La nonviolenza e' in cammino. 460



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 460 del 29 dicembre 2002

Sommario di questo numero:
1. Davide Melodia: la nonviolenza, una scelta difficile
2. Enrico Peyretti, una lettera a Luciano Violante
3. Amelia Alberti, le guerre di questo inizio secolo
4. Luisa Muraro dialoga con Odile Sankara
5. Giulio Girardi: Venezuela, una scelta di vita
6. Billie Holiday, mi accorsi di avercela fatta
7. Marylene Schultz, una lettera ai soldati dell'esercito israeliano
8. Tonino Bello, tanti auguri scomodi
9. Valerio Calzolaio, imagine...
10. Letture: Gianfranco Bettin, Maurizio Dianese, Petrolkiller
11. Letture: Jean Genet, Quatre heures a Chatila / Quattro ore a Chatila
12. Letture: Karl Louis Guillen, Il tritacarne
13. Riletture: Joan Baez, Ballate e folksong
14. Riletture: Lisli Basso Carini, Cose mai dette
15. Riletture: Bessie Smith, la regina del blues. Canzoni
16. Riletture: Angela Borghesi, La lotta con l'angelo
17. Riletture: Aldo Capitini, Scritti filosofici e religiosi
18. Riletture: Ida Fare', Malamore
19. Riletture: Hans Mayer, I diversi
20. Riletture: Antonio Nanni, Educare alla convivialita'
21. Riletture: Violeta Parra, Canzoni
22. Riletture: Jacqueline Risset, La letteratura e il suo doppio
23. Riletture: Rabindranath Tagore, Visioni bengalesi
24. La "Carta" del Movimento Nonviolento
25. Per saperne di piu'

1. RIFLESSIONE. DAVIDE MELODIA: LA NONVIOLENZA, UNA SCELTA DIFFICILE
[Ringraziamo Davide Melodia (per contatti: melody at libero.it) per questo
intervento. Davide Melodia, infaticabile costruttore di pace, e' nato a
Messina nel 1920; prigioniero di guerra nel 1940-46; maestro elementare,
pastore evangelico battista, maestro carcerario, traduttore al quotidiano
"Il Giorno", pittore, consigliere comunale e provinciale, dirigente dei
Verdi; pacifista nonviolento, segretario del Movimento Nonviolento
(1981-'83), segretario della Lega per il Disarmo Unilaterale (1979-'83),
membro del Movimento Internazionale della Riconciliazione, vegetariano,
predicatore evangelico, dal 1984 quacchero. Ma questa mera elencazione di
alcune sue scelte ed esperienze non ne rende adeguatamente la personalita',
vivacissima e generosa. La piu' recente delle opere di Davide Melodia e'
Introduzione al cristianesimo pacifista, Costruttori di pace, Luino (Va)
2002]
Per me la nonviolenza e', prima di tutto, la proiezione sociale dell'amore
per il prossimo.
Il giorno in cui si sceglie la nonviolenza quale elemento portante della
nostra vita, bisogna prima di tutto rendersi conto dell'abisso che
intercorre tra il nostro modo di essere sin qui e cio' che dobbiamo essere
da quel momento. Detto questo non bisogna scoraggiarsi. Gandhi, da ragazzo,
aveva paura della propria ombra.
Non basta assolutamente averla accettata mentalmente. Occorre una fusione
perfetta e coerente fra mente e volonta'. L'attivista che per attuarla si
attiene esclusivamente alle tecniche della nonviolenza ed ai suoi risvolti
sociali e politici, senza fare un  personale percorso interiore di analisi
prima, e di elaborazione poi, alla luce dei suoi valori, e degli esempi
storici, rischia di restare alla superficie di quel mondo nuovo ed "altro"
che la nonviolenza comporta.
La nonviolenza va vista come una presenza vivente che ti chiama, ti
interroga, ti sfida, ti penetra nel profondo, e mette davanti agli occhi
della tua coscienza cio' che veramente sei, cio' che veramente vuoi, e non
ti nasconde alcuna delle difficolta' che andrai ad incontrare. E ti dice, a
chiare note, che se vuoi raggiungere la meta, puoi farlo, anzi devi farlo,
perche' hai a disposizione la forza e le ali della verita'.
E' una signora esigente, una "magistra" invisibile che parla da una cattedra
invisibile ma terribilmente attuale, ad una folla di gente smarrita che ha
alle spalle il cratere vulcanico della violenza, e di fronte la montagna
della pace, da scalare.
Tu sei tra quella folla. E senti che parla per te.
E a poco a poco la signora espone i valori, i principi, i modi, i tempi e
gli strumenti che ti accompagneranno nella irenica avventura.
Arriva sempre, nella vita, il momento di fare una scelta fondamentale. A
volte c'e' il tempo di riflettere con calma e profondamente di fronte al
bivio che separa la via della violenza e la via della nonviolenza. A volte
il tempo non c'e', ma la scelta va fatta ugualmente. C'e' anche una terza
via, quella dell'indifferenza, che percorrono coloro che amano solo se
stessi, e non desiderano correre i rischi che le altre due scelte
comportano.
*
Vediamo, per amore di chiarezza, cosa le due scelte fondamentali comportano.
1) La scelta comune della violenza
Gli ostacoli vanno superati, ad ogni costo. Di fronte all'ambiente che, a
motivo delle sue leggi economiche, di mercato, scientifiche, tecniche, il
produttore, il magnate, il gruppo finanziario, il governo che non ha
sensibilita' ecologica ne' rispetto della vita del prossimo, opera
indiscriminatamente. L'importante e' produrre, vendere, dominare,
egemonizzare la produzione, il mercato locale e internazionale, senza tener
conto dei guasti irreparabili al terreno, all'aria, all'acqua, alla salute
della gente: "Apres moi le deluge".
Nei conflitti interni e internazionali, di fronte alle proteste, alle
rivolte, alle rivendicazioni territoriali, alla richiesta di giustizia verso
i piu' deboli, verso gli immigrati, il forte usa il pugno di ferro, la
repressione, il carcere, il confino, la morte civile, la guerra. Il tutto
usando mezzi sempre piu' potenti, di distruzione degli umani, delle
strutture, del territorio, coinvolgendo senza pieta' popolazioni civili
inermi.
Il dopoguerra e' una vasta opera decennale di ricostruzione, svolta a fatica
dai figli dei caduti, delle vedove, dei morti nelle camere di tortura, nei
campi di concentramento. Pronti, questi, a riprendere le armi contro il
"nemico" di domani.
E' una via che non vale la pena di intraprendere.
Il cammino della civilta' non puo' permettersi di ricominciare sempre da
zero, con la barbarie psicologica del troglodita e la gelida superbia
tecnica del generale moderno.
E' l'ora di contemplare un percorso diverso.
2) La scelta della nonviolenza
Mettiamo da parte al momento una serie di concetti e di principi
tradizionali, quali gloria, onore, vittoria, potenza, per riprenderli in un
altro momento, e solo dopo avere fatto una breve disamina degli obiettivi
che vogliamo raggiungere. Lo stesso dicasi per scienza, tecnologia,
armamenti sofisticati.
Ripartiamo dalla coscienza, e da alcuni valori che e' giusto coltivare e, se
e' possibile, realizzare. Diciamo: vita, armonia, collaborazione, giustia,
rispetto.
Cosa ci impedisce, di fronte alla decisione di una autorita' X, di dire no,
laddove seguire tale decisione comporti gravi danni all'ambiente e alle
persone?
Perche' non osiamo dire no alla volonta' del nostro governo di muovere
guerra contro un altro stato?
Se non si tiene conto delle terribili conseguenze della guerra, anche per
noi, se si cede alle magniloquenti parole della propaganda bellica, se non
si cerca la verita' che e' sottesa alla voglia di guerreggiare, se temiamo
di esporci pericolosamente rifiutando il coinvolgimento nel progetto
bellico, allora c'e' da dubitare della nostra ragione, della civilta'
raggiunta, del proclamato rispetto della vita.
Se invece abbiamo il coraggio di ponderare su tutti i pro e i contro della
pace e della guerra, e sul nostro dovere di persone civili di preservare la
vita di ogni essere vivente, con ogni mezzo possibile, e decidiamo
consapevolmente di rischiare personalmente pur di impedire danni a questo
punto epocali, allora abbiamo finalmente imboccato la via della nonviolenza.
Ma forse siamo ancora al primo miglio di essa. Il resto del cammino lo
valuteremo nella prossima sessione.
3) Quanto alla non-scelta dell'indifferente, che si ritira in se stesso, e
lascia che il mondo viva o muoia lontano da lui, o lei, vi risparmiamo ogni
commento.

