La nonviolenza e' in cammino. 414



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 414 del 13 novembre 2002

Sommario di questo numero:
1. Lidia Menapace, a Firenze il movimento delle donne...
2. Patrizia Pasini, il silenzio che disarma e che sorprende
3. Enrico Euli, Marco Forlani: introduzione a "Guida all'azione diretta
nonviolenta"
4. Giulio Vittorangeli: Salvador, tracce di memoria
5. Luisa Morgantini intervista Mehmet Abbasoglu
6. Marina Forti, l'Asia a Firenze
7. Giuliana Sgrena, israeliani e palestinesi per la pace e la giustizia a
Firenze
8. Guido Ambrosino ricorda Rudolf Augstein
9. Una bibliografia delle opere di Gilles Deleuze
10. Riletture: Sheila Rowbotham, Donne, resistenza e rivoluzione
11. Riletture: Sheila Rowbotham, Esclusa dalla storia
12. Riletture: "Nuova dwf - donnawomanfemme" n. 14/1980
13. L'abbecedario ingenuo di Tricotillo Smaniconi: disobbedienti
14. La "Carta" del Movimento Nonviolento
15. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. LIDIA MENAPACE: A FIRENZE IL MOVIMENTO DELLE DONNE...
[Ringraziamo Lidia Menapace (per contatti: menapace at tin.it) per questo
intervento. Lidia Menapace e' l'umanita' come dovrebbe essere]
A Firenze il movimento delle donne e' stato abbastanza presente e le donne
nei movimenti misti pure, insomma sembra che si sia ottenuto un diritto di
accesso e non dalla porta di servizio.
E' vero che le presenze per la parte italiana sono state piu' di ascolto e
di visibilita' silente che di voce e direzione, ma insomma - date le
tradizioni - e' piu' di qualcosa.
Mi pare di poter dire - sempre salvo errori ed omissioni - che il femminismo
si e' presentato in tre filoni o forme o storie. La Convenzione sui temi
specifici della riunione fiorentina, dato che portava col proprio seminario
la proposta dell'Europa neutrale; il seminario di storia del movimento,
preparato dall'incontro alla Casa internazionale e promosso da  illustri
sedi del femminismo; e quello della Marcia di grandissimo successo di
presenze, apparso talora un po' piu' tradizionale, persino  attardato sulla
domanda se il femminismo divida il proletariato o no, alla quale -
modestamente - mi pare di poter dire che aveva gia' risposto Engels.
Tuttavia il richiamo della Marcia e' stato molto grande ed e' utile che vi
sia un luogo che eserciti tale richiamo anche un po' generico.
Quanto a noi della Convenzione - le presenti a Firenze - siamo
contentissime, oltre che per l'andamento generale - del fatto che la nostra
posizione (elaborare da un  punto di vista di donne proposte rivolte a donne
e uomini) abbia avuto una eco cosi' forte e positiva, tanto che qualche
giornale ha scritto che la proposta di introdurre l'art.11 della
Costituzione italiana in quella europea e lanciare una campagna per
un'Europa neutrale e disarmata e' l'unica concreta uscita da Firenze sul
tema guerra.
Le donne presenti nei movimenti misti sembrano aver acquisito gli strumenti
di analisi del cosiddetto femminismo diffuso e le altre, le piu' giovani,
sono ancora nella nota fase "non sono femminista, ma", comunque
significativa.
Nel suo complesso e non piu' riferendomi solo alle donne, nel movimento mi
par di vedere porzioni residuali e decrescenti di aree ostili a una
dichiarazione di azione nonviolenta di principio, crescente atteggiamento
nonviolento magari non razionalizzato, e interesse a una conoscenza piu'
precisa di cosa sia l'azione nonviolenta: ad esempio l'analisi della
Convenzione sui movimenti nonviolenti (sindacato, movimento operaio,
femminismo) nella storia d'Europa e sulla disobbedienza civile hanno trovato
un riscontro di grande interesse. Mentre la proposta dei Disobbedienti di
fare grandi manifestazioni davanti alle ambasciate americane ecc. ecc. dopo
la caduta della prima bomba e' ancora nella logica della risposta e non
dell'iniziativa  preventiva, ma ha il pregio di indicare strumenti di azione
nonviolenta: e' molto.
Quanto alle pratiche - sempre con grande sommarieta' per fissare nella
memoria le impressioni piu' immediate - (il fatto si ripete dai movimenti
misti a quelli di genere) direi che vi e' una specie di gradatio dai
Corteofili con aree di disprezzo e rifiuto di "altre pratiche", e di "Altre
pratiche" con rifiuto del corteo, con una ricca commistione di posizioni
piu' ragionate, tipo "va bene il corteo dato che siamo belli/e e abbiamo
cose da dire e da mostrare e vogliamo non essere relegati nei ghetti perche'
disturbiamo il manovratore e perche' il diritto democratico di manifestare
non ce lo deve togliere nessuno" ma "per poter manifestare senza fare solo
delle processioni o dei riti ripetitivi e' importante che ci siano anche
altre pratiche, momenti di riflessione ecc.".
La forma gia' sperimentata a Genova e del resto a Porto Alegre e a Pechino,
di un equilibrio vivo tra cortei e seminari sembra pero' entrata nelle
scelte dei piu'.
Chiacchierando nei corridoi e in treno al ritorno ho raccolto una certa
mugugnosita' verso il gruppo dirigente che del resto e' improprio chiamare
cosi', perche' ha poco da dirigere, data la grande autonomia delle varie
componenti, e non e' stato eletto da nessuno. Ma non si tratta di
atteggiamenti di delegittimazione del gruppo stesso, che nessuno mette in
discussione, quanto di critiche sul prevalere di pratiche "partitiste", con
interventi inseriti col bilancino indipendentemente dall'interesse delle
cose da dire, scontro tra correnti interne di partiti ecc.: un modo dei
partiti di stare nei movimenti del resto non c'e' piu', finita la ricca
sperimentazione del Pci verso il sindacato e i movimenti di massa, che non
e' riproducibile -per fortuna- perche' e' stata una grande stagione, ma si
riferiva a una societa' molto diversa dall'oggi.
Vi sono aree critiche tra le Donne in nero e in molte altre forme di
aggregazione autonoma non facilmente  catalogabili, in particolare i
movimenti che hanno una pratica soprattutto legata al territorio e che da
li' sperimentano una forma di organizzazione non solo sociale, ma dello
stato del tutto diversa e che si sentono piuttosto trascurati.
Per chiudere, una barzelletta: un tipo molto marziale con passamontagna e
aggeggi e' stato fermato da un signora cinquantenne che gli ha levato il
velo e gli ha detto puntando la macchina fotografica: "o bischero, ti ho
bell'e preso". Forza degli argomenti e dell'ironia...
Ricca la produzione di scritte ironiche sulle vetrine protette da materiali
molto scrivibili: tipo "Chiuso per mancanza di riflessione". Tutto e' bene
quel che finisce bene.

