La nonviolenza e' in cammino. 338



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761/353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 338 del 10 gennaio 2002

Sommario di questo numero:
1. Non uccidere
2. Marco D'Eramo, l'esempio del Kuwait
3. Luciano Dottarelli: tra Rousseau e Martin Fierro. Radici profonde del
pensiero di Ernesto Che Guevara
4. Laura Conti, in realta' sappiamo
5. Rossana Rossanda, gli storici diranno
6. Vandana Shiva, l'attuale integrazione globale
7. Riletture: David Cayley, Conversazioni con Ivan Illich
8. Riletture: Robert Jungk, L'onda pacifista
9. Riletture: Nuto Revelli, L'ultimo fronte
10. La "Carta" del Movimento Nonviolento
11. Per saperne di piu'

1. IL PUNTO. NON UCCIDERE
Non vi e' possibilita' alcuna di fondare una societa' se non ci si accorda
su questo: non uccidere.
Non vi e' possibilita' alcuna di salvare l'umanita' dalla catastrofe se non
ci si accorda su questo: non uccidere.
Tutto cio' che e' ordinato all'uccidere e' contro l'umanita' intera, e
quindi contro ogni singolo essere umano: le armi, gli armati, gli eserciti,
le guerre.
Cessare di produrre le armi, questo occorre; disarmare tutti gli armati,
questo occorre; abolire tutti gli eserciti, questo occorre; impedire tutte
le guerre: questo occorre.
Ma oltre a dirlo, cosa abbiamo saputo fare in questi terribili mesi?

2. INFORMAZIONE. MARCO D'ERAMO: L'ESEMPIO DEL KUWAIT
[Marco D'Eramo, giornalista e saggista, scrive sul quotidiano "Il
manifesto"; questo articolo e' apparso nell'edizione dell'8 gennaio]
"Ciao Marco, scusa se ti rispondo tardi... posso vedere Al Jazira solo
quando vado dalla mia vecchia zia perche' la sua infermiera siriana la
guarda avidamente e cosi'... Le ho chiesto cosa stava succedendo... la voce
ricorrente e' che tutto e' cominciato quando gli americani hanno bombardato
le Twin Towers e hanno dato la colpa ai taleban solo per poter invadere
l'Afghanistan perche' vi era stato appena scoperto il petrolio! Il
sentimento prevalente qui tra i "barbuti" e' che Osama bin Laden abbia avuto
ragione non nel distruggere il World Trade Center ma perche' ha verbalizzato
l'antagonismo sentito dagli arabi nei confronti degli americani. Il governo
kuwaitiano ha chiuso 45 filiali delle opere pie islamiche, col pretesto che
non erano registrate correttamente, ma le organizzazioni madri funzionano
ancora e c'e' un legame tra alcune di loro e militanti islamici; alcuni
conti bancari sono stati congelati qui e a Londra. Un paio di mesi fa due
canadesi, un uomo e una donna, erano stati uccisi a pistolettate qui da un
uomo vestito all'afghana/pakistana che gridava 'Allah akbar' mentre gli
sparava. Da allora gli stranieri biondi stanno mantenendo un basso profilo,
c'e' una mia amica inglese il cui marito le proibisce di uscire se non e'
proprio necessario. Se hai capelli chiari o parli inglese c'e' un senso di
disagio quando vai in posti frequentati dai "barbuti", come alle grandi sale
da esposizione o al mercato del venerdi. Invece i grandi centri commerciali
e i supermercati occidentalizzati sono ancora OK. Gli affari vanno male per
i negozi. Andavano gia' male prima, ma adesso e' peggio e la gente in genere
e' depressa, con quel che e' successo in Afghanistan, quel che sta avvenendo
in Palestina... e se ora bombardano l'Iraq... E c'e' una riluttanza a
viaggiare, tranne che per lavoro... Dubai e' stata colpita duramente... e'
davvero molto calma e molti hotel stanno offrendo sconti del 50% e la gente
e' un po' timorosa di andare in Arabia Saudita dove prima c'era stato un
attentato alla bomba. Qui ci sono stati molti allarmi di attentati nelle
scuole americane e anche in una compagnia che per piu' di un mese dopo l'11
settembre aveva assegnato a tempo pieno un impiegato americano alla colletta
per le vittime delle Twin Towers. Per il resto tutto va bene e spero il mese
prossimo di andare in Kerala per il matrimonio del figlio di un mio
amico...".
*
Cosi', un paio di settimane fa, rispondeva alla mia domanda "che aria tira
da voi?" una persona che ho conosciuto in Kuwait quando sono stato mandato
la' da una rivista di viaggi per - missione un po' stravagante - cercare di
capire "se le donne kuwaitiane stanno diventando un po' piu' libere grazie
al consumismo occidentale dei grandi centri commerciali".
Il Kuwait costituisce infatti la principale obiezione a chi sostiene che il
fondamentalismo islamico sia incompatibile con la civilta' occidentale, anzi
costituisca il suo peggior nemico: appena atterri all'aeroporto, hai
l'impressione di avere sbagliato volo e di essere arrivato a Houston e non a
Kuwait City: lo stesso sbuffo di aria calda, le stesse autostrade (in Kuwait
la segnaletica e' verde come negli Usa), gli stessi macchinoni fuoristrada,
stesse schiere sterminate di casette unifamiliari. E poi stessi malls,
stesso sfarzo opulento e grassoccio. Certo, qualche stonatura c'e': a
guidare i macchinoni vedi spesso donne infagotatte in vestiti che paiono
sacchi di patate neri che le coprono dalla testa ai piedi. Ma nel complesso,
piu' scorrono i giorni a Kuwait City, piu' ti sembra che questo paese sia
"l'America meno la liberta'", anche perche' la sua classe dominante e'
anglofona, ha frequentqato scuole americane e inglesi, passa le vacanze a
Londra e negli States.