2. LETTERE. ENRICO PEYRETTI: UNA LETTERA A LUCIANO VIOLANTE
[Enrico Peyretti (per contatti: peyretti at tiscalinet.it) e' uno dei
principali collaboratori di questo foglio, ed uno dei maestri piu' nitidi
della cultura e dell'impegno di pace e di nonviolenza. Tra le sue opere: (a
cura di), Al di la' del "non uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei
giorni, Servitium, Sotto il Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella,
Assisi 1998; Per perdere la guerra, Beppe Grande, Torino 1999. E' diffusa
attraverso la rete telematica (ed abbiamo recentemente ripresentato in
questo notiziario) la sua fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza
guerra. Bibliografia storica delle lotte nonarmate  e nonviolente]
Caro Luciano Violante,
l'iniziativa di un'assemblea dei parlamentari dell'Ulivo sul "No alla guerra
anche con l'Onu" e' molto importante, perche' questa posizione e' l'unica
giusta.
Per costituzione (Carta delle Nazioni Unite) l'Onu non puo' fare la guerra,
ma solo azioni di polizia, sotto comando e controllo proprio e non avallando
la volonta' di una potenza.
La differenza tra polizia e guerra e' sostanziale, non verbale:
- la polizia usa anche la forza per ridurre la violenza;
- la guerra accresce la violenza complessiva, perche' fa vincere il piu'
violento.
Forza e violenza sono ben differenti:
- e' forza anche la nonviolenza attiva, la resistenza morale e culturale,
l'unita' popolare, l'organizzazione politica;
- la violenza non e' forza, ma debolezza razionale, morale e politica:
Hannah Arendt dimostra che dove c'e' violenza non c'e' potere politico.
- La forza o e' giusta o puo' essere giustificata;
- la violenza non e' mai ne' giusta ne' giustificabile.
La violenza e' offesa, inflizione di sofferenza fisica o morale, dominio,
emarginazione, fino all'omicidio, etnocidio, genocidio, urbicidio,
culturicidio.
La guerra e' solo la forma piu' vistosa e ripugnante di violenza, ma anche
eccitante e attraente per gli spiriti insani.
Le violenze strutturali e quelle culturali sono ancora piu' profonde e
gravi, ma meno visibili e quindi piu' subite, accettate, considerate
naturali e persino onorate come forme di civilta'.
Questa guerra "preventiva", massima ipocrisia, e' violenza allo stato puro,
oltre che massima stoltezza politica perche' olio sul fuoco del terrorismo.
Sono cose che sai anche tu, ma le dico per esprimere quell'appoggio
all'iniziativa parlamentare, che cerco di procurare nel movimento.
Un saluto e un augurio,
Enrico Peyretti

3. RIFLESSIONE. AMELIA ALBERTI: LE GUERRE DI QUESTO INIZIO SECOLO
[Ringraziamo Amelia Alberti, presidente del circolo verbano di Legambiente
(per contatti: lambient at tiscalinet.it) per questo intervento]
"Il gasdotto offrirebbe all'economia afghana un forte stimolo, con circa 300
miliardi di dollari l'anno di ricavi in diritti di transito, offrendo una
solida alternativa agli aiuti internazionali da cui Kabul dipende ora
interamente". Cosi' si conclude un articolo del 28 dicembre 2002 su "La
Stampa" di Torino, che titolava: "Tra Afghanistan, Pakistan e Turkmenistan
firmato accordo per il gasdotto".
Certamente un'opera imponente e costosa ("L'opera sara' lunga 1.460
chilometri, trasportera' 20 milioni di metri cubi di gas all'anno e costera'
per realizzarla 3200 miliardi di euro"), che "colleghera' i giacimenti
turkmeni di Dowletabad (le riserve di gas dell'ex repubblica sovietica sono
stimate in quattro miliardi di metri cubi) alla citta' pachistana di
Multan".
Ai tempi della guerra americana contro gli ex alleati Taleban, un anno fa,
si era, da qualche analista disincantato, ventilato l'ipotesi che proprio la
costruzione negata del gasdotto fosse la causa vera dell'attacco americano.
E che tutte le guerre di questo inizio secolo, ammantate di grandi ideali di
liberta' e giustizia, siano in verita' unicamente tese all'egemonia sulle
ultime riserve di energie fossili disponibili.

