il primo sacramento di Dio, e' la persona umana come tale. Quello che fai
all'uomo, lo fai a Dio. La passione sincera e generosa per gli esseri umani
e', in realta', al di la' della nostra consapevolezza e delle pur opportune
precisazioni, passione per Dio. L'amore umano e l'amore per Dio, piu' che su
due linee divergenti o in direzioni opposte, possono essere visti come l'uno
il prolungamento dell'altro, presente in questo dall'inizio, anche nascosto.
Per questi motivi, penso che oggi il lavoro per la pace, nei suoi vari
aspetti, sia una vera realizzazione attuale dell'amore dell'umanita' e
quindi di Dio. La nonviolenza attiva, per la soluzione costruttiva dei
conflitti, per ricuperare il nemico all'umanita', credo che sia il segno
laico e storico dell'amore fino al nemico, che e' la traccia piu' grande di
Dio nella nostra storia.
*
Il crescente impegno di don Tonino per la pace, contro la cultura di
guerra - che, insieme alla politica e all'industria di guerra, e' l'effetto
e il moltiplicatore di tutti i mali e i dolori umani - incontra sofferenze e
consolazioni.
Dopo una lettera di Pax Christi (di cui don Tonino e' presidente) a Craxi
presidente del consiglio, per criticare la politica militare e di riarmo,
riceve un richiamo da Poletti, cardinale presidente della Cei (Claudio
Ragaini, Don Tonino,  fratello  vescovo, Ed. Paoline, Milano 1994, p.
99-100).
Dopo la cacciata di Alex Zanotelli, (colpevole di aver denunciato che la
politica estera di Spadolini favoriva il commercio delle armi) dalla
direzione di "Nigrizia" (maggio 1987), Tonino Bello, che ha da mesi su
quella rivista una rubrica fissa, si trova isolato nella Cei: "I suoi rari
interventi alle assemblee plenarie venivano accolti con sorrisi di
compiacenza e mormorii di dissenso". Piu' di una volta e' convocato in
Vaticano (C. Ragaini, op. cit., p. 103).
Ma gli scrive una lettera ardente, David  Maria  Turoldo:
"Mi dicono che sei stato richiamato (...), che non e' bene parlare troppo
contro le armi (...). Ebbene: non solo ti sono vicino, ma oso perfino darti
un consiglio: a maggior ragione intervieni, intervieni sempre di piu'; e
insieme di' che sei stato richiamato, dillo pubblicamente, perche' di questo
hanno paura. Sono anche vili, come sappiamo (...). Per amore dei poveri e
della verita', e cioe' per amore della Chiesa e della pace, non
scoraggiarti, caro fratello vescovo! Ti voglio dire una mia intenzione che
rinnovo spesso nella preghiera: e' questa, di pregare per i santi, perche'
non si scoraggino; perche' almeno loro riescano! Se noi non ce la facciamo.
David Maria Turoldo" (C. Ragaini, op. cit., p. 104). Padre Turoldo
riconosceva un segno di santita' nella passione del vescovo Tonino Bello per
la pace.
Nell'Arena  di Verona, autunno 1989, diecimila convocati da "Beati i
costruttori di pace" ascoltano don Tonino: "Sono interni alla nostra fede i
discorsi sul disarmo, sulla smilitarizzazione del territorio, sulla lotta
per il cambiamento dei modelli di sviluppo che provocano dipendenza, fame e
miseria nel Sud del mondo e distruzione dell'ambiente naturale" (C. Ragaini,
op. cit., p. 114).
Quel momento di "Arena '89" e' preceduto e seguito, nelle chiese cristiane,
dall'assemblea ecumenica di Basilea e da quella di Seul su "Pace, giustizia,
salvaguardia del creato". Tonino Bello  afferma che questi impegni per
l'umanita' e per il mondo sono interni alla vita di fede e percio' alla
santita' cristiana.
*
1990, crisi del Golfo; 1991, Guerra del Golfo. Le speranze dell'89, anno
delle piu' grandi rivoluzioni nonviolente della storia (si veda il libro
piu' documentato su  questo punto: Giovanni  Salio, Il potere della
nonviolenza, Edizioni  Gruppo  Abele, Torino 1995), sono spente dalla
ostinazione dei "vincitori" della guerra fredda a rilegittimare la guerra,
come criterio e metodo di soluzione dei conflitti, a difesa non tanto del
diritto internazionale e dei popoli, spesso e largamente violato da molti
senza risposta bellica, quanto del primato e degli interessi materiali dei
potenti del mondo, come essi stessi affermeranno di li' a poco nei "nuovi
modelli di difesa" che dichiarano a chiare lettere tali fini e prendono
esplicitamente a modello la Guerra del Golfo (Per la critica dei "nuovi
modelli di difesa" statunitense, tedesco e italiano mi limito qui ad
indicare il libro, pensato da Ernesto Balducci, di U. Allegretti, M.
Dinucci, D. Gallo, La  strategia dell'impero, Edizioni Cultura della Pace,
San Domenico di Fiesole 1992, e il piu' breve degli articoli da me scritti
sull'argomento, Difendere che cosa? e come?, in "Rocca", primo dicembre
1994, p. 47).
Tonino Bello e' in prima fila, con pena interiore, con mille instancabili
iniziative, nell'impegno totale per la pace che fa onore in quel momento
alla Chiesa, ma una cosa lo distingue:  in una lettera ai parlamentari
dell'inizio di gennaio 1991 prospetta come extrema ratio cio' che nessuna
autorita' morale, salvo Oscar Romero, ha detto, ne' allora ne' poi: la
possibilita' di "dover esortare direttamente i soldati, nel caso deprecabile
di guerra, a riconsiderare secondo la propria coscienza l'enorme gravita'
morale dell'uso delle armi" (C. Ragaini, op. cit., p. 116).