*
Il Kuwait ti offre cioe' l'immagine di una possibile variante al modello
statunitense, di una diversa modernita' americana, quella di una societa'
consumistica, tecnologica, affluente, motorizzata, climatizzata, asfaltata,
parabolica, e insieme bigotta, fondamentalista, oppressiva, autoritaria,
schiavista (e sessuofobica - almeno in apparenza). Forse e' proprio la
bigotteria a richiamare il Texas che e' lo stato piu' fondamentalista degli
Usa, il nucleo di quella che negli Stati Uniti viene chiamata la Bible belt,
la "cintura della Bibbia", cioe' della bigotteria, proprio come esistono una
corn belt, una snow belt, una sun belt, una rust belt (la cintura del mais
e' quella delle pianure del Mid West; la cintura della neve sono gli stati
al confine col Canada; la cintura del sole va dalla California al New
Mexico; la cintura della ruggine, comprende i vecchi stati industrializzati
in rovina). Il Texas, dove i grandi quotidiani locali pubblicano due pagine
al giorno di notizie religiose: a confronto, il Kuwait Times e' un campione
di laicita' (ed e' anche un ottimo giornale formato grande, con otto pagine
al giorno dedicate alla politica estera fuori dal Golfo: Corriere della Sera
e Stampa non ne hanno mai piu' di quattro, salvo eventi eccezionali).
D'altronde non puo' non colpire l'ironia della situazione che ha posto a
combattere l'integralismo islamico un presidente statunitense proveniente
dallo stato Usa piu' bigotto ed eletto coi voti dei fondamentalisti
cristiani.
C'e' pero' una risposta che ha continuato a intrigarmi mentre intervistavo
kuwaitiane dopo kuwaitiane, giovani, anziane, artiste, funzionarie,
banchiere, giornaliste, registe, dottoresse, donne di affari (ma tutte
inesorabilmente appartenenti a famiglie principesche o almeno a una delle 36
grandi famiglie di mercanti che costituiscono l'originaria elite
kuwaitiana). Ed e' che le anziane rimpiangevano la propria liberta' negli
anni '60 e le giovani ti raccontavano quanto fossero libere le loro mamme
negli anni '60. "Mia mamma vestiva in minigonna" (le donne emancipate oggi
vestono comunque con i pantaloni o con gonne sotto il ginocchio). "Allora
potevamo andare a studiare all'estero, viaggiare da sole": e basta questa
frase a farti capire come fosse ingannatore il dato statistico che era
sembrato a prima vista prova dell'emancipazione femminile: e cioe' che il
70% degli studenti dell'universita' di Kuwait sono donne. E' vero, ma solo
perche' i maschi vanno a studiare all'estero, mentre le ragazze sono
costrette a rimanere a studiare in patria.
*
Ma cio' vuol dire che negli anni '60 il paese non era fondamentalista. Che
e' successo in questi 40 anni?
Intanto si puo' dire che 40 anni fa il Kuwait praticamente non esisteva.
Aveva solo 200.000 abitanti. Oggi vi vivono 2,4 milioni di persone, di cui
soltanto 800.000 kuwaitiani. Esplosione demografica certo, ma soprattutto
importazione massiccia di immigrati (e' come se in Italia ci fossero 55
milioni di italiani e 110 milioni di stranieri). E' cambiata quindi la
natura della societa' kuwaitiana. I cittadini vivono di rendita, non pagano
tasse; scuola, medicina (e anche telefonino) sono gratis, tutti impiegati
statali ma in realta' nullafacenti; e tutta la macchina statale, istruzione,
sanita', magistratura, e' portata avanti dagli immigrati. Per entrare in
Kuwait ogni immigrato deve avere uno sponsor cui e' legato per cinque anni e
che spesso lo fa lavorare gratis per avergli consentito di farlo entrare. Se
scappa, viene ricercato dalla polizia e la sua foto e' pubblicata sui
giornali. Ecco perche' e' uno schiavismo tecnologico.
Da quest'ingranaggio di oppressione e' nato tutto il resto.
Poiche' tra gli oppressi si facevano strada idee di sinistra, negli anni '70
la famiglia regnante, al-Sabah (composta da 5.000 membri), ha cominciato a
favorire i fondamentalisti (proprio come Israele e Usa appoggiavano Hamas
per indebolire l'organizzazione laica Al Fatah di Arafat). Alla fine degli
anni '70 l'ondata khomeinista nel vicino Iran si e' ripercossa anche in
questo emirato dove il 25% della popolazione e' sciita: l'Alleanza Islamica
nazionale rappresenta gli sciiti in Kuwait, ha 5 seggi in parlamento, ma non
e' il gruppo piu' misogino (appoggia la richiesta di diritti civili per le
donne, a cominciare da quelli elettorali). No, il vero fattore
destabilizzante per la laicita' kuwaitiana e' venuto dagli immigrati,
soprattutto dopo la guerra del Golfo, quando furono cacciati 400.000
immigrati palestinesi di cultura e mentalita' laica. Furono sostituiti in
massa da egiziani che ne presero il posto di insegnanti e di giudici. E
molti erano Fratelli Musulmani, l'associazione fondamentalista nata in
Egitto intorno al 1920. Oggi i Fratelli Musulmani controllano 7 dei 66 seggi
parlamentari (su 800.000 cittadini, le donne non possono votare, ma non
votano neanche i membri delle forze armate e chi non e' kuwaitiano da tre
generazioni: risultato, gli elettori sono meno di 100.000). Sono stati i
Fratelli Musulmani a diffondere nelle scuole tra le ragazze kuwaitiane
l'obbligo del velo e di vestirsi come sacchi neri di patate. I palestinesi
sono stati sostituiti anche da immigrati del subcontinente indiano, di
preferenza musulmani (pakistani, bengalesi): cosi' negli ultimi anni sono
giunti nel Golfo Persico parecchi studenti delle madrassa pakistane, che in
Afghanistan sono chiamati taleban. Ma la guerra del Golfo degli americani ha
agito anche in un altro modo, visto che durante i quasi 7 mesi di
occupazione irachena tutta l'elite kuweitiana si era rifugiata in Arabia
Saudita. Tornando, ha importato il fondamentalismo islamico di tendenza
wahabita. E infatti oggi il movimento Salafi, wahabita, controlla almeno tre
seggi in parlamento.
