lettera al Corriere del Giorno: "Ecco perché digiunerò per la pace"



Ecco perché digiunerò per la pace



Gentile Direttore,
ho letto con estremo interesse la lettera - pubblicata sul Corriere del Giorno del 26 febbraio scorso - della studentessa Francesca Natale (che non conosco), dal titolo "Odio e distruzione: a chi serve la guerra contro l'Iraq?". Le sue parole mi hanno ricordato il viso pulito di tanti ragazzi e ragazze che a Roma hanno sfilato, cantato e ballato per la pace. "Spero che anche Bush e gli altri capi di Stato, suoi alleati, guardino il mondo con occhi piani di speranza per il futuro, e non con gli occhi e il cuore avidi di potere", così ha concluso Francesca Natale la sua lettera al Corriere.

Ho poco fa "votato" anche io sul sito dell'Unione Europea in cui si sta effettuando un grande sondaggio d'opinione "senza frontiere" sulla guerra, all'indirizzo http://evote.eu2003.gr Sono rimasto ancora una volta stupito dall'orientamento tutt'altro che guarrafondaio della gente. Solo il 2,7% ha infatti risposto che è giusto attaccare l'Irak così come si sta per fare. Per la precisione, alla domanda "In base alle vostre conoscenze sulla situazione attuale, ritenete giustificato l'attacco contro l'Iraq?", le risposte degli europei sono state: 2,7 % sì, assolutamente; 4,9 % sì, ma con riserva; 36,5 % no, non è necessario in questo momento; 55,8 % assolutamente no.

Leggendo queste (ed altre) espressioni dell'opinione pubblica orientata verso una soluzione pacifica delle controversie internazionali, credo che sia venuto il momento delle domande a voce alta. Chiedo se la sovranità popolare abbia ancora un senso e - se lo ha - perché non debba essere ascoltata dai governi che si allineano alla guerra. Chiedo quante guerre ci sarebbero state nella storia se i governi avessero indetto un referendum vincolante prima, specie fra i giovani e le donne, fra chi paga con la vita e fra chi perde gli affetti più cari. Chiedo in quale arma e in quale reparto il Ministro della Difesa abbia mai fatto il servizio militare e quanti politici facciano professione di virtù militari senza mai aver fatto la naja (e neppure l'obiezione di coscienza).

Le domande che pongo sono domande di legalità.

Sono stato felice di poter donare al Procuratore della Repubblica di Taranto la bandiera della pace, simbolo della speranza di milioni di uomini che ripudiano la guerra. Ho voluto ossequiare la nostra Costituzione con questo gesto semplice, non per chiedere alla Procura di esporla ma per creare un ponte simbolico fra giustizia e pace; la legalità fondata sulla democrazia infatti permette al più debole di far valere - senza ricorrere alla guerra - le proprie ragioni e di vincere. Viceversa la guerra dà garanzia di vittoria unicamente al più forte e non necessariamente a chi ha ragione.

Noi operatori di pace vogliamo un ordine internazionale in cui la forza sia posta al servizio del diritto e quindi del più debole, di chi patisce un'ingiustizia, di chi vive nella condizione di oppresso, di minacciato, e ha bisogno di aiuto.

Ed è per questo che ripudiamo la guerra che si pone al di sopra del diritto e lo infrange, sostituendo al diritto internazionale il diritto del più forte e attribuendo a quest'ultimo tutte le ragioni e tutti i pretesti per esercitare il suo dominio.

E' per questo motivo inoltre che la nostra Costituzione all'articolo 11 ripudia la guerra come offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali, prevedendo per esclusione l'uso legittimo della forza per difesa, mai per attacchi preventivi.

Il "ripudio" della guerra va ben oltre la semplice non partecipazione ad essa; il ripudio della guerra ha valori educativi, morali, esprime ripugnanza, sdegno e condanna, il ripudio è parola dai significati linguistici impegnativi: il ripudio è opposizione.

La nostra Costituzione pertanto chiama tutta l'Italia all'opposizione alla guerra, ed il ripudio è costituzionalmente affidato non solo allo Stato ma dell'intera comunità civile: "L'Italia ripudia la guerra…", recita l'articolo 11.

Si è recentemente detto che noi pacifisti infrangiamo la legge per aver occupato - senza compiere alcuna violenza - i binari dove hanno viaggiato i "vagoni della morte". Ma chiedo a chiunque: se quelle armi servissero ad uccidere i vostri figli o i vostri fratelli o i vostri nipotini, lo avreste fatto?

Come ha fatto notare l'avv. Nicola Canestrini (Direttore del Centro Italiano Studi per la Pace) il Tribunale di Trento nel gennaio 1992, in un analogo caso, coraggiosamente statuì che "sussiste la scriminante dello stato di necessità putativo nella partecipazione ad una manifestazione pacifista, con invasione dei binari di una stazione ferroviaria al fine d'impedire il trasporto di carri armati destinati ad operazioni militari in Irak e di salvare, per tal modo, un numero indeterminato di persone". In altre parole, il Tribunale di Trento - che ha posto un importante precedente giurisprudenziale, per quanto non vincolante negli ordinamenti di civil law - ha sancito la legittimità dell'occupazione dei binari da parte dei manifestanti che si opponevano alla guerra in Irak perché così facendo gli stessi erano convinti di salvare moltissime vite umane dai bombardamenti angloamericani. A tale pronuncia del Tribunale di Trento se ne sono aggiunte molte altre, tra le quali Grosseto, Milano, Rovereto, Torino, Mantova, Cremona, Verona: alcune delle dette pronunce giustamente indicano il primo criterio interpretativo delle norme penali invocate nella Costituzione, e segnatamente nei principi di libera manifestazione del pensiero e della libertà di riunione.

Il senso della legalità non è l'ossequio a chi vuole uccidere. Anche Gandhi, Martin Luther King, Nelson Mandela o don Lorenzo Milani hanno violato la "legalità della morte" - a volte sancita da "stati di diritto" e basati su libere elezioni - per affermare una nuova legalità che salvaguardia il diritto alla vita, alla giustizia, al rispetto della coscienza e alla pace. Se oggi vi è un mondo con più spiragli di libertà è grazie alle profetiche "illegalità" di queste persone. Ecco perché noi nonviolenti rendiamo omaggio alla legalità nel suo divenire, nella sua evoluzione verso il futuro e verso il rispetto antico del quinto comandamento: "Non uccidere". Il nostro è un dovere di servizio verso le nuove generazioni, per la creazione di un mondo migliore. Il nostro è il primo movimento della storia in cui non si chiede un diritto per sé ma per gli altri.

Il 5 marzo digiunerò anche io per la pace. Come docente sento quotidianamente il dovere di condividere con i miei ragazzi il principio del rispetto della vita umana a cui gli uomini devono ancora educarsi, a cominciare dai capi di governo.

Non possimo annunciare e promettere una "guerra infinita" ai giovani se vogliamo che essi abbiano speranza, se vogliamo che abbiano a cuore il futuro della propria vita e di quella degli altri. Se desideriamo veder crescere attorno a noi ragazzi e ragazze che pongano la gioia e la felicità - e non il potere e la forza - nel cuore della propria identità allora dobbiamo dare l'esempio. Non siamo credibili se diciamo di non gettare i sassi dai cavalcavia se poi noi gettiamo le bombe da 3 mila metri sulle città. Ecco perché il 5 marzo digiunerò per la pace assieme ai ragazzi e alla ragazze che - come ha scritto Francesca al Corriere - guardano al futuro con occhi pieni di speranza.

Prof. Alessandro Marescotti
Presidente di PeaceLink
www.peacelink.it