4. MAESTRE. LUISA MURARO DIALOGA CON ODILE SANKARA
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 28 dicembre 2002.
Luisa Muraro insegna all'Universita' di Verona, fa parte della comunita'
filosofica femminile di "Diotima". Dal sito delle sue "Lezioni sul
femminismo" riportiamo una sua scheda biobibliografica: "Luisa Muraro, sesta
di undici figli, sei sorelle e cinque fratelli, e' nata nel 1940 a
Montecchio Maggiore (Vicenza), in una regione allora povera. Si e' laureata
in filosofia all'Universita' Cattolica di Milano e la', su invito di Gustavo
Bontadini, ha iniziato una carriera accademica presto interrotta dal
Sessantotto. Passata ad insegnare nella scuola dell'obbligo, dal 1976 lavora
nel dipartimento di filosofia dell'Universita' di Verona. Ha partecipato al
progetto conosciuto come Erba Voglio, di Elvio Fachinelli. Poco dopo
coinvolta nel movimento femminista dal gruppo "Demau" di Lia Cigarini e
Daniela Pellegrini e' rimasta fedele al femminismo delle origini, che poi
sara' chiamato femminismo della differenza, al quale si ispira buona parte
della sua produzione successiva: La Signora del gioco (Feltrinelli, Milano
1976), Maglia o uncinetto (1981, ristampato nel 1998 dalla Manifestolibri),
Guglielma e Maifreda (La Tartaruga, Milano 1985), L'ordine simbolico della
madre (Editori Riuniti, Roma 1991), Lingua materna scienza divina (D'Auria,
Napoli 1995), La folla nel cuore (Pratiche, Milano 2000). Con altre, ha dato
vita alla Libreria delle Donne di Milano (1975), che pubblica la rivista
trimestrale "Via Dogana" e il foglio "Sottosopra", ed alla comunita'
filosofica Diotima (1984), di cui sono finora usciti sei volumi collettanei
(da Il pensiero della differenza sessuale, La Tartaruga, Milano 1987, a Il
profumo della maestra, Liguori, Napoli 1999). E' diventata madre nel 1966 e
nonna nel 1997".
Odile Sankara, artista di teatro e di cinema, nata nel 1964, anno
dell'indipendenza del suo paese, il Burkina Faso, e' sorella del presidente
Thomas Sankara, ucciso il 15 ottobre 1987]
Siamo alla vigilia di Natale e mangio con Odile Sankara.
Parliamo di cibo e del suo paese, il Burkina Faso. Quando io ho studiato la
geografia dell'Africa, questo paese si chiamava Alto Volta ed era una
colonia francese. A lei, nata nel 1964, con l'indipendenza, resta, di quel
passato, la lingua.
Parliamo anche della Francia, dove ora si trova per insegnare teatro. Odile
Sankara e' un'artista di teatro e di cinema. La sua specialita' e'
raccontare, raccoglie storie popolari e le racconta in francese, ma con la
voce e i gesti dell'originale.
E' amica di Serena Sartori del Teatro del sole di Milano e lavora ogni tanto
con lei. Ha lavorato anche con Idrissa Ouedraogo, uno degli undici registi
di Undici Settembre, quello che racconta, ironico e soave, una storia di
adolescenti che, impressionati dalla colossale taglia su bin Laden, si
organizzano per catturarlo.
Odile e' venuta a Milano, ospite della Libreria delle donne, per parlare di
un progetto di scrittura e teatro, gia' presentato sulla rivista "Via
Dogana", nel numero intitolato Liberta' senza emancipazione. E' una donna di
statura media, bella nel viso e in tutta la persona, elegante nel portamento
e nei vestiti. Porta un cognome famoso nel suo paese e in Africa: il
presidente Sankara, protagonista dell'esperienza rivoluzionaria fra il 1983
e il 1987, era suo fratello per parte di padre.
*
- Luisa Muraro: Che cos'e' rimasto a te e al tuo paese di quegli anni?
- Odile Sankara: Conquistata l'indipendenza, il paese fu governato da uomini
che imitavano il governo coloniale. Poi vennero dei giovani rivoluzionari
con idee nuove, che si rivolsero specialmente alle donne e ai contadini. Il
loro tentativo e' durato poco ed e' finito nella violenza, il presidente
Sankara fu ucciso. Ma quei pochi anni hanno rappresentato un passaggio
salutare per tutti. Ci hanno lasciato cose importanti come l'apertura al
mondo e l'avere fiducia in se'.
- L. M.: Puoi fermarti su questi due punti, apertura e fiducia.
- O. S.: Il Burkina Faso non ha risorse naturali come il cacao, il rame, il
petrolio... Nelle statistiche della produzione, siamo regolarmente gli
ultimi o i penultimi. Ma abbiamo ricchezze culturali, siamo sessanta etnie
capaci di convivere e portatrici di valori culturali e doti artistiche Con
la rivoluzione, abbiamo cominciato a riconoscere questa nostra ricchezza che
cerchiamo di far conoscere in Africa e nel mondo intero. Cosi', nella
capitale del Burkina Faso, ogni due anni (i dispari), si tiene un grande
festival del cinema panafricano, il Fespaco (seguito puntualmente con
passione da Roberto Silvestri e Mariuccia Ciotta, ndr). E negli anni pari,
c'e' una fiera dell'artigianato e dell'arte, che raccoglie artisti del
paese, dell'Africa e di altri continenti.
- L. M.: L'associazione di cui fai parte ha un nome significativo, Talenti
di donne (Talents de femmes) e nel vostro progetto si parla, in apertura, di
"promuovere l'eccellenza", una formula stupenda.
- O. S.: In tutta l'Africa come nel mio paese l'educazione tradizionale
delle ragazze e' confinata nella famiglia, la bambina impara a cucinare
aiutando sua madre e bada ai piu' piccoli, lascia la scuola molto presto, in
famiglia l'accento non e' messo su di lei ma sul ragazzo che va a scuola e
deve far onore al padre. Cosi' lei, a poco a poco, perde la fiducia in se'.
In Burkina Faso abbiamo avuto la fortuna della rottura rivoluzionaria e le
donne si sono mosse. In un primo tempo giravano slogan rivoluzionari che
hanno fatto confusione, ma presto molte hanno capito.
- L. M.: Puoi spiegare meglio questo punto?
- O. S.: Sembrava una questione di emancipazione, del tipo: adesso tocca a
lei portare i pantaloni in casa, cose cosi'. Si tratta invece di prendere