Solitamente l'appello morale alla pace da parte di vescovi e papi e' rivolto
alla buona volonta' dei responsabili politici, dei governanti, non alle
coscienze dei cittadini e dei soldati chiamati ad eseguire le politiche di
guerra. Timore di interferire coi poteri economici e politici? Non c'e' un
uguale timore di entrare d'autorita' nella vita intima e spesso difficile
delle persone, con l'imporre obblighi di etica sessuale dettagliatamente
definiti in tutto il loro peso. Sembra proprio che il magistero morale della
chiesa cattolica sia piu' delicato coi poteri forti che con le persone
deboli e alle prese con difficolta' a volte drammatiche, che pesano per lo
piu' sulle donne.
Tonino Bello pone il problema della guerra e della pace a quell'istanza
suprema che e' la coscienza personale, certo non isolata ma responsabilmente
decisiva. Questo e' eversivo. Craxi  e il "Giornale" di Montanelli
rispondono con l'irrisione e l'insulto. Il deputato repubblicano Gaetano
Gorgoni, conterraneo di don Tonino, cita il Qohelet per dargli del pazzo. Ma
Tonino Bello ripete in una intervista televisiva che se un pilota non puo',
in coscienza, bombardare i civili, deve avere il  coraggio di disertare.
Dell'ammiraglio Buracchia, privato del comando della spedizione navale
italiana nel Golfo perche' ha dichiarato che "la guerra si poteva evitare",
dice con ammirazione: "Ha dato voce e liberta' alla sua coscienza" (C.
Ragaini, op. cit., p. 116, 117, 120, 121).
Ma il consiglio permanente della Cei, per bocca di Ruini, prende le
distanze: "Le scelte politiche non ci competono". Cosi' altri vescovi, come
Biffi e Saldarini, dicono in sostanza: pace si', pacifismo no. Questa
posizione, oltre che una facile scappatoia, sembra vittima dell'errore di
pensare il pacifismo nell'unico significato di rinuncia alla lotta giusta
per  vilta', ma questo senso della parola e' superato dalla realta' dei
movimenti seri per  la pace, ispirati largamente alla nonviolenza attiva,
piu' profonda e ampia di un limitato pacifismo.
Anche nell'episcopato pugliese Tonino Bello incontra posizioni differenti
dalle sue. La maggiore amarezza gli  viene dagli ambienti ufficiali della
citta', dalla Democrazia Cristiana, da alcuni settori del suo clero, da una
parte del consiglio pastorale, che non capiscono ne' condividono le sue
posizioni radicali contro la guerra e l'intervento italiano (C. Ragaini, op.
cit., p. 122, 123, 124, 125). "La cosa che piu' mi fa soffrire - commenta il
vescovo Tonino - e' di vedermi delegittimato nella mia funzione di pastore.
Se un vescovo non puo' appellarsi alla coscienza, cosa gli resta? Decidere
dei colori dei paramenti?" (C. Ragaini, op. cit., p. 126).
Un  documento di  Pax Christi ribadisce che le obiezioni "non sono disprezzo
verso  lo Stato e le sue istituzioni, ma espressione di un amore piu' grande
e di un servizio fatto per  l'uomo, specialmente per  quelli che le 'patrie'
dimenticano" (C. Ragaini, op. cit., p. 122-123). Chi obietta alle soluzioni
violente patisce l'urto coi potenti per amore degli ultimi.
*
Intanto compare la malattia, il cancro che frenera' e fermera' infine
l'azione appassionata di Tonino Bello, almeno su questo versante della
realta'.
Viene la drammatica immigrazione degli albanesi, don Tonino si mobilita, con
tutte le associazioni della diocesi e organizza l'accoglienza di centinaia
di profughi. Dopo l'ondata di agosto 1991 corre allo stadio di Bari, tra gli
albanesi, dichiara e scrive la sua vergogna e indignazione per il
trattamento usato: "Le persone non possono essere trattate come bestie.
Prive di assistenza, lasciate nel tanfo delle feci che il profumo del mare
non riusciva a mascherare. Mantenute a dieta con i panini lanciati a
distanza, come si fa allo zoo (...). No, l'uomo, chiunque esso sia, quali
che siano le sue colpe, merita ben altro rispetto" (C. Ragaini, op. cit., p.
131, 132).
Ha parole severe per la brutta "operazione Sardegna" con cui lo stato, con
mezzi militari e con l'inganno, rastrella in tutta Italia e rimpatria con la
forza questi profughi di "popoli alla deriva". Anche il sindaco di Bari
critica l'operato del governo, ma il presidente Cossiga lo definisce
"irresponsabile e cretino". Il  ministro democristiano degli affari interni,
Scotti, ritiene di  potere scherzare e dice: "A peste, fame et Bello libera
nos Domine" (antica preghiera che significa: Liberaci, Signore, dalla peste,
dalla fame, dalla guerra) (C. Ragaini, op. cit., p. 133-134).
Il 6 febbraio del 1992 muore padre Turoldo, di cancro anche lui, e il 25
aprile padre Balducci, vittima di un incidente stradale. Il 23 maggio a
Sarajevo, nella "strage del  pane", 23 persone sono uccise da una granata.
Grandi dolori per tutti.
Turoldo aveva scritto la prefazione al libro di don Tonino Alla  finestra
la  speranza, con la  forza abituale delle verita' paradossali, quelle cioe'
che prendono di petto le opinioni correnti: "Non inoltrarti troppo su queste
strade di poveri", gli dice con dolente ironia; gli parla della "tua
passione di voler essere uomo e cristiano"; gli riconosce "il merito di
avere proclamato che la comunione di Cristo col mondo dei poveri e' l'unico
spazio umano, lo spazio dove avviene la sua unica vera incarnazione" (A.
Bello, Alla finestra la speranza, Prefazione di D. M. Turoldo, pp. 8, 9,
10).
Nell'estate del 1992 si accalora, per passione di giustizia, nella  difesa
dei  pacifisti derisi, accusati, e insultati da grossi giornalisti: Miriam
Mafai, Enzo Bettiza, Walter Veltroni, Angelo Panebianco (C. Ragaini, op.
cit., p. 144, 147). Dimostra la loro azione quotidiana, nella formazione,
nelle analisi, nell'educazione alla nonviolenza attiva, non nei cortei o
nelle televisioni, l'unica cosa che certa informazione sa vedere. E' in
questa occasione, replicando a quei giornalisti, che Tonino Bello ci da' una
delle piu' esatte e vere sentenze sulla guerra, su ogni guerra, quando
afferma che "i cannoni non tuonano mai amore di patria, ma sillabano sempre
in lettere di piombo la suprema ragione dell'oro" (C. Ragaini, op. cit., p.