2. TESTIMONIANZE. PATRIZIA PASINI: IL SILENZIO CHE DISARMA E CHE SORPRENDE
[Ringraziamo Patrizia Pasini (per contatti: delc.mc at pcn.net) per questa
testimonianza di straordinario, luminoso candore. Sr. Patrizia Pasini fa
parte della Commissione Giustizia e Pace delle Missionarie della Consolata]
Sono le ore 13 di sabato, il Forum Europeo di Firenze sta prendendo la forma
della manifestazione: composta, gioiosa, educata, interessante, cosi' come
sono state le giornate dei  dibattiti, delle tavole rotonde, degli scambi.
Ho smarrito il mio borsone e quindi devo uscire dalla fortezza, con
difficolta' riesco ad uscire, e mi trovo in mezzo a centinaia, migliaia di
persone; giovani, di mezza eta', donne e bambini, la gente sorride, cerco
di farmi spazio in una calca impossibile ma tutto nel rispetto delle
persone: questa moltitudine non fa paura, anzi mette dentro speranza e
fiducia.
Vengo a sapere che il mio borsone e' rimasto dentro la fortezza proprio nel
posto dove al mattino lo avevo posato, mentre aprivo la porta dello  spazio
del  silenzio. Sono passate migliaia di persone e nessuno ha toccato,
spostato, preso a calci il mio borsone blue.
*
Noi religiosi e religiose promotrici di "Giustizia, Pace, Integrita' del
Creato" insieme a Pax Christi abbiamo organizzato dentro la Fortezza da
Basso, durante il Social Forum Europeo, uno spazio di silenzio con due
motivazioni: per sentirci solidali con i popoli oppressi e sfruttati, e per
riflettere che un mondo diverso, cioe' una globalizzazione non esasperata
solo sul profitto ma costruita nella giustizia e nella solidarieta' e'
possibile.
Lo spazio e' diviso in due parti, la prima parte e' dedicata alla lettura.
Appesi alle pareti sono fatti, idee, proposte, critiche, petizioni, e poi la
possibilita' di scrivere su grandi fogli di carta le proprie idee o
messaggi, ed eventualmente per chi lo desidera firmare due bandiere della
pace da  far pervenire una a Bush e l'altra a Sharon.
Facciamo conoscere e  facciamo assaggiare il guarana', concentrato in succo,
che diluito in acqua minerale frizzante naturale diventa una bevanda
buonissima. Il Guarana' arriva al commercio solidale direttamente da una
cooperativa di aborigeni dell'Amazzonia: con questo  gesto vogliamo
dimostrare che questi popoli, impoveriti dallo sfruttamento, posseggono
risorse straordinarie, ed e' giusto impegnarsi    affinche' i loro prodotti
trovino mercati e prezzi adeguati.
La seconda parte dello spazio e' dedicata totalmente al silenzio e alla
riflessione. Un cartello chiede prima di entrare di togliersi le scarpe come
segno di umilta', solidarieta' con i popoli impoveriti e oppressi.
Alle colonne sono appesi i nomi dei popoli delle etnie piu' sfruttate. In
fondo arde la lampada del silenzio, una fiamma che puo' simboleggiare
molte realta', ai piedi della lampada i simboli della sofferenza di questi
popoli impoveriti e privati dei beni essenziali: cibo, acqua, medicine.
Organizzando questo spazio non pensavamo di attrarre tante persone, tanta
simpatia e tanto interesse; giornalisti della carta stampata e della
televisione di  tutta Europa sono entrati e rispettando il silenzio e
togliendosi le scarpe hanno fotografato e poi intervistato le persone solo
all'uscita. Le persone, giovani e meno giovani, con il loro comportamento e
il loro silenzio hanno dato uno straordinario senso di sacralita' a questo
luogo e a questi giorni.
*
La meditazione buddista, la meditazione cristiana e la meditazione yoga sono
stati momenti importanti, ma persone di tutte le religioni e confessioni e
anche coloro che non si riconoscono in nessun credo o Dio sono entrate per
sostare e per riflettere, il silenzio e' diventato una piattaforma di
rispetto e di intesa che ci accomuna e ci fa solidali gli uni con gli altri.
Noi religiosi e religiose a Firenze, insieme a tantissime altre cose,
abbiamo imparato e sperimentato che il silenzio, oggi, ha un fascino
straordinario, che giovani e non giovani cercano questi spazi, ne hanno
bisogno e forse noi dovremmo pensare come renderli possibili questi spazi,
visibili e aperti a tutti, luoghi ospitali, accoglienti e rispettosi delle
differenze. Abbiamo imparato che esiste un rapporto strettissimo e creativo
tra silenzio e impegno sociale, silenzio e promozione della giustizia,
silenzio e rispetto delle differenze, silenzio che si fa riflessione e
quindi capace di denuncia efficace e nonviolenta. Silenzio che mette in
discussione il nostro stile di vita, cio' che compriamo, mangiamo e
purtroppo  sprechiamo. Silenzio, che per noi diventa luogo dove fare
l'esperienza del Cristo Risorto.

