nuovo editoriale di PeaceLink: il futuro delle bandiere



Risultati e prospettive del movimento antiguerra



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Perché continuiamo ad esporre le bandiere della pace?
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"Di fronte a coloro che ci mostrano i segni del potere, dobbiamo mostrare il potere dei segni", diceva don Tonino Bello. Le bandiere della pace, esposte nei balconi d'Italia, hanno avuto questa funzione di esercizio del potere dei segni, in opposizione ai segni del potere. Proviamo a ragionare sull'esperienza delle bandiere e sul futuro.


--- Cosa abbiamo ottenuto esponendo la bandiera della pace

Se l'Italia non è entrata in guerra e se il presidente della Repubblica ha dovuto far applicare l'articolo 11 della Costituzione - che sembrava essere diventato carta straccia - lo si deve all'imponente movimento di opinione pubblica che, in forme largamente maggioritarie, ha detto no alla guerra e che ha esposto le bandiere della pace rendendo visibile un simbolo che accomunava e non divideva la maggioranza degli italiani. Nessun soldato italiano è stato ucciso o ha dovuto uccidere: la bandiera della pace non è stata inutile.


--- Una novità storica

La guerra "vittoriosa" non ha cancellato il merito del movimento pacifista italiano, riassumibile in una semplice frase: per la prima volta nella storia dell'Italia la nostra nazione è rimasta al di fuori di una guerra per la pressione dei cittadini. La flotta della Marina Militare non è partita da Taranto, nonostante fosse pronta, come è invece accaduto dalla prima guerra del Golfo (1991) in poi, ossia ogni volta che la Casa Bianca telefonava al capo del Governo Italiano.


--- Mani legate

"Chiediamo che l'Italia, di fronte alla minaccia di un attacco militare contro l'Iraq, non partecipi ad alcun atto di guerra, nel rispetto dell'art.11 della Costituzione", c'era scritto nell'appello di Emergency firmato da milioni di persone e fatto proprio da tutto il movimento pacifista. Quell'appello ha raggiunto l'obiettivo di tenerci fuori dalla guerra e il fatto che il governo abbia lo stesso agito sottobanco (partenze di paracadutisti americani dalle basi poste su territorio italiano, convogli pieni di armi, 007 italiani in Irak, ecc) non sminuisce ma anzi rafforza l'idea che - senza la mobilitazione pacifista - l'Italia sarebbe entrata in guerra per conquistare la propria fetta di petrolio e di influenza nell'Irak occupato. Sbaglia chi parla di "sconfitta pacifista" per il semplice fatto che la sua mobilitazione non ha evitato la guerra. Realisticamente è stato posto un argine non alla guerra in generale ma alla guerra italiana ed è stata ricondotta la politica nazionale nell'alveo della legalità costituzionale già tante volte violata. Non si sono legate le mani di Bush ma si sono legate quelle di Berlusconi.


--- Ipocrisie che si vedono

La guerra non ha sconfitto il movimento per la pace perché la "vittoria" ha confermato tutti i sospetti della vigilia di guerra, ossia che le reali motivazioni del conflitto non erano quelle proclamate (le armi di distruzione di massa, il terrorismo, la libertà per il popolo irakeno) ma quelle nascoste (il petrolio, il predominio nell'area). Abbiamo visto che le forze militari americane hanno subito occupato i pozzi di petrolio. I "liberatori" si sono "dimenticati" che c'erano da difendere anche i musei, le biblioteche, gli ospedali.


--- Dove sono finiti i "pancifisti"?

Ci avevano sbeffeggiato, ci avevano chiamato con disprezzo "pancifisti".
La parola "pace" era sparita dai programmi elettorali.
Ora tutto è cambiato.


--- Società civile democraticamente organizzata

Il movimento per la pace è un nuovo soggetto sociale che fa politica sulla base di scelte di coscienza, che si attiva non in vista di scadenze elettorali e che non si vuole far strumentalizzare da alcuno: vuole essere solo strumento di se stesso e del suo comune sentire. Questo soggetto è l'espressione visibile di una società civile che si auto-organizza, che vuole partecipare e ha urgenza di manifestarsi proprio perché si sente messa ai margini da quella politica che vuole decidere tutto ai massimi livelli, con incontri al vertice, escludendo i cittadini dalle scelte di fondo.


