Newsletter N. 24 del 16 giugno 2003



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    Newsletter n. 24 del 16 giugno 2003
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IN PRIMO PIANO
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La ciurma sotto la coperta di Linux
Innovazione tecnologica e sociale, proprietà intellettuale e la capacità di
autorganizzazione attraverso Internet. Un percorso di lettura sulla «vita
in rete» e lo sviluppo del software non regolato dal copyright
Il programma è libero Da Boston a Porto Alegre, la biografia e una raccolta
di scritti di Richard Stallman, il fondatore del movimento del «free
software»
Codici ribelli Dalla glaciale Finlandia al sole delle coste californiane,
la storia dell'«open source» e dello sviluppo del sistema operativo Linux
BENEDETTO VECCHI

La «rivoluzione del pinguino». Così Business week ha definito la diffusione
silenziosa, ma inesorabile del sistema operativo Linux, che ha proprio come
simbolo un pinguino. Potrebbe essere una notizia tra le tante provenienti
dall'industria informatica. Ma questa volta, il valore della notizia non
riguarda tanto il successo commerciale di un programma per computer, quanto
il fatto che Linux è un sistema operativo non sottoposto al copyright. Con
toni a metà tra lo stupito e l'asettica raccolta di dichiarazioni di
manager di Oracle, Intel, Dell, Ibm e Microsoft, il settimanale economico
spiega i motivi della trasformazione di Linux in prodotto di punta
(«mainstream») del mondo informatico. Oramai, il 39 per cento delle grandi
imprese statunitensi ha deciso di usarlo per far funzionare i server di
collegamento ad Internet e questo lo rende il nemico numero 1 della
Microsoft. Al di là del sensazionalistico annuncio sulla «rivoluzione del
pinguino» da parte di Business week, la rilevanza economica assunta dal «s
oftware non proprietario» procede di pari passo con la critica del regime
della proprietà intellettuale. Ma sia il «radicale» Stallman, che i fautori
dell'open source convergono nella convinzione che tanto il copyright come i
brevetti e i marchi registrati rappresentano un ostacolo all'innovazione
tecnologica e alla libertà di scelta degli utenti.

Al di là del sensazionalismo di Business Week, il nodo sulla proprietà
intellettuale non lega solo l'innovazione tecnologica, ma coinvolge lo
statuto della conoscenza nelle moderne società capitalistica, il suo
carattere produttivo e la sua «privatizzazione» da parte delle imprese. Ed
è per questo che le vicende del free software e dell'open source sono
paradigmatiche delle strategie di resistenza al regime della proprietà
intellettuale. Per questo, la ricostruzione storica di come si sono
sviluppati il «movimento del free software» e quello dell'open source è la
premessa necessaria per qualsiasi critica alla proprietà intellettuale.

In questa direzione va sicuramente il libro di due decani della
storiografia economica statunitense. Si tratta de Il secolo
dell'innovazione (Università Bocconi editore, pp. 171, EUR 14,98) di Natan
Rosenberg e David Mowery, i quali sostengono che negli Usa la proprietà
intellettuale è sempre stata uno strumento di costruzione politica del
mercato. Blanda nella fase di decollo di un particolare settore - chimica,
elettronica, informatica - diventa uno strumento per consolidare un
vantaggio competitivo di tipo monopolistico da parte di alcune imprese a
scapito di altre. Il libro mette infatti in evidenza il circolo virtuoso
che negli Usa è stato sempre all'opera tra imprese, governo federale e
università. Le prime producono, il secondo crea le condizioni per poterlo
fare nel miglior modo possibile e distribuendo soldi alle università per la
ricerca scientifica. Una delle condizione garantite dal governo riguarda
proprio le leggi sulla proprietà intellettuale che, appunto, nella fase
iniziale di decollo di un
settore economico non può essere restrittiva. Diverso è il caso di quando
diventa «maturo»: è a questo punto che le leggi sui brevetti, sui marchi
registrati e sul copyright diventano più restrittive, favorendo così la
formazione di monopoli. Ma quando si presenta questa situazione, il governo
quasi sempre interviene attraverso la legislazione antitrust, come è
infatti accaduto con la Microsoft di Bill Gates.

Per l'informatica però, il copyright o i brevetti sul software hanno
incontrato ostilità e opposizione. A testimonianza di questa inaspettata
opposizione al diritto proprietario delle imprese c'è appunto la vicenda di
Richard Stallman e dello sviluppo del sistema operativo Linux.