3. MATERIALI. ENRICO EULI, MARCO FORLANI: INTRODUZIONE A "GUIDA ALL'AZIONE
DIRETTA NONVIOLENTA"
[Ringraziamo Enrico Euli (per contatti: diabeulik at libero.it) per averci
messo a  disposizione le pagine introduttive del recentissimo libro suo e di
Marco Forlani, Guida all'azione diretta nonviolenta. Da Comiso a Genova e
oltre. Come ci si prepara alla protesta, Ed. Berti, pp. 110, 7 euro. Enrico
Euli e Marco Forlani svolgono attivita' di formazione alla gestione
nonviolenta dei  conflitti]
Il devastante crollo delle Torri Gemelle e i magniloquenti fuochi su Kabul e
Kandahar hanno fatto luce sui fatti di Genova. Li hanno resi comprensibili,
piu' chiari, piu' coerenti.
La violenza e la morte di quei giorni assumono piu' ampie dimensioni e nuovi
significati.
I poteri politici ed economici hanno intrapreso la via della
militarizzazione globale come unico approccio ai conflitti tra uomo e
natura, tra esseri umani, tra culture.
La guerra guerreggiata si fa strada, la' dove i condizionamenti del denaro e
del consumo non sono sufficienti o non sono esportabili. La' dove si
resiste.
E cosi' come a Genova si lasciavano agire i black bloc per poter reprimere i
pacifici, cosi' nel mondo gli attentati terroristici (in USA, in Europa, in
Medio Oriente) sono utilizzati per opprimere ed aggredire chi resiste alla
violenza, alle ingiustizie e alla guerra.
Di fronte a questo scatto, a questa accelerazione, il "movimento dei
movimenti" (sia a Genova, sia dopo l'11 settembre) si e' trovato impreparato
e vive una fase di relativo disorientamento.
Non tanto a livello di contenuti, di progetti, di campagne, di idee, quanto
e soprattutto - a nostro parere -  a livello di metodo.
Al suo interno assistiamo al rischio di una riproposizione di modelli
abituali, gia' sperimentati e consunti, tipici della tradizione politica
d'opposizione: assemblearismo, collateralismo, leaderismo.
Verso l'esterno persistono le rincorse alle scadenze imposte
dall'avversario, i ritualismi nelle manifestazioni di piazza, le operazioni
di immagine.
Storie gia' viste, fallimenti gia' vissuti.
Ma c'e' anche altro.
Una nuova generazione e' in campo, con le sue ingenuita' certo, ma anche con
la sua pulizia, creativita', voglia di cambiare il mondo. Genova, e'
importante insistere su questo, non e' stata soltanto violenza e morte, come
l'informazione dominante e necrofila ha tentato di far credere. Ed anche il
mondo, questo nostro mondo disperato, ha ancora in se' la speranza di una
trasformazione, di una rivoluzione radicale e profonda.
I cambiamenti, sotto traccia, appaiono anzi gia' in corso: "un altro mondo
e' possibile" non e' soltanto uno slogan autocompiacente. Qualcosa si muove
e le violenze dei potenti di turno, smascherati nella loro debolezza, lo
dimostrano.
Ma e' necessario, a questo punto, fare un salto ulteriore.
Crescere nella nostra capacita' di vivere e di sperimentare l'azione
nonviolenta.
Agire in prima persona, da soli e con altri, nel quotidiano e nel locale.
Mettendosi in gioco contro la rassegnazione e l'impotenza, senza ricadere
nei circoli viziosi della violenza e della distruttivita'. Senza lasciare
alibi agli avversari perche' possano giustificare le loro aggressioni.
E' fondamentale renderci riconoscibili, moralmente inattaccabili,
psicologicamente preparati, socialmente organizzati, politicamente efficaci.
La nonviolenza, se non assunta genericamente (come purtroppo ancora in tanti
continuano a fare, anche nei movimenti), pu' darci un supporto ed un
orientamento decisivi.
Questo piccolo libro, che ricostruisce una storia e prova a comunicare idee
e a dare strumenti, vorrebbe essere soprattutto questo: un aiuto ulteriore a
chi vuole praticare, oggi, una nonviolenza attiva.
Ci piacerebbe sapere, e solo voi potete farcelo capire, se ci siamo
riusciti.

4. MEMORIA. GIULIO VITTORANGELI: SALVADOR, TRACCE DI MEMORIA
[Giulio Vittorangeli (per contatti: giulio.vittorangeli at tin.it) e' uno dei
fondamentali collaboratori di questo notiziario, e una delle persone
migliori che ti possa capitare di incontrare]
Puo' essere utile cominciare con una poesia: Ai Martiri dell'Uca, di Luis de
Sebastian,  Barcellona, 23 novembre 1989:

Vi vedo arrivare al porto, uno ad uno
con le barche cariche di talenti
ed i "premi" presi nelle reti
in pochi anni di intenso lavoro.
Vi vedo arrivare con rami di garofani
rossi come il sangue del mio popolo,
raccolti nella notte ancora con il fresco.
Vi vedo arrivare al porto, uno ad uno,
desiderosi di riposare dopo tanta fatica.
Venite cosi', stanchi ma allegri
come veniste dal fronte della lotta.
Arrivate sorridenti, ma seri,
avete lasciato laggiu' il bombardamento,
le perquisizioni, gli squadroni e la paura,
voi, liberi ormai dalle torture,
ma il popolo continua ancora a soffrire.
Il popolo di El Salvador, il mio popolo
scelto e amato senza che lui lo sappia.
Io scelsi El Salvador per giudicare il
mondo, per separare i cattivi dai buoni,
per baciare i poveri in fronte
e popolare le dimore del mio Regno.
Ellacu, Nacho, Amando,
Lolo, Segundo, Moreno
Venite benedetti dal padre mio eterno,
martiri della fede e della giustizia;
siete le foglie rosse del mio manto regale.