coscienza e di imparare a osare. Nell'arte come nell'artigianato c'e' una
produzione femminile di qualita', che veniva misconosciuta, cosi' come
veniva misconosciuto il ruolo portante del lavoro delle donne nell'economia
familiare, senza la quale non c'e' economia affatto. Saperlo, ci rende
combattive. Oggigiorno, in Africa si va diffondendo l'idea che, senza
presenza di donne, non c'e' sviluppo economico, culturale, politico.
- L. M.: La vostra associazione Talents de femmes come s'inserisce in tutto
questo?
- O. S.: Due sono i suoi scopi. Uno e' di mostrare la donna artista,
renderla una figura accettata, far capire che la sua condizione di donna
autonoma che si dedica al suo lavoro, e non alla famiglia, ha una dignita'
personale e sociale, vincendo le fantasie di quelli che la vedono come una
vita disordinata e scostumata. L'altro e' di valorizzare la produzione
artistica e artigianale di donne, specialmente quelle dei villaggi che
spandono a piene mani tesori di creativita'. Abbiamo rapporti con artiste
del Mali, paese confinante con il nostro, che sono fra le piu' brave in
Africa. Nelle nostre iniziative cerchiamo di coinvolgere le giovani donne,
con la complicita' delle insegnanti; le invitiamo ai nostri incontri e alle
nostre iniziative. La risposta e' buona, ma gli ostacoli non mancano. Uno e'
la scarsita' dei mezzi per finanziarie le iniziative, che sono il quadro che
cerchiamo di offrire all'emergere dell'eccellenza femminile. L'insicurezza
personale, dovuta al tipo di educazione, e' ancora molto forte.
- L. M.: In questo progetto mi sembra di vedere che tu ci sei in prima
persona, con la tua storia personale. Vuoi raccontarla?
- O. S.: Io sono un puro prodotto della tradizione, sono vissuta di
villaggio in villaggio, in casa di parenti, succhiando la vita di queste
comunita' che sono come una specie di grande famiglia. Fatto un periodo di
internato dalle suore, sono andata nella capitale, Ouagadougou (ma noi
diciamo Ouaga), a studiare lettere all'universita'. Laureata, nel 1990, mi
venne voglia di andare a vivere da sola, come avevo visto che facevano
alcune della mia eta', in Europa. Ma i parenti non volevano, non capivano il
mio desiderio, erano discussioni a non finire, mi dicevano: lo farai quando
ti sposerai, e io gli rispondevo che non avevo voglia di sposarmi ma di
vivere per conto mio. E' andata avanti per tre anni, perche' i loro
argomenti mi entravano dentro, ero combattuta, da noi c'e' un proverbio:
"Quando tutti ti dicono no...". Ma non mi capivo piu' con mia cugina e per
finire mi sono decisa, senza dire niente ho pagato la caparra e poi ho dato
l'annuncio che sarei partita. Non e' stato facile neanche per loro, perche',
ancor oggi, nella nostra cultura una donna che vive per conto suo, non e'
sposata e non ha figli, e' qualcosa di inconcepibile.
- L. M.: E la scelta del teatro?
- O. S.: Ho scelto il teatro per entrare in contatto con gli altri,
condividerne le emozioni, esprimermi e dire le mie idee. Con il teatro ci
riesco, mentre non ci riuscirei andando ai dibattiti pubblici o facendo
conferenze. Il teatro e' la mia passione, ma io non escludo di avere una
casa (foyer) da abitare con un figlio, con un marito... So che tenere
insieme le due cose e' molto difficile, l'ho visto dall'esperienza di altre,
pero' dentro di me non lo escludo.
- L. M.: La vostra ricerca si situa in un "tra": tra la lingua francese e la
cultura orale del paese, tra l'amore della tradizione con i suoi valori e il
cambiamento dei rapporti donne/uomini. Come vi ponete rispetto ai modelli
occidentali?
- O. S.: E' un problema importante. Il pericolo di cadere nella soggezione
ai modelli occidentali esiste, e per saperlo ci basta osservare quello che
capita all'una o all'altro di noi di ritorno da un viaggio in Europa: c'e'
un modo di fare, di parlare, di atteggiarsi che non e' piu' lo stesso. Che
risposta diamo? Tante risposte, per esempio, promuovendo la figura della
donna artista come donna creativa e autonoma, noi curiamo quest'immagine e
cerchiamo di farla accettare. C'e' un'attenzione che occorre avere verso il
linguaggio, per non cadere nel linguaggio della competizione con gli uomini,
che non e' quello che ci interessa. Ma la nostra risposta principale
consiste nella consapevolezza e nel discuterne tra noi. Discutiamo molto di
questo fra noi.
*
Mi colpisce la maniera in cui questa donna tiene insieme, nella sua
personalita' e nella sua vita, scelte molto nette con la considerazione per
quello che resta escluso dalle sue scelte, come una che va decisa per la
strada che ha scelto, ma non volta le spalle a nessuno. Vedendola in questo
suo andare, s'intuisce che la strada di essere fedeli a se' senza dover
uccidere l'altro, c'e'. In altre parole, la politica del simbolico c'e'. A
proposito delle molte etnie che convivono nel Burkina Faso, Odile mi ha
parlato di un costume che hanno, basato su uno strano legame di parentela.
Ogni etnia e' imparentata per ridere con un'altra: fra queste due etnie sono
autorizzati e, come tali, presi in ridere, gli scherzi verbali piu' spinti e
le insinuazioni piu' offensive. Notate come questa licenza simbolica sia
l'uguale e contrario nel nostro political correct: loro neutralizzano i
cattivi sentimenti con la possibilita' rituale di esprimerli, mentre noi
vorremmo neutralizzarli a forza di inibizioni e divieti. Ma, cosa forse piu'
importante, questa singolare istituzione burkinabese permette ai "parenti
per ridere" di entrare nelle liti serie che potrebbero degenerare,
ingaggiando un diverbio la cui violenza verbale, enfatizzata ad arte, smorza
quella vera. E' tardi per cominciare a imparare anche noi? Io vorrei
"imparentarmi per ridere" con l'etnia Usa.