146).
Lavora freneticamente, viaggia per l'Italia, si affatica utilizzando spesso
le ore della notte per ridurre le assenze da Molfetta. Interpellato da
Sandro Magister de "L'Espresso" sull'apparente contraddizione di papa
Wojtyla, pacifista nel '91 ed ora propugnatore  della "ingerenza
umanitaria" nella tragedia jugoslava, Tonino Bello non esita ad affermare
che il diritto-dovere dell'ingerenza umanitaria si puo' praticare in diverse
modalita', ad esempio quella nonviolenta.
(Sull'attenzione e informazione di Tonino Bello riguardo alla cultura,
metodi, esperienze di difesa nonviolenta segnalo: 1) "La Difesa popolare
nonviolenta (DPN) non e' un tenero sentimento per novizie, ma e' diventata
una scienza, articolata e complessa" (da un articolo di Tonino Bello sul
settimanale diocesano "Luce e vita", durante la Guerra del Golfo, citato in
C. Ragaini, op. cit., p. 124). 2) Il discorso nel teatro al buio di Sarajevo
il 12 dicembre 1992, in Scr. A. B., vol 1, pp. 123-126. 3) L'articolo
L'ultima radice, in "Nigrizia", settembre 1991. 4) La relazione tenuta a
Torino, il 2 novembre 1990, nel pieno della crisi del Golfo, nel secondo
Convegno internazionale di ricerca sulla Difesa Popolare Nonviolenta, sul
tema Fondamenti etici della DPN. Questa relazione di Tonino Bello non mi
risulta finora pubblicata (lo sara', secondo le informazioni avute, nel
quarto volume di Scr. A.B., cit.). Ne ho stesa una sintesi, ricavata dai
miei appunti nell'ascolto, che non ricordo se ho gia' pubblicato da qualche
parte).
E lancia l'idea di un "cuscinetto umano", una interposizione nonviolenta di
centinaia di migliaia di obiettori e volontari di pace. Albino Bizzotto, di
"Beati i costruttori di pace", raccoglie l'idea, che si realizzera' poi nel
dicembre 1992 in misura molto minore, ma ugualmente di grande significato
per il futuro, insieme ad altre analoghe precedenti azioni di pace, ancora
troppo ignorate dalla cultura storica (Posso fornire un'ampia bibliografia
sui casi storici di lotte nonviolente, che ho intitolato "Difesa senza
guerra").
Don  Tonino era malato, quando a dicembre i 500 andarono a Sarajevo. "Ci
andro', anche con le flebo addosso", disse al suo medico (C. Ragaini, op.
cit., p. 148). E cosi' fece. A Kiseljak e a Sarajevo dice parole, raccolte
anche nelle videoregistrazioni fatte da alcuni presenti, che sono tra le sue
piu' alte, piu' illuminate, piu' sofferte, ed anche piu' piene di gioia. Al
ritorno, profetizza la scomparsa della guerra dalla storia (C. Ragaini, op.
cit., p.169), con la fede di chi vede oltre la durezza e l'oscurita' delle
cose.
Ormai si prepara a morire. Un mese prima, confida a Claudio Ragaini,
l'autore della biografia: "Io non faccio altro che partecipare alle
sofferenze di Cristo, ma anche alle sofferenze della gente" (C. Ragaini, op.
cit., p.176). Ecco: santita' come passione per l'uomo.
Le sue omelie e le sue lettere al popolo somigliano a quelle di Oscar
Arnulfo Romero, che il martirio e il popolo dei poveri hanno subito
dichiarato santo. Ogni lettera di don Tonino presenta a noi una persona tra
le piu' umili e sofferenti, una presenza viva, intera, con tutto il suo
carico, con il suo nome proprio; una santa litania di crocifissi che egli
abbraccia ed onora, che "eleva sugli altari", direi, perche' in essi
riconosce e indica il Signore.
Le persone singole e i problemi di tutti. Nella  lettera pasquale del 1987
parla anche del megapoligono di tiro che i piani militari vogliono piazzare
"sulle nostre Murge". E avverte: "Non fate lo sbaglio di dire che il vostro
vescovo sta facendo politica"  (Scr. A. B., vol 2, pp. 310 e 305): e' la
passione per il suo popolo, che e' poi la vera e giusta politica, e sono
anche, senza alcun integralismo, "discorsi interni alla nostra fede", come
abbiamo sentito.
Tonino Bello ricorda Romero in una grande omelia, pronunciata nella
basilica dei Santi Apostoli, a Roma, il 23 marzo 1987, che termina con una
lunga preghiera al santo vescovo dei  poveri. Involontariamente, parlando di
Romero, ci da' un ritratto del proprio spirito di servizio. Come Romero, don
Tonino e' "vescovo fatto popolo". Cita parole di Romero, che sono anche
pensiero suo, come abbiamo gia' sentito: "I poveri sono quelli che ci dicono
che cos'e' la polis, la citta', e che cosa significa per la chiesa vivere
realmente nel mondo. Tutto questo non solo non ci allontana dalla nostra
fede, ma ci rimanda al mondo dei poveri come al nostro vero posto". Prega
Romero che gli dia una mano "perche' possiamo coraggiosamente incarnare [la
parola di Dio] nella cronaca, nella nostra piccola cronaca personale e
comunitaria, e produca cosi' storia di salvezza" (Scr. A. B., vol 2, p. 162;
vedi tutta l'omelia alle pp. 157-164).
All'inizio di questa relazione ha parlato la ragazza della rosa. Alla fine
deve parlare il barbiere di don Tonino: "Io ero abituato, col vescovo
precedente, che mi chiamava il segretario in curia per il mio servizio. Lui
invece arrivava in negozio come uno qualunque. I clienti si alzavano in
piedi, volevano che passasse avanti. No, no, non c'era verso, aspettava il
suo turno e nel frattempo il mio negozio si riempiva di gente, lui aveva una
parola per tutti" (G. Amaini, Un addio a don Tonino, in "Avvenire", 29
aprile 1993, p. 20).
