La nonviolenza e' in cammino. 405



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 405 del 4 novembre 2002

Sommario di questo numero:
1. Benito D'Ippolito: ballata in memoria di Dorothy Day, approssimandosi il
CV anniversario della nascita e il XXII anniversario della scomparsa
2. Ogni vittima ha il volto di Abele: oggi a Viterbo ed ovunque
3. Mao Valpiana: amiamo Firenze, perche'...
4. Monica Lanfranco, relazione al seminario della Rete Lilliput sulla
nonviolenza
5. Daniele Lugli, relazione al seminario della Rete Lilliput sulla
nonviolenza
6. Nanni Salio, sintesi della relazione al seminario della Rete Liliput
sulla nonviolenza
7. Frei Betto, una lettera alla madre di Lula
8. Lidia Menapace, un'Europa per la pace
9. Giulio Vittorangeli, "emergenza umanitaria"
10. La rete Lilliput dona un monumento alla citta' di Firenze
11. Pace per la pace: incontro ecumenico a Firenze
12. Simone de Beauvoir, un depliant turistico
13. Luce Irigaray, la salute delle donne
14. La "Carta" del Movimento Nonviolento
15. Per saperne di piu'

1. MEMORIA. BENITO D'IPPOLITO: BALLATA IN MEMORIA DI DOROTHY DAY,
APPROSSIMANDOSI IL CV ANNIVERSARIO DELLA NASCITA E IL XXII ANNIVERSARIO
DELLA SCOMPARSA
[Ricorre l'8 novembre il CV anniversario della nascita, ed il 29 novembre il
XXII anniversario della scomparsa di Dorothy Day. In preparazione della
commemorazione che il "Centro di ricerca per la pace" di Viterbo intende
dedicarle, il nostro collaboratore Benito D'Ippolito ha improvvisato queste
quartine. Dorothy Day (1897-1980) e' stata una grande militante nonviolenta
americana, fondatrice del movimento del "Catholic Worker" (e del giornale
omonimo). Ha condotto innumerevoli lotte per la pace e la giustizia, ed ha
fondato decine di case di ospitalita' urbane e di comunita' agricole per i
piu' poveri. Opere di Dorothy Day: Una lunga solitudine. Autobiografia, Jaca
Book, Milano 1984. Opere su Dorothy Day: Jim Forest, L'anarchica di Dio,
Paoline, Cinisello Balsamo 1994; W. Miller, Dorothy Day e il Catholic Worker
Movement, Jaca Book, Milano 1981. Un sito utile: www.catholicworker.org]

Dorothy Day, persona amica
all'oppressione si ribello'
conobbe il carcere e la fatica
ma alla sua lotta non rinuncio'.

Dorothy Day, persona viva
con chi soffriva fu solidale
alla menzogna non fu mai corriva
e mai si arrese dinanzi al male.

Dorothy Day, nostra sorella
fu religiosa e fu libertaria
a questo mondo la cosa piu' bella
e' condivider la sorte dei paria.

Dorothy Day, nostra compagna
tanto era dolce quanto era forte
non ammetteva la fuga o la lagna
e combatteva il male e la morte.

Dorothy Day, acuta coscienza
tenace agire, sguardo profondo:
fu la sua scelta la nonviolenza
per rovesciare e per salvare il mondo.

2. INIZIATIVE. OGNI VITTIMA HA IL VOLTO DI ABELE: OGGI A VITERBO ED OVUNQUE
[Riportiamo il comunicato diffuso ieri dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo che da' notizia di una iniziativa che si svolgera' oggi]
Il 4 novembre, dalle ore 8 alle ore 8,30, in piazza del sacrario a Viterbo,
il Centro di ricerca per la pace, in dolore e silenzio, commemora tutte le
vittime di tutte le guerre, dichiara il diritto e il dovere di ogni essere
umano come delle istituzioni di operare affinche' mai piu' si facciano
guerre, denuncia l'oscenita' dei festeggiamenti della guerra e dei suoi
apparati da parte dei poteri militari e politici che nuove guerre e nuove
stragi preparano.
"Ogni vittima ha il volto di Abele" (Heinrich Boell)
"L'Italia ripudia la guerra" (art. 11 della Costituzione della Repubblica
Italiana)
Il 4 novembre, anniversario della conclusione per l'Italia della "inutile
strage" della prima guerra mondiale, il Centro di ricerca per la pace di
Viterbo commemorera' tutte le vittime di tutte le guerre a Viterbo, in
piazza del sacrario, dalle ore 8 alle ore 8,30.
La cerimonia sara' austera, composta, meditativa, silenziosa: come e' giusto
quando si rivolge il pensiero ad esseri umani defunti, e massime quando si
rivolge il pensiero ad esseri umani assassinati.
Essa consistera' nella deposizione di un omaggio floreale e in una
meditazione silenziosa.
Essa attestera' l'impegno morale e civile di opporsi a tutte le guerre,
che - come disse con espressione indimenticabile Mohandas Gandhi - sono
sempre omicidi di massa.
La cerimonia si svolgera' dalle ore 8 alle ore 8,30. Un orario scelto anche
per demarcare la distanza temporale e morale dalla oscena festa di
esaltazione della guerra e dei suoi apparati che alcune ore dopo, in guisa
di effettuale profanazione del riposo delle vittime, si terra' da parte dei
comandi militari e politici.
La cerimonia austera e silenziosa delle persone amanti della pace e
addolorate per tutte le vittime delle guerre, contrapporra' visibilmente il
silenzio del lutto e della fraternita' e sororita' umana, alla retorica e al
frastuono degli osceni festeggiamenti "necrofili e insensati" (per usare le
parole di Miguel de Unamuno) che poche ore dopo saranno esibiti da quegli
stessi comandi politici e militari che la morte delle vittime di tutte le
guerre festeggiano con l'esaltare la guerra ed i suoi esiti e i suoi
apparati, e che prolungano il  crimine della guerra preparando, promuovendo,
avallando ed eseguendo nuove guerre omicide e onnicide.
Il Centro di ricerca per la pace non partecipera' ai cinici ed offensivi
festeggiamenti della morte e delle stragi organizzati dai comandi militari e
politici, e denuncia con cio' come quelle lugubri e irresponsabili parate
siano scherno malvagio e orribile umiliazione per le vittime della guerra,
simbolico ucciderle ancora una volta.
Il Centro di ricerca per la pace chiama tutte le persone di volonta' buona
ad essere costruttrici di pace, ed in particolare chiama tutti i cittadini
italiani, e quindi anche tutte le istituzioni italiane, al rispetto piu'
rigoroso della legalita' costituzionale, fondamento del nostro ordinamento
giuridico e presidio delle nostre comuni liberta' e dei diritti di tutti
quanti nel nostro territorio si trovino. E' la Costituzione della Repubblica
Italiana che reca all'art. 11 il principio fondamentale, e il valore
supremo, espresso con le lapidarie parole "L'Italia ripudia la guerra".
Ogni vittima ha il volto di Abele.
L'Italia ripudia la guerra.
Mai piu' si faccia guerra: solo questo impegno rende lecito accostarsi alle
vittime delle guerre in dolore e in solidarieta'. Chi ancora la guerra
permette, promuove e propugna, le vittime offende e schernisce, ed
aggredisce e disonora l'umanita' intera.

