LETTERA A LAMBERTO SPOSINI



Di seguito e' riportata una mia lettera di risposta ad un intervento di Lamberto Sposini del Tg5 pubblicato sulla rivista telematica "Il Barbiere della Sera" (www.ilbarbieredellasera.com). In coda e' riportato anche il testo originale della lettera di sposini.

Carlo Gubitosa
segretario associazione PeaceLink

Caro Lamberto, domani la mia fidanzata partira' per la Palestina. E' una di quei "pacifisti a senso unico" di cui hai parlato in una delle tue ultime apparizioni sul "Barbiere della Sera". Dimenticavo di presentarmi: sono Carlo Gubitosa, giornalista e segretario dell'associazione PeaceLink, un gruppo di "pacifisti a senso unico" che dal 1992 cerca di fare informazione in rete con dei parametri di valutazione delle notizie leggermente differenti da quelli del giornalismo televisivo. Se avrai la gentilezza di comprare il settimanale "Vita" attualmente in edicola e di procurarti i numeri delle scorse settimane potrai scoprire, attraverso una serie di racconti diretti, che Francesca e' gia' stata in medio oriente, e ha parlato anche con le organizzazioni israeliane impegnate nel processo di pace, ma ovviamente nessun organo di informazione ha fatto titoloni a nove colonne del tipo "nuove alleanze tra pacifismo italiano e israeliano". Non c'era sangue, non c'erano bombe, non c'era la "notizia". Allora quello che mi chiedo e' questo: il "senso unico" e' del pacifismo o dell'informazione ? Fortunatamente c'e' ancora chi pensa che non ci sia bisogno di cataclismi, bombardamenti o stragi per dare dignita' di evento mediatico alle iniziative di una pacifista, e forse e' per questo che le iniziative di Francesca sono state raccontate da un settimanale "di area" e non dal tuo telegiornale. Ma mi viene in mente un altro dubbio: non e' per caso che le nostre notizie non ti arrivano ? Se vuoi, dammi la tua email e provvedero' io a tenerti personalmente aggiornato su tutto il traffico pacifista che si muove sul "doppio senso di circolazione". Nel frattempo mi spiace che tu ti sia perso alcuni piccoli "scoop" che l'informazione pacifista avrebbe potuto regalarti. Allargando le tue fonti di documentazione a quell'arcipelago di volontari che non ha paura di andare senza armi in zone di conflitto avresti potuto raccontare "in tempi non sospetti" le iniziative di solidarieta' con gli albanesi del kossovo, che sono iniziate nel '93 per denunciare quello che accadeva in una terra che nel tuo telegiornale e' esistita solo quando e' diventata teatro di una operazione militare, ed e' stata completamente ignorata prima e dopo quell'evento. Avresti potuto raccontare di quando sono entrato a Grozny nell'estate del 2000 insieme ai volontari della "Papa Giovanni XXII", descrivendo la vita dei sopravvissuti ai bombardamenti dell'esercito russo, che hanno sbriciolato interi quartieri residenziali lontani mille miglia da qualsiasi obiettivo militare, e grazie alla mia esperienza diretta mi sono tolto anche alcuni sfizi. Ad esempio mi e' capitato di smentire pubblicamente Lamberto Dini, con un "messaggio in bottiglia" telematico che e' stato raccolto sulle pagine di "Avvenire" quando Dini ha fatto da garante per la Russia al Consiglio d'Europa, affermando che "la situazione in Cecenia e' incontestabilmente migliorata", dopo che noi eravamo appena usciti da campi profughi simili a gironi danteschi. Il nostro percorso "a senso unico" ci ha portato anche a Mosca per parlare con l'associazione delle madri dei soldati, che dopo essere tornati dalla Cecenia mutilati e feriti vengono abbandonati alla loro disperazione senza nessun sostegno da parte dello Stato. Ma anche questi racconti di piccole miserie umane forse non erano abbastanza ghiotti per meritare qualche minuto di Tg5. Un altro scoop che ti sei perso e' stato il racconto in diretta dei bombardamenti Nato su Nis del 7 maggio 1999, quando il professore di linguistica Djordje Vidanovic, amico e collega del piu' famoso Noam Chomsky, ci ha raccontato per telefono la sua testimonianza oculare, descrivendoci un mercato in pieno centro pieno di civili, sventrato da bombe a grappolo in ora di punta, mentre il giorno dopo tutti hanno preso per buona la velina Nato secondo la quale era stato bombardato l'aeroporto, che era a diversi chilometri di distanza dalla citta'. Il racconto di Vidanovic ha fatto il giro della rete, ma purtroppo la verita' che restera' nei libri di storia forse sara' un'altra. Sara' quella dei vincitori che hanno bombardato il palazzo della TV serba, pieno di tuoi e miei colleghi, rivendicandolo come un legittimo obiettivo militare senza che nessuno in italia, al di fuori dei soliti "pacifisti faziosi", abbia avuto nulla da ridire, e moltissimi operatori di informazione non hanno ritenuto opportuno reagire, ne' come uomini, ne' come giornalisti, alla trasformazione di un palazzo televisivo in un bersaglio militare. In quel caso lo scoop era il fatto che la televisione serba e la propaganda che si e' cercato di zittire a suon di missili sono continuate esattamente come prima: infatti per le trasmissioni sono state "espropriate" le frequenze televisive utilizzate dalle piccole emittenti, alcune delle quali vicine all'opposizione, con buona pace del pluralismo informativo e della efficacia dell'azione militare. Ma tornando a tempi piu' recenti, un occhio piu' attento all'informazione pacifista ti avrebbe permesso di valutare il grado di rilevanza giornalistica della lettera dei genitori di una vittima delle Twin Towers, che hanno saputo distinguere meglio di noi tra giustizia e vendetta. Se vuoi leggerla la trovi ancora sul nostro sito. "Non riusciamo a prestare attenzione al quotidiano fiume di notizie su questo disastro, ma ne leggiamo abbastanza per renderci conto che il nostro governo va nella direzione della vendetta violenta, e la prospettiva è che altri figli, figlie, genitori, amici, andranno in terre lontane a morire, soffrire e finiranno per portare rancore contro di noi". Perche' questa lettera, pubblicata sul New York Times e diffusa nei circuiti pacifisti, non ha trovato altrettanto spazio in Italia e sul tuo telegiornale ? Forse perche' in quel momento l'"agenda setting" dell'informazione aveva stabilito come priorita' il rispetto dei diritti umani delle donne afghane, di cui Amnesty International si occupa da anni, ma che diventano degne di attenzione solo quando e' la Nato ad occuparsene ?