*
* Aldo Capitini: l'idea di una religione aperta
La "religione aperta" di Aldo Capitini e' oggi ammonimento e ammaestramento
per le due principali linee della nostra cultura riguardo al problema
religioso, e cioe' tanto per le tradizioni cristiane, in Italia specialmente
la cattolica, quanto per la tradizione agnostica laica.
Per il cattolicesimo Capitini e' suggeritore di interiorita', di liberta'
spirituale, di fedelta' pratica all'amore universale nella nonviolenza
attiva. Per il laicismo - ma qui devo essere piu' cauto
nell'interpretazione - Capitini propone una maggiore apertura e sensibilita'
all'invisibile profondita' della realta' umana e cosmica sulla cui estrema
superficie camminiamo noi tutti, con molta piu' ignoranza e incertezza che
non saperi certi, con un bisogno di ascoltare il mistero vivo che ci
sostiene, ci avvolge e ci interpella, bisogno che mi pare molto superiore al
diritto di disinteressarcene solo perche' la sua inverificabilita' coi metri
validi nel nostro piccolo raggio di visuale, lo renderebbe privo di senso.
Scrive Antonio Vigilante (cap. III, La religione aperta, del suo libro La
realta' liberata. Escatologia e nonviolenza in Aldo Capitini, Edizioni del
Rosone, Foggia 1999): "Tutto il suo pensiero [di Capitini] e' il tentativo
di introdurre nella coscienza laica il paradosso della fede".
Uso alcune espressioni di Mario Martini (in Capitini, Scritti filosofici e
religiosi, d'ora in poi SFR, ed. Protagon, Perugia 1994, Introduzione, pp.
X-XI), per tratteggiare l'atteggiamento religioso di Capitini:
- apertura, "aggiunta" metodica, dall'esperienza della realta' alla sua
possibile modificazione;
- percio' "persuasione nonviolenta" pur nella realta' violenta;
- "compresenza" di tutti gli esseri anche minimi, anche invisibili come i
morti;
- non soggetto logico, ma dialogico;
- preminenza non dell'io ma del tu;
- bonta' dell'incremento, che e' valore, rispetto al fatto, che e'
insufficienza;
- l'atto religioso salvifico redime i soggetti trascendendo la storia e la
natura, ma operando attivamente qui e ora.
Aggiunta e apertura non solo nel pensiero, nell'accogliere nella mia
conoscenza qualcosa piu' ampio di me e del mondo che vedo; ma apertura e
aggiunta nella "sporgenza della prassi" (La compresenza dei morti e dei
viventi, Il Saggiatore, Milano 1966, p. 217; cit. in SFR, p. XXV).
"L'aggiunta non e' una categoria conoscitiva, rivolta all'evento che sorge e
dilegua; e' una categoria pratica, un vivere una realta' che e' in
incremento" (SFR, 398).
Questo pensiero e' biblico ed evangelico, ed e' universalmente religioso: la
vera religione e' agire bene, fare il bene, non sta nel pensare giusto o nel
culto dovuto. Un solo richiamo cristiano - che vale per tutti i testi simili
negli scritti ebraici, in quelli cristiani, in quelli di altre religioni -
e' in Matteo 25 sul giudizio finale. Chiederanno i giusti: "quando mai ti
abbiamo visto?". Il giudice rispondera': "Quando avete sfamato, rivestito,
ospitato, visitato chi aveva bisogno". La verita' che salva e' nell'amore
per tutti (l'unita'-amore, dice Capitini), non in una teoria religiosa o
conoscenza teologica. Neppure la fede salva se non e' fedelta', cioe' la
"aggiunta", o il frutto, delle azioni che la attuano. E azioni di amore
dimostrano una implicita disposizione a credere e pensare che l'amore e non
la forza e' la legge della vita.
Questa apertura pratica, che accoglie da fuori di se' la norma della vita
giusta e buona, norma che e' dettata dalla presenza dell'altro, dal suo
volto, e' espressa in tutte le religioni e le sapienze dalla famosa "regola
d'oro". La formulazione piu' nota e' quella ebraico-cristiana, sia positiva
che negativa: "Quel che desiderate che gli altri facciano a voi, fatelo voi
a loro"; "Non fate agli altri quel che non vorreste fosse fatto a voi". Non
ricordo un passo di Capitini che metta in evidenza questa regola (trovo un
cenno in SFR p. 473, da Religione aperta), ma tutta la sua religione etica
si fonda nell'apertura all'altro, che diviene regola del nostro agire.
Un problema: quella "aggiunta" e' la religione nel senso piu' ampio, ma e'
anche ogni moralita', ogni vita vissuta nella coscienza di avere un "obbligo
eterno e incondizionato" (Simone Weil, La prima radice, Mondadori 1996, p.
17). Chi aggiunge quei valori all'esistenza? Siamo noi, con l'opera nostra?
Ci vengono da Altri, sebbene per via intima?
Rimane la domanda, per capire la religione di Capitini: la aggiunta e' opera
nostra, azione umana di autosuperamento, oppure e' incontro con Altri,
avvento di Altri da oltre l'uomo?
E', la religione di Capitini, quel ponte tra laicismo e religiosita', tra
l'umanesimo agnostico su Dio, percio' monopolare, e l'antropologia religiosa
essenzialmente bipolare?
Ma oggetto della religione che cosa e' per Capitini? Non e' altro che la
compresenza, cioe' l'insieme corale e con/vivo di tutti i viventi, da Dio al
morto piu' dimenticato fino all'ultimo animale, l'insieme nel quale il
soggetto e' totalmente ricompreso? Quindi oggetto nella sua religione e' la
contemplazione attiva e operosa di un'appartenenza senza alterita'? Ma non
e' anche essenzialmente quella di Capitini la religione del Tu, che  conduce
il libero religioso a passare dall'io autocentrato ad una vita bi/centrata?