3. RIFLESSIONE. MAO VALPIANA: AMIAMO FIRENZE, PERCHE'...
[Mao Valpiana e' il direttore del mensile "Azione nonviolenta" (per
contatti: azionenonviolenta at sis.it)]
Siamo contenti che il Consiglio dei Ministri abbia preso la saggia decisione
di confermare il Forum Sociale Europeo.
Anche noi del Movimento Nonviolento parteciperemo ai lavori del Forum, e
siamo particolarmente felici che si svolga a Firenze, perche' questa
splendida citta' e' stata la culla della nonviolenza italiana: da Giorgio La
Pira (il sindaco della pace) a Padre Ernesto Balducci (processato per il
sostegno agli obiettori), da Aldo Capitini (incarcerato per antifascismo
alla Murate) a don Lorenzo Milani (il priore della Lettera ad una
professoressa), fino ad Alexander Langer (che fece di Firenze la sua seconda
citta' e scelse di morirvi) e Pietro Pinna (il primo obiettore italiano, che
ancora vive a Firenze).
Dopo il maldestro tentativo di criminalizzare un intero movimento, sembra
ora che le nubi nere comincino a dissolversi.
Finalmente si puo' parlare dei contenuti del Forum e non di ordine pubblico.
L'incontro di Firenze e' un evento positivo, perche' questa volta il
movimento si riunisce "per qualcosa" e non "contro qualcuno". Ci saranno
riunioni e convegni sulla guerra, la poverta', l'economia, l'ecologia, e
speriamo che dal 6 al 10 novembre l'attenzione di tutte e di tutti sia solo
sulle proposte che emergeranno.
Il teatrino delle sceneggiate televisive, dei divieti governativi e della
disobbedienza gridata, mettiamolo in soffitta, con i suoi consumati attori
che piacciono solo ai giornalisti morbosi.
Ognuno si impegni affinche' l'appuntamento di Firenze vada bene. Cerchiamo
di lasciare la citta' ancora migliore di come la troveremo. Il merito sara'
di tutti, dei partecipanti e della polizia, del governo e del Comune, dei
fiorentini e persino dei black blok che non si faranno vedere.