Era il 16 novembre 1989 e nella capitale salvadoregna venivano uccisi sei
gesuiti, mentre l'offensiva della guerriglia (Fmln) era al suo culmine.
Le foto dell'eccidio all'Universita' centroamericana (Uca), con la loro
atmosfera irreale, giunsero anche in Italia. La visione dei quattro cadaveri
nell'androne, vicino al muro lungo il quale erano stati assassinati - solo
piu' tardi si seppe che gli assassini avevano spostato i corpi dopo
l'omicidio con il proposito, non riuscito, di riportarli nelle stanze dalle
quali li avevano strappati all'alba - era sconvolgente. Il cadavere di
Ellacuria era irriconoscibile. L'impatto dei colpi sparati da una distanza
ravvicinata ne aveva deformato il cranio; il cervello era sparso sul muro
contro il quale era stato fucilato. Quel cervello aveva prodotto le idee
piu' generose e brillanti che si fossero ascoltate nel Salvador da molti
anni. Altri due religiosi erano stati trasportati nelle loro camere ed era
visibile la traccia del sangue lasciato a terra. Anche la donna che faceva i
lavori domestici nella residenza e sua figlia erano state uccise dai
criminali che non volevano testimoni.
L'assassinio di Ellacuria e dei suoi compagni era stato annunciato da tempo,
erano l'obiettivo designato dai militari e dagli squadroni della morte
salvadoregni.
Nonostante questo, l'ambasciatore statunitense William Walker, il
dipartimento di Stato e il Pentagono incolparono del delitto la guerriglia e
fecero di tutto per ostacolare le indagini. Walker e' lo stesso che poco
tempo prima aveva occupato l'ambasciata statunitense in Nicaragua e che nel
1999 ha presieduto la commissione Osce che ha visitato il Kossovo prima
della guerra e che ha portato al duro scontro con Milosevic.
La reazione dell'opinione pubblica internazionale fini' con il mettere in
difficolta' l'allora presidente George Bush. Una commissione investigativa
del Congresso si impegno' per svelare la verita' e ammise la responsabilita'
diretta, nella pianificazione dell'assassinio, del capo di stato maggiore
dell'esercito, il colonnello Rene' Emilio Ponce, che sarebbe poi diventato
ministro della Difesa.
Per il massacro venne condannato solo un ufficiale: il colonnello Guillermo
Benavides, direttore della Scuola militare. Il processo che si e' svolto in
Salvador stabili' la complicita' di un solo altro membro dell'esercito, ma i
risultati lasciarono insoddisfatti i compagni dei religiosi assassinati e
tutti quelli che conoscevano la versione integrale dei fatti.
Ellacuria era un vero intellettuale; mentre altri sacerdoti si dedicavano al
lavoro quotidiano nella comunita' povera, lui era piu' degli altri
l'ispiratore, colui che elaborava la dottrina, fonte costante di
rinnovamento per la Chiesa e di preoccupazione per il papa. Dal Vaticano
parti' una vera e propria aggressione alle espressioni pastorali della
teologia della liberazione in tutta l'America Latina. Citiamo solo alcuni
casi: il riconoscimento da parte della Santa Sede del bestiale governo dei
golpisti haitiani, l'ostruzionismo alla causa di canonizzazione di monsignor
Romero, il breve pontificio (un messaggio molto ufficiale di
congratulazioni) inviato a Pinochet per le sue nozze d'oro, ecc.
Comunque, l'assassinio di Ellacuria e degli altri cinque sacerdoti (quattro
spagnoli e un salvadoregno) certamente diede l'impulso per una conclusione
piu' rapida della guerra. Ma il ricordo delle loro figure e del loro
messaggio e' oggi purtroppo scarso.
Il loro messaggio, a giudicare dalla violenza, questa volta sotto forma di
delinquenza comune, che continua a insanguinare il Salvador, non si e'
diffuso a sufficienza tra coloro per i quali donarono la vita.
Nella cappella nella quale e' stato celebrato il loro funerale sono incise
alcune parole di un altro uomo della Chiesa caduto nello stesso paese, il
vescovo Oscar Romero: "Se mi uccidono, resuscitero' nel popolo
salvadoregno".

5. ELEZIONI IN TURCHIA. LUISA MORGANTINI INTERVISTA MEHMET ABBASOGLU
[Ringraziamo Luisa Morgantini (per contatti: lmorgantini at europarl.eu.int)
per averci messo a disposizione questa intervista. Luisa e' parlamentare
europea, e una delle figure piu' note del movimento pacifista italiano;
Mehmet Abbasoglu e' presidente del Dehap, coalizione laica e democratica
maggioritaria nella regione del Kurdistan. L'incontro ha avuto luogo a
Istanbul]
- Luisa Morgantini: Come valuta questi risultati elettorali, si tratta
davvero di una svolta storica per la Turchia?
- Mehmet Abbasoglu: La Turchia e' un paese interessante e particolare,
intanto ha una legge elettorale antidemocratica, lo potete vedere dai
risultati: su 41 milioni di aventi diritto al voto hanno votato 32 milioni;
di questi, il 46%, pur avendo scelto un partito, non avranno nessuna
rappresentanza in parlamento per non aver il partito votato raggiunto il
quorum del 10%. L'AKP ha stravinto con il 34%, ma rappresenta soltanto il
25% dell'elettorato, eppure grazie a questa legge ha preso 364 seggi su 550.
La nostra non e' una societa' sana, la popolazione e' stata corrotta e
delusa dalla crisi economica oltre che dalla incapacita' dei precedenti
governi; basti pensare che Ecevit, che nel '99 aveva vinto  le elezioni con
il 23%, oggi ha ottenuto l'1,3%. Ha pagato cosi' la mancanza di principi e
di ideali. L'AKP ha raccolto i voti di una composita base sociale, dai
poveri  agli industriali del Tusiad e del Musiad. Non penso che Erdogan sia
cosi' autonomo, la vecchia nomenklatura, compresi i militari, decidera'
ancora, e il problema curdo resta  un banco di prova.
- L. M.: Come si caratterizza la pratica politica dell'AKP?
- M. A.: E' un partito nuovo, per ora si adatta alle diverse situazioni, noi
diciamo che si presenta islamista a Konya, curdo a Sirnak, kemalista ad
Ankara, quello che e' certo e' che e' liberista in economia; in questo senso
il FMI puo' dormire sonni tranquilli, meno l'Unione Europea che e' piu'
interessata alla democrazia e al rispetto dei diritti umani, bisogna
ricordare che gli islamisti hanno  votato contro la soppressione della pena
di morte.
- L. M.: Il Dehap e' il primo partito nella regione del Kurdistan anche se
molti voti sono andati all'AKP e anche ad  altri partiti. La delusione di
non essere entrati al Parlamento pensa che possa determinare un
allontanamento dei curdi dalla partecipazione politica e dal Dehap?
- M. A.: Certo entrare al parlamento sarebbe stato di enorme importanza.
Abbiamo lavorato molto, l'entusiasmo e la partecipazione alle nostre
manifestazioni ci aveva fatto ben sperare. Abbiamo condotto una campagna
elettorale affrontando estreme difficolta' e discriminazioni, praticamente
inesistenti sui media, controllati e bloccati dalla polizia e dall'esercito;
un solo esempio: il nostro pulmann con i candidati e' stato fermo due giorni
ad un posto di blocco. Nei villaggi sono state fatte gravi intimidazioni,
gli ufficiali hanno raccolto i mukhtar e spiegato che se un solo voto per il
Dehap fosse uscito dalle urne tutti ne avrebbero pagato le conseguenze:
niente carte d'identita', assistenza medica, lavoro, molti i ricatti delle
guardie dei villaggi. Dove vi sono i nostri sindaci, il governo centrale
taglia ogni forma di sostegno economico cercando in questo modo di sottrarci
consenso. La societa' curda e' in gran  parte ancora una societa' feudale
chiusa dove dominano i clan e la religione gioca un ruolo importante; se si
analizza il voto si vede dove i proprietari terrieri o i religiosi hanno
fatto una propaganda e una pressione ferrea perche' noi siamo laici e di
sinistra. Malgrado tutto cio' siamo in netta maggioranza, nella citta' di
Dyarbakir abbiamo preso il  56%. Moltissimi sono i  curdi che non hanno
potuto votare, sfollati, profughi. Non siamo entrati in parlamento e questa
e' una sconfitta, se pero' guardiamo piu' lontano e pensiamo alla questione
curda vediamo che la consapevolezza della nostra identita' e la
determinazione a non essere assimilati e' sempre piu' evidente, i colori
della nostra bandiera hanno sventolato in tutte le manifestazioni, molti
candidati hanno parlato in curdo, anche se la legge elettorale prevede che
l'unica lingua ammessa sia il turco; con questa campagna elettorale ci siamo
indubbiamente rafforzati.
- L. M.: Un  fatto nuovo si e' verificato con queste elezioni, due partiti
turchi anche se piccoli, hanno partecipato insieme all'Hadep  a formare la
lista del Dehap, questo uscire dalla rappresentanza solo curda e' una scelta
limitata alle elezioni o di lungo periodo?
- M. A.: Non e' stata una scelta tattica per avere piu' voti, che infatti
vista la dimensione dei due partiti non sono stati molti, ma strategica:
vogliamo continuare ad ampliare le nostre alleanze, perche' come dicevo
all'inizio il problema curdo rimane il cuore del problema e la Turchia
potra' andare verso le democrazia solo se sara' capace di riconoscere
identita' e autonomia ai curdi, potremo parlare la nostra lingua, dare nomi
curdi ai nostri figli. Insieme curdi e turchi dobbiamo unirci per uscire
dalla poverta' e dalla crisi economica: in questo senso la giustizia sociale
e la libera espressione della nostra identita' e delle differenze culturali,
politiche e religiose costituiscono la strada sulla quale siamo incamminati.