Su questa base si deve negare che la religione di Capitini sia soltanto
soggettiva per il fatto che non accentua l'alterita' della "realta' ultima"
o realta' divina. La sua e' stata detta una "teologia del tu" (Fortunato
Pasqualino, in Il nostro tempo, 3 novembre 1968). E' una religione
preminentemente etica, attuata nella pratica, non e' pero' un'etica
teologica (un dover-essere e dover-fare che discenda dalla parola o dalla
luce di Dio) quanto, direi, una teologia etica: cio' che si puo' incontrare
e vivere dell'assoluto, lo si incontra e lo si vive nel comportamento etico,
nell'apertura al tu/tutti. Se Dio c'e', vivente e altro da noi, l'apertura
al tu e' apertura a lui, anche quando non lo conosciamo e non lo possiamo
affermare.
Armido Rizzi puo' dire: "La religione e' l'affermazione che la realta' non
e' puramente casuale, non e' assurda, ma dotata di un "perche'" che ne
giustifica l'esistenza" (Il Sacro e il Senso, Lineamenti di filosofia della
religione, LDC, 1995, p. 20).
Questa "affermazione" non occorre che sia teorizzata, se e' affermata nei
fatti. La "persuasione" di Capitini (parola che egli sceglie a preferenza di
"fede", forse anche per un condizionamento polemico) e' questa convinzione
profonda e operante, per la quale la piccola vita personale ha senso,
rientra in un insieme dotato di bellezza e valore, totalmente amabile fino
al sacrificio personale, pur se ancora in cammino faticoso e tribolato; una
realta' di fatto che puo' e merita di essere svolta verso la "realta'
liberata". Una delle parole piu' belle con cui Capitini dice questa
persuasione intima e pratica e', secondo me, questo passo famoso:
"Io non dico: fra poco o molto tempo avremo una societa' che sara'
perfettamente nonviolenta, regno dell'amore che noi potremo vedere con i
nostri occhi. Io so che gli ostacoli saranno sempre tanti, e risorgeranno
forse sempre, anche se non e' assurdo sperare un certo miglioramento. A me
importa fondamentalmente l'impiego di questa mia modestissima vita, di
queste ore e di questi pochi giorni; e mettere sulla bilancia intima della
storia il peso della mia persuasione, del mio atto, che, anche se non e'
visto da nessuno, ha il suo peso alla presenza e per la presenza di Dio. E
penso: forse dovra' essere sempre cosi', vi sara' sempre questa lotta,
questa affermazione fatta in un modo o in un altro; ma se sono veramente un
persuaso religioso, in questa stessa lotta, in questa stessa affermazione,
sento una serenita' superiore, una presenza che mi redime dalla mia finitezz
a. E pur essendo volto infinitamente agli altri, prima del loro
persuaderli - che puo' essere tanto difficile e impedito dal loro stesso
agire o dalla mia inettitudine - l'atto religioso vale in intimo, come
dedizione e come celebrazione redentiva" (Elementi di un'esperienza
religiosa, ristampa anastatica Cappelli 1990, pp. 115-116).
Mi pare davvero il manifesto, o l'inno, o anche la preghiera eucaristica -
vale a dire di rendimento di grazie - di una vita persuasa, cioe' felice di
tutta la felicita' possibile nel mondo, perche' sente di valere, di essere
nel bene, nonostante la piccolezza e debolezza e manchevolezza di cui e'
consapevole. E' cosi' che la vita ha valore, quindi e' salva, e' guarita, e'
riscattata da tutte le sue miserie, banalita', insignificanze, fallimenti,
cadute, crisi di oscurita', smarrimenti, e da tutte le sue perplessita'.
*
Quale Dio?
"Dio non e' certamente [per Capitini] il 'totalmente altro' dell'ultima
teologia evangelica [Karl Barth], ne' il 'mysterium tremendum' del numinoso
e del sacro" (Martini, SFR, XII). Capitini scrive: "La tramutazione, la
presenza, la realta' religiosa, la novita', non sono piu' oggetto di
speranza, ma noi siamo in esse" (Il problema religioso attuale, Guanda 1948,
p. 113, cit. da Martini, SFR, p. XII). Qui sembra che Capitini propenda
verso quell'annullamento della distanza tra Dio e noi che e' proprio
dell'esperienza mistica, e sembra cosi' che approcci la grande tensione
"gia' e non-ancora" risolvendola tutta nel "gia'", al limite del panteismo,
a rischio di consacrare totalmente proprio quella realta' presente che pure
egli sente e afferma spesso da non accettare, da superare e da liberare. Il
brano citato continua poco oltre: "Dio si e' tramutato e da sovrano assoluto
si fa persuasore intimo, da onnipotenza si fa libera aggiunta, da persona si
fa anonimo, da trascendenza si fa presenza dell'Uno-Tutto" (ibidem). (Questo
termine Uno-Tutto lo correggera' poi in Uno-Tutti). Qui dunque ha detto di
Dio: "Da persona si fa anonimo". Ma nel suo primo libro, parlando della
"vicinanza di Dio", dice che Dio "non e' persona tra le persone, ma persona
per le persone" (Elementi di un'esperienza religiosa, ristampa Cappelli
1990, p. 46). "Dio non ha piu' nome perche' si da' ai nomi, dall'intimo" (Il
problema religioso attuale, cit., p.41). Anche nella Bibbia Dio non ha nome
(il suo nome e': ci sono, ci saro'; saro' con te; cfr. Esodo 3, 14) , ma e'
evidentemente persona, cioe' vita, pensiero, volonta', amore, relazione,
azione, cio' che non e' il dio aristotelico.
Quel che abbiamo sentito significa che per Capitini Dio non e' persona?