4. RIFLESSIONE. MONICA LANFRANCO: RELAZIONE AL SEMINARIO DELLA RETE LILLIPUT
SULLA NONVIOLENZA
[Riportiamo la relazione di Monica Lanfranco al seminario sulla nonviolenza
promosso dalla Rete Lilliput a Ciampino il 27-29 settembre 2002. Monica
Lanfranco (per contatti: mochena at village.it) e' giornalista professionista,
nata a Genova nel 1959, vive a Genova. Collabora con le testate delle donne
"DWpress", "Il paese delle donne". Ha fondato il trimestrale "Marea". Dirige
il semestrale di formazione e cultura "IT - Interpretazioni tendenziose".
Dal 1988 al 1994 ha curato l'Agendaottomarzo, libro/agenda che veniva
accluso in edicola con il quotidiano "l'Unita'". Collabora con il quotidiano
"Liberazione", i mensili "Il gambero rosso" e "Cucina e salute". E' socia
fondatrice della societa' di formazione Chance. Nel 1988 ha scritto per
l'editore PromoA Donne di sport. Nel 1994 ha scritto per l'editore
Solfanelli Parole per giovani donne - 18 femministe parlano alle ragazze
d'oggi, ristampato in due edizioni. Per Solfanelli cura una collana di
autrici di fantasy e fantascienza. Ha curato dal 1990 al 1996 l'ufficio
stampa per il network europeo di donne "Women in decision making". Nel 1995
ha curato il libro Valvarenna: nonne madri figlie: un matriarcato imperfetto
nelle foto di fine secolo (Microarts). Nel 1996 ha scritto con Silvia
Neonato, Lotte da Orbi: 1970 una rivolta (Erga). Si tratta del primo testo
di storia sociale e politica scritto anche in braille e disponibile in
floppy disk utilizzabile anche dai non vedenti e rintracciabile anche in
Internet. Nel 1996 ha scritto Storie di nascita: il segreto della
partoriente (La Clessidra). Cura e conduce corsi di formazione per gruppi di
donne strutturati (politici, sindacali, scolastici) sulla storia del
movimento delle donne e sulla comunicazione]
Silenziose esplosioni: si potrebbero definire così le violenze e le
aggressivita' femminili, quelle verso l'esterno e quelle autoinflitte.
Questo ossimoro racchiude il senso di alcune scoperte che un libro
importante nella storia della cultura femminista porto' alla luce, quando
evidenzio' la responsabilità dell'educazione nella fossilizzazione dei ruoli
sessuali, e il destino remissivo di un genere: Dalla parte delle bambine di
Elena Gianini Belotti.
"Alessia ha soltanto tredici mesi. E' pugnace, energica, volitiva, sa quello
che vuole e lo vuole subito. E' testarda, tenace, paziente, fiera e
dignitosa. Ha scarse debolezze, reclama autonomia, se le si aprisse la porta
di casa lei andrebbe alla ventura senza incertezze, salvo cercare ogni tanto
conforto alle sue stanchezze in braccia amorevoli. Quale mai massiccia
operazione repressiva sara' necessaria perche' da un simile individuo
straripante di vitalita', traboccante di entusiasmo e di amore per la vita
esca fuori una donnetta disposta a stare rinchiusa tra le pareti della sua
opprimente casetta intenta ad applicare le sue energie strabocchevoli a
misere ossessive faccende domestiche? Ammesso che ce lo si proponga, quanta
tenacia, quanti sforzi e quanta perseveranza e quanta ostilita' saranno
necessari per ridurre un essere cosi' ricco nel rigido busto che ha le
fattezze della femminilita'?".
Mi  servo di questi interrogativi  per introdurre un possibile discorso
sulla violenza e sulla nonviolenza, e su cosa c'entri questo con l'essere
donna, e con il femminismo. E perche' serva oggi interrogarsi sulla ancora
scarsa produzione di pensiero e di pratiche (se si esclude quella delle
donne in nero) sui temi della nonviolenza da parte dei diversi movimenti di
donne. E, infine, sul perche' sia cosi' difficile per le donne uscire allo
scoperto, nei luoghi misti o separati, senza disagio e senso di minorita'
affermando che le pratiche e il pensiero nonviolento sono un peculiare
corollario del pensiero e della pratica femminista a livello mondiale.
Se e' vero che il femminismo ha messo in luce i guasti, le ingiustizie e le
disparita' drammatiche derivate dall'educazione patriarcale repressiva e
deformante per entrambi i generi, portando la sua critica all'intero sistema
di trasmissione dei valori sui quali si costruiscono le civilta', e'
importante ricordare che il tema della violenza e' stato analizzato con
particolare attenzione per la prima volta proprio dal pensiero femminista
partendo dalla micro-relazione sociale che gli esseri umani vivono al loro
esordio: la famiglia, e in particolare la relazione con la madre, una donna.
La prima relazione di conflitto. Che sappiamo essere altro e all'opposto
rispetto alla violenza, ma che senza essere elaborato puo' virare nella
violenza fino a diventare definitiva aspirazione alla distruzione del
nemico: in una parola "guerra".
Si nasce in un conflitto, non in una armonica corrispondenza, e quello
originario e' inscritto senza possibilita' di scampo nel processo della
nascita. Riguarda sia maschi che femmine, ma nel secondo caso la bambina che
sta nascendo sperimenta con la madre il primo scontro con un'altra simile.
E' il conflitto tra il corpo che ci ha ospitato e il nostro, che affronta un
arduo percorso, simile spesso ad una lotta, spinto a farsi strada
nell'ineluttabile desiderio di venire alla luce.
Alcune studiose americane, citate nel suo Il parto a casa da Sheila
Kitzinger, facevano notare, osservando il non ancora chiarito fenomeno del
"dolore nel parto", assente del tutto o quasi in alcune donne di determinate
culture, che il corpo materno rappresenta l'unico caso in natura nel quale
un essere estraneo immesso "arbitrariamente" non viene rigettato.
Al contrario, nei trapianti di organi, avviene il rigetto dopo l'immissione
dell'organo e spesso questi delicati interventi falliscono proprio perche',
anche se l'operazione e' riuscita perfettamente, il corpo si ribella
all'estraneo immesso, seppur salvifico. Nella gravidanza, invece, il corpo
accoglie e nutre senza aggressione il feto/estraneo che e' di fatto alla
stregua di un organo superfluo presente senza ruolo, e quindi inutile.
L'anomalia permane per alcuni mesi, e poi accade qualcosa. Al momento del
parto, quando il tempo biologico stabilito per ciascuna specie mammifera
scade, ecco scattare il conflitto: le studiose osservano che il corpo
materno riacquista la memoria dell'errore originario, compiuto nell'avere
accolto l'intruso, e si ribella, dando vita ad un percorso di espulsione
violenta ineluttabile e dolorosa. "Fuori da me - sembra dire - ora e' troppo
tempo che sei qui, devi uscire".
Lo studio osserva che l'effetto di questo comando e' quello di una
dilatazione che sembra non avere fine, sin a quando il feto viene finalmente
espulso. Da qui il dolore, spesso terribile, del travaglio, nel quale il
processo di espulsione sembra carico di tutto la fatica di aver trattenuto
sino a quel momento la violenza della reazione non avvenuta all'intrusione
originaria.
La valenza simbolica di questo conflitto, doloroso nel corpo e anche nella
mente (perche' certo c'e' nella madre la curiosita' e la gioia dell'incontro
con la sua creatura, ma c'e' anche l'evento traumatico del primo e
definitivo distacco dopo la fusione dei nove mesi di gravidanza), ci e'
d'aiuto per cominciare a individuare le coordinate del discorso sul
conflitto.
"Conflitto", "confliggere", "conflittualita'": parole affini, nel senso come
nell'etimologia, ad un'altra assai evocativa: "confine". E non e' forse vero
che in ogni conflitto ci sono in gioco dei confini da negoziare, volta per
volta da oltrepassare, o difendere?
E' da quel momento, quello della separazione primaria, che la vita in ogni
sua manifestazione ci propone di schierarci dall'una o dall'altra parte
rispetto a questi limiti, ed essa stessa e' un percorso di scelte e
occasioni fortuite nelle quali misurarsi con distanze e varchi da
oltrepassare, o da aggirare.
Non superfluo e' anche far notare che necessariamente per i due generi e'
diverso l'approccio con il conflitto dell'origine: come ha scritto Adrienne
Rich in Nato di donna, la storia umana maschile deve fare i conti in modo
peculiare con il fatto di nascere da un corpo diverso dal proprio, e con il
tributo di dipendenza che questo, tra le altre cose, comporta.
Le donne conoscono dunque il conflitto, si puo' dire che e' inscritto nella
loro carne, ma difficilmente riescono ad affrontarlo senza coinvolgere sfere
che non appartengono immediatamente all'ambito del conflitto stesso; ne
escono molto piu' dilaniate rispetto ai disastri che si verificano tra
uomini, o tra donne e uomini, complice nel primo caso il maggior
"attaccamento all'obiettivo" da parte degli uomini, galeotta la sessualita'
maggiormente esplicitabile tra  i diversi generi nel secondo caso.
Si aggira silenzioso, subdolo, camuffato da malesseri che in molte donne si
materializzano nel corpo: herpes, brufoli, mal di testa, indebolimento
generale. Le somatizzazioni, alle quali in tante, almeno in una occasione
nella vita, siamo state soggette. Il conflitto e' li', annidato come un
embrione pronto a crescere seguendo tempi indipendenti dal corso degli
eventi all'esterno. Il suo modo di svilupparsi dipende da molti fattori: la
strenua capacita' di rimozione in possesso delle attrici della scena
conflittuale, l'abilita' nel riconoscerlo, la possibilita' di nominarlo e
isolarlo da altri sentimenti limitrofi, ma non esattamente pertinenti.
Come nell'amore verso gli uomini sono in molte le donne che confondono
passione e oblativita', coniugando il sentimento amoroso con funzione
accuditiva (ti amo e quindi ti lavo e stiro le camicie), assumendo nello
stesso tempo (e nella medesima esistenza) il ruolo di compagne e domestiche
anche quando questa funzione potrebbe essere o condivisa o addirittura
cancellata da servizi esterni, cosi' nel rapporto tra colleghe scatta
un'equazione diabolica e foriera di disastrosi risultati: se non siamo d'
accordo, se confliggiamo, appunto, allora non possiamo piu' convivere nel
nostro progetto comune. L'equazione diviene poi letteralmente devastante se,
oltre e prima del rapporto sul lavoro le confliggenti avevano un passato di
amicizia, di affetto e di condivisione. Piu' e' alto il livello e il
patrimonio della relazione affettiva piu' complesso, tortuoso, e doloroso,
e' il conflitto, perche' una delle traduzioni possibili della situazione
diventa: "non sei d'accordo con me, quindi non sei piu' mia amica". Forse e'
anche leggibile in questa chiave il fatto che le donne, se scelgono di non
elaborare il conflitto e abbracciano la violenza, sono particolarmente
feroci. Ci appaiono tali perche' culturalmente rifiutiamo l'idea di una
donna violenta, ma lo sono anche di fatto in una misura superiore agli
uomini, proprio perche' devono valicare confini  fisici e simbolici che sono
estranei alla loro formazione.
L'intreccio tra femminismo e psicoanalisi ci insegna che nessuna donna e'
mai stata immune dall'eredita' relazionale acquisita attraverso il rapporto
con la madre, quale che sia questo rapporto, nel bene come nel male. Nel suo
intenso Amiche-nemiche - quando madre e figlia non riescono a capirsi,
Victoria Secunda cerca una strada interpretativa e una svolta significativa
alla relazione conflittuale tra madre e figlia. "Non possiamo riscrivere la
storia, ma possiamo costruire il futuro, cercando di non diventare a nostra
volta madri incapaci di provare affetto per i propri figli, o per gli amici,
i colleghi, i mariti. Nessuna figlia vuole sentirsi non amata, nessuna
giovane donna vuole pensare di non poter diventare una buona madre, e
nessuna  madre vuole credere di avere fallito nel suo compito di madre.
Quando una madre e una figlia adulta riescono ad andare al di la' della loro
diffidenza, quando riescono ad andare al di la' delle accuse, il potenziale
per la guarigione e' enorme. Niente puo' mai spazzar via l'infanzia - ha
scritto Simone de Beauvoir. E se questa frase da un lato e' evocativa del
patrimonio di ricchezza e di speranza della quale e' carica la prima fase
della vita, non e' da dimenticare che e' proprio in questo momento iniziale
della vita di ogni essere umano che affondano le radici della nostra
capacita' di misurarci con il conflitto insito nell'esistenza e nelle
relazioni, e non far macerare e rimuovere il conflitto fino a farlo
degenerare in violenza.
Parlare di conflitto sembra essere facile, perche' appena lo si nomina il
coro di consensi fa capire come ci sia comprensione immediata sull'oggetto
in questione: chi non ha mai avuto un conflitto? Quale essere umano, sin
dalla più tenera eta', puo' affermare di non aver sperimentato quella
sensazione di inadeguatezza, di frustrazione che si articola sino alla
rabbia nel conflitto con un suo simile?
Eppure, analizzato nel suo significato profondo e slegato dall'indistinto
che lo assimila ad altri concetti, il conflitto riguarda la vita, ed e' esso
stesso ossatura dell'esistere, nel concreto agire come nel simbolico della
creazione di cultura di riferimento e quindi di politica. Dovrebbe far
riflettere il significato dell'adesione di molte donne impegnate in politica
alle ragioni dell'ultima sanguinosa guerra scatenata nei Balcani prima, e
dopo l'11 settembre la conversione alla causa bellica di alcune autorevoli
femministe nordamericane nella guerra in Afghanistan, entrambi abbacinanti
casi di confusione drammatica dei concetti di conflitto e di guerra.
L'anno trascorso, segnato dall'irrompere in Italia della miriade di soggetti
che assieme hanno dato vita al mosaico di realta' antagoniste al modello
proposto dalla globalizzazione neoliberista, impropriamente e mediaticamente
definito "movimento dei movimenti", ha rimesso a tema la questione del
genere dentro il percorso di costruzione di un altro possibile mondo, piu'
giusto, solidale, equo.
Per la prima volta da molti decenni non solo realta' che non si erano mai
parlate, o avevano smesso di parlarsi, ma generazioni diverse, culture e
stili di vita hanno unito le forze per dire che senza una svolta in termini
di giustizia sociale e sviluppo sostenibile sul pianeta non c'e' futuro per
nessuna forma di vita.
Due aspetti sono emersi come dati di novita': il fatto che per la prima
volta questi movimenti non chiedono qualcosa per loro stessi, ma soprattutto
per chi la voce non l'ha abbastanza forte: il sud depredato, le culture
indigene. L'altro dato e' la presenza numericamente consistente di donne,
donne giovani e meno giovani in ogni pezzo di questo movimento, dal G8 di
Genova giu' giu' fino alle organizzatrici dei girotondi.
Persino il simbolico che percorre i movimenti e' quasi totalmente femminile:
dalle culture indie si mutua il linguaggio per parlare di madre terra
violata; sono madri le iniziatrici del movimento di protesta contro la
globalizzazione: Vandana Shiva, femminista ecopacifista, e Susan George,
illustre economista.
Eppure i leader restano solo uomini, e questo sarebbe il meno: se in realta'
si parla della madre terra da salvare, della giustizia ferita, dello stupro
di risorse, il simbolico nel linguaggio, il simbolico delle pratica, fatica
a depurarsi dalla violenza intrinseca  sostenuta dal mito prometeico
dell'eroe, del guerriero che si batte contro l'ingiustizia per la liberta'
come ben ricorda nel suo Demone amante Robin Morgan, un testo che mette
seriamente in discussione la presunta portata innovativa di molte pratiche e
parole d'ordine dei movimenti piu' rumorosamente antagonisti nel nostro
paese.
Dall'altra parte il silenzio femminile critico, piu' che la presa della
leadership e', appunto, assordante: ricordo bene, ad esempio, la difficolta'
di stigmatizzare e prendere le distanze dal linguaggio della "dichiarazione
di guerra" delle Tute Bianche da parte di molte donne, giovani e non,
dell'area comunista, per paura di essere fraintese e definite meno
antagoniste e piu' moderate, o confuse con l'area cattolica.
Mi pare che, se e' superata la fase della "doppia presenza" in politica e
nei movimenti, sia ancora tutta da indagare e da discutere l'autonomia e
l'incisivita' del punto di vista di genere dentro i luoghi misti, e il
prevalere dell'indistinto neutro sulla centralita' dell'analisi femminista e
delle pratiche nonviolente che da sempre hanno caratterizzato l'agire dei
movimenti delle donne.
Da come le donne riescono a riconoscere, a gestire e a trasformare il
conflitto dipendono non solo la serenita' individuale delle singole, ma
anche la potenzialita' di impatto simbolico per il proprio genere e quindi
la capacita' politica delle donne di modificare esistenza, scenario
collettivo, alfabeti istituzionali e culturali.

