[veritagiustiziagenova] Genova: e' stata archiviata la VERITA'



a chi, di noi, quel giorno era in piazza Manin con le mani alzate....



      non è possibile dimenticare quello che si è visto.
      non è possibile dimenticare quello che si è udito.
      non è possibile dimenticare quello che si è sentito
      non è possibile dimenticare l'emozione prima. la paura poi.
      non è possibile dimenticare la rabbia.
      non è possibile dimenticare la delusione.
      non è possibile dimenticare la violenza.
      non è possibile dimenticare l'ingiustizia.

      Veronica Scardigli


      RAGAZZI
      (di Pierluigi Sullo)
Cosa volete, chi ha una certa età non si è stupito dell'archiviazione che ha "sepolto", come ha scritto sua madre su Carta in edicola in questi giorni, Carlo Giuliani. Si è un po' depresso, questo sì. Nelle scorse settimane, noi, insieme ai tre quotidiani di sinistra, abbiamo fatto circolare un libro, "In ordine pubblico", dedicato alle persone uccise nelle strade in trent'anni di proteste sociali. L'elenco cominciava con Saverio Saltarelli, ucciso da un lacrimogeno che lo colpì al petto a un angolo di via Larga, a Milano, il 12 dicembre del 1970. A me, quando ho sentito la notizia da Genova, è venuto in mente Roberto Franceschi, studente della Bocconi, ucciso da un colpo di pistola alla schiena, mentre fuggiva, da un agente di polizia che, se non ricordo male, si chiamava Gallo (non solo i nomi delle vittime restano nella memoria). Ai funerali, in una Milano incredibilmente silenziosa, parteciparono centomila ragazzi dell'età di Roberto. In quel caso, si arrivò al processo, ma l'agente fu assolto: aveva inciampato, decise il giudice, e il colpo in aria era partito rasoterra. Potrei continuare a lungo, troppo a lungo. Giannino Zibecchi lo vidi morire con i miei occhi, schiacciato da un camion dei carabinieri che partecipava a un "carosello" impazzito, in Corso XXII Marzo, sempre a Milano, nel 1975: Ettore, un mio compagno di allora, lo raccolse, era evidentemente morto, la testa schiacciata dalla ruota, e tirò fuori da una tasca la sua carta d'identità: ecco, mi disse, si chiamava Zibecchi. E poi Giorgiana Masi, in un pomeriggio caldo di maggio che finalmente stava finendo, nel '77, coi poliziotti, rimasti ignoti, che prendevano la mira e sparavano appoggiando le braccia ai cofani delle macchine, come al tirassegno. Credo che chiunque della mia generazione abbia militato contro il potere negli anni settanta possa raccontare episodi di questo genere. E' per questo che quelli che sono sopravvissuti fin qui, voglio dire che non hanno scelto di essere variamente adottati dal potere, quale che sia, avevano sperato di non rivivere più sentimenti come quelli di allora, impotenza e rabbia, e soprattutto avevano sperato che non dovessero viverli i ragazzi di oggi. Che non dovessero essere costretti a un funerale, a ricordare uno di loro ucciso, a protestare contro l'arrogante indifferenza del potere, quale che sia. Forse è per questo che molti di noi, di quella generazione intendo, cercano di riflettere sulla violenza e la nonviolenza, sui fini e sui mezzi. Sul fatto, fondamentale, che non si può rifiutare un potere, quale che sia, imitandolo. Ha scritto Paul Ginsborg, all'indomani del G8 a Genova, che in quei giorni e in quelle strade si era creato un trauma probabilmente irrimediabile, tra le decine di migliaia di ragazzi che a Genova erano andati convinti di poter esercitare il loro diritto a volere un mondo diverso da questo, e che ne ripartirono convinti che la Costituzione, i diritti della persona, i diritti politici, sono una variabile dipendente dagli interessi del potere, qualunque potere. Il senso di quel che scriveva Ginsborg era, mi parve: insieme a quel ragazzo, sul selciato di Piazza Alimonda, è caduto l'esercizio della democrazia, quella che abbiamo conosciuto, con tutti i suoi difetti. Felice il paese che non ha bisogno di eroi, ha scritto Bertolt Brecht. Aggiungerei, modestamente: felice il paese che non ha bisogno di martiri. In fondo, il senso del nostro lavoro, qui, si può riassumere in questo: sperare, attivamente, che la scritta comparsa fin da subito in Piazza Alimonda, per ribattezzarla "Piazza Carlo Giuliani, ragazzo", significhi proprio questo: che quelli come Carlo, i ragazzi, si sottraggano alla produzione di eroi e di martiri, che fu grande venti o trent'anni fa, e rimangano quel che sono, ragazzi appunto, e soprattutto vivi. Perché, alla fine, il potere, quale che sia, lo si deve abbandonare a se stesso, alla sua corruzione e al suo cinismo, per andare a costruire altrove. Carlo, ci ha raccontato sua madre, andò in quella piazza un po' per caso, perché non poteva sottrarsi alla solidarietà con gli altri diecimila che in quel momento erano stati illegalmente aggrediti, senza nemmeno che gli venisse data la possibilità di andar via, ero lì, l'ho visto). Ma, sotto i pantaloni, aveva il costume da bagno, perché fino all'ultimo era stato incerto se partecipare ai cortei o andarsene in spiaggia. E' esattamente in questo dubbio, che significa vita, che sta tutta l'ingiustizia della sua morte.





Perche' le forze dell'ordine durante i giorni del G8 hanno utilizzato contro i manifestanti dei gas tossici illegali? E chi li ha autorizzati ?
      Quale e' stata la reale dinamica dell'omicidio di Carlo Giuliani ?
Dove sono finite le comunicazioni "scomparse" fra i carabinieri in piazza Alimonda e il centro di controllo ? Chi erano davvero i Black Blocks e chi c'era infiltrato fra di loro (estrema destra, polizia) ? Quale e' stato il ruolo dei servizi segreti italiani e americani durante quei giorni ? Perche' alcuni importanti politici di destra (Fini ma non solo lui) erano presenti nei centri di comando delle forze dell'ordine ? Chi ha pianificato la strategia degli attacchi a freddo della polizia contro le piazze tematiche dei pacifisti ? Che fine ha fatto il materiale audio/video di Indymedia sequestrato alla Diaz, insieme alle testimonianze raccolte sui brutali pestaggi delle forze dell'ordine ?
      ...e soprattutto...chi ha rallentato e ostacolato le indagini ?

      TUTTO E' STATO ARCHIVIATO NEL SILENZIO

      archivio testimonianze:
      http://www.tatavasco.it/archivio/docs/genova/G8assassini.htm