Allora, Dio anonimo, impersonale, risolto tutto nella corale compresenza dei
viventi, come una forza senza volto, un elemento comune a tutti, senza le
facolta' proprie dell'essere persona? Neppure questo, mi pare. Dio non e' il
"totalmente altro", ma neppure la "natura naturans" tutta immanente. Sembra
che in Capitini Dio conservi, nella vicinanza intima, la sua realta' propria
e differente dall'uomo: egli vuole evitare una concezione religiosa che ne
faccia un oggetto alto, staccato, definito e idolatrato, eppure scrive che
"il cambiamento dovra' apparire come operato da Dio stesso, e non come
compiuto dalla forza limitata dell'uomo, egualmente assurda sia nel
pretendere di 'decapitare' quanto di 'costruire' Dio (...). Dio non puo'
essere ne' costruito ne' distrutto. E allora una tramutazione non puo'
essere autentica se non compiuta al di la' di queste operazioni, cioe' se
non riconosciuta come opera di Dio stesso" (Il problema religioso attuale,
Guanda 1948, pp. 36-37). In un passo come questo, Capitini non identifica
Dio con lo spirito dell'uomo, perche' Dio opera prima e distintamente
dall'uomo. Dunque, Dio e' Altri. Cosi' come, parlando della preghiera (in
modo anche polemico verso la religione tradizionale), conclude cosi':
"Nell'intimita', che e' dualita', sono udito" (Elementi di un'esperienza
religiosa, ristampa Cappelli 1990, p. 57).
Qui Dio non e' identificato semplicemente con l'intimo umano, con la
coscienza. Anche in pagine precedenti (p. 48; 50) ricorre il termine
"dualita'; dualismo", che mi pare significhi, nel contesto, alterita', non
identita' tra l'io finito e Dio; non un'alterita' esterna, trascendente, ma
intima; intimita', ma non identita'. Anche nelle prime righe del paragrafo
subito seguente "Premio e pena", sembra di cogliere questa idea di una
dualita' intima: nell'intimo la verita' (Dio) mi giudica, mi e' testimone.
Attraverso le pagine capitiniane, di una teologia non costruita di
geometriche definizioni, ma calda di afflato etico attivo, di unita'-amore,
sembra di leggere anche quella che, in termini cristiani, e' la teologia
dello Spirito Santo: lo spirito, cioe' il sentimento stesso di cui vive Dio,
effuso da Cristo nei cuori, ad animarli dall'intimo, sicche' san Paolo puo'
dire: "Vivo non piu' io, ma vive in me Cristo" (lettera ai Galati 2, 20). In
una parola, Capitini dice di si': "Questa unita' monoteistica non la sto a
descrivere e teorizzare, ma la vivo concretamente: la teologia e' teogonia
in atto, da vivere" (Elementi di un'esperienza religiosa, ristampa Cappelli
1990, p. 41).
Io non sono sicuro di avere, in questi pochi cenni, compreso la teologia di
Capitini. Mi pare che una sua preoccupazione sia di rompere l'individualismo
di una appartenenza pigra e formale ad una istituzione religiosa e
dottrinale, che fornisce un concetto definito di Dio, per trovare Dio
"lentamente, attraverso crisi (...) in un'intimita' maggiore di prima"
(Elementi..., p. 41). Un altro intento di Capitini e' quello che Martini
(SFR, p. XXVIII) chiama "universalistico" meglio che "ecumenico". Forse
questo intento spiega la presenza di aspetti diversi e anche opposti nel
pensiero religioso di Capitini, quasi per cercare una base comune a tutte e
oltre tutte le religioni.
Uno dei motivi della rottura di Capitini col cattolicesimo (un altro fu il
Concordato del 1929 con l'Italia fascista) fu la concezione rigida
dell'inferno, di un dio che condanna i peccatori impenitenti all'inferno
eterno, ribadita da Pio XII e presente in certe tradizioni protestanti
addirittura nella forma della doppia predestinazione, (la liberta'
arbitraria riconosciuta a Dio, per esaltarne l'assoluta grandezza e
diversita', di salvare o dannare chi lui vuole, "ante praevisa merita").
Tutte queste idee, se non sbaglio, sono oggi molto discusse in ogni ambito
cristiano pensante.
*
Religione e politica
Come Gandhi (si veda almeno Teoria e pratica della nonviolenza, Einaudi,
Torino 1996, p. 31) Capitini collega religione e politica, senza paura degli
equivoci tipici della storia europea ed italiana, derivanti dal fatto che la
religione vi appare principalmente come una istituzione sociale, con una sua
potenza, in competizione con l'istituzione politica, lo stato. Ma se
religione e' persuasione e movimento intimo, non intimistico, allora essa
rifluisce in frutti di dedizione al tu-tutti nella vita e nell'azione della
comunita' politica, senza rivalita' istituzionali. Leggiamo Capitini:
"Per essere veramente religiosi bisogna passare per la vita pubblica. Si
puo' anche essere stiliti o eremiti per riordinare la propria vita
interiore, ma poi bisogna fare vita pubblica, e solo su questa sorge la vita
religiosa che porta aperture e aggiunta" (Il potere di tutti, La Nuova
Italia, Firenze 1969, p. 385, cit. da Rocco Altieri, Aldo Capitini e la
nonviolenza nell'incontro tra religioni orientali e occidentali, in
Nonviolenza e giustizia nei testi sacri delle religioni orientali, Atti del
convegno della Facolta' di Lettere dell'Universita' di Pisa, 24-26 maggio
1995, a cura di Caterina Conio e Donatella Dolcini, ed. Giardini, Pisa 1999,
pp. 303-312).
Ma nella concezione di Capitini, e' noto, la vita pubblica non e' soltanto,
e non e' per lui personalmente, politica nelle istituzioni del potere,
bensi' partecipazione di tutti, dal basso, a costruire tutti insieme
l'orientamento generale, attraverso il "potere di tutti", la' dove i valori
ideali e morali possono influire meglio nelle scelte politiche. Si sa che
l'opposizione di Capitini al fascismo fu opposizione religiosa, come egli
dichiara e ricorda piu' volte. Recentemente, commemorando a Torino il grande
vescovo brasiliano Helder Camara, morto il 28 agosto 1999, Ermis Segatti
osservava che l'Europa ha vissuto grandi istanze di liberta', ma senza
coniugarle con l'ispirazione religiosa, come invece e' avvenuto nell'America
Latina. Ecco un altro sintomo, dal mondo extra-europeo (latino-americano
questo, asiatico in Gandhi), di un rapporto tra religione e politica nel
quale Capitini ha, tra noi, un ruolo originale.