Tra i frequentatori di Internet il nome di Stallman suscita entusiasmo o,
all'opposto, pura denigrazione. Ma al di là dell'accuratezza o meno nella
ricostruzione della sua vita di questa o quella biografia, il libro di Sam
Williams Codice libero (Apogeo, pp. 219, EUR 14, traduzione di Bernardo
Parrella) e la raccolta di scritti dello stesso Stallman Software libero
(Apogeo, pp. 188, EUR 10) consentono entrambi di fare il punto sulla sua
battaglia contro il regime della proprietà intellettuale nell'industria
informatica.

Il punto di svolta nella vita di Stallman avviene a Boston, nei laboratori
del mitico Mit, dove lavora part-time come programmatore di computer,
nonostante sia iscritto alla facoltà di Fisica ad Harvard. Ma il vento è
cambiato e il mondo dei chip conosce la trasformazione del diritto d'autore
in un diritto proprietario dell'impresa. Per lui è uno schiaffo in faccia.
Si licenzia dal Mit perché non vuol trovarsi nella paradossale situazione
di, dopo aver scritto un programma, non poterlo far vedere ad un amico, né
diffonderlo all'interno della comunità hacker di Boston.

Stallman è un libertario e radicalizza uno dei principi base della
cosiddetta etica hacker. E' infatti convinto che la cooperazione tra eguali
non soffochi la creatività individuale, perché solo stando in una comunità
di eguali che si ha il riconoscimento del proprio valore.

A questo punto, però, va introdotto un chiarimento sulla concezione del
diritto d'autore che Stallman, e con lui le tante associazioni per il
software libero che sono nate in tutto il mondo, hanno. Stallman cita
frequentemente la prima legislazione sul copyright statunitense che fa
esplicito riferimento alla costituzione americana. In quel testo viene
riconosciuto all'autore il diritto acquisito sulla sua opera, ma ciò non
deve collidere con gli interessi della società nel suo insieme. E proprio
partendo da una «rilettura» di quella legge che è ha preso corpo la licenza
General public licence, più conosciuta come copyleft , una specie di
permesso d'autore all'utilizzo del software prodotto. Il diritto
dell'autore è quindi equiparato al diritto dell'utente, a cui viene
riconosciuto lo status di possibile autore a patto che non interrompa la
catena di libertà di modifica a un terzo, quarto, quinto utente. Non c'è
quindi nessun divieto a vendere il software, ma solo l'invito a farlo
restare «libero»: free vuol
dire libero, non gratuito scrive Stallman.

Ma è agli inizi degli anni Novanta che avviene il grande balzo e che è
raccontato in Codici ribelli, sicuramente il miglior volume sulla storia
dell'open source. Scritto dal giornalista Glyn Moody e edito da Hops (pp.
418, EUR 19,90, www.hopslibri.com), il libro segue il ritmo sincopato della
cosiddetta «rivoluzione digitale», dall'arrivo del primo personal computer
al decollo di Internet, dalla fondazione della Microsoft alla decisione di
Ibm, Oracle e altre major dell'hi-tech di usare software open source. Per
l'autore, la «rivoluzione digitale» è il risultato non tanto dell'opera
intraprendente di un manipolo di imprenditori, quanto di una processo
sociale dove la polifonia di personalità ricorda molto più lo spirito del
bazar che non lo stile austero e autoritario delle grandi cattedrali, come
ha annotato lo studioso Eric Raymond nel volume The Cathedral and The
Bazar. Anche Glyn Moody è convinto che nell'informatica la produzione è
stata sempre immediatamente sociale, indipendentemente se se il nome di
un programma è associato a una singola persona. Alcuni personaggi hanno
contato di più che altri, ma anche loro sono debitori del clima, del
contesto sociale e culturale in cui hanno operato. Il caso più clamoroso di
una cooperazione produttiva in cui lo spirito egualitario ha prevalso sulla
pretesa da parte delle imprese di organizzare il lavoro è rappresentato dal
sistema operativo Linux, il cui nucleo originario è stato scritto dal
finlandese Linus Torvald, ma che poi si è avvalso del contributo di ecine
di migliaia di programmatori in tutto il mondo, che si sono autorganizzati
attraverso Internet, luogo di discussione e decisione sugli standard di
qualità e delle priorità del progetto. Da questo punto di vista, Linux
chiude il ciclo aperto da Stallman, il quale, pur avendo sviluppato del
buon software assieme alla ciurma della Free software fountation non era
mai riuscito a produrre un sistema operativo funzionante su qualsiasi tipo
di computer in circolazione.