*
Cosi', per il gioco incrociato della struttura di classe, dell'importazione
di mano d'opera e conseguenti ondate migratorie, della lotta contro la
sinistra politica, degli effetti inattesi della guerra del Golfo, un regime
un tempo abbastanza laico si sta integralizzando sempre piu'. Si fa chiaro
quindi come sia grave il nostro errore prospettico che vede nel
fondamentalismo solo un residuo del passato che ogni tanto riemerge a
ostacolare il passo trionfante della modernita'. Mentre a uno sguardo
ulteriore l'integralismo si rivela un prodotto della modernita', dei suoi
mezzi di comunicazione e di trasporto, dei flussi umani messi in moto dalla
globalizzazione degli scambi. In Kuwait oggi i fondamentalisti controllano
le associazioni studentesche. Sempre piu' spesso i supermercati cooperativi
di quartiere eleggono nei loro consigli di amministrazione rappresentanti
integralisti. Un "integralismo in fuoristrada", che viaggia in Cherokee
(Chevrolet) o in Pajero (Ford), mentre parla al telefonino, guarda la tv
satellitare e compensa tutti i divieti alcoolici e sessuali con una bulimia
infinita (che anch'essa accomuna il Kuwait agli Usa).
Solo con quest'intreccio di scuole coraniche e americanizzazione si puo'
capire come la dinastia che e' stata rimessa sul trono dalle portaerei Usa
abbia negato ai propri protettori il permesso di far partire dalle basi in
Kuwait gli aerei per i bombardamenti in Afghanistan.

3. STUDI. LUCIANO DOTTARELLI: TRA ROUSSEAU E MARTIN FIERRO. RADICI PROFONDE
DEL PENSIERO DI ERNESTO CHE GUEVARA
[Il testo seguente e' la stesura ampliata dell'intervento di Luciano
Dottarelli al convegno nazionale della Fondazione Guevara svoltosi ad
Acquapendente il 15-17 giugno 2001. Esso e' apparso nel volume 4, del 2001,
degli annuali "Quaderni della Fondazione Ernesto Che Guevara". Ringraziamo
l'autore per avercelo messo a disposizione. Luciano Dottarelli e' docente e
saggista; agli studi filosofici unisce una rilevante ed apprezzata
esperienza amministrativa: già sindaco di Bolsena, attualmente e' capogruppo
DS al Consiglio Provinciale di Viterbo. Opere di Luciano Dottarelli: Popper
e il "gioco della scienza", Erre Emme, Roma 1992; Kant e la metafisica come
scienza, Ere Emme, Roma 1995. Ha recentemente curato una edizione italiana
di Immanuel Kant, Saggio sulle malattie della mente, Massari, Bolsena 2001]
C'e' un modo per cavarsela piuttosto a buon mercato di fronte agli
interrogativi posti alla nostra passione e alla nostra ragione dalla
straordinaria esperienza umana e storica di quel "piccolo profeta ambulante
che annuncia l'avvento del giudizio finale con stentorea voce che" - come lo
stesso Ernesto Guevara ebbe a definirsi in una lettera alla madre (1). E'
quello di indugiare sulla coerenza estrema, fino al sacrificio della vita,
con cui egli ha saputo testimoniare le sue idee.
E' certamente anche questa rigorosa, limpida coerenza che spiega l'aura di
rispetto e di ammirazione che circonda la figura del Che, persino presso gli
avversari delle sue idee, ed essa costituisce il nocciolo di autenticita'
che si puo' rintracciare al fondo dello stesso fenomeno del consumo
superficiale della sua icona.
Non c'e' dubbio che la coerenza sia  un valore, un prerequisito essenziale
per valutare la verita' di una teoria, o, nel caso di un comportamento, la
sua legittimita' a proporsi come un modello per il nostro agire. Tuttavia,
come la congruenza interna di una dottrina non vale di per se' come
dimostrazione della sua verita', cosi' il riconoscimento di una rigorosa
consequenzialita' tra i principi proclamati e la prassi non puo' esimere da
una valutazione riguardo all'adeguatezza di quei principi alla concreta
situazione storica, all'efficacia complessiva della loro traduzione pratica
e, da ultimo, alla loro portata universale, alla capacita' di trascendere il
proprio tempo per continuare a parlare a chi oggi, come Ernesto Guevara
allora, intende lottare per la liberazione dall'asservimento e dal bisogno.
Se avvertiamo cosi' forte la necessita' di cogliere la figura del
rivoluzionario agentino nel "gorgo storico, culturale, esistenziale in cui
concretamente visse, opero', penso'" - come ricordava Peppe Sini in un
lucido intervento al convegno del 2000 della Fondazione "Ernesto Che
Guevara" (2) - cio'  non risponde soltanto ad uno scrupolo metodologico di
necessaria contestualizzazione,  rivela anche la consapevolezza che la sua
testimonianza giunge a noi trascinandosi dietro tutta la concretezza, ma
anche il fardello, del suo tempo storico. Egli continua a parlare
soprattutto come exemplum, come viva rappresentazione sensibile
dell'indignazione per l'ingiustizia, dell'ansia di liberazione e del compito
"magnifico ed angoscioso" del rivoluzionario. La figura del Che continua ad
essere presente con tutta la sua ricchezza di determinazioni concrete ed
umane, ma anche - hegelianamente -  con tutti i suoi limiti di
universalita'.
Riconoscere questo fatto non credo significhi sottovalutare il suo pensiero.



E' lo stesso Guevara a riconoscere piu' volte la natura eclettica ed incerta
della sua riflessione teorica ed, anzi, forse e'  proprio questo carattere
di disorganicita' e di perenne incompiutezza ad attenuare le cadute
dogmatiche, tutt'altro che infrequenti nei suoi scritti.
I tentativi di valorizzare il suo contributo teorico mettono di solito
l'accento soprattutto su due aspetti: la critica del determinismo
economicistico e l'umanesimo rivoluzionario.