*
Capitini evangelico
Post-cristiano? Oppure davvero evangelico? "Cristiano senza chiesa", come
diceva di se' Silone? (Introduzione a L'avventura d'un povero cristiano,
Mondadori 1968). Capitini non e' cristiano nel senso proprio del termine:
cristiano e' chi, sulla parola e per la testimonianza di Gesu' di Nazareth,
tramandata nella tradizione della fede, crede che Gesu' e' vero Dio e vero
uomo, e crede nella intima uni-trinita' di Dio rivelata da Gesu'. Questo,
nella religione aperta di Capitini, non c'e'. Ma c'e' molto di quanto di
piu' essenziale Gesu' ha insegnato con i fatti e con la sua vita; c'e' molto
di cio' che e' salvezza dell'esistenza umana, secondo l'annuncio evangelico.
In Capitini c'e' la nonviolenza, che e' amore senza condizioni: non il
sentimento d'amore della piena concordia (i cuori insieme), ma la volonta'
di bene anche per l'avversario e per chi ti e' nemico. Io credo che la
nonviolenza attiva, la ricerca di soluzione non distruttiva e non offensiva
dei conflitti umani, dal micro al macro, sia la forma laica, attuale,
dell'amore fattivo esteso fino ai nemici, e che questo amore - che noi ci
pensiamo o no, che noi lo riconosciamo o no come tale - sia il piu' grande
segno di Dio nella vita umana. Dio non agisce miracolisticamente, ma nella
comparsa di novita' che salvano dal male: l'amore fino ai nemici e' questa
novita', questa guarigione profonda, questa liberazione dai demoni che ci
rendono omicidi. Capitini ha vissuto e detto questo, ha accolto in pieno la
novita' evangelica senza l'interpretazione teologica - del resto non
trascurabile ma preziosa, io credo, per lo stesso vivere in modo
evangelico - che tutte le chiese cristiane concordemente ne hanno sempre
dato. Capitini cristiano pratico nel rifiuto teorico, potremmo dire.
Amare chi non ti ama, avere l'"iniziativa assoluta" (termine di Capitini),
porre l'atto, dare piu' che ricevere, non uccidere e non offendere, non
mentire, sperare l'insperabile, non rassegnarsi al potere del male,
perdonare, attendere e preparare la "realta' liberata", vedere la fecondita'
della sofferenza accettata (Capitini usa spesso il termine di "croce" per
dire il prezzo meritevole da pagare nella lotta nonviolenta): tutto cio' e'
vita evangelica, vissuta negli spazi della "lieta notizia", ed e' essa
stessa una lieta notizia, un "evangelo" per chi la incontra.
Cio' sia detto, ovviamente, non per annettere Capitini ad una chiesa e ad
una credenza che ha avuto motivo di rifiutare, ma per riconoscere in lui lo
stesso flusso di verita' e di bene che un cristiano trova nell'ascoltare e
seguire Gesu' di Nazareth. Tutto cio' e' motivo di lieta gratitudine, di
allargamento del cuore e della speranza, e' "religione aperta".

3. LIBRI. FEDERICA SOSSI PRESENTA "ESTRANEI E NEMICI" DI ANNAMARIA RIVERA
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 19 giugno 2003.
Federica Sossi e' docente di filosofia teoretica all'universita' di Bergamo.
Tra le sue opere: (a cura di), Pensiero al presente, Cronopio, Napoli 1999;
Autobiografie negate. Immigrati nei lager del presente, Manifestolibri, Roma
2002.
Annamaria Rivera e' docente di etnologia all'Università di Bari, e'
impegnata nella "Rete antirazzista". Opere di Annamaria Rivera: con Rene'
Gallissot e Kilani, L'imbroglio etnico, Dedalo, Bari 2001; (a cura di)
L'inquietudine dell'Islam, Dedalo, Bari 2002; Estranei e nemici,
DeriveApprodi, Roma 2003]
Si potrebbe immaginare la seguente scena: sera inoltrata, all'uscita da un
bar un "normale" controllo di polizia, due, tra le persone controllate, non
hanno con se' i documenti. Vengono fermate e arrestate. Trascorrono i loro
giorni nella stessa cella, condividono il cibo e la parola, poi una delle
due viene rilasciata, e' trascorso un mese, ed e' questa la durata massima
dell'arresto previsto dalla legge italiana nel caso di mancata esibizione
dei documenti di identificazione. L'altra persona verra' a sua volta
rilasciata, ma cinque mesi dopo. Si potrebbe immaginare anche la seguente
scena: paesaggio marino, una macchina si accosta sulla strada sterrata
accanto agli scogli, dalla macchina scendono alcune donne e un bambino, non
si dirigono verso il mare ma si fanno aprire dai carabinieri un alto
cancello a inferriate ed entrano nell'unica struttura abitativa della zona,
poi si apre un altro cancello, passano tra carabinieri e persone detenute
all'interno di quella struttura, si apre un ulteriore cancello e scompaiono.
Abitano li', le donne e il bambino. Una di queste due scene e' soltanto
immaginata, l'altra la si puo' scorgere tutti i giorni nei pressi di Lecce.
Trascinati dal proprio istinto voyeuristico si potrebbero precisare
ulteriormente i tratti della scena reale. Non quella della cella, ma quella
del bambino. Applicando il proprio occhio a una piccolissima fessura del
cancello di ferro dietro a cui il bambino era scomparso, si potrebbero
scorgere, infatti, altri due o tre bambini nel cortile, un trattore di
plastica, un box e una carrozzina, qualche panno steso al sole.