6. INCONTRI. MARINA FORTI: L'ASIA A FIRENZE
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 10 novembre 2002 riportiamo questo
articolo]
La sala e' gremita, ragazze e ragazzi sono arrampicati all'esterno dei
finestroni, i corpi si pigiano. Oggetto di tanto interesse, venerdi' sera
nella sala dell'Arsenale, e' una "finestra" aperta sull'Asia, continente che
a Firenze si materializza in alcuni volti.
Quello dell'economista filippino Walden Bello, che riesce a spiegare come il
"miracolo asiatico" cantato negli anni '90 sia evaporato in poche settimane
di speculazioni monetarie lasciando una scia di disastri sociali.
Quello di una giovane rappresentante di Rawa (l'associazione delle donne
rivoluzionarie afghane), che ha spiegato come la "globalizzazione" si sia
manifestata nel suo paese con decenni di guerra e di oppressione.
Il volto di Meena (nella concitazione sfugge il cognome) e di Anil Mishra,
indiani, che rappresentano il segretariato dell'Asian Social Forum (si
terra' in India, in gennaio).
Volti diversi, e altri ne mancavano - inutilmente e' stata attesa la
superstar Vandana Shiva.
Voci che hanno composto un quadro inedito, almeno per gran parte
dell'uditorio: un'Asia di conflitti sociali e di movimenti. E di conflitti
guerreggiati, ovviamente, a partire da quello afghano.
La rappresentante di Rawa (niente nomi, e "niente foto o videocamere per
favore") ha suscitato emozione. "L'Afghanistan e' stata la piu' grande
tragedia dimenticata", dice lei, e accusa l'occidente di aver "creato un
nemico" finanziando una guerriglia islamica negli anni '80. Avverte: "Il
fondamentalismo religioso e' un fenomeno globalizzato e minaccia tutto il
mondo".
Altrettanta attenzione riscuotera' Walden Bello, che il pubblico segue a
bocca aperta in un escursus geopolitico complicato che lui rende
chiarissimo: la crisi economica che nel '97 ha fatto tramontare le "Tigri" e
apparire l'altra faccia del miracolo, devastazioni ambientali e sfruttamento
del lavoro; gli imperativi geostrategici, la pressione militare degli Stati
Uniti, il confronto con la Cina, la pressione della "guerra al terrorismo"
dopo l'11 settembre 2001... E i movimenti popolari: ad esempio contro grandi
infrastrutture.
Bello, che vive in Thailandia, cita ad esempio "la lotta contro la diga di
Pak Mun (affluente del Mekong, ndr), un movimento autorganizzato di
comunita' rurali". Poteva citare allo stesso modo il movimento contro le
dige nella valle del Narmada in India.
O le battaglie sindacali in Corea del Sud, che si materializzano qui in un
sindacalista degli ospedalieri di Seul: da mesi lottano per il contratto
negli ospedali cattolici e hanno mandato una delegazione in Italia a
chiedere solidarieta' (la sede centrale del loro datore di lavoro e' qui, al
di la'del Tevere...).
O le lotte contro le privatizzazioni, dall'India all'Indonesia. "Tutti
questi movimenti cominciano a costruire contatti e solidarieta' attraverso
l'Asia, per uno sviluppo a beneficio dei cittadini, dell'ambiente, dei
valori umani", conclude Bello. Suggerisce, insomma, che sara' un evento
assai importante il Social Forum Asiatico che si prepara a Hyderabad, India.
Meena articola l'agenda: parla di privatizzazioni, di agricoltura e
produzione alimentare, informazione ("in Corea possono scioperare per mesi
senza che la vostra stampa qui ne dia notizia").
Bello insiste sulla battaglia contro i prossimi negoziati del Wto.
Anil Mishra, professore di scienze politiche a Delhi, insiste sul
"comunalismo", i conflitti tra comunita' religiose o etniche, guerre sante e
intolleranza, "vera minaccia alla pluralita' e alla democrazia"; sui diritti
democratici dei dalit ("intoccabili"), dei piccoli contadini, delle
popolazioni cacciate dalla terra... "Le classi agiate nei nostri paesi non
si sono ancora rese conto dei pericoli di questa globalizzazione", dice
Mishra, della tendenza a creare una piccola elite consumatrice globale e una
under-class marginalizzata sempre piu' estesa in ogni paese.