Ma la vicenda di Linux apre la finestra sulla divaricazione all'interno del
«software libero». Anche il sistema operativo progettato da Linus Torvald è
«free software», ma per alcuni dei suoi estimatori bisognava sottolienarne
l'affidabilità tecnica rispetto ad altri sistemi operativi in circolazione.
In Codici ribelli è descritta con molta lucidità la decisione di fare una
riunione dove pianificare il futuro di Linux. All'incontro non viene
invitato Richard Stallman ed è in quell'occasione che viene coniato il
termine open source. Certo, il free software e l'open source hanno la
stessa pratica - condivisione del sapere e sua libera circolazione - ma
finalità diverse, dato che c'è chi sottolinea la priorità di una battaglia
sulla libertà - «se voi volete mantenere la vostra libertà dovete essere
pronti a difenderla», scrive Stallman - e chi punta a sviluppare del buon
software attraverso il contributo di una «comunità vasta» senza confini e
discriminanti essenziali. Si potrebbe dunque affermare che il movime
nto del free software è composto da attivisti radicali, mentre l'open
source sottolinea solo la superiorità tecnica del software libero, fattore
che alla lunga si imporrà da solo e costringerà così le imprese a
riconoscere che il regime della proprietà intellettuale in quanto diritto
proprietario è diseconomico. Due «movimenti» sicuramente con finalità
diverse, ma che continuano a fare le stesse battaglie contro il copyright,
anche se le recenti dichiarazioni di Linus Torvald sul fatto di accettare
che Linux possa essere utilizzato in ambienti dove sono presenti tecnologie
di digital rights management - dispositivi predisposti cioè alla difesa del
copyright -rappresentano un preciso segnale di quale sia lo stato del
dibattito all'interno del mondo open source.

In ogni modo, la lezione da trarre dalla produzione di «software non
proprietario» non riguarda soltanto il diritto di scelta dei consumatori.
Il free software e l'open source insegnano infatti che la fonte
dell'innovazione è da ricercare nella cooperazione sociale. Imbrigliando la
cooperazione sociale con la legislazione sulla proprietà intellettuale si
rallenta l'innovazione. Inoltre, il software proprietario è stato prodotto
attraverso un'autorganizzazione dei programmatori. Non è una novità che
l'industria hi-tech sia indicata da molti studiosi - da Manuel Castells a
Yann Moulier Boutang, da Thomas Stewart a Robert Reich, solo per citare i
più noti - come un laboratorio delle nuove forme organizzative delle
produzione capitalista. In questo modo di vedere c'è molta verità, ma è ciò
che non funziona in queste analisi è la pretesa di sottolineare lo stato
d'eccezione rappresentato dall'industria informatica. Da quando Internet è
uscita dalla sua dorata infanzia, gli hacker hanno sempre sottolineato che
«lo
 stare in rete» era uno stile di vita fortemente antigerarchico, riottoso
nei confronti di qualsiasi burocrazia aziendale, solidale, basato sulla
reciprocità e su «uno scambio alla pari» di informazioni e conoscenze.

Insomma, uno stile di vita dove non veniva contemplata nessuna distinzione
tra vita e scrittura di software; e dove la comunità basata su affinità
elettive consentiva quella pienezza dei sentimenti e delle relazioni
sociali che venivano negati al di fuori dello schermo. I geek, i nerd, i
netslaves - questi i termini più usati per far riferimento alle diverse
modalità con cui quella forma di vita si è presentata - hanno sempre
contrapposto la ricchezza delle loro «comunità elettive» alla povertà del
reale. Soltanto che oramai non c'è nessuna differenza tra il fuori e il
dentro lo schermo: sono cioè due aspetti della stessa realtà. Per
preservare allora la ricchezza - esperienziale, sentimentale, relazionale -
di quella «etica hacker», bisogna semmai fare i conti con la povertà del
reale, fare cioè esperienza dei suoi dispositivi di controllo e di
sfruttamento. La scelta da fare è se imboccare o meno la strada, certo
lunga e tortuosa, che conduce da una forma di vita, fondata sulla
condivisione, la circolazion
e, la socializzazione della decisione, al suo rovescio organizzativo,
conflittuale rispetto all'ordine esistente. La produzione di software
libero indica che quella strada può essere perseguita, perché, parafrasando
Richard Stallman «se si vuole essere liberi, bisogna essere disposti a
combattere».
http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/14-Giugno-2003/art115.html