Si tratta di componenti indubbiamente rilevanti nel pensiero dell'ultimo
Guevara, ma esse emergono con fatica, e non senza sbandamenti, in un
orizzonte teorico eterogeneo e raramente originale, che resta ancora segnato
dalla precedente adesione acritica agli schemi ideologici del marxismo
sovietico, perfino nelle forme irrigidite del Diamat quale risultava dalle
sistemazioni teoriche staliniane (3).
Al confronto - e sul piano delle idee un confronto deve essere possibile -
ben altra radicalita' e respiro utopico ha la ripresa dei temi del Marx
giovane in un pensatore come Ernst Bloch e altra stringenza, ad esempio,
hanno le critiche di Karl Popper al determinismo storicistico e alla
presunta scientificita' del marxismo.
Nel valutare lo stesso umanesimo del Che non e' possibile non rilevare
l'ambiguita' della nozione di "uomo nuovo" che ne sta a fondamento.
Nell'"uomo dal cuore tanto semplice [...], tanto puro, ma [...] capace di
realizzare le piu' grandi astrazioni mentali per poter scoprire nuove cose
che mettano la natura a disposizione dell'umanita'" (4) si riconosce un
topos che ha il suo paradigma nella caratterizzazione dell'"uomo allo stato
di natura" di Jean-Jacques Rousseau. La tensione utopica che sospinge con
tutta evidenza la figura guevariana dell'uomo nuovo in un tempo a venire
("uomo del futuro", "uomo sviluppato al massimo") e la funzione positiva
attribuita allo sviluppo tecnologico consentono certamente di evitare
interpretazioni regressive come quelle da cui dovette difendersi Rousseau,
ma non di sfuggire ad analoghe difficolta' e rischi.
La presenza di Rousseau nel pensiero di Guevara e' del resto ben piu' ampia
di quanto appaia. La cosa non dovrebbe sorprenderci piu' di tanto, se e'
vero che lo stesso Fidel Castro ebbe a dichiarare che "Jean-Jacques era
stato il [proprio] maestro e che aveva combattuto Batista con il Contratto
sociale in tasca" (5).
D'altra parte il pensiero di Rousseau rappresenta un punto di transito
obbligato, benche' spesso inconsapevole, per ogni moderna teoria della
rivoluzione. Con la sua soluzione del tradizionale problema della teodicea,
che imputa il male presente nel mondo non a Dio ne' ad una colpa originaria
del singolo individuo ma alla societa', egli da' il fondamento piu' solido
alla convinzione che "tutto dipende sostanzialmente dalla politica" (6),
imprimendo cosi' una spinta fortissima all'impegno per la critica e la
trasformazione sociale.
La presupposizione di un'origine tutta sociale del male puo' giungere ad
invalidare non solo l'idea cristiana del peccato originale ma anche la sua
traduzione laica (la nozione di "legno storto" di cui parla Kant per
indicare la finitudine e l'imperfezione ineliminabile dell'uomo) e divenire
il fondamento oggettivo (scientifico) dell'"aspirazione soggettiva e non
sistematizzata" di creare un uomo radicalmente nuovo (7).
La rivoluzione puo' cosi' proporsi di costruire "la nuova societa' in cui
gli uomini avranno caratteristiche diverse" (ivi, p. 702) nella convinzione
che "le nuove generazioni saranno libere dal peccato originale" (ivi, p.
710). In questa sorta di experimentum hominis la gioventu' svolge un ruolo
decisivo. Essa e' "l'argilla malleabile con cui si puo' costruire l'uomo
nuovo" (ibidem). E' una prospettiva in cui, come per l'autore dell'Emilio,
diventa centrale il problema dell'educazione: "La societa' nel suo insieme -
scrive il Che - deve trasformarsi in una gigantesca scuola" (ivi, p. 701).
La pervasivita' di questa missione pedagogica, che "si esercita attraverso
l'apparato educativo dello Stato in funzione della cultura generale, tecnica
e ideologica, attraverso organismi quali il Ministero dell'educazione e
l'apparato di propaganda del partito" richiama i fantasmi della distopia
orwelliana e ripropone tutti i risvolti inquietanti che la tradizione
liberale ha criticato nella "democrazia totalitaria" di Rousseau.
"Nell'immagine delle folle che marciano verso il futuro - scrive Guevara -
e' implicito il concetto di istituzionalizzazione, inteso come un insieme
armonico di canali, gradini, barriere, apparati ben collaudati che
permettono questa marcia e la selezione naturale di coloro che sono
destinati a camminare tra l'avanguardia e che stabiliscono il premio o il
castigo, rispettivamente per chi compie il proprio dovere e per chi trama
contro la societa' in costruzione" (ivi, p. 703).
La ricerca di tale nuova forma di istituzionalizzazione, "che permetta
un'identificazione perfetta tra il governo e la comunita' nel suo insieme
[...] e che rifugga al massimo dai luoghi comuni della democrazia borghese
trapiantati nella societa' in formazione" (ivi, p. 704) ripete la
tematizzazione rousseauiana della volonta' generale e richiama la
sottovalutazione irridente di  Marx per la democrazia politica.
E' interessante vedere come questa critica del modello liberaldemocratico si
congiunga, non solo in Rousseau e Marx ma anche in Guevara, con la critica
del cristianesimo. Lo spirito del cristianesimo, con il suo universalismo
astratto, non solo impedisce, secondo Rousseau, il radicamento in questo
mondo e dispone gli uomini alla rassegnazione e alla dipendenza, esso e'
anche contrario allo spirito sociale particolare che deve portare gli uomini
ad identificarsi con quel moi commun che e' la propria comunita' sociale,
secondo il modello del patriottismo antico (la polis greca, Roma).