7. INCONTRI. GIULIANA SGRENA: ISRAELIANI E PALESTINESI PER LA PACE E LA
GIUSTIZIA A FIRENZE
[Anche questo articolo e' apparso sul quotidiano "Il manifesto" del 10
novembre 2002]
La Palestina e' entrata pienamente nel cuore dei no-global e lo si e' visto
anche dalla presenza delle bandiere palestinesi alla manifestazione di ieri.
Per molti dei partecipanti al forum fiorentino lo era da tempo, da quando
hanno cominciato a fare politica e, non a caso, l'eta' dei partecipanti ai
dibattiti sul Medioriente era in media superiore a quella di altri
appuntamenti. Ma tant'e'. A Genova, poco piu' di un anno fa, di Palestina
non si parlava, o quasi. A Firenze invece erano in migliaia ad ad assistere
al dibattito "Palestina-Israele: il conflitto, l'Europa, solidarieta' attiva
per una pace giusta", coordinato da Alessandra Mecozzi. Erano in migliaia ad
ascoltare il noto medico palestinese Mustafa Barghouti (rappresentante di
Pingo, il coordinamento delle Ong palestinesi), Fadwa Barghouti, avvocato e
moglie di Marwan, che si trova sotto processo in Israele, ma anche di
israeliani impegnati da anni contro l'occupazione come Michael Warshawsky,
direttore dell'Alternative information center, Yoni Liderman, donna in nero
di Bat Shalom, e soprattutto un giovane refusenik, uno dei 500 soldati che
si e' rifiutato di andare a servire l'esercito nei territori occupati.
Insieme, solidali, per dimostrare che il dialogo e' possibile. Un messaggio
forte e sentito trasmesso a una platea emozionata, militante.
Un messaggio che chiama in causa anche l'Europa come istituzione, come ha
piu' volte sottolineato Ali Rashid, della delegazione palestinese in Italia.
E il dibattito era stato introdotto proprio da una eurodeputata, Luisa
Morgantini, presidente della delegazione del parlamento europeo per i
rapporti con il Consiglio legislativo palestinese, da anni impegnata a
favore dei diritti del popolo palestinese. Che, qui a Firenze, ha proposto
la costituzione di un comitato di sostegno per i detenuti palestinesi, oltre
8.000, di cui 49 donne e oltre 250 bambini - tenuti in carcere contro ogni
convenzione internazionale - come ha denunciato Fadwa Barghouti. Un
atteggiamento (la violazione dei diritti umani), quello di Israele, che
dovrebbe mettere in discussione l'Accordo di associazione con la UE, tema al
centro di una iniziativa che si terra' il 20 novembre a Parigi, organizzata
dal comitato Francia-Palestina.
E' passato piu' di un anno da Genova, un anno terribile per i palestinesi
che hanno visto le loro citta' rioccupate dai carri armati, le sedi
dell'autorita' palestinese assediate con all'interno lo stesso presidente
Yasser Arafat, i campi profughi, come quello di Jenin, distrutti, gli alberi
di ulivo sradicati, le case demolite, migliaia di arrestati. In questi
terribili mesi i "disobbedienti" si sono uniti ai militanti di Action for
peace da anni impegnati a fianco dei palestinesi insieme agli israeliani che
si oppongono all'occupazione e alla politica di Sharon. Firenze, con i suoi
seminari, scambi e dibattiti, sara' riuscita se non altro a rafforzare
questi legami e pratiche di solidarieta'. Che devono servire ad esercitare
una pressione sulle istituzioni, soprattutto quelle europee, affinche' i
palestinesi non debbano piu' essere costretti, appena alzati, a telefonare
all'apposito numero istituito dalle autorita' militari israeliane per sapere
se possono uscire di casa o sono ancora sotto coprifuoco.

8. LUTTI. GUIDO AMBROSINO RICORDA RUDOLF AUGSTEIN
[Anche questo articolo riprendiamo dal quotidiano "Il manifesto" del 10
novembre 2002. Guido Ambrosino e' corrispondente del quotidiano dalla
Germania. Rudolf Augstein, da poco scomparso, e' stato il fondatore dello
"Spiegel", per la cui scuola tutti siamo passati]
Domani, come ogni lunedi' da 55 anni a questa parte, sara' in edicola Der
Spiegel. Stavolta vendera' piu' del solito milione di copie, che ne fanno il
maggior settimanale tedesco, il piu' grande in Europa. Sara' un numero
speciale dedicato a Rudolf Augstein, ma senza di lui.
Il fondatore della testata e' morto il 7 novembre, due giorni dopo aver
compiuto 79 anni.
Der Spiegel significa "lo specchio": si e' imposto riflettendo quella
modernizzazione della politica e del costume che ha ora trovato un
provvisorio approdo nel governo rosso-verde. E che prima si era espressa
nella coalizione social-liberale di Willy Brandt, il cancelliere della
Ostpolitik che voleva "osare piu' democrazia".
Col senno del poi si potrebbe dire che lo Spiegel e' andato con la corrente.
A leggerlo negli ultimi tempi irritano le sue prediche liberiste,
l'ossessione che la Germania vada emancipata dai lacci della
regolamentazione corporativa e dello stato sociale.
Gia' nel 1962 Hans Magnus Enzensberger criticava l'"ideologia" dello
Spiegel, riconducendola a "una scettica saputaggine, che di tutto dubita
tranne che di se stessa". Il rischio di ridursi a megafono del trend
dominante e' certo piu' forte oggi, per un settimanale divenuto istituzione.
Ma l'ascesa della testata fu piuttosto dovuta alla capacita' di Augstein di
farne uno specchio focale, che concentrava l'attenzione sui punti deboli del
potere anche quando erano in sella governi "amici", organizzava l'opinione
pubblica liberal, la guidava.
"Nel dubbio a sinistra", diceva Augstein, che pero' di dubbi ne aveva pochi.
Dalla famiglia cattolica si era emancipato con un intransigente laicismo.
Dall'esperienza del nazismo aveva imparato a non mettersi sull'attenti di
fronte alle autorita', nemmeno a quella d'occupazione britannica che gli
aveva dato la licenza per lo Spiegel.
Augstein e' stato in realta' un "nazionalliberale", che vedeva
nell'appiattimento occidentale di Adenauer una rinuncia alla riunificazione.
E che nel 1989 ha caldeggiato la sbrigativa annessione della Rdt, contro i
dubbi di chi avrebbe preferito una fusione dal basso.
Riferendosi alla sua campagna contro il bigottismo di Adenauer, Augstein
defini' lo Spiegel "il cannone d'assalto della democrazia". Fatta la tara
dalle esagerazioni, il settimanale fu davvero un organo di battaglia
politica contro la "democratura", la dittatura in forme democratiche del
patriarca renano.
La polemica divento' scontro aperto nel 1962, quando la polizia arresto'
undici membri della redazione e ne occupo' i locali a Amburgo. L'accusa era
di "tradimento della patria", che sarebbe stato consumato rivelando "segreti
di stato". Lo Spiegel aveva scritto in un resoconto sulla manovra militare
Fallex che la Bundeswehr non era in grado di reggere con armi convenzionali
a un'invasione dall'est. E aveva denunciato che il ministro della difesa
Strauss puntava a compensare questa debolezza dotando l'esercito di
artiglieria atomica, con proiettili che avevano l'inconveniente di ricadere
davanti al naso di chi li lanciava. Lo scenario della manovra aveva messo in
conto la morte di 15 milioni di tedeschi. Augstein trionfo', dopo 103 giorni
di prigione. Cadde invece Strauss. Il ministro della difesa, che aveva
tirato le fila della vendetta poliziesca, aveva mentito al parlamento,
negando di aver avuto un ruolo nella vicenda. Quando la menzogna fu
smascherata, fu costretto a dimettersi. Anche il cancelliere Adenauer si
ritiro' nell'ottobre del '63. Strauss, azzoppato dalle bordate
pubblicistiche di Rudolf Augstein, dovette rinunciare all'ambizione di
succedergli. E questa fu la piu' bella soddisfazione nella vita del
cannoniere-giornalista.