5. RIFLESSIONE. DANIELE LUGLI. RELAZIONE AL SEMINARIO DELLA RETE LILLIPUT
SULLA NONVIOLENZA
[Riportiamo la relazione di Daniele Lugli al seminario sulla nonviolenza
promosso dalla Rete Lilliput a Ciampino il 27-29 settembre 2002. Daniele
Lugli (per contatti: daniele.lugli at libero.it) e' segretario del Movimento
Nonviolento]
Se di qualche utilita', per la proposta dei "Gruppi di azione nonviolenta"
(in sigla: Gan) nella Rete Lilliput, puo' essere l'esperienza del Gan di
quasi quaranta anni fa, cio' si puo' ricavare dalla mia intervista su
"Azione nonviolenta" [recentemente riprodotta in questo notiziario], messa a
disposizione dei partecipanti al seminario.
Mi limito quindi a poche sottolineature.
1. Non scindere l'azione da un approfondimento delle ragioni che fanno
scegliere la nonviolenza, come orientamento personale e ispirazione
dell'agire collettivo.
2. Non vedere nel Gan una sorta di braccio nonviolento, specializzato in
dimostrazioni, del nodo, ma uno strumento di crescita dell'azione
nonviolenta nel conflitto.
3. La dimostrazione, ci insegna il dizionario, e' l'atto del dimostrare,
cioe': a) del mostrare apertamente uno stato, una qualita', un sentimento,
ecc; e b) provare la verita' di un assunto.
4. La dimostrazione nonviolenta tiene piu' legati che puo' i due aspetti ed
e' lontana dalla definizione che ne danno il Fanfani e l'Arlia nel Lessico
della corrotta italianita' (1877): "dal 1848 in qua si disse cosi' quella
raunata di gente (leggi Arruffoni, Mestatori, Armeggioni, ecc.) che va per
le strade e sotto le finestre di qualche pubblico Uffiziale bociando,
urlando e fischiando, per indurlo a fare quel che quegli vogliono, o a non
fare quello che essi non vogliono".
5. L'intento dell'azione nonviolenta e' la persuasione, a partire da quella
dei promotori per giungere a quella di tutti i coinvolti, non quello di
destare sensazione e meraviglia, anche se la creativita' e' particolarmente
benvenuta.
6. Un progetto di azione nonviolenta, come ogni progetto (insegna
Castegnaro) e' costituito di aspetti che vanno attentamente pensati e
tradotti in pratica. Tali sono, senza pretesa di esaustivita': 1. il
problema da affrontare; 2. le motivazioni; 3. gli attori in relazione tra
loro (promotori, coinvolti, destinatari); 4. finalità; 5 risorse/vincoli
(umane, finanziarie, strutturali); 6. l'azione; 7. i tempi; 8. i risultati;
9. la valutazione.
7. Il messaggio della nonviolenza, assicura Gandhi, e' semplice.
Assicuriamoci che sia arrivato, che qualcosa, anche minimo, si sia
positivamente spostato nelle coscienze e nell'agire di tutti i coinvolti
(compresi i nostri avversari).
Sono sette, come i precetti mosaici, validi per tutta l'umanita'. A me
piacciono e quasi li osservo. Non richiedono neppure di credere in Dio, ma
di non essere idolatri, che e' un buon consiglio. Non aggiungerei percio'
altri punti.
Infine, per me restano fondamentali, sotto questo profilo, due affermazioni
di don Milani che io ripeto molto spesso, perche' almeno a me dicono molto.
La prima invita a comprendere che il problema degli altri e' uguale al tuo,
e dunque volerne uscire assieme e' politica, e il volerne uscire da soli e'
egoismo. Questo "da soli" puo' indicare non solo il singolo individuo, anche
il gruppo ristretto.
La seconda e' la definizione che don Milani da' dell'opera d'arte. Ecco,
secondo me un'azione del Gan dovrebbe essere proprio un'opera d'arte, che
nella Lettera a una professoressa e' descritta come il risultato di una
operazione complessa.
Bisogna - piu' o meno e' cosi' - odiare qualcuno o qualcosa, ma poi non
fermarsi li': lavorarci sopra con un paziente lavoro di squadra. Allora, se
si e' lavorato bene, nasce l'opera d'arte, cioe' la mano tesa al nemico
perché cambi. In concreto vuol dire che nella tipica e anche piu'
impegnativa azione di un Gan, di fronte hai qualcuno che si qualifica come
avversario di quello che tu vuoi, o vuoi fare, o desideri, avversario di
cio' che ti sembra giusto. E se poi sei tanto bravo da non odiarlo - don
Milani non pretendeva questo - e tuttavia, se sei cosi' bravo da non odiare
lui ma solo quello che lui rappresenta, distinguendo le persone dalle cose
rappresentate, gli interessi dalle posizioni, e tutto quello che lo studio
dei conflitti ci mette a disposizione... Ma fa lo stesso, anche se ce l'hai
proprio con lui, bisogna non fermarsi li', lavorare sul proprio risentimento
in modo che quello che tu fai sia una mano tesa per il suo cambiamento. Una
mano tesa non e' un pugno e non e' una pietra.