Anche la critica di Marx non si esaurisce nella denuncia della religione
come "sospiro della creatura oppressa" e "oppio dei popoli" ma si spinge ad
individuare nel cristianesimo la metafora piu' efficace della falsa
universalita' dello Stato liberaldemocratico borghese: come i cristiani,
diseguali in terra, si consolano di essere tutti uguali in cielo, cosi' gli
individui che vivono in quanto borghesi la diseguaglianza della societa'
civile, si consolano nell'illusione di essere tutti uguali, come cittadini,
nella sfera dello Stato (8).
Nelle opere di Guevara l'esigenza di un confronto diretto con la concezione
cristiana dell'uomo e del mondo e' meno pressante e i pochi riferimenti che
si trovano sono quasi sempre di scarso impegno teorico.
Giulio Girardi, tra i piu' impegnati a ricercare proprio nel pensiero e
nella testimonianza del rivoluzionario argentino l'ispirazione per una
reinterpretazione del cristianesimo che ne riscatti l'originaria vocazione
liberatrice, non si nasconde ne' il severo giudizio storico di Guevara sul
ruolo svolto dalla Chiesa nel contesto latinoamericano ne' il dato di fatto
che dalla sua interpretazione del fenomeno religioso "si giunge a una
conseguenza coerente, che il Che non trae al livello teorico, ma sul piano
della sua stessa prassi: l'uomo nuovo e' un umanista ateo" (9).
Questa contraddizione dello spirito del  cristianesimo con l'ottimismo
storico che sta a fondamento della possibilita' di costruire l'uomo nuovo
viene inferita, in modo a mio parere legittimo, a partire da alcuni
requisiti essenziali che Guevara richiede ad un autentico impegno
rivoluzionario: primi fra tutti la fiducia dell'uomo di essere attore
consapevole della storia e  la disponibilita' ad impegnarsi nella causa
della liberazione senza attendersi altra ricompensa che la soddisfazione del
dovere compiuto.
Anche il collegamento tra spirito del cristianesimo e modello
democratico-liberale puo' essere soltanto ricostruito a partire da pochi
spunti polemici. In una lettera alla madre, in cui commenta la caduta di
Peron, il giovane Ernesto accomuna l'esultanza degli americani, del vescovo
di Citta' del Messico, di tutti i cattolici, della gente di destra e degli
stessi progressisti e ironizza  sulla nuova "aria di liberta'" che si
sarebbe instaurata con questa "nuova vittoria del dollaro, della spada e
della croce" (10).
Anche in una lettera precedente gli spunti polemici nei confronti del
cattolicesimo vengono  presentati  in concomitanza con la critica di quella
"certa esteriorita' democratica [...] dove il marcio piu' grande e' coperto
da forme pseudodemocratiche di convivenza" facendo presumere che esista
anche in Guevara un nesso non occasionale tra ideologia cattolica e  modello
liberale-borghese.
In ogni caso e' sua convinzione saldissima "che il papato e' uno dei
principali capitalisti europei, e che nella politica internazionale marcia
mano nella mano con gli Usa" (11) e l'irrisione nei confronti dei principi
della democrazia liberale resta una costante del suo pensiero.
Al "meraviglioso pezzo di carta dentro l'urna di legno" il Che contrappone
il "voto diretto, portato sulla punta di un fucile, aggressivo, arrogante,
bellicoso, per l'uomo che e' capace di riunire la gigantesca mole umana del
Primo Maggio [Fidel Castro]" (12).
Questo atteggiamento si connette ad uno scetticismo quasi pregiudiziale
riguardo alle effettive possibilita' di ottenere la liberazione per via
pacifica ed alla convinzione della ineluttabilita' della guerriglia, almeno
nel contesto dell'America Latina, nel quale gli era sembrato ben presto non
esserci spazio per i profeti disarmati: "Non sono Cristo e filantropo -
aveva scritto alla madre in una lettera del 1956 - sono tutto il contrario
di un Cristo e la filantropia mi sembra cosa da [illeggibile], per le cose
in cui credo lotto con tutte le armi di cui dispongo e cerco di atterrare
l'altro, invece di lasciarmi inchiodare a una croce" (13).
Nel gorgo storico in cui Guevara si riconosce drammaticamente gettato - nel
quale, generando "un'enorme quantita' di scariche emotive", "alla parola
"rivoluzione" si e' unita la parola "patria"" (14) - a dare il tono
dominante alla riflessione, contagiandola con tutte le sue aporie e
contraddizioni, non puo' essere altro Rousseau, che quello riemerso in Marx
senza la mediazione illuministica e cristiano-borghese di Kant.
A me piace invece valorizzare altri spunti presenti nella riflessione del
Che, che mi appaiono piu' interessanti e duraturi:
* L'insistenza sul lavoro volontario. Esso non e' soltanto anticipazione
della figura marxiana del lavoro liberato, ma viene a configurarsi come un
dono: "l'importante e' che una parte della vita di un individuo venga data
alla societa' senza aspettarsi nulla, senza alcuna retribuzione, solo come
adempimento di un dovere sociale" (15).
* La critica dello "scambio ineguale" che condanna a rimanere nella poverta'
e nella dipendenza i popoli economicamente arretrati. La richiesta accorata
ai paesi dell'allora blocco socialista affinche' sostenessero i costi per lo
sviluppo dei paesi dipendenti, piu' che da stigmatizzare come rivendicazione
di una forma di assistenzialismo che avrebbe trovato oggi la sua attuazione
con le Organizzazioni Non Governative a fare da "vettori del commercio della
carita'" (16), ci appare invece sostanziata da una chiara prefigurazione di
quanto sta accadendo con la globalizzazione dei mercati.
E le parole del Che - proiettate in un contesto meno storicamente datato -
si rivelano ispirate da  tensione profetica, ma anche da straordinaria
lucidita': "Un grande mutamento di concezioni consistera' nel cambiare
l'ordine dei rapporti internazionali; non dev'essere il commercio estero a
determinare la politica, ma al contrario esso deve essere subordinato a una
politica fraterna tra i popoli" (17).