9. MATERIALI. UNA BIBLIOGRAFIA DELLE OPERE DI GILLES DELEUZE
[Riproduciamo qui una bibliografia delle opere apparse in volume di Gilles
Deleuze, riprendendola dall'assai piu' ampia bibliografia (cui rinviamo per
l'indicazione di articoli, prefazioni e postfazioni, interventi a convegni e
interviste) a cura di Fabio Polidori con la collaborazione di Giuliano
Antonello e Roberto Sieni, apparsa nelle pp. 173-184 del volume monografico
della rivista filosofica "aut aut", n. 276 del novembre-dicembre 1996,
interamente dedicato a "Gilles Deleuze. L'invenzione della filosofia".
Gilles Deleuze (1925-1995) e' stato uno dei pensatori francesi piu'
influenti degli scorsi decenni]
- Empirisme et subjectivite', P. U. F., Paris 1953; trad. di M. Cavazza,
Empirismo e soggettivita'. Saggio sulla natura umana secondo Hume, Cappelli,
Bologna 1981.
- Instincts et institution. Textes choisies (a cura di G. D.), Hachette,
Paris 1955.
- Nietzsche et la pbilosophie, P. U. F., Paris 1962; trad. di S. Tassinari,
con intr. di G. Vattimo, Nietzsche e la filosofia, Colportage, Firenze 1978;
nuova trad. di F. Polidori, con intr. di M. Ferraris e postazione di F.
Polidori, Nietzsche e la filosofia, Feltrinelli, Milano 1992.
- La philosophie critique de Kant. Doctrine des facultes, P. U. F., Paris
1963; trad. di M. Cavazza con intr. di E. M. Forni, La filosofia critica di
Kant. Dottrina delle facolta', Cappelli, Bologna 1979.
- Proust et les signes, P. U. F., Paris 1964, 1970 (II ed.); trad. di C.
Lusignoli e D. De Agostini, Marcel Proust e i segni, Einaudi, Torino 1986
(II ed.).
- Nietzsche, P. U. F., Paris 1965; trad. a cura di F. Rella, Nietzsche. Con
antologia di testi, Bertani, Verona 1977.
- Le bergsonisme, P. U. F., Paris 1966; trad. di F. Sossi, Il bergsonismo,
Feltrinelli, Milano 1983.
- Presentation de Sacher-Masoch. Le froid et le cruel, Minuit, Paris 1967;
Grasset, Paris 1971; trad. di M. de Stefanis, Masochismo e sadismo, Iota,
Milano 1973; Presentazione di Sacher-Masoch, Bompiani, Milano 1978; nuova
trad. di G. Da Col, Il freddo e il crudele, ES, Milano 199 l.
- Spinoza et le probleme de l'expression, Minuit, Paris 1968.
- Difference et repetition, P. U. F., Paris 1968; trad. di G. Guglielmi con
intr. di M. Foucault, Differenza e ripetizione, il Mulino, Bologna 1971;
nuova trad. Cortina, Milano, di prossima pubblicazione.
- Logique du sens, Minuit, Paris 1969; trad. di M. de Stefanis con una "Nota
dell'autore per l'edizione italiana", Logica del senso, Feltrinelli, Milano
1975.
- Spinoza. Philosophie pratique, P. U. F., Paris 1970; Minuit, Paris 1981;
trad. e postfazione di M. Senaldi, Spinoza. Filosofia pratica, Guerini e
Associati, Milano 1991.
- Francis Bacon. Logique de le sensation, La Difference, Paris 1981, 1984
(II ed.), 2 voll.; trad. di S. Verdicchio, Francis Bacon. Logica della
sensazione, Quodlibet, Macerata 1995.
- Cinema l. L'image-mouvement, Minuit, Paris 1983; trad. di J.-P. Manganaro,
L'immagine-movimento. Cinema 1, Ubulibri, Milano 1984.
- Cinema 2. L'image-temps, Minuit, Paris 1985; trad. di L. Rampello,
L'immagine-tempo. Cinema 2, Ubulibri, Milano 1989.
- Foucault, Minuit, Paris 1986; trad. di P. A. Rovatti e F. Sossi, Foucault,
Feltrinelli, Milano 1987.
- Le pli. Leibniz et le Baroque, Minuit, Paris 1988; trad. di V. Gianolio,
La piega. Leibniz e il Barocco, Einaudi, Torino 1990.
- Pericles et Verdi. La philosophie de Francois Chatelet, Minuit, Paris
1988.
- Pourparlers. 1972-1990, Minuit, Paris 1990.
- Critique et clinique, Minuit, Paris 1993; trad. Cortina, Milano, di
prossima pubblicazione.
*
Con Felix Guattari:
- L'Anti-Oedipe. Capitalisme et schizophrenie, Minuit, Paris 1972; trad. e
intr. di A. Fontana, L'anti-Edipo. Capitalismo e schizofrenia, Torino,
Einaudi 1975.
- Kafka. Pour une litterature mineure, Minuit, Paris 1975; trad. di A.
Serra, Kafka. Per una letteratura minore, Feltrinelli, Milano 1975.
- Rhizome (introduction), Minuit, Paris 1976, ripreso in Mille plateaux;
trad. di S. Di Riccio con pref. di J. Risset, Rizoma, Pratiche, Parma-Lucca
1977.
- Mille plateaux. Capitalisme et schizophrenie, Minuit, Paris 1980; trad. di
G. Passerone con una "Prefazione per l'edizione italiana", Mille piani.
Capitalismo e schizofrenia, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma 1987,
2 voll.
- Qu'est-ce que la philosophie?, Minuit, Paris 1991; trad, di A. De Lorenzis
a cura di C. Arcuri, Che cos'e' la filosofia?, Einaudi, Torino 1996.
*
Con altri:
- G. Deleuze e A. Cresson, Hume, sa vie, son oeuvre avec un expose' de sa
philosophie, P. U. F., Paris 1952.
- G. Deleuze e C. Pamet, Dialogues, Flammarion, Paris 1977, 1996 ; trad. di
G. Comolli, Conversazioni, Feltrinelli, Milano 1980.
- C. Bene e G. Deleuze, Sovrapposizioni, trad. di J.-P. Manganaro,
Feltrinelli, Milano 1978.
- G. Deleuze e G. Agamben, Bartleby. La formula della creazione, trad. di S.
Verdicchio, Quodlibet, Macerata 1993.
*
Testi in opere collettive:
- Bergson, in M. Merleau-Ponty (a cura di), Les philosophes celebres,
Mazenod, Paris 1956.
- AA. VV., H. Bergson. Memoire et vie. Textes choisis, P. U. F., Paris 1963.
- AA. VV., Spinoza. Etudes et textes choisis, P. U. F., Paris 1970.
- M. Foucault (a cura di), L'assassinat de George Jackson, "Groupe
d'information sur les prisons", Gallimard, Paris 1971, trad. di M. Gregorio,
L'assassinio di George Jackson, Feltrinelli, Milano 197 l.
- Hume, in F. Chatelet (a cura di), Histoire de la philosophie, Hachette,
Paris 1972, vol. IV; trad. Storia della filosofia, Rizzoli, Milano 1976,
vol.  IV.
- A quoi reconnait-on le structuralisme?, ivi, 1973, vol. VIII; trad. Da che
cosa si riconosce lo strutturalismo?, ivi, vol. VIII.
- Grande Encyclopedie des homosexualites, "Recherches", marzo 1973.
- Les plages d'immanence, in M. Gandillac, L'art des confins, P. U. F.,
Paris 1985.
- A. Grillo (a cura di), A partire da Foucault. Studi su potere e
soggettivita', La Zisa, Palermo 1993.