6. RIFLESSIONE. NANNI SALIO. SINTESI DELLA RELAZIONE AL SEMINARIO DELLA RETE
LILLIPUT SULLA NONVIOLENZA
[Riportiamo una sintesi della relazione di Nanni Salio al seminario sulla
nonviolenza promosso dalla Rete Lilliput a Ciampino il 27-29 settembre 2002.
La relazione di Nanni Salio aveva per titolo "Elementi fondamentali della
politica dell'azione nonviolenta"; la sintesi qui presentata, messaci a
disposizione da Pasquale Pugliese (come gli altri materiali del seminario,
del che ancora una volta lo ringraziamo), non e' stata rivista dal relatore.
Nanni Salio (per contatti: regis at arpnet.it), nato a Torino, segretario
dell'IPRI (Italian Peace Research Institute), si occupa da molti anni di
ricerca, educazione e azione per la pace, e' tra le voci piu' autorevoli
della nonviolenza in Italia. Opere di Giovanni Salio: Difesa armata o difesa
popolare nonviolenta?, Movimento Nonviolento, Perugia; Scienza e guerra (con
Antonino Drago), Edizioni Gruppo Abele, Torino 1982; IPRI, Se vuoi la pace
educa alla pace, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1983; Le centrali nucleari e
la bomba, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1984; IPRI, I movimenti per la pace,
Edizioni Gruppo Abele, Torino 1986-1989; Progetto di educazione alla pace,
Edizioni Gruppo Abele, Torino 1985-1991; Le guerre del Golfo, Edizioni
Gruppo Abele, Torino 1991; Il potere della nonviolenza, Edizioni Gruppo
Abele, Torino 1995; Elementi di economia nonviolenta, Movimento Nonviolento,
2001]
La strategia nonviolenta deve affrontare quattro tipologie di potere:
1) potere militare: bisogna cambiare strutturalmente il modello di difesa
fondato sugli eserciti, che dissipa un trilione di dollari complessivamente
all'anno.
2) potere economico: realizzare l'alternativa a questo modello di sviluppo,
un'alternativa fondata sul paradigma della "semplicità volontaria". Anche
perche' stiamo entrando nel 'picco di produzione geofisica del petrolio', e
questa e' la ragione strutturale delle guerre in corso.  Una delle
alternative possibili e' il ritorno diffuso alla terra. Del resto anche se
minoritaria da noi, la gran parte degli abitanti del pianeta vivono grazie
all'agricoltura.
3) potere politico: rispondere ad una democrazia solo formale e costruirne
l'alternativa. Qualcuno ha definito quanto avvenuto l'11 settembre un "colpo
di stato internazionale dei petrolieri". Cominciare percio' a studiare e
preparare le alternative possibili.
4) potere culturale: proiettare in avanti i progetti di trasformazione per
costruire culture profonde di pace, attraverso un lavoro di formazione,
informazione e training.
Come tradurre tutto cio' in prassi concrete?
Entrando nello specifico, individuando cioe' obiettivi specifici
sufficientemente raggiungibili, per poi andare oltre. Essi devono essere
circoscritti, analitici, precisi.
Gli obiettivi sono da sviluppare nel tempo attraverso: le azioni dirette
nonviolente nel breve periodo; le campagne nel medio periodo; i movimenti
nel lungo periodo.
L'insieme di tutti gli interventi con queste caratteristiche dovrebbe
raggiungere una "massa critica" del cambiamento. Tenendo presente che le
azioni dirette nonviolente  danno i loro frutti quando meno ce lo aspettiamo
e che le campagne non vanno aumentate senza tenere conto della reale
possibilita' di gestirle.
Infine bisogna affrontare il tema dell'organizzazione, nel senso di
"logistica del movimento", superando l'occasionalita' dell'impegno nel tempo
libero. Passando dalla rassegnazione all'empowerment, e trasformando il
lavoro su di se' in lavoro strutturale.

7. TESTIMONIANZE. FREI BETTO: UNA LETTERA ALLA MADRE DI LULA
[Carlos Alberto Libanio Christo, noto col suo nome da religioso, Frei Betto,
e' nato a Belo Horizonte, in Brasile, nel 1944. Impegnato nel movimento
studentesco, entro' poi nell'ordine domenicano. Giornalista, teologo,
scrittore, impegnato per i diritti umani, arrestato nel 1969 e detenuto in
carcere per anni sotto la dittatura. E' una delle voci piu' note della
teologia della liberazione e della chiesa popolare in America Latina. Opere
di Frei Betto: Dai sotterranei della storia, Mondadori, Milano 1973; Novena
di S. Domenico, Queriniana, Brescia 1974; Diario di Puebla, Queriniana,
Brescia 1979; Lettere dalla prigione, Dehoniane, Bologna 1980; La preghiera
nell'azione, Dehoniane, Bologna 1980; Il lievito nella massa, Emi, Bologna
1982; Battesimo di sangue, Emi, Bologna 1983; Allucinante suono di tuba, La
Piccola, Celleno 1993. Cfr. inoltre Una scuola chiamata vita (con Paulo
Freire), Emi, Bologna. Ha anche partecipato a molti volumi in collaborazione
(tra cui ad esempio Complicita' o resistenza? La Chiesa in America Latina,
Cittadella, Assisi 1976; Fede e perestroika, Cittadella, Assisi 1988; Cina,
l'armonia dei contrari, Cittadella, Assisi 1989), e pubblicato
libri-intervista come il noto volume Fidel Castro: la mia fede, Paoline,
Cinisello Balsamo 1986. Lula (Luis Inacio da Silva), operaio, militante e
dirigente sindacale, fondatore del Partito dei lavoratori, e' stato eletto
pochi giorni fa presidente del Brasile]
Cara Donna Lindu,
suo figlio Lula sara', dal prossimo primo gennaio 2003, presidente del
Brasile.
Io mi ricordo di lei, signora, nella piccola casa dove abitava a Sao
Bernardo do Campo. Venni al suo funerale nel 1980. Suo figlio era presente
ammanettato, circondato da poliziotti del Dops, catturato dalla dittatura
militare per aver diretto gli scioperi della ABC. Temetti per il peggio
quando sentii gli operai discutere se era il caso di liberarlo allora dalle
mani della polizia.
Donna Lindu, lei, signora, era analfabeta, povera, dimessa, ma di una
dignita' che ispirava reverenza. Suo marito parti' per San Paolo alla
ricerca di lavoro. Sette anni dopo lei riuní i suoi sette figli su un camion
e segui' il suo stesso cammino.
Lula aveva allora sette anni. Incontro' suo padre con un'altra famiglia. Di
fronte all'abbandono nel quale si trovarono una mamma e i suoi figli, Lula
lavoro' come lustrascarpe, venditore ambulante e lavandaio.
Ora, Donna Lindu, per lui e' un'eredita' quello che lei gli insegno': il
coraggio di fronte alle difficolta' della vita.
Nonostante il dito perduto sul lavoro, non si perse d'animo e continuo' a
lavorare come tornitore.
Nemmeno cadde nella disperazione quando, per la scarsita' di cure sanitarie
riservate ai poveri, perse la moglie e il figlio che lei teneva nel grembo.
Non ebbe nemmeno timore della dittatura al momento di denunciare l'inganno
degli indici salariali quando organizzo' lo storico sciopero degli operai
della ABC.
Suo figlio ha vinto, Donna Lindu.
Non perche' ha ottenuto un diploma o e diventato ricco e famoso. Ma perche'
ha costruito il piú combattivo e etico partito politico del Brasile. Perché
e' stato il deputato costituente piu' votato di tutto il Brasile. Perché ha
fondato la CUT. Perche' ha partecipato a quattro elezioni presidenziali
dando speranza a milioni di brasiliani.
Lula ha insegnato alla nazione che e' possibile fare politica con decenza,
pudore nel volto, tolleranza nelle relazioni personali e intransigenza sui
principi.
Grazie, Donna Lindu, per aver dato al Brasile un presidente con capacita' di
leadership, trasparenza etica e profondo amore per il popolo, soprattutto
per coloro che, come la sua famiglia, hanno conosciuto nella carne e nello
spirito la sofferenza e la poverta'.
Il Brasile merita un futuro migliore. Il Brasile merita questo frutto del
suo grembo: Luis Inacio Lula da Silva.