Vivono li', alcune donne, alcune bambine e alcuni bambini, figlie e figli di
quelle donne, sembra che alcuni di loro vi siano addirittura nati, non
comunque il bambino sceso con la mamma dalla macchina che vive li' da due
anni e ne ha tre. Il posto in cui vivono dovrebbe essere un luogo di
protezione e integrazione sociale, previsto da una legge del 1998, in cui
far trascorrere non anni ma alcuni mesi alle donne straniere ed
eventualmente anche ai loro figli che abbiano deciso di denunciare le
situazioni "di violenza o di grave sfruttamento" da esse subite e i loro
sfruttatori. Capita, invece, che il posto in cui vivono quelle donne con i
loro bambini, non per alcuni mesi, ma per anni, sia all'interno di un Centro
di detenzione per stranieri in via di espulsione, nei pressi di Lecce, il
cui direttore, insieme ad altri operatori e carabinieri, e' da qualche mese
indagato per i gravi maltrattamenti subiti dagli stranieri detenuti nel
centro.
Perche' raccontare insieme queste due scene? Perche' sono possibili a
partire dallo stesso testo di legge. Nella scena soltanto immaginata,
infatti, la differenza tra le due persone arrestate e poi rilasciate non e'
ne' di sesso, ne' di professione, ne' di condotta all'interno del carcere,
ma unicamente di luogo di provenienza. La persona rilasciata dopo un mese ha
la cittadinanza italiana, l'altra e' straniera, di cittadinanza non
appartenente a uno stato della Comunita' europea.
*
L'esempio di questa differenza viene riportato da Annamaria Rivera nel suo
Estranei e nemici. Discriminazione e violenza razzista in Italia
(Deriveapprodi, 2003, pp. 157, 13 euro) come uno dei tanti possibili, e
certamente "non dei piu' gravi", per dar conto di una strana categoria di
discriminazioni che vanno indagate nella loro storia e origine: quelle
"discriminazioni perfettamente legali" che hanno accompagnato l'arrivo degli
stranieri in Italia, da tutti falsamente percepito come un fenomeno
recentissimo, e che, proprio perche' legali, volute e stabilite da testi di
legge, passano per lo piu' inosservate.
L'orizzonte in cui si inserisce e da cui e' resa possibile questa forma di
discriminazione, che puo' fare a meno di una forte componente ideologica e
dottrinaria, e' quello del razzismo istituzionale. Nozione spesso criticata
per le sua ambiguita' e astrattezza, ma che, secondo Rivera, "resta una
categoria utile a mostrare che la discriminazione razzista (...) puo'
presentarsi come un meccanismo opaco e banale, cosi' interiorizzato che
coloro che concorrono a riprodurla possono non esserne consapevoli; e che
gli stereotipi, le categorizzazioni negative o svalorizzanti, le
discriminazioni, possono essere cosi' profondamente incorporati nel sistema
legale e amministrativo dello Stato da diventare abituale e routinaria
modalita' di relazione con i minoritari".
Razzismo di stato, l'aveva chiamato Foucault, che scorgeva il suo profilarsi
verso la fine del XIX secolo e per indagare l'origine del quale si vedeva
costretto a tracciare i contorni di una nuova tecnologia del potere, il
bio-potere, che incorporerebbe, integrerebbe e modificherebbe il potere
disciplinare. Senza riferirsi al termine foucaultiano, che nell'attuale
dibattito rischia effettivamente di diventare un cliche' dai contorni
imprecisati, Annamaria Rivera ripropone e prova a indagare lo scenario
europeo, ma soprattutto italiano, dell'estraneita' e dell'inimicizia, o
meglio, con un neologismo, della "nemicizzazione", in cui le diverse forme
di discriminazione degli stranieri, dei migranti o immigrati, si trasformano
in una "microfisica, un sistema di relazioni e di controllo, di imposizioni
di norme, di tattiche e funzionamenti, non necessariamente imposto o dettato
dall'alto".
*
Quel che ne emerge e' un quadro a dir poco inquietante. A partire
dall'origine della discriminazione inscritta nell'idea stessa del moderno
stato-nazione, la "naturalizzazione" di una propria appartenenza storica
allo stato; passando attraverso le retoriche del "diritto alla differenza",
attuale declinazione, post-coloniale, di un'inferiorita' che non si lascia
piu' dire nei termini della razza; riportando alcune delle manipolazioni
linguistiche al servizio di norme e pratiche palesemente discriminatorie;
scegliendo tra le molteplici pratiche di etichettamento soprattutto quelle
in grado di creare stereotipi di cui tutti rimaniamo prigionieri (i rom,
nomadi per sempre; la parola clandestino come status e condizione
permanente; la retorica anti-musulmana che si avvale di meccanismi
concettuali e linguistici propri al repertorio dell'antisemitismo storico),
i tratti con cui viene delineato il fenomeno del razzismo lo fanno apparire
ai nostri occhi piu' che come un fantasma che accompagna ormai il profilarsi
di ogni gesto, azione, parola, istituzionale e non.
Un "di piu'" che eccede la necessita' del conflitto sociale, un "di piu'"
rispetto al quale una spiegazione in termini funzionali, che lo descriva
come un'ideologia utile allo sfruttamento economico, rischia di diventare
complice della sua sottovalutazione, un "di piu'" che sta emergendo come
"idioma culturale del Belpaese". E in grado, forse, di riproporsi come
interrogativo perturbante persino al di la' dei tentativi, per ora solo
ideali, di poterlo sciogliere nei meccanismi di una cittadinanza "inclusiva
ed espansiva, che spezzi il vincolo arcaico che la lega alla nazionalita' in
favore di un progetto di civitas aperta e fondata sulla residenza", di cui,
insieme ad altri, Annamaria Rivera si fa promotrice.
Chiude il libro un inventario dell'intolleranza. Piu' di 60 pagine di una
raccolta "etnografica" di episodi, scelti da Paola Andrisani, con l'intento,
riuscito, di illustrare "la rilevanza, la complessita' e la gravita' del
fenomeno in maniera piu' efficace dei semplici dati statistici". Al suo
inventario, articolato in categorie, mi limito ad aggiungere un episodio
scelto tra i tanti e forse nemmeno piu' esempio di intolleranza, ma della
nostra "normalita'": un bambino di tre anni che da due vive dietro alle
inferriate del Regina Pacis, centro di detenzione in provincia di Lecce,
accanto al mare e "protetto" dai carabinieri e dal direttore del centro.

4. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

5. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it;
angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it

Numero 588 del 21 giugno 2003