--- Il panorama è cambiato

Sono molti i riflessi positivi di questo movimento per la pace che ha dato voce ad una società civile in fermento:
-       il movimento sindacale si è ritrovato unito sul nodo della pace;
- i partiti di centrosinistra hanno assunto la pace all'interno del loro orizzonte politico dopo il trauma della guerra del Kossovo e allineandosi alla propria "opinione pubblica interna"; - i partiti del centrodestra hanno dovuto constatare che le bandiere arcobaleno le hanno esposte anche comuni di centrodestra e che i pacifisti non erano tutti di sinistra; - riemergono con la società civile organizzata i valori comuni della Costituzione; - il pacifismo non è più inquadrato nella categoria dell'antiamericanismo, parola tra l'altro inesistente sui vocabolari della lingua italiana e non a caso; - giornali come il Corriere della Sera o la Repubblica hanno dovuto abbandonare un certo uso ridicolizzante della parola "pacifista" e hanno tenere conto dei loro lettori e di qualche loro giornalista; gli orientatori dell'opinione pubblica sono stati per forza di cose in parte riorientati dall'opinione pubblica stessa; - sono entrati nell'immaginario collettivo i colori della bandiera della pace che rendono visibili da lontano un simbolo al di sopra delle parti; alla pace non si associa più il rosso; quando si affermano simboli di grande forza comunicativa vuol dire che sono nati movimenti di grande forza espansiva.

A ciò si deve aggiungere il ruolo svolto dal Papa, che ha liberato dai vincoli di una tradizionale prudenza interi pezzi della società civile e dell'apparato ecclesiastico.


--- Da destra/sinistra a pace/guerra: la dialettica si sposta

Le posizioni "pacifiste" di Francia e Germania spostato la focalizzazione dalla dialettica destra/sinistra alla dialettica pace/guerra. E il confine che divide il mondo e lo fa discutere e scendere in piazza è cambiato, tanto che recentemente Luigi Pintor ha scritto: "Destra e sinistra sono formule superficiali e svanite che non segnano questo confine. Anche la pace e la convivenza civile, nostre bandiere, non possono essere un'opzione tra le altre, ma un principio assoluto che implica una concezione del mondo e dell'esistenza quotidiana. Non una bandiera e un'idealità ma una pratica di vita. Se la parte di umanità oggi dominante tornasse allo stato di natura con tutte le sue protesi moderne farebbe dell'uccisione e della soggezione di sé e dell'altro la regola e la leva della storia. Noi dobbiamo abolire ogni contiguità con questo versante inconciliabile". Pintor ipotizza una rete internazionale informale e ripone le speranze in "una miriade di donne e uomini di cui non ha importanza la nazionalità, la razza, la fede, la formazione politica, religiosa", e specifica: "Individui ma non atomi, che si incontrano e riconoscono quasi d'istinto ed entrano in consonanza con naturalezza. Nel nostro microcosmo ci chiamavamo compagni con questa spontaneità ma in un giro circoscritto e geloso. Ora è un'area senza confini. Non deve vincere domani ma operare ogni giorno e invadere il campo. Il suo scopo è reinventare la vita in un'era che ce ne sta privando in forme mai viste".


--- Che fare delle bandiere?

Molti si stanno chiedendo: continuiamo ad esporre le bandiere? O le dobbiamo ritirare?
Va premesso che le bandiere hanno significato cose diverse:
- prima della guerra hanno significato: siamo contro l'avvio del conflitto; - allo scoppio della guerra hanno significato: nessuna partecipazione italiana al conflitto; - a guerra avviata hanno significato: stop ai combattimenti, rispetto delle Convenzioni di Ginevra, no al massacro di civili innocenti; - a guerra "vittoriosa" hanno denunciato le stragi dell'occupazione neocoloniale e il rischio di guerra infinita (minacce alla Siria e all'Iran). Ora che significato hanno le bandiere dell'arcobaleno? Perché in tanti continuiamo a tenerle esposte? Probabilmente molti avvertono che - nonostante le parole di Bush - la guerra non è finita: siamo solo in una fase di stasi. Cosa accadrà quando giorno dopo giorno gli irakeni diranno con sempre maggiore insistenza che non vogliono più l'occupazione americana? "Ora che ci avete liberati andatevene. Oppure ci state occupando?". E' nei prossimo giorni che si compie la prova del nove: stiamo verificando se siamo di fronte ad un'occupazione.


--- Quando ritirare le bandiere?

Sarà il popolo irakeno a dirci se dobbiamo ammainare le bandiere della pace o se dobbiamo continuare a tenerle bene in vista. Ecco perché le bandiere rimangono e perché si vive questa atmosfera surreale di attesa in cui nessuno sa cosa accadrà domani.