8. RIFLESSIONE. LIDIA MENAPACE: UN'EUROPA PER LA PACE
[Ringraziamo Lidia Menapace (per contatti: menapace at tin.it) per averci messo
a disposizione questa vivace ed acuta riflessione. Lidia Menapace e' tra le
voci piu' significative della cultura delle donne, dei movimenti di
solidarieta' e di liberazione, della vita civile di questo paese. Tra i suoi
libri cfr. (a cura di), Per un movimento politico di liberazione della
donna, Bertani, Verona 1973; La Democrazia Cristiana, Mazzotta, Milano 1974;
Economia politica della differenza sessuale, Felina, Roma 1987; (a cura di,
ed in collaborazione con Chiara Ingrao), Ne' indifesa ne' in divisa,
Sinistra indipendente, Roma 1988; Il papa chiede perdono: le donne glielo
accorderanno?, Il dito e la luna, Milano 2000; Resiste', Il dito e la luna,
Milano 2001]
Un Giscard d'Estaing signorilmente assai contrariato, il disappunto dipinto
in viso, e' quello che si e' visto uscire dai palazzi vaticani dopo
l'inopinata richiesta del Papa di mettere nella Costituzione europea un
riferimento a Dio e alle radici cristiane d'Europa. Al francese
probabilmente si arricciavano le budella dal 1789. Sembrava cosi'
spiacevolmente sorpreso. Forse gli era stata chiesta o offerta una visita di
cortesia cui un vero signore come lui non dice mai di no, ma il Papa gli ha
fatto una sorta di trabocchetto.
Vediamo di dipanare la ingarbugliata matassa: il Vaticano fa parte
dell'Europa? Non mi risulta che sia membro  dell'Unione, ne' che abbia una
qualsiasi rappresentanza al parlamento europeo, dato che non e' uno stato
democratico. E allora che cosa ha da dire a proposito della Costituzione? Si
sarebbe definita, in altri tempi, una indebita ingerenza.
Ma facciamo conto che abbia involontariamente fatto un'offesa all'etichetta
(sarebbe una delle prime volte nella tradizione della Chiesa cattolica come
soggetto politico, ma tutto puo' essere) e discutiamo della proposta, anche
se io sarei propensa ad opporre un "fin de non ricevoir". Cosi' la questione
e' chiusa con stile.
Ahinoi, Fini ha gia' cancellato questa possibile risposta mettendosi a dire
che "certo l'Europa e' laica, ma una vera laicita' eccetera eccetera":
sembrava che la frase gli fosse stata messa davanti da Navarro direttamente,
a proposito di laicita'.
Saltiamo tutti i passaggi intermedi e vediamo un po': la Moratti vuole i
crocefissi nelle scuole, iniziativa oltremodo opportuna, quando nelle nostre
scuole ormai sono presenti bambini e bambine musulmane, induiste, buddiste.
Ora il papa direttamente chiede che l'Europa abbia una costituzione,
diciamo, "costantiniana": cosi' si capisce subito che il ribaltamento del
Concilio Vaticano II e' fatto, andato.
A  questo punto, non senza ricordare sommessamente che nel Vangelo e'
scritto "non chi dice Signore Signore, ma chi fa la volonte' del Padre
entrera' nel regno dei cieli", e che addirittura un solenne comandamento
vieta di "nominare il nome di Dio invano", avrei un paio di proposte: come
stemma d'Europa si potrebbe disegnare una bella croce sullo sfondo di un
cielo luminosissimo e la scritta "In hoc signo vinces". Oppure anche per
evitare il mal di pancia di  scartare a brutto muso l'eventuale proposta di
una cupa scritta gotica (che va tanto di moda) "Gott mit uns", di tornare al
"Dieu le voeult" di Pietro l'Eremita, il grido con cui avvio' la
sfortunatissima prima crociata nel corso della quale  morirono di fame e di
stenti migliaia di bambini.
Scherzato un po' -con una certa dose di bile- sull'argomento "Europa e
Costantino imperatore", veniamo a cio' che Fini  inoltre ha detto: la
costituzione europea parlera' di una unione di stati sovrani eccetera
eccetera.
Come sarebbe "stati sovrani"? eravamo tanto fieri di avere una costituzione
repubblicana vigente gia' predisposta a rinunciare a porzioni di sovranita'
(anche senza l'unione europea, comunque anche prima) per evitare le guerre,
e adesso facciamo passi indietro?
La questione e' infatti racchiusa nello stesso articolo 11 che "ripudia la
guerra" sia offensiva sia come strumento di risoluzione di controversie
nelle quali per ipotesi noi avessimo ragione, e prevede come una delle
possibili e delle piu' difficili pratiche per comporre conflitti o contrasti
o controversie, la rinuncia bilaterale a porzioni di sovranita'.
Una delle possibili risoluzioni della questione sudtirolese sarebbe infatti
anche stata quella di costituire uno spazio sottratto alle sovranita'
italiana e austriaca per farne una specie di cuscinetto di nazionalita'
mista e alla fine forse composita, soluzione che ne' l'Austria ne' l'Italia
hanno mai perseguito e solo negli ultimi anni e proprio sulla scorta del
discorso europeista e' stata avanzata sotto forma della costituzione di una
"Euregio".
Ma torniamo a Fini. Che significa "stati sovrani"? che mantengono le
prerogative della sovranita', cioe' confini bandiera esercito, diritto
all'uso della forza (come e' chiamata la violenza quando e' esercitata dallo
stato). La nazionale di calcio forse no, i club non sono interessati: la' si
fara' l'Europa.
Appare a questo punto sommamente opportuna la proposta di costituire
l'Europa come continente neutrale: cosi' si unifica la sua politica
militare: altrimenti avremmo una Europa unificata solo sotto Maastricht e
Schengen: per tutto il resto ciascuno puo' fare quel che vuole, anche la
guerra.
Intanto le intemperanze contro espressioni pacifiste o l'indifferenza per la
pace sono sempre piu' evidenti: a Bolzano a una persona che aveva messo alla
finestra la bandiera arcobaleno con la parola "pace", la bandiera e' stata
bruciata tre volte. E quasi nessuno porta un nastro, uno straccetto, un
qualsiasi segno bianco addosso. La guerra non cova quando le lotte tengono
sveglie le coscienze, bensi' quando l'indifferenza le ottunde e il lardo
invade i cervelli. No alla guerra.