5. RIFLESSIONE. GIULIO GIRARDI: VENEZUELA, UNA SCELTA DI VITA
[Dalla newsletter "Il grillo parlante" (per contatti:
grilloparlante at mbservice.it), n. 18 del 24 dicembre 2002, riportiamo questo
intervento di Giulio Girardi. Giulio Girardi e' nato al Cairo nel 1926,
filosofo e teologo della liberazione, durante il Concilio Vaticano II
partecipo' alla stesura dello schema XIII; membro del Tribunale permanente
dei popoli, particolarmente impegnato nella solidarieta' con i popoli
dell'America Latina. Opere di Giulio Girardi: presso la Cittadella sono
usciti: Marxismo e cristianesimo, Credenti e non credenti per un mondo
nuovo, Cristianesimo, liberazione umana, lotta di classe, Educare: per quale
societa'?, Il capitalismo contro la speranza, Cristiani per il socialismo:
perche'?; presso Borla sono usciti: Sandinismo, marxismo, cristianesimo: la
confluenza, (a cura di) Le rose non sono borghesi, La tunica lacerata, Fede
cristiana e materialismo storico, Dalla dipendenza alla pratica della
liberta', Il popolo prende la parola (con J. M. Vigil), La Conquista
dell'America, Gli esclusi costruiranno la nuova storia?, Cuba dopo il crollo
del comunismo; presso le Edizioni Associate: Rivoluzione popolare e
occupazione del tempio; presso le Edizioni cultura della pace: Il tempio
condanna il vangelo; presso Anterem: Riscoprire Gandhi]
Si sta consumando, nell'indifferenza e nel silenzio del mondo, un crimine
contro l'umanita': il soffocamento della speranza dei poveri, rappresentata
in Venezuela dalla rivoluzione bolivariana e dal presidente Chavez.
Il silenzio che avvolge e nasconde questa battaglia e' dovuto in larga
misura alla complicita' dei mezzi di comunicazione di massa, del Venezuela e
del mondo, controllati dal capitale nazionale e transnazionale, che
presentano della situazione un'immagine rovesciata, secondo cui un popolo
oppresso si starebbe ribellando ad un presidente violento e repressivo. Ma
vi e' un motivo piu' profondo di questo silenzio. Mentre nei confronti
dell'Afghanistan o dell'Iraq, e' possibile fornire all'aggressione, di
fronte all'opinione pubblica, un'apparente giustificazione, nessuna
giustificazione gli imprenditori venezuelani ed i loro complici, gli Stati
Uniti, possono fornire alla loro aggressione. Anche quando i manifestanti
antichavisti gridano rabbiosamente per le strade "che se ne vada! Che se ne
vada il contadino!" non riescono mai a dire perche'.
*
Mentre infatti l'Iraq rappresenta apparentemente una minaccia, il Venezuela
non minaccia nessuno, ma e' minacciato esso stesso all'interno ed
all'esterno.
Mentre Saddam Hussein puo' essere a buon diritto denunciato come dittatore,
Chavez e' un presidente democraticamente e ripetutamente eletto; e' un
presidente amato dalla maggioranza, che una vasta insurrezione popolare ha
liberato dalle mani dei golpisti. Bisogna essere ciechi per non vederlo. Le
minacce alla democrazia vengono solo dagli aggressori. Ma anche se i
manifestanti antichavisti ed i loro complici imperiali non osano fornire una
giustificazione della loro condanna, per i venezuelani queste ragioni sono
chiare: "Se ne vada perche' e' spudoratamente schierato dalla parte dei
poveri del paese; perche' proclama i diritti degli indigeni e delle donne;
perche' colpisce temerariamente gli interessi dei miliardari". "Se ne vada
perche' e' egli stesso di origine popolare, ed e' quindi un intruso nelle
sfere del potere". "Se ne vada perche' ha la pretesa di nazionalizzare le
ricchezze petrolifere del Venezuela, per metterle al servizio di tutti,
invece di lasciarle nelle mani dei legittimi proprietari, i ricchi del paese
ed i loro alleati imperiali". "Se ne vada, perche' e' amico di Cuba ed
inviso agli Stati Uniti".
*
Ma se queste sono le vere giustificazioni di quella mobilitazione, allora,
per l'Europa in costruzione, sarebbe una gravissima responsabilita' storica
tacere di fronte a questo crimine.
Sarebbe un atteggiamento imperdonabile di complicita' e di servilismo nei
confronti del "grande fratello". Sarebbe il segno evidente che l'Europa in
costruzione e' incapace di proporre al mondo, oltre una nuova moneta, un
nuovo ed autonomo progetto di civilta'; che l'Europa non appartiene al mondo
nuovo in costruzione ma alle rovine del vecchio disordine imperiale.
Perche' la rivoluzione venezuelana e' per noi un segno di contraddizione,
che impone all'Europa di prendere partito e di rendere chiaro a se stessa ed
al mondo il suo progetto di civilta'.
Ma la rivoluzione venezuelana non e' solo  un segno di contraddizione per
l'Europa in generale; lo e' anche per ciascuno degli europei e per ciascuna
delle europee. In effetti, per ognuno ed ognuna di noi schierarsi in questa
battaglia cruciale significa decidere se, nel presente contesto geopolitica,
siamo dalla parte dell'impero o dalla parte dei popoli e della loro
autodeterminazione; se siamo dalla parte delle minoranze privilegiate o
delle maggioranze emarginate; se siamo per un mondo lacerato da lotte
fratricide o per un mondo animato dalla solidarieta' liberatrice. Quanto
dire che schierarci nei confronti del dramma venezuelano non e' per noi solo
una scelta politica e geopolitica: e' anche una scelta di vita.