Caro Lamberto, da giornalista so benissimo che il mondo dell'informazione e' fatto da seri professionisti che ogni giorno si scontrano con i propri limiti e con quelli della struttura in cui lavorano, e ritengo semplicistica e ingiusta una visione della professione che associa alla figura del giornalista l'immagine di un uomo "comprato" e totalmente dipendente dalle decisioni della "proprieta'". Come pacifista, pero', ritengo altrettanto superficiale liquidare con un generico marchio di faziosita' tutto il settore del pacifismo e della nonviolenza (se vuoi ti spiego la differenza tra le due cose e perche' nonviolenza si scrive "tuttattaccato".) Se c'e' un dovere morale che ha il settore dell'informazione in questi giorni e' quello di aiutare il maggior numero possibiile di persone ad uscire da quelle dinamiche da tifoseria (frutto anche dell'inevitabile semplificazione giornalistica) che dipingono la complessita' della ricerca di una soluzione per il medio oriente come uno scontro ideologico tra filopalestinesi e antiterroristi. Qui non si tratta di scegliere tra destra o sinistra, Coppi o Bartali, Coca o Pepsi, Inter o Milan, Israele o Palestina, Carri Armati o Kamikaze, pacifisti o interventisti, ma molto piu' seriamente la scelta obbligata che siamo chiamati a fare e' quella tra civilta' e barbarie, e almeno in questo sono convinto che saremo dalla stessa parte.

Nel tuo intervento sul "Barbiere della Sera" sostieni che "Israele, come Stato e come popolo, ha responsabilità enormi. L'estremismo di Sharon ha portato oggettivamente ad una escalation gravissima della crisi, Israele fa carta straccia delle risoluzioni dell'Onu (per quel che valgono) e certo non va per il sottile nella sua caccia (con metodi molto discutibili) ai terroristi palestinesi". Penso che sarebbe molto bello se qualcuno trovasse la forza per raccontare queste cose anche al Tg5 e su tutti gli altri telegiornali, senza la paura di trovarsi automaticamente etichettato come amico dei kamikaze. Forse e' da qui che possiamo partire per sbrogliare questa matassa.

Con un augurio di buon lavoro.

Carlo Gubitosa
Associazione PeaceLink

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05.04.2002
Sono fascista, se condanno i kamikaze?
di Lamberto Sposini

Lamberto Sposini replica ad Evaluna. Si può disapprovare Sharon e Israele, ma insieme anche gli attentati contro innocenti nelle discoteche

Leggo con due giorni di ritardo la lettera di Evaluna a proposito del mio breve scritto al Foglio sulla questione mediorientale e mi sembra giusto cercare di rimuovere qualche sua perplessità. Senza rubarvi molto spazio.

Vedo che ancora si continua da più parti ad equivocare. Eppure, secondo me, la questione è di una linearità impressionante.

Israele, come Stato e come popolo, ha responsabilità enormi. L'estremismo di Sharon ha portato oggettivamente ad una escalation gravissima della crisi, Israele fa carta straccia delle risoluzioni dell'Onu (per quel che valgono) e certo non va per il sottile nella sua caccia (con metodi molto discutibili) ai terroristi palestinesi.

Detto questo, non capisco perchè non si possa condannare altrettanto vigorosamente gli attentati dei kamikaze che fanno riferimento direttamente ad Arafat e che provocano massacri di innocenti senza rischiare di venir accusati di fascismo, razzismo, neocolonialismo e via dicendo.

Io constato che i pacifisti internazionali - ed italiani - vanno a fare da scudo a Betlemme e non ad Haifa, constato che per la causa palestinese vengono spese parole e azioni importanti e che per la sicurezza di Israele e dei suoi cittadini inermi (ci sono anche quelli) da parte degli stessi pacifisti non ho mai sentito una sillaba.

Ma se ci penso bene, gli stessi non si sono spesi un granche' neppure per i tremila morti delle Torri Gemelle.

Confermo: i pochi che in questo paese ricordano le vittime del terrorismo palestinese non hanno nessun problema a riconoscere gli enormi torti di Israele (che resta, tuttavia, l'unico paese democratico di quella tormentata regione).

I pacifisti fanno marce, cercano di entrare a Betlemme, fanno interviste e conferenze stampa, ma si dimenticano sempre di quelle carneficine nei ristoranti, nelle discoteche e nei supermercati.

Tutto qui. Non mi sogno neanche lontanamente di entrare nelle questioni storiche, politiche ed internazionali di questa tragedia.

Mi basta ribadire che "questo" pacifismo è a senso unico. Ma non è mica un insulto.

Lamberto Sposini

Fonte: http://www.ilbarbieredellasera.com/article.php?sid=2349