* L'insofferenza per lo scolasticismo e l'apprezzamento della personalita'
individuale. Nella critica dell'attitudine conformista e scolastica - come
si manifestava in particolare nelle forme congelate del realismo
socialista - gli interventi  dell'ultimo Guevara, trovano espressioni di
rara schiettezza ed efficacia. Nelle parole con le quali bolla i "docili
salariati del pensiero ufficiale" e le "erbacce che cosi' facilmente si
moltiplicano sul terreno concimato delle sovvenzioni statali" (18) egli va
molto al di la' di un atteggiamento di maniera, piuttosto ricorrente, del
resto, proprio nella stessa scolastica marxista.
Il tema della personalita' individuale merita qualche considerazione
aggiuntiva.
L'avventuriero che nel suo girovagare per il mondo non ha mai smesso di
sentirsi argentino - "questa e' l'essenza della mia personalita'" (19) -
immette nella sua critica dello scolasticismo una nota tutta particolare,
qualcosa  che ha a che fare con il riverbero di un carattere nazionale. E'
quel  tratto individualistico, anarchico e ribelle, che un altro grande
argentino, Jorge Luis Borges, trova consacrato in "una notte della
letteratura argentina: la notte disperata nella quale un sergente della
polizia rurale grido' che non avrebbe permesso il delitto che si uccidesse
un coraggioso e si mise a combattere contro i suoi soldati, accanto al
disertore Martin Fierro" (20).
Nel poema epico di Jose' Hernandez che narra la storia del gaucho Martin
Fierro, anche Guevara sente risuonare "il grido dell'angosciosa ribellione"
(21):
Vive el aguila en su nido,
el tigre vive en la selva,
el zorro en la cueva agena,
y, en su destino incostante,
solo el gaucho vive errante
donde la suerte lo lleva.
[Jose' Hernandez, Martin Fierro, vv. 7133-7138]
Ma di questo individualismo argentino Borges sa cogliere anche  l'ambiguita'
e la miseria. Utile come antidoto nei confronti delle seduzioni di ogni
modello di Stato onnipervasivo e totalitario, esso nasconde in se' una
pericolosa presunzione di superiorita': in questo caso anche "giocare ad
essere un gaucho", puo' diventare "alla lunga, un'impossibilita' mentale e
morale" che assimila a "quei consanguinei del caos, che l'infinita
ripetizione dell'interessante formula sono argentino esime dall'onore e
dalla pieta'" (22).
Guevara corre fino in fondo questo rischio quando declina la nota
individualistica nella figura del rivoluzionario d'avanguardia che, come il
gaucho del Martin Fierro,
No tiene hijos, ni mujer,
ni amigos, ni protectores;
pues todos son sus señores,
sin que ninguno lo ampare.
[Jose' Hernandez, Martin Fierro, vv. 1349-1352]
Nel suo compito "a un tempo magnifico e angoscioso" il rivoluzionario
d'avanguardia "non [puo'] scendere con la [sua] piccola dose di affetto
quotidiano nei luoghi in cui lo esercita l'uomo comune" (23).
Il soldato della guerriglia deve prepararsi all'"odio intransigente contro
il nemico, che spinge molto oltre i limiti naturali dell'essere umano e lo
trasforma in una efficace, violenta, selettiva e fredda macchina per
uccidere" (24).
Si tratta certamente di situare queste parole nel gorgo storico di cui
dicevamo; ma restano sempre parole tremende.
Condividendo la diffidenza istintiva di Primo Levi per i profeti e
l'insofferenza di Kant nei confronti dello Schwaermerei (l'esaltazione
fanatica), devo confessare che la mia preferenza va a quella parte del
pensiero del Che che lascia varchi (anche se stretti) ad un incontro con la
tradizione personalistica e cosmopolita, quella che si origina dalla
congiunzione tra il cristianesimo e la tradizione laica dei diritti
dell'umanita', mediante la kantiana riconduzione all'illuminismo del
pensiero di Rousseau.
E' il Guevara che dialoga con le posizioni di Ernesto Sabato, ispirate al
personalismo cristiano (25).
O quello che si mostra consapevole dei rischi che corre il rivoluzionario
d'avanguardia di "cadere in eccessi di dogmatismo, in freddo scolasticismo"
e non vuole perdere il radicamento con la dimensione dell'uomo comune: "Per
quanto ci riguarda, abbiamo stabilito che i nostri figli debbano avere o
essere privi di cio' che hanno o di cui mancano i figli dell'uomo comune"
(26).
O, infine, quello cui piace esprimere concretamente il principio di
universalita' dell'etica nel linguaggio a lui congeniale dell'immagine
simbolica, con la citazione che ebbe piu' cara, quella da Jose' Marti':
"Ogni vero uomo deve sentire sulla propria guancia lo schiaffo inferto su
quella di qualunque essere umano".
*
Note
1. La lettera, del 17 giugno 1955, e' riportata in E. Che Guevara, Scritti
scelti, a cura di Roberto Massari, Erre Emme, Roma 1993, p. 226. Per
l'origine del celebre soprannome cfr. R. Massari, Che Guevara. Pensiero e
politica dell'utopia, Erre Emme, Roma 1993, pp. 92-93.
2. P. Sini, "Tre tesi per una riflessione necessaria", in Quaderni della
Fondazione "Ernesto Che Guevara", 3, 2000, pp. 37-43.
3. In "Note per lo studio della ideologia della rivoluzione cubana", (1960),
tr. it. in Scritti scelti, cit., pp. 400-411, aveva scritto: "Ci sono delle
verita' cosi' evidenti, cosi' connaturate alla coscienza dei popoli, che e'
inutile discuterle. Si deve essere marxisti con la stessa naturalezza con la
quale si e' "newtoniani" in fisica o "pasteuriani" in biologia [...]. E per
questo diciamo che le verita' essenziali del marxismo sono parte integrante
della comunita' culturale e scientifica dei popoli e le accettiamo con la
naturalezza che ci deriva da qualcosa che non ha bisogno di ulteriori
discussioni". Sull'"itinerario sofferto" della liberazione del Che dalle
"concezioni meccanico-evoluzionistiche del cosiddetto "materialismo
dialettico", onnicomprensivo e onnisciente dell'epoca staliniana" si veda R.