Ma al di là delle bandiere esposte o meno, ci dobbiamo occupare di una cosa ancora più importante delle bandiere stesse: dobbiamo tenere i contatti con il popolo delle bandiere.


--- Un popolo nuovo da incontrare e da ascoltare

E' un popolo, quello delle bandiere, che è andato oltre i tradizionali confini di comunicazione del movimento pacifista e pertanto occorrono canali nuovi per incontrare e ascoltare questo popolo rappresenta lo spirito della maggioranza degli italiani. Occorre che le bandiere mettano radici e che dall'emozione antiguerra si passi alla cultura della pace, creando luoghi di incontro e di comunicazione, scuole di formazione e di autoformazione. Luoghi cittadini in cui ci si incontri e ognuno legga una poesia, una pagina di un libro, una testimonianza, un articolo di giornale. Luoghi in cui favorire la conoscenza dei tantissimi volti sconosciuti che hanno detto "no alla guerra" con una bandiera al balcone.


--- Che fare?

Gli aspetti su cui poter lavorare sono:
- tenere l'Italia fuori dalla guerra e da patti di guerra con gli Usa anche per il futuro; - boicottare le aziende che hanno finanziato Bush e hanno contratti con le forze armate Usa; - sostenere la centralità dell'Onu e imprimere all'Europa un ruolo di pace e di argine allo strapotere Usa;
-       mantenere i contatti con il popolo della pace;
- affiancare alla bandiera altre iniziative concrete ma con alto valore simbolico; - creare scuole di pace e momenti di autoformazione (come luoghi di lettura, di dibattito e drammatizzazione), favorendo un protagonismo dei giovani; si potrà così ascoltare (e magari suonare) musica di pace, discuterne i testi; - dare vita a forme di "addestramento preventivo" alla pace sperimentando forme creative di organizzazione, intrecciando l'efficienza di rete, la concretezza e la precisione nel gestire mobilitazioni basate su forme di non cooperazione e di boicottaggio; - saper comprendere e diffondere il potere dei simboli e della comunicazione simbolica.


--- Scuole di pace

Il movimento per la pace deve cioè rendersi autonomo dal motivo che lo ha generato, la guerra, per rendersi protagonista del suo fine: la pace. Così come i militari si addestrano e si formano nelle scuole militari anche i pacifisti hanno la responsabilità di addestrarsi e formarsi i luoghi propri. Un sito web in ogni città potrebbe raccordare e consolidare la conoscenza pubblica della rete di associazioni, gruppi e persone impegnate sul terreno della pace, rendendo noto a tutto il popolo locale delle bandiere il percorso di incontri e iniziative. Scuole di pace, insomma, ma senza cattedre e con una reciproca disponibilità all'ascolto e all'integrazione delle competenze. Scuole senza docenti fissi ma che creino gruppi in cui ognuno abbia il proprio contributo da offrire e in cui nessuno rimanga senza parola. Scuole in cui l'incontro delle competenze crei sinergia, perché quando si incontra ad esempio l'entusiasmo di un tecnico e la creatività di un umanista il risultato non è una somma ma una moltiplicazione.


--- I nostri possibili errori

Questo percorso di incontro del popolo delle bandiere richiede grande sensibilità, intelligenza e tatto, occorre favorire l'ascolto, l'apertura e il dialogo. Volti nuovi e soprattutto tanti giovani saranno a disagio in assemblee in cui è già tutto preordinato e deciso. Lo studio delle modalità di relazione sarà importantissimo. Dovremo capire che noi non dobbiamo "guidare" un movimento ma dobbiamo "aprire le porte" a persone nuove, mantenere i contatti, sviluppare un percorso di reale partecipazione che accolga i volti di giovani e cittadini sconosciuti, forse timorosi di non sentirsi a loro agio o di avere una delusione. Un nuovo movimento è in costruzione e noi non possiamo permetterci di commettere gli stessi errori di quei "politici" da cui tanti giovani e tanti bravi cittadini fuggono via. Le bandiere alle finestre per ora rimangono ma l'obiettivo è ora quello di incontrare i volti che sono dietro le bandiere. Perché il deserto della sconfitta non è la mancanza di bandiere ma la mancanza di reti e di idee
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Alessandro Marescotti
http://www.peacelink.it


Chi volesse esprimere il proprio parere sul futuro delle bandiere può scrivere a volontari at peacelink.it