TECNOLOGIA&INTERNET
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ANCHE APPLE IN LOTTA PER UNIX
Di chi sono i diritti del "papà" di Linux? Di Microsoft? Dell'Open
Group? In mezzo al contenzioso che vale miliardi di dollari c'è anche
la Mela con il suo sistema operativo
di Nicola D'Agostino
http://www.mytech.it/mytech/computer/art006010047705.jsp

MADONNA, IL MINISTRO E L'ARTE DEL CUT-UP
Fotomontaggio? Roba vecchia. Ai tempi di Internet si può fare di più:
la rielaborazione sonora è alla portata di tutte le mani. Politici e
pop star tra le vittime di goliardia e protesta, grazie alla potenza
dei personal computer
di Nicola Battista, Nicola D'Agostino
http://www.mytech.it/mytech/internet/art006010047614.jsp

Roma, sì (condizionato) all'open source
Le pubbliche amministrazioni dovranno adottare un formato aperto per
l'accesso dei dati ma l'adozione dei software non proprietari dovrà essere
vagliata di volta in volta. Concluso il lavoro della Commissione open
source.
http://punto-informatico.it/p.asp?i=44439

Download: P2P Reloaded!
a cura di Luca Schiavoni - Scambiare due chiacchiere, scambiare idee,
scambiare figurine e soprese degli ovetti. Scambiare è umano, perseverare è
file-sharing. WASTE e dintorni
http://punto-informatico.it/p.asp?i=44431

Beccaria e il diritto d'autore nell'era digitale
di Michele Favara Pedarsi - Per mettere in luce le storture dell'EUCD, dei
bollini, della crociata anti-pirateria si può ricorrere ad un pensiero che
ha illuminato il diritto. Dei delitti, delle pene e del volere delle persone
http://punto-informatico.it/p.asp?i=44441

Apple cita Unix? Denunciata!
Apple non può citare il termine Unix in associazione con il suo sistema
operativo Mac OS X. A dirlo è The Open Group, che ha avviato una causa
legale: la Mela violerebbe il marchio Unix
http://punto-informatico.it/p.asp?i=44430

P2P, "retata" dei miei stivali
di Paolo Attivissimo
Tanto fumo, poco arrosto e molta irresponsabilità intorno alle clamorose
notizie di inquisizioni di massa per chi scambia file sui circuiti
peer-to-peer
http://www.apogeonline.com/webzine/2003/06/04/01/200306040101


TEMI&APPROFONDIMENTI
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Ago, filo e copyright
Monsterpatterns.com, sito americano che senza pagare i diritti ospitava e
rivendeva sottocosto disegni da ricamo, è stato chiuso per l'iniziativa
legale di due editori in base al famigerato Dmca. Il sito è stato poi
riaperto ma il caso dimostra che la questione della proprietà intellettuale
è oggi «la» questione che investe ogni attività umana
FRANCO CARLINI
http://www.ilmanifesto.it/oggi/art63.html
http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/15-Giugno-2003/art63.html

Troppo facile accampare diritti
Proprietà intellettuale: l'occidente oggi proibisce quel che un tempo
raccomandava
Rovesciamento. Protezione dell'industria nazionale e «uso» delle idee
altrui hanno consentito alle nazioni ricche di diventare tali. Un `800
necessario anche ai Pvs
EMANUELA DI PASQUA
http://www.ilmanifesto.it/oggi/art64.html
http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/15-Giugno-2003/art64.html

Almeno un dollaro per riscattare Topolino
GABRIELE DE PALMA
Lawrence Lessig, celebre Professore alla Stanford University e accanito
avversario dell'estensione del copyright così come prospettata dal
Congresso Americano nel 1998, non si arrende. E' di lunedì scorso la sua
più recente iniziativa: una petizione on-line (reperibile al
www.petitiononline.com/eldred/petition.html) per proporre al Congresso
americano almeno una modifica alla legge Sonny Bono, frutto delle enormi
pressioni della lobby dell'industria dell'entertainment (su tutti la Walt
Disney Corporation) che estese automaticamente il diritto d'autore di altri
venti anni, portandolo da cinquanta a settanta.
http://www.ilmanifesto.it/oggi/art65.html
http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/15-Giugno-2003/art65.html


NEWS DALL'ASSOCIAZIONE
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Associazione Culturale Telematica
Metro Olografix
http://www.olografix.org
info at olografix.org


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a cura di Loris "snail" D'Emilio
http://www.olografix.org/loris/

Hanno collaborato a questo numero:
Nicola "nezmar" D'Agostino
http://www.olografix.org/nezmar


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