Massari, Che Guevara. Pensiero e politica dell'utopia, cit., pp. 108 e sgg.
4. E. Che Guevara, "La meccanizzazione dell'agricoltura" (1963), tr. it. in
Opere, a cura di Carlos Varela, Feltrinelli, Milano 1969, vol. III, tomo 1,
p. 377.
5. Citato in L. Colletti, "Rousseau critico della "societa' civile"", in
Ideologia e societa', Laterza, Bari 1969, p. 196.
6. Le confessioni di J.-J. Rousseau, tr. it. di V. Sottile Scaduto, in J.-J.
Rousseau, Opere, a cura di P. Rossi, Sansoni, Firenze 1972, p. 977. Nel
saggio Il problema Gian Giacomo Rousseau (tr. it. di Maria Albanese,  La
Nuova Italia, Firenze 1938, p. 60) Ernst Cassirer scrive: "Tutte le lotte
sociali del presente vengono ancor oggi mosse e sostenute da quest'impulso
originario. Esse si radicano nella coscienza della responsabilita' della
societa', che Rousseau per primo ha posseduta e che ha trapiantata nelle
epoche successive". Sul rapporto Rousseau-Marx resta fondamentale il lavoro
di Galvano Della Volpe, Rousseau e Marx, Editori Riuniti, Roma 1962.
7. E. Che Guevara, "Il socialismo  e l'uomo a Cuba" (1965), tr. it. in
Scritti scelti, cit. p. 709.
8. K. Marx, La questione ebraica, tr. it. di R. Panzieri, Editori Riuniti,
Roma 1969, p. 66: "La democrazia politica e' cristiana perche' in essa
l'uomo, non soltanto un uomo ma ogni uomo, vale come essere sovrano, come
essere supremo; si tratta pero' dell'uomo [...] in quanto ente estraneo,
differente dall'uomo reale".
9. G. Girardi, "Le idee del Che di fronte alla globalizzazione (I)", in
Quaderni della Fondazione "Ernesto Che Guevara", 3, 2000, pp. 18-31. Vedi
anche: "La "morte del Che" nella lotta ideologica. "Morte del Che" e "morte
del marxismo": riflessioni sulla crisi dell'ottimismo storico", in  Quaderni
della Fondazione "Ernesto Che Guevara", 2, 1999, pp. 19-27.
10. "Lettera alla madre del 24 settembre 1955", in Scritti scelti, cit., pp.
236-238.
11. "Lettera alla madre del  20 luglio 1955", in Scritti scelti, cit., pp.
226-231.
12. "Cacareco, i voti argentini e altri rinoceronti" (1960), in Opere, cit.,
vol. III, tomo 2, p. 416.
13. In Scritti scelti, cit., pp. 263-266.
14. E. Che Guevara, "I giovani e la rivoluzione" (1964), in Scritti scelti,
cit., p. 684. Sull'origine della parola d'ordine "Patria o morte.
Vinceremo",  adottata dal Che per concludere le sue lettere e i suoi
interventi a partire dal 1960, cfr. la nota del curatore  delle Opere, vol.
III, tomo 1, cit., p. 341.
15. E. Che Guevara, "I giovani e la rivoluzione", cit., pp. 689-690.
16. E. Burgos, "Decostruzione di un mito", in Quaderni della Fondazione
"Ernesto Che Guevara", 3, 2000, pp. 32-36.
17. E. Che Guevara, "Discorso al II seminario economico di solidarieta'
afroasiatica" (1965), in Scritti scelti, cit., p. 650.
18. E. Che Guevara, "Il socialismo e l'uomo a Cuba", cit., pp.708-710.
19. E. Che Guevara, "Rivoluzionare anche la medicina" (1959), tr. it. in
Opere, vol. III, tomo 2, cit., p. 119.
20. J. L. Borges, "Il nostro povero individualismo", in Altre inquisizioni,
tr. it. di F. Tentori Montalto, Feltrinelli, Milano 1976, p. 40.
21. E. Che Guevara, Poesie e scritti sulla letteratura e l'arte, tr. it. di
E. Clementelli e W. Mauro, Newton Compton, Roma 1999, pp. 65-67.
22. J. L. Borges, "Annotazione al 23 agosto 1944 ", in Altre inquisizioni,
cit., pp. 133-134.
23. E. Che Guevara, "Il socialismo e l'uomo a Cuba", cit., p. 712: "I
dirigenti della rivoluzione hanno figli che nei loro primi balbettii non
imparano a nominare il padre; mogli che devono partecipare al sacrificio
della loro vita, al fine di condurre la rivoluzione verso il suo destino; la
cerchia dei loro amici coincide con quella dei compagni della rivoluzione.
Non c'e' vita al di fuori di questa".
24. E. Che Guevara, "Creare due, tre... molti Vietnam e' la parola d'ordine"
(1967), in Scritti scelti, cit., p. 674.
25. E. Che Guevara, "Lettera  a Ernesto Sabato" (1960), in Scritti scelti,
cit. pp. 393-399. Cfr. la nota dello stesso Sabato, riportata in E. Che
Guevara, Scritti, discorsi e diari di guerriglia 1959-67, a cura di L.
Gonsalez, Einaudi, Torino 1969, p. 1446.
26. E. Che Guevara, "Il socialismo e l'uomo a Cuba", cit., p. 712-713.

4. MAESTRE. LAURA CONTI: IN REALTA' SAPPIAMO
[Da Laura Conti, Che cos'e' l'ecologia, Mazzotta, Milano 1977, 1981, p.
VIII.