6. MAESTRE. BILLIE HOLIDAY: MI ACCORSI DI AVERCELA FATTA
[Da Billie Holiday, La signora canta il blues, Feltrinelli, Milano 1979,
2002, p. 250. Billie Holiday (1915-1959) e' stata una delle piu' grandi voci
della storia del jazz, e una persona bella che con quella voce, con quel
cuore di donna, molti doni ha recato all'umanita']
Mi accorsi di avercela fatta, per esempio una mattina in cui la televisione
non mi andava piu' giu'. Prima, quand'ero ben bene imbottita, riuscivo a
stare davanti alla televisione dalla mattina alla sera e ne ero incantata.

7. TESTIMONIANZE. MARYLENE SCHULTZ: UNA LETTERA AI SOLDATI DELL'ESERCITO
ISRAELIANO
[Attraverso Franco Perna (per contatti: perna.franco at tiscalinet.it),
autorevole figura della nonviolenza in cammino, riceviamo e diffondiamo.
Marylene Schultz, francese, ha educato decine di bambini palestinesi nei
centri di accoglienza per orfani o bambini di famiglie in difficolte'; e'
attualmente residente permanente in Israele, ma e' quasi sempre stata in
Cisgiordania (territorio occupato da Israele dal 1967); e' impegnata con le
donne israeliane per la giustizia e la pace]
Noi ci incontriamo da oltre 34 anni, cioe' dall'inizio dell'occupazione
israeliana della Palestina.
Vi incontro nei diversi e sempre piu' numerosi posti di controllo.
Pattugliate nelle nostre strade, proteggete i bulldozer quando questi
vengono a demolire le case (palestinesi); negate ai proprietari l'accesso ai
loro uliveti quando le vostre ruspe sradicano gli alberi che loro o i loro
antenati hanno piantato; utilizzate gas lacrimogeni quando i contadini
vengono a piangere sulle loro terre espropriate; assicurate, pero', lo
svolgimento delle manifestazioni di protesta e... siete qui, la' e ovunque.
Siete anche presenti quando non siete visibili ed anche questa presenza
invisibile e' minacciosa. Siete omnipresente, ma rimanete comunque degli
sconosciuti per noi.
A dire il vero non vediamo che l'arma e l'uniforme e dimentichiamo di vedere
l'uomo che si nasconde sotto l'uniforme. Un uomo che e' forse un tipo
simpatico, che ha un nome, che e' un buon padre di famiglia, forse un marito
premuroso, o il figlio unico di una vedova di guerra, nipotino di ebrei
perseguitati, un artista o un sognatore, un idealista che milita per la
giustizia sociale, un costruttore di un mondo piu' umano, oppure un povero
tipo che non sa far altro che obbedire agli ordini anche se ingiusti e
stupidi.
Malgrado tutto, in qualita' di essere umano, e anche se abbiamo paura, avete
diritto ad essere rispettati.
Vi chiedo scusa della mancanza di rispetto nei vostri confronti ed anche
perche', troppo spesso, mi lascio accecare dalla collera e dall'odio. Posso
immaginarmi che capiti anche a voi di aver paura perche' sentite la collera
del popolo palestinese.
Sicuramente, ce ne sono molti fra di voi a cui non piace fare cio' che
devono fare. E' dunque normale che anche voi dimentichiate di rispettare i
vostri avversari. Come rappresentanti del potere di occupazione avete la
possibilita' di mostrare il vostro disprezzo e potete facilmente umiliare
coloro che considerate come nemici.
Credo anche che siate in qualche modo forzati a vedere in loro dei
terroristi o dei potenziali terroristi altrimenti vi sarebbe difficile agire
come strumenti di oppressione. Se credete che tutti gli uomini siano uguali,
che abbiano gli stessi diritti fondamentali, entrate in conflitto con la
vostra coscienza.
Alcuni riescono a risolvere questo conflitto considerando gli altri come
degli esseri inferiori, cioe' disumanandoli. Ma non si puo' disumanare
l'altro senza disumanare se stessi.
Il processo di  disumanarsi reciprocamente e' andato talmente avanti che non
vi e' piu' modo di fare marcia indietro? Spero di no.
Innanzitutto, perche' e' chiaro, e gli eventi recenti lo confermano, che il
cammino della violenza non porta da nessuna parte se non ad altra violenza e
sofferenza in tutti e due i campi.
Ma anche perche' alcuni rifiutano di proseguire su questo cammino che porta
alla catastrofe, e lasciano l'esercito: per andare in prigione. Essi
rifiutano di servire nell'esercito israeliano, che - come indica il nome:
Israeli Defence Force - e' una forza di difesa e non di occupazione.
Lasciare l'esercito non e' visto come un atto eroico in Israele e bisogna
avere il coraggio di un eroe per farlo. Ci vuole coraggio per andare contro
corrente, per essere bandito da certi luoghi, per essere quello di cui la
famiglia ha vergogna, quello che e' considerato un vigliacco ed un
traditore.
Sono convinta che vi capiti di mettere in questione la legittimita' di certe
azioni militari, cui non vi piacerebbe partecipare. Ma voi ricevete ordini
dai vostri superiori e vi dicono che l'obbedienza e' il primo dovere di un
soldato. Se non avete gia' indurito il vostro cuore conoscerete la lotta
terribile tra la voce della coscienza e gli ordini dei vostri superiori.
Non so se trovandomi al vostro posto, avrei la forza e il coraggio di
seguire coloro che vanno contro corrente ed abbandonano l'esercito.
Non posso che augurarvi di ascoltare la voce della vostra coscienza e di
agire da uomini liberi.
Rispettosamente,
Marylene

8. MAESTRI. TONINO BELLO: TANTI AUGURI SCOMODI
[Nei giorni scorsi molti amici ci hanno inviato questo testo
dell'indimenticabile monsignor Tonino Bello, che volentieri ridiffondiamo
(ci scusiamo con i lettori per non aver avuto tempo ed agio di andarne a
rintracciare la fonte precisa). Tonino Bello e' nato ad Alessano nel 1935,
vescovo di Molfetta, presidente nazionale di Pax Christi, e' scomparso nel
1993; costantemente impegnato dalla parte degli ultimi, promotore di
iniziative di solidarieta' con gli immigrati, e' stato un grande costruttore
di pace. Segnaliamo, tra le molte sue pubblicazioni, I sentieri di Isaia, La
Meridiana, Molfetta 1989; Il vangelo del coraggio, San Paolo, Cinisello
Balsamo 1996. Su Tonino Bello cfr. per un avvio Luigi Bettazzi, Don Tonino
Bello. Invito alla lettura, San Paolo, Cinisello Balsamo (Mi) 2001]
Non obbedirei al mio dovere di vescovo, se vi dicessi "Buon Natale" senza
darvi disturbo. Io, invece, vi voglio infastidire.
Non posso, infatti, sopportare l'idea di dover rivolgere auguri innocui,
formali, imposti dalla "routine" di calendario. Mi lusinga, addirittura,
l'ipotesi che qualcuno li respinga al mittente come indesiderati.
Tanti auguri scomodi, allora!
Gesu' che nasce per amore vi dia la nausea di una vita egoista, assurda,
senza spinte verticali. E vi conceda la forza di inventarvi un'esistenza
carica di donazione, di preghiera, di silenzio, di coraggio.
Il bambino che dorme sulla paglia vi tolga il sonno e faccia sentire il
guanciale del vostro letto duro come un macigno, finche' non avrete dato
ospitalita' a uno sfrattato, a un povero marocchino, a un povero di
passaggio.
Dio che diventa uomo vi faccia sentire dei vermi ogni volta che la carriera
diventa l'idolo della vostra vita; il sorpasso, progetto dei vostri giorni;
la schiena del prossimo, strumento delle vostre scalate.
Maria, che trova solo nello sterco degli animali la culla ove deporre con
tenerezza il frutto del suo grembo, vi costringa con i suoi occhi feriti a
sospendere lo struggimento di tutte le nenie natalizie, finche' la vostra
coscienza ipocrita accettera' che lo sterco degli uomini o il bidone della
spazzatura o l'inceneritore di una clinica diventino tomba senza croce di
una vita soppressa.
Giuseppe, che nell'affronto di mille porte chiuse e' il simbolo di tutte le
delusioni paterne, disturbi tutte le sbornie dei vostri cenoni, rimproveri i
tepori delle vostre tombolate, provochi corti circuiti allo spreco delle
vostre luminarie, fino a quando non vi lascerete mettere in crisi dalla
sofferenza di tanti genitori che versano lacrime segrete per i loro figli
senza fortuna, senza salute, senza lavoro.
Gli angeli che annunciano la pace portino guerra alla vostra sonnolenta
tranquillita' incapace di vedere che, poco piu' lontano di una spanna con
l'aggravante del vostro complice silenzio, si consumano ingiustizie, si
sfrutta la gente, si fabbricano armi, si militarizza la terra degli umili,
si condannano i popoli allo sterminio della fame.
I poveri che accorrono alla grotta, mentre i potenti tramano nell'oscurita'
e la citta' dorme nell'indifferenza, vi facciano capire che, se anche voi
volete vedere "una gran luce", dovete partire dagli ultimi. Che le elemosine
di chi gioca sulla pelle della gente sono tranquillanti inutili. Che le
pellicce comprate con le tredicesime di stipendi multipli fanno bella figura
ma non scaldano. Che i ritardi dell'edilizia popolare sono atti di
sacrilegio, se provocati da speculazioni corporative.
I pastori che vegliano nella notte, "facendo la guardia al gregge" e
scrutando l'aurora, vi diano il senso della storia, l'ebbrezza delle attese,
il gaudio dell'abbandono in Dio. E vi ispirino un desiderio profondo di
vivere poveri: che poi e' l'unico modo per morire ricchi.
Sul nostro vecchio mondo che muore nasca la speranza.

9. RIFLESSIONE. VALERIO CALZOLAIO: IMAGINE...
[Ringraziamo Valerio Calzolaio (per contatti: calzolaio_v at camera.it) per
averci inviato il testo di un suo articolo per il periodico "Il salvagente"
(da cui il calembour verso la conclusione del testo). Valerio Calzolaio e'
parlamentare, da sempre impegnato per i diritti umani]
Per immaginare un mondo senza guerra, John Lennon cominciava con
l'immaginare un mondo senza nazioni.
Da qualche secolo la guerra e' una controversia armata fra nazioni. Nella
Costituzione della nazione italiana e nello Statuto delle (centonovantuno)
Nazioni Unite si rifiuta la guerra come strumento di offesa e come soluzione
di controversie "inter-nazionali".
Eppure anche l'ultimo mezzo secolo e' stato pieno di guerre; sempre piu'
armi e armi sempre piu' micidiali vengono costruite per farle (non per
dissuadere); apparati potenti e intelligenti le programmano e le stanno
preparando. Proprio ora.
Assisteremo ad ennesime guerre nel nuovo anno? Sta per cominciare la prima
guerra globale del nuovo secolo? Parteciperemo come italiani, come basi
italiane? Vi sara' coinvolta l'Onu?
"Giusta", "umanitaria", "preventiva" che si pretenda, la guerra sanguina e
distrugge, una o piu' nazioni annientano una o piu' altre, vite e natura
vengono eliminate per definizione. La guerra, le singole guerre vanno
ripudiate in tutte le varie forme, tribali o tecnologiche, mordiefuggi o
casapercasa. A quelle domande bisognerebbe rispondere no, che stiamo facendo
di tutto perche' tutti rispondano no. E dovremmo contrastare i nazionalismi
con i loro conflitti armati, e il commercio di armi, riformando gli
organismi multilaterali, unici eventuali titolari di polizia internazionale
(oltre che di lotta alla poverta' e di sviluppo sostenibile).
Eppure sembra (quasi?) certo che gli Usa, con la legge delle forza (anche
rispetto all'Onu) vogliano dichiarare guerra all'Iraq gia' nelle prossime
settimane: prima del 22 gennaio quando saremo a Porto Alegre? prima del 15
febbraio quando ci mobiliteremo in tutta Europa (e per l'Europa)? Forse.
Urliamo il dissenso. Escono saggi sulle guerre del passato, con crescenti
avversioni alla filosofia della guerra. Escono sondaggi di un'opinione
pubblica sempre piu' contraria. Non e' questione di Saddam, dittatore
sanguinario, in vari momenti sostenuto da grandi nazioni: lo avversavamo e
lo avversiamo; non e' questione di terrorismo, vari conservatori americani
condannano la guerra perche' non c'entra: lo avversavamo e lo avversiamo;
non e' questione di risoluzioni non rispettate, in almeno novantuno
precedenti occasioni senza sanzioni: le sostenevamo e le sosteniamo. Chi
"salvagente" e' anche contro questa guerra. Imagine... un buon 2003.

10. LETTURE. GIANFRANCO BETTIN, MAURIZIO DIANESE: PETROLKILLER
Gianfranco Bettin, Maurizio Dianese, Petrolkiller, Feltrinelli, Milano 2002,
pp. 224, euro 7,50. La ricostruzione documentaria di un aspetto specifico
della vicenda di Porto Marghera come emerge dagli atti del "processo
Petrolchimico": il patto scellerato di segretezza tra aziende chimiche
americane ed europee che lascio' esposti alla malattia e alla morte migliaia
di lavoratori. Con in appendice i documenti segreti delle aziende chimiche.
A pagina 11 questi indimenticabili versi di Ferruccio Brugnaro: "Il fatto
non sussiste. / I miei compagni morti non sono / mai esistiti / sono svaniti
nel nulla. / I miei compagni operai / morti / non possono tollerare / questa
vergogna".

11. LETTURE. JEAN GENET: QUATRE HEURES A CHATILA / QUATTRO ORE A CHATILA
Jean Genet, Quatre heures a Chatila / Quattro ore a Chatila, Stampa
Alternativa, Roma 2002, pp. 64, euro 1. La testimonianza e la meditazione di
Genet nei luoghi del massacro del settembre 1982.

12. LETTURE. KARL LOUIS GUILLEN: IL TRITACARNE
Karl Louis Guillen, Il tritacarne, Multimage, Torino (Firenze) 1999, pp. XVI
+ 176, lire 12.000. Da un carcere dell'Arizona la voce di un detenuto che
rischia la pena di morte, e che si batte per veder riconosciuta la sua
innocenza. I proventi del libro vanno a garantire la difesa dell'autore. Per
contatti in Italia: turquet at dada.it

13. RILETTURE. JOAN BAEZ: BALLATE E FOLKSONG
Joan Baez, Ballate e folksong, Newton Compton, Roma 1977, pp. 176. Una
raccolta di testi del repertorio di canti popolari angloamericani di Joan
Baez, grandissima ricercatrice di musica popolare e cantautrice pacifista.

14. RILETTURE. LISLI BASSO CARINI: COSE MAI DETTE
Lisli Basso Carini, Cose mai dette, Il Mulino, Bologna 1995, pp. 172, lire
18.000. Alcuni scritti memoriali ed aforistici della indimenticabile
militante della Resistenza e dei movimenti pacifisti e antinucleari,
compagna di vita e di lotte di Lelio Basso.

15. RILETTURE. BESSIE SMITH, LA REGINA DEL BLUES. CANZONI
Bessie Smith, la regina del blues. Canzoni, Lato side, Roma 1981. Una
raccolta dei testi di alcune delle piu' belle canzoni della leggendaria
Bessie Smith, con una notizia biografica  e discografica.

16. RILETTURE. ANGELA BORGHESI: LA LOTTA CON L'ANGELO
Angela Borghesi, La lotta con l'angelo, Marsilio, Venezia 1989, pp. 276,
lire 32.000. Una bella monografia sul lavoro critico di Giacomo Debenedetti.

17. RILETTURE. ALDO CAPITINI: SCRITTI FILOSOFICI E RELIGIOSI
Aldo Capitini, Scritti filosofici e religiosi, Fondazione Centro Studi Aldo
Capitini, Perugia 1998, pp. XXXII + 660, lire 50.000. Il volume raccoglie,
per le cure di Mario Martini, alcuni dei principali libri di argomento piu'
specificamente filosofico e religioso di Capitini, e fa parte di una
purtroppo interrotta edizione delle Opere scelte di cui anni prima era gia'
uscito un volume dedicato agli Scritti sulla nonviolenza. Sarebbe
decisamente opportuno che si procedesse a un'edizione nazionale delle opere
complete del pensatore perugino che e' stato l'apostolo della nonviolenza in
Italia. Aldo Capitini e' nato a Perugia il 23 dicembre 1899, antifascista e
perseguitato, docente universitario, infaticabile promotore di iniziative
per la nonviolenza e la pace. E' morto a Perugia il 19 ottobre 1968. E'
stato il piu' grande pensatore ed operatore della nonviolenza in Italia.
Opere di Aldo Capitini: la miglior antologia degli scritti e' (a cura di
Giovanni Cacioppo e vari collaboratori), Il messaggio di Aldo Capitini,
Lacaita, Manduria 1977; anni fa e' stato ripubblicato il saggio Le tecniche
della nonviolenza, Linea d'ombra, Milano 1989; una raccolta di scritti
autobiografici, Opposizione e liberazione, Linea d'ombra, Milano 1991; e gli
scritti sul Liberalsocialismo, Edizioni e/o, Roma 1996. Presso la redazione
di "Azione nonviolenta" sono disponibili e possono essere richiesti vari
volumi ed opuscoli di Capitini non più reperibili in libreria (tra cui i
fondamentali Elementi di un'esperienza religiosa, 1937, e Il potere di
tutti, 1969). Negli anni '90 e' iniziata la pubblicazione di una edizione di
opere scelte; sono fin qui apparsi un volume di Scritti sulla nonviolenza, e
un volume di Scritti filosofici e religiosi. Opere su Aldo Capitini: oltre
alle introduzioni alle singole sezioni del sopra citato Il messaggio di Aldo
Capitini, tra le pubblicazioni recenti si veda: Giacomo Zanga, Aldo
Capitini, Bresci, Torino 1988; Fabrizio Truini, Aldo Capitini, Edizioni
cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1989; Tiziana Pironi, La
pedagogia del nuovo di Aldo Capitini. Tra religione ed etica laica, Clueb,
Bologna 1991; Rocco Altieri, La rivoluzione nonviolenta. Per una biografia
intellettuale di Aldo Capitini, Bfs, Pisa 1998; Antonio Vigilante, La
realta' liberata. Escatologia e nonviolenza in Capitini, Edizioni del
Rosone, Foggia 1999; Pietro Polito, L'eresia di Aldo Capitini, Stylos, Aosta
2001; cfr. anche il capitolo dedicato a Capitini in Angelo d'Orsi,
Intellettuali nel Novecento italiano, Einaudi, Torino 2001. E ancora:
Fondazione "Centro studi Aldo Capitini", Elementi dell'esperienza religiosa
contemporanea, La Nuova Italia, Scandicci (Fi) 1991; utile anche Clara
Cutini (a cura di), Uno schedato politico: Aldo Capitini, Editoriale Umbra,
Perugia 1988. E' utile anche la lettura dei due libri seguenti: AA. VV.,
Marxismo e nonviolenza, Lanterna, Genova 1977, e AA. VV., Nonviolenza e
marxismo, Libreria Feltrinelli, Milano 1981.

18. RILETTURE. IDA FARE': MALAMORE
Ida Fare', Malamore, Sugarco, Milano 1988, pp. 112. Tra romanzo e saggio
sull'interiorita' e sulle relazioni interpersonali, un'intensa e delicata
meditazione sul rapporto d'amore e l'impegno nella storia, e quasi
un'autobiografia di una generazione.

19. RILETTURE. HANS MAYER: I DIVERSI
Hans Mayer, I diversi, Garzanti, Milano 1977, 1992, pp. 496, lire 28.000.
Capita talvolta di incontrare libri grandi, che nutrono lo spirito e
fortificano la dignita'. Eccone uno.

20. RILETTURE. ANTONIO NANNI: EDUCARE ALLA CONVIVIALITA'
Antonio Nanni, Educare alla convivialita', Emi, Bologna 1994, pp. 240, lire
25.000. Un utile strumento di riflessione e lavoro.

21. RILETTURE. VIOLETA PARRA: CANZONI
Violeta Parra, Canzoni, Newton Compton, Roma 1979, pp. 240. Le canzoni di
Violeta, con un'ampio saggio introduttivo. Violeta Parra, pittrice,
poetessa, musicista, ricercatrice e interprete di canzoni della cultura
popolare cilena, nata nel 1917 da padre professore di musica e madre
contadina, sorella di Nicanor, si suicida nel 1967. Ha scritto Eduardo
Galeano in Memoria del fuoco: "... quella cantante contadina, dalla voce
flebile, che nelle sue canzoni provocatorie seppe celebrare i misteri del
Cile. Violeta era peccatrice e piccante, amava la chitarra, le chiacchiere e
l'innamoramento, e spesso, per ballare e fare la buffona, le si bruciavano
le empanadas. 'Grazie alla vita, che mi ha dato tanto', canto' nella sua
ultima canzone; e un sussulto d'amore la sbalzo' nella morte".

22. RILETTURE. JACQUELINE RISSET: LA LETTERATURA E IL SUO DOPPIO
Jacqueline Risset, La letteratura e il suo doppio, Rizzoli, Milano 1991, pp.
138, lire 32.000. Un acuto saggio dell'illustre studiosa, saggista e
poetessa, sul metodo critico di Giovanni Macchia.

23. RILETTURE. RABINDRANATH TAGORE: VISIONI BENGALESI
Rabindranath Tagore, Visioni bengalesi, Fratelli Melita Editori, La Spezia
1992, pp. XIV + 194, lire 12.000. Alcuni estratti da lettere di Tagore degli
anni 1885-1895, con un'introduzione dell'autore, del 1920. Rabindranath
Tagore, nato a Calcutta nel 1861, studi in Europa, Premio Nobel per la
letteratura nel 1913, fu pensatore, poeta, educatore, filantropo, voce del
suo popolo; mori' nel 1941. Opere di Rabindranath Tagore: una sintetica
antologia sui temi della pace e' nel libro di Perugini citato sotto; ai
primi del Novecento molti suoi lavori furono tradotti in italiano dalla casa
editrice Carabba, Lanciano; edizioni di sue poesie tradotte in italiano
hanno pubblicato negli ultimi decenni Guanda e la Newton Compton;
recentemente l'editrice Tea ha riproposto varie sue opere. Opere su
Rabindranath Tagore: nella prospettiva che piu' ci interessa un buon punto
di partenza e' la monografia di Palmiero Perugini, Tagore, Edizioni cultura
della pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1994.

24. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

25. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it;
angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it

Numero 460 del 29 dicembre 2002