10. RILETTURE. SHEILA ROWBOTHAM: DONNE, RESISTENZA E RIVOLUZIONE
Sheila Rowbotham, Donne, resistenza e rivoluzione, Einaudi, Torino 1976,
1977, pp. VIII + 320. Il movimento di liberazione delle donne dal Seicento
al Novecento nell'analisi della grande studiosa inglese.

11. RILETTURE. SHEILA ROWBOTHAM: ESCLUSA DALLA STORIA
Sheila Rowbotham, Esclusa dalla storia, Editori Riuniti, Roma 1977, pp. 272.
Ricerche e analisi sull'oppressione della donna in Inghilterra dagli esordi
del capitalismo agli anni trenta del Novecento.

12. RILETTURE. "NUOVA DWF - DONNAWOMANFEMME" N. 14/1980
"Nuova dwf - donnawomanfemme" n. 14/1980, pp. 190. Volume monografico su
"Femminismo/socialismo, partiti/movimento", dedicato alla discussione con
Sheila Rowbotham.

13. L'ABBECEDARIO INGENUO DI TRICOTILLO SMANICONI: DISOBBEDIENTI
C'e' un'ideologia dietro questa parola, ed essa si chiama: subalternita'.
Poiche' definire come centrale nella propria azione e persino nella propria
autorappresentazione il mero disobbedire implica la delega ad altri di
condurre il gioco, di ordinare la societa', di stabilire le regole, di
decidere i fini.
E invece no: se dalla Resistenza una lezione ci e' venuta, se dal movimento
delle donne una lezione ci e' venuta, se insomma dalle piu' grandi e
decisive esperienza della nonviolenza in cammino una lezione ci e' venuta,
essa e' la seguente: rompere la complicita', uscire dalla subalternita',
assumere responsabilita', elaborare ed agire un programma costruttivo di
trasformazione sociale e di gestione dei conflitti; non accettare piu' il
discorso dominante e l'ordine oppressivo di cui costituisce il correlato
ideologico e il repertorio simbolico; ed altro discorso, altra prassi, altro
sguardo, altro cammino proporre.
Limitarsi al disobbedire, e peggio farne un totem novello, ci si  permetta
di dirlo, e' cosa da fanciulli da romanzi per la piccola borghesia
ottocentesca, ha sentore di paternali e sculaccioni.
Quel che occorre e' invece la nonviolenza delle e dei forti.
La nonviolenza delle e dei forti, la lotta piu' limpida e piu' intransigente
contro tutte le violenze: era questo che intendeva Lorenzo Milani quando
affermava che l'obbedienza non e' piu' una virtu'; chi invece elabora e
promulga e propugna una ideologia della mera disobbedienza, ahime', si pone
agli antipodi del messaggio di Barbiana, e di Rosa Luxemburg, e di Dietrich
Bonhoeffer.

14. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

15. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it;
angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it

Numero 414 del 13 novembre 2002