9. RIFLESSIONE. GIULIO VITTORANGELI: "EMERGENZA UMANITARIA"
[Giulio Vittorangeli (per contatti: giulio.vittorangeli at tin.it) e' uno dei
principali collaboratori di questo foglio ed e' persona non solo di
straordinaria generosita' ma anche di grande rigore intellettuale e morale.
L'argomento che esamina ha dato luogo a vivaci ed imbarazzanti polemiche,
una parola di saggezza da parte di una figura limpida e autorevole impegnata
da sempre nella solidarieta' internazionale, come Giulio, e' quindi
opportuna]
Secondo la relazione del Ministero degli Esteri i finanziamenti dello Stato
alle Organizzazioni non governative (Ong) si sono triplicati negli ultimi
anni.
Per l'esattezza sono aumentati i finanziamenti per le emergenze umanitarie,
quelli che piu' facilmente possono essere spostati (proprio con il
"pretesto" dell'emergenza) da un paese all'altro. Protagonisti di queste
operazioni umanitarie sono non solo le Ong, ma anche le agenzie dell'Onu e
delle Chiese.
Teoricamente non dovrebbero sussistere problemi, ci troviamo davanti ad
organismi che operano per portare sostegno alla gran parte dell'umanita'
sofferente. Poi si scopre (non da oggi, per chi e' impegnato nella
solidarieta' internazionale) che i soldi degli aiuti possono essere
utilizzati per avvantaggiarsene economicamente o politicamente (in
particolare con l'emergenza), fino a creare un sistema che assomiglia sempre
piu' a un'industria, con tutte le caratteristiche del business, del
profitto, del marketing, della competitivita'.
Il tutto e' stato raccontato in una trasmissione televisiva ("Report") di
martedi' 22 ottobre su Rai Tre alle ore 20:50, dal titolo "Organismi non
governabili". Si e' partiti da un meritevole progetto di sminamento in
Angola (10 milioni di mine ogni santo giorno ammazzano qualcuno o amputano
una gamba a qualcun altro), interrotto pero' dopo alcuni mesi perche' i
fondi sono stati destinati all'Afghanistan... cosi' si ritrovano a Kabul gli
stessi sminatori che precedentemente avevano abbandonato il Kossovo per
l'Angola.
"Il buon senso suggerirebbe di lasciarli in Angola e mandare altri in
Afghanistan, ma con quali soldi? Quando tutti parlano di donne col burka e
di massacri afgani, e' evidente che le mine dell'Angola si dimenticano. E
questo anche perche' c'e' un legame stretto fra la stampa e il settore
umanitario e se da una parte le tragedie sono un buon pezzo televisivo,
dall'altra grazie ai giornali e alle tv si innescano quei meccanismi che
permettono poi l'apertura dei rubinetti per finanziare progetti di
emergenza. E la guerra in Afghanistan ha definitivamente consacrato questo
modello su scala industriale" (Milena Gabanelli, autrice e presentatrice del
programma).
Sempre dall'Afghanistan: l'ONU aveva fatto una raccolta di fondi per
fronteggiare l'emergenza profughi, durante la guerra. Si attendevano almeno
un milione di persone in Pakistan. Alla fine i profughi non raggiungevano i
60.000. Nonostante gli aiuti stanziati (per oltre un milione di persone) nei
campi profughi pakistani vengono fornite razioni di cibo sotto gli standar
stabiliti dal World Food Program (1.800 calorie giornaliere, contro le 2.400
previste); unitamente a delle stufette a cherosene per scaldarsi e fare da
mangiare, una su sei difettosa - e infatti esplodono nelle tende.
Ritornando in Africa, abbiamo il caso emblematico della Sierra Leone con i
cospicui finanziamenti per l'emergenza della riabilitazione dei bambini
soldati. Secondo l'Unicef erano non piu' di 5.400. Le tre piu' grandi
organizzazioni impegnate in questa emergenza hanno dichiarato di assistere
quasi 10.500 bambini. Ciascuna delle altre undici associazioni ne avrebbe
gestiti nei campi oltre 3.000. Totale: i bambini soldato sarebbero oltre
50.000. Evidentemente qualcosa non torna.
Per non parlare del ruolo giocato dalla malavita: le dimissioni di Natalina
Cea dalla Commissione Europea che doveva mettere ordine nel settore doganale
del Kossovo, durante la guerra, lasciata da sola davanti alle minacce della
mafia italo-albanese, con cui erano in relazione parecchie Ong anche
europee.
Per concludere con le sconcertanti dichiarazione del sottosegretario agli
esteri Alfredo Mantica, sul ruolo giocato dai servizi francesi e inglesi
all'interno delle Ong.
Che cosa vuol dire tutto questo?
Che si deve evitare comunque la sfiducia in queste organizzazioni, ne
esistono di molto rigorose e anche molto piccole, a cui va tutta la nostra
ammirazione.
Che allo stesso tempo si deve essere coscienti dell'esistenza di
un'industria delle buone azioni, che alimenta se stessa: i lussuosi
fuoristrada (dei militari della missione di pace Onu - costo un milione di
dollari al giorno - e dei migliaia di tecnici della cooperazione
internazionale) parcheggiati nelle vicinanze delle spiagge di sabbia bianca
della Sierra Leone, stridono non poco nel teatro dell'ultima e piu' feroce
guerra civile africana. Non c'e' niente di male nell'andare al mare. Ma e'
inevitabile chiedersi se la politica degli aiuti umanitari serva veramente a
sanare qualche piaga a cui peraltro non siamo sempre estranei, o non sia
piuttosto l'alibi che mette a posto le coscienze dei paesi ricchi.
Infine, che per fare del bene ci vuole tempo e delle azioni politiche, se
invece l'emergenza diventa la norma non si puo' piu' gestire un aiuto reale.
Giustamente ha dichiarato don Albino Bizzotto (presidente dell'associazione
Beati i costruttori di pace): "L'umanitario se non affronta il nodo della
guerra, se non affronta il nodo politico, rischia molte volte di diventare
quello, come dire, che porta l'acqua ad un indotto di quelli che fanno
proprio l'ingiustizia nei confronti della popolazione stessa".

10. ARTE E CIVILE CONVIVENZA. LA RETE LILLIPUT DONA UN MONUMENTO ALLA CITTA'
DI FIRENZE
[Riceviamo e volentieri diffondiamo. Per contattare l'ufficio stampa della
Rete Lilliput: e-mail: ufficiostampa at retelilliput.org, sito:
www.retelilliput.org/stampa]
La Rete Lilliput ha promosso la donazione alla citta' di Firenze di una
fontana bronzea di Jean Michel Folon in occasione del Forum Sociale Europeo.
Si tratta della scultura "Pluie - Pioggia" alta tre metri e destinata ad
essere ospitata in un luogo dove viene vissuta pienamente la partecipazione
dal basso, popolare, alla vita pubblica della citta'.
L'incontro tra l'artista e gli attivisti della Rete Lilliput, grazie anche
all'opera della dottoressa Marilena Pasquali, e' stato molto positivo e
carico di speranze comuni per il destino dell'umanita'. Da questo incontro
e' nata l'idea della donazione della fontana in occasione del Forum Sociale
Europeo.
La fontana rappresenta una persona che si ripara dalla pioggia con un
ombrello, anch'esso fatto di pioggia. Una sorta di auspicio di un rapporto
nuovo tra uomo e natura, non piu' fondato sulla lotta e sullo sfruttamento,
ma al contrario basato sul rispetto e sul dialogo.
Come afferma Folon, "il Forum Sociale Europeo rappresenta un'importante
occasione di incontro tra i popoli, un'occasione per rimettere al centro
valori oggi in pericolo" come la salvaguardia dell'ambiente, aggredito e
sconvolto da un sistema economico che ha per unico scopo il profitto e non
la dignita' della persona.
Il Forum arricchisce Firenze di una nuova opera d'arte simbolica. La fontana
rappresenta in pieno il messaggio che il Forum Sociale Europeo porta alla
citta' di Firenze: una concezione dell'umanita' carica di serenita' e
armonia.