Laura Conti nata a Udine nel 1921, partigiana, deportata e sopravvissuta al
lager. Medico, parlamentare, rappresentante autorevole dell'ambientalismo
scientifico e del movimento ecologista. E' scomparsa nel 1993. Opere di
Laura Conti: Assistenza e previdenza sociale, Feltrinelli, Milano 1958; La
condizione sperimentale, Mondadori, Milano 1965; Sesso e educazione, Editori
Riuniti, Roma 1975; Visto da Seveso, Feltrinelli, Milano 1978; Una lepre con
la faccia di bambina, Editori Riuniti, Roma 1978; Che cos'è l'ecologia,
Mazzotta, Milano 1981; Il tormento e lo scudo, Mazzotta, Milano 1981;
Ambiente terra, Mondadori, Milano 1988. Opere su Laura Conti: non conosciamo
monografie specifiche, un breve profilo è nel libro di Andrea Poggio,
Ambientalismo, Bibliografica, Milano 1996. Indirizzi utili: presso l'
Ecoistituto del Veneto è istituito un Premio ecologia "Laura Conti" a
soggetti impegnati concretamente per un futuro sostenibile: viale Venezia 7,
30171 Mestre (VE), e-mail: info at ecoistituto.veneto.it]
In realta' sappiamo che al mondo si produce tanto da poter dare a ciascuno
non solo 200 kg di cereali all'anno ma anche un etto al giorno di carne o
pesce: e che, se c'e' gente che muore di fame, e' soltanto perche' non c'e'
uguaglianza, e i ricchi tolgono il cibo ai poveri.

5. MAESTRE. ROSSANA ROSSANDA: GLI STORICI DIRANNO
[Da Rossana Rossanda, Un viaggio inutile, Bompiani, Milano 1981, p. 139.
Rossana Rossanda e' nata a Pola nel 1924, allieva del filosofo Antonio
Banfi, antifascista, dirigente del PCI (fino alla radiazione nel 1969 per
aver dato vita alla rivista "Il Manifesto" su posizioni di sinistra), in
rapporto con le figure più vive della cultura contemporanea, fondatrice del
"Manifesto" (rivista prima, poi quotidiano) su cui tuttora scrive. Impegnata
da sempre nei movimenti, interviene costantemente sugli eventi di più
drammatica attualità e sui temi politici, culturali, morali più urgenti.
Opere di Rossana Rossanda: Le altre, Bompiani, Milano 1979; Un viaggio
inutile, o della politica come educazione sentimentale, Bompiani, Milano
1981; Anche per me. Donna, persona, memoria, dal 1973 al 1986, Feltrinelli,
Milano 1987; con Pietro Ingrao et alii, Appuntamenti di fine secolo,
Manifestolibri, Roma 1995; con Filippo Gentiloni, La vita breve. Morte,
resurrezione, immortalità, Pratiche, Parma 1996; Note a margine, Bollati
Boringhieri, Torino 1996. Ma la maggior parte del lavoro intellettuale,
della testimonianza storica e morale, e della riflessione e proposta
culturale e politica di Rossana Rossanda è tuttora dispersa in articoli e
saggi pubblicati in giornali e riviste. Opere su Rossana Rossanda: non ci
risulta che siano state fin qui pubblicate monografie; di Rossana Rossanda
parlano tra gli altri in alcuni loro volumi Simone de Beauvoir e Jorge
Semprún. Indirizzi utili: redazione de "Il manifesto", via Tomacelli 146,
00186 Roma]
Forse gli storici diranno che l'economia fiori', crebbero le cose e perirono
soltanto gli uomini.

6. MAESTRE. VANDANA SHIVA: L'ATTUALE INTEGRAZIONE GLOBALE
[Da Vandana Shiva, Sopravvivere allo sviluppo, Isedi, Torino 1990, p. 268.
Vandana Shiva, scienziata e filosofa indiana, direttrice di importanti
istituti di ricerca e docente nelle istituzioni universitarie delle Nazioni
Unite, impegnata non solo come studiosa ma anche come militante nella difesa
dell'ambiente e delle culture native, è oggi tra i principali punti di
riferimento dei movimenti ecologisti, femministi, di liberazione dei popoli,
di opposizione a modelli di sviluppo oppressivi e distruttivi, e di denuncia
di operazioni e programmi scientifico-industriali dagli esiti
pericolosissimi. Opere di Vandana Shiva: Sopravvivere allo sviluppo, Isedi,
Torino 1990; Monocolture della mente, Bollati Boringhieri, Torino 1995;
Biopirateria, Cuen 1999; Vacche sacre e mucche pazze, DeriveApprodi, 2001]
La natura paradossale dell'attuale integrazione globale dell'economia
mondiale, attraverso la trama delle speculazioni e dei prestiti, e' che
questa si serve di mitiche formulazioni su computer e tabelloni elettronici,
ed e' capace di distruggere in un attimo le economie reali di interi paesi.

7. RILETTURE. DAVID CAYLEY:CONVERSAZIONI CON IVAN ILLICH
David Cayley, Conversazioni con Ivan Illich, Eleuthera, Milano 1994, pp.
224, lire 27.000. Un'ampia intervista al grande pensatore. Ivan Illich è
nato a Spalato nel 1925. Laurea in mineralogia a Firenze, studi ulteriori di
psicologia, arte, storia (dottorato a Salisburgo). Ordinato sacerdote nel
1951, per cinque anni opera in una parrocchia portoricana a New York, poi è
prorettore dell'Università Cattolica di Portorico. A Cuernavaca (Messico)
fonda il CIDOC (Centro interculturale di documentazione). Docente in varie
università, conferenziere, studioso costantemente impegnato nella critica
delle istituzioni e nella indicazione di alternative che sviluppino la
creatività e dignità umana. Pensatore originale, ha promosso importanti ed
ampie discussioni su temi come la scuola, l'energia, la medicina, il lavoro.
Tra le opere di Ivan Illich: Descolarizzare la società, Mondadori; La
convivialità, Mondadori, poi Red; Rovesciare le istituzioni, Armando;
Energia ed equità, Feltrinelli; Nemesi medica: l'espropriazione della
salute, Mondadori, poi Red; Il genere e il sesso, Mondadori; Per una storia
dei bisogni, Mondadori; Lavoro-ombra, Mondadori; H2O e le acque dell'oblio,
Macro; Nello specchio del passato, Red; Disoccupazione creativa, Red.
Raccoglie i materiali di un seminario con Illