Camera: odg su armi leggere



Salve,
le invio l'odg sulle armi leggere e i bambini. A presto
Elettra Deiana

ORDINE DEL GIORNO

Parlando di armi non si può fare a meno di pensare al “peso mortale delle armi leggere” come l’ha definito il segretario generale dell’Onu, Kofi Annan. “Peso mortale” perché ci sono 1000 morti al giorno, soprattutto donne e bambini, dovuti all’impiego di armi leggere e di piccolo calibro. Sono anni che nei consessi internazionali si parla di questo grave problema e si invitano i governi a maggiori controlli, con risultati deludenti.

L’Unicef ha denunciato che la facilità d’uso di queste armi ha trasformato più di 300.000 bambini in soldato. Sì, perché in 46 dei 49 conflitti più gravi, scoppiati nel corso degli anni ’90, sono state utilizzate soprattutto piccole armi. Basti pensare alla guerra nella ex Jugoslavia o agli scontri in Africa (più della metà dei gruppi armati in Sierra Leone era fatta di adolescenti; in Uganda del nord i combattenti dal 1985 hanno arruolato già 12mila bambini) . E se da un lato con questo tipo di pistole, fucili è possibile armare i ragazzi, dall’altro sono proprio loro le prime vittime. Il bilancio è di 2 milioni di bambini uccisi dalle armi leggere, 5 milioni resi invalidi e 12 milioni rimasti senza tetto. Ma non è tutto: secondo l’Unicef il mezzo miliardo di piccole armi in circolazione nel mondo sono anche causa, nei bambini, di traumi psicologici, di malnutrizione (perché, per la paura di incontrare persone armate e subirne violenza, i contadini non curano i campi e non portano i loro prodotti al mercato), di abbandono scolastico (perché i primi obiettivi dei miliziani sono proprio gli insegnanti).

E’ vero che le armi leggere non sono la causa dei conflitti ma è vero pure che la grande disponibilità di armi di questo tipo può esacerbare e prolungare lo stato di guerra. Si stima che appena il 50-60 per cento del commercio mondiale di armi leggere sia legale, con un giro d’affari tra i 4 e i 6 miliardi di dollari. Tuttavia spesso anche le armi esportate legalmente finiscono sul mercato nero soprattutto nei paesi in via di sviluppo. Un anno fa l’Onu denunciava che nel solo Afghanistan circolavano 10 milioni di armi di questo genere; 7 in Africa Occidentale; e quasi 2 in America Centrale. Questo traffico illegale, stimato intorno ai 10 miliardi di dollari, è gestito dalla criminalità organizzata e dai gruppi terroristici. Ci sono zone del mondo dove un fucile d’attacco AK-47, un kalashnikov per l’appunto - venduto, per fare qualche nome, in Afghanistan, Algeria, Somalia, Iraq - può essere comprato in cambio di un sacco di cereali o con appena 20-30 dollari.

Kofi Annan ha definito le armi leggere “armi di distruzione di massa” sostenendo che del loro controllo devono rendersi responsabili i singoli stati che ne devono seguire gli spostamenti. Come dire che chi le vende deve sapere da chi e come verranno impiegate. L’Unione Europea e gli Stati Uniti sono leader nel settore, coprono l’80 per cento del commercio mondiale. L’Italia è il terzo esportatore al mondo di armi leggere considerate, a seguito delle successive interpretazioni della legge 185/90, non armi a uso “militare” bensì “civile” e in quanto tali fuori dai tradizionali controlli previsti dalla legge. Dove sono finite e finiscono le nostre armi? Amnesty International, analizzando i dati Istat sul commercio con l’estero, ci fornisce un quadro molto eloquente di cui diamo qualche accenno: a) Ex Jugoslavia tra il ’96 e il ’98 l’Italia ha venduto a Belgrado 125mila dollari di armi leggere, tra cui i fucili a canna rigata usati anche dai cecchini. b) Turchia E’ il secondo importatore di piccole armi dal nostro paese. Nel solo ’97 ha acquistato circa 3500 pistole per un valore di quasi 2 miliardi di lire. Armi vendute nonostante le ombre gettate sulla Turchia dalle esecuzioni extragiudiziali, le “sparizioni”, gli arresti indiscriminati e gli scontri con il PKK. c) Africa e qui l’elenco di Amnesty International si fa lungo ma non possiamo non citare qualche esempio · Nell’area del Corno d’Africa, dove si sta cercando di attuare una moratoria sulle armi leggere, l’Italia è un importante fornitore. Così in Sierra Leone, tra il ’93 e il ’97 sono sbarcate piccole armi e esplosivi italiani per un valore di 1,6 milioni di dollari; nel ‘97/’98, nonostante l’embargo dell’Onu, sono arrivati dal nostro paese 70mila dollari di armi e 34mila di esplosivi e detonatori “per uso industriale”. Queste armi sono state viste in mano ai bambini soldato che combattono nel paese! Dalla Burkina Faso, che sostiene i ribelli del FUR, sono state acquistate: nel ’97: 87mila dollari di pistole italiane; nella prima metà del ’98: 22mila dollari. · Stessa storia nella regione dei Grandi Laghi nonostante la riconosciuta violazione dei diritti umani perpetrata da tutte le parti in conflitto. In Congo Brazzaville, per esempio, sono state esportate tra il ’97 e il ’98 armi e munizioni per quasi 3 milioni di dollari e esplosivi per oltre 600mila dollari.

Si pensi che con 50 milioni di dollari più o meno il costo di un jet da combattimento si può armare un piccolo esercito con 200mila fucili d’attacco. Armi leggere, per l’appunto, altamente letali, relativamente poco costose, facili da trasportare, pronte all’uso senza grandi esercitazioni e che richiedono spesso ben poca manutenzione. Armi leggere impiegate ogni anno, secondo Amnesty International, per uccidere 150mila persone: uomini, donne, bambini!

L’Unione Europea ha approntato un programma di prevenzione del traffico illegale di armi e ha, altresì, adottato un codice di comportamento per l’esportazione delle armi proprio per evitare che finiscano in zone dove diventino un contributo ai conflitti esistenti. Anche l’Italia, in sede Onu, ha mostrato tutto il suo impegno per prevenire e controllare questo traffico. Ma non basta!
Perciò il Parlamento chiede al Governo:
· di fare di più sia a livello nazionale sia a livello internazionale perché i primi timidi passi mossi in questa direzione non si arrestino. · di dare concretamente seguito agli impegni presi con maggiori controlli del mercato e una più mirata attivazione delle forze a sua disposizione. · di prendersi carico di questo problema nelle sedi internazionali facendosi ambasciatore delle enormi sofferenze di tutti i bambini vittime delle armi leggere. · che le armi leggere rientrino nei criteri di controllo previsti dalla legge 185/90. · che gli sia data la possibilità di controllare che il Codice di comportamento europeo sull’export delle armi sia adottato e messo in pratica dai produttori di armi. · che l’Italia si impegni a sostenere dei programmi per l’educazione alla pace e per la risoluzione non violenta dei conflitti.