11. INCONTRI. PACE PER LA PACE: INCONTRO ECUMENICO A FIRENZE
[Ringraziamo Enzo Mazzi (per contatti: emazzi at videosoft.it) per averci
trasmesso questa proposta. Le adesioni possono essere inviate ai seguenti
recapiti di posta elettronica: vi.bel at iol.it; emazzi at videosoft.it;
striano at arci.it]
Si svolgera' domenica 10 novembre, alle ore 11 nella piazza dell'Isolotto, a
Firenze, un incontro ecumenico laico-religioso di partecipanti al Forum
sociale europeo.
Mettere in gioco la propria esistenza e' uno degli aspetti fondamentali
dell'agire sociale e politico. Si puo' chiamare coerenza di vita o
spiritualita'. Non di rado invece sono gli obiettivi, i programmi, la lotta
che prevalgono fino ad annullare la ricerca di coerenza e spiritualita'.
Nemmeno l'interiorita' puo' prevalere. Devono tenersi sempre la mano in una
specie di ecumenismo globale coerenza e obiettivi, viaggio e approdo, essere
e fare, preghiera e lavoro, fede e razionalita', vita e politica, vuoto e
pieno, poesia e documenti, musica e parole, creativita' e regole, silenzio e
grido.
Non solo noi come individui abbiamo bisogno di riconciliare questi due
emisferi della vita fra loro complementari, ma anche noi come istituzioni
sia laiche sia religiose: essere pace per realizzare pace e unita'.
Nell'intenso programma del Forum sociale europeo non mancano aspetti di
coerenza e interiorita'. Dopo tre giorni ricchi di manifestazioni, analisi,
appassionata ricerca di obiettivi, sentiamo pero' il bisogno di un momento
di incontro che manifesti e intrecci la nostra ricerca quotidiana di
ecumenismo globale.
Alcune realta' laiche e religiose che aderiscono al Forum sociale europeo
(finora: Comunita' di base Isolotto, Comunita' di base Le Piagge, Arci,
Comunita' rom del Poderaccio, Chiesa evangelica valdese di Firenze, Noi
siamo Chiesa, Beati i costruttori di pace, Casa del popolo Isolotto, membri
delle Comunita' senegalese e somala) invitano i partecipanti al Forum
sociale europeo a un incontro di pace per la pace in piazza Isolotto, sotto
la tettoia dipinta dall'artista curdo Fuad Aziz, domenica 10 novembre alle
ore 11.
L'incontro sara' un happening. Dopo una veloce introduzione sulle
motivazioni dell'incontro, brevissimi pensieri spontanei, letture di poesie,
preghiere, testimonianze, con alternanza di canti e simbologie.
Fra i simboli: cesti con pane di tante tradizioni culturali, con frutti
della natura e con semi che serbano la speranza e il futuro (anche i rom e
le rom del Poderaccio offriranno la loro picinta e la pita cotte nei forni
del campo); un grande cesto in cui i partecipanti potranno offrire e
prendere messaggi, poesie, preghiere, brani di libri sacri e della
letteratura laica, per una condivisione delle radici da cui ciascuno trae la
linfa vitale e le fonti a cui alimenta l'ispirazione ideale; ciotole di
acqua in cui collocare i "lucignoli fumiganti" che accompagnano il nostro
cammino nella notte...
Il canto "Eppure il vento soffia ancora" concludera' l'incontro.

12. MAESTRE. SIMONE DE BEAUVOIR: UN DEPLIANT TURISTICO
[Da Simone de Beauvoir, A conti fatti, Einaudi, Torino 1973, 1980, p. 268.
Simone de Beauvoir e' nata a Parigi nel 1908; e' stata protagonista, insieme
con Jean-Paul Sartre, dell'esistenzialismo e delle vicende della cultura,
della vita civile, delle lotte politiche francesi e mondiali dagli anni
trenta fino alla scomparsa (Sartre e' morto nel 1980, Simone de Beauvoir nel
1986). Antifascista, femminista, impegnata nei movimenti per i diritti
civili, la liberazione dei popoli, di contestazione e di solidarieta', e'
stata anche lucida testimone delle vicende e degli ambienti intellettuali di
cui e' stata partecipe e protagonista. Opere di Simone de Beauvoir:
pressoche' tutti i suoi scritti sono stati tradotti in italiano e piu' volte
ristampati; tra i romanzi si vedano particolarmente: Il sangue degli altri
(Mondadori), Tutti gli uomini sono mortali (Mondadori), I mandarini
(Einaudi); tra i saggi: Il secondo sesso (Il Saggiatore e Mondadori), La
terza eta' (Einaudi), e la raccolta Quando tutte le donne del mondo.
(Einaudi). La minuziosa autobiografia (che e' anche un grande affresco sulla
vita culturale e le lotte politiche e sociali in Francia, e non solo in
Francia, attraverso il secolo) si compone di Memorie d'una ragazza perbene,
L'eta' forte, La forza delle cose, A conti fatti, cui vanno aggiunti i libri
sulla scomparsa della madre, Una morte dolcissima, e sulla scomparsa di
Sartre, La cerimonia degli addii, tutti presso Einaudi.
Opere su Simone de Beauvoir: Enza Biagini, Simone de Beauvoir, La Nuova
Italia, Firenze 1982 (cui si rinvia per una bibliografia critica ragionata)]
La sera atterrammo a Hiroshima. Un depliant turistico che lessi in aereo
comincia con queste parole: "Hiroshima e' celebre soprattutto per i cinque
fiumi che l'attraversano".

13. MAESTRE. LUCE IRIGARAY: LA SALUTE DELLE DONNE
[Da Luce Irigaray, Io, tu, noi, Bollati Boringhieri, Torino 1992, p. 88.
Luce Irigaray, nata in Belgio, direttrice di ricerca al CNRS a Parigi, e'
tra le piu' influenti pensatrici degli ultimi decenni. Opere di Luce
Irigaray: Speculum. L'altra donna, Feltrinelli, Milano 1975; Questo sesso
che non e' un sesso, Feltrinelli, Milano 1978; Sessi e genealogie, La
Tartaruga, Milano 1987; Parlare non e' mai neutro, Editori Riuniti, Roma
1991; Io, tu, noi, Bollati Boringhieri, Torino 1992; Amo a te, Bollati
Boringhieri, Torino 1993; Essere due, Bollati Boringhieri, Torino 1994; La
democrazia comincia a due, Bollati Boringhieri, Torino 1994; Etica della
differenza sessuale, Feltrinelli, Milano 1995]
Penso che la salute delle donne soffra, anzitutto, di una mancanza di
affermazione di se'.

14. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

15. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: http://www.nonviolenti.org;
per contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
http://www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it;
angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: http://www.peacelink.it. Per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

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con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it

Numero 405 del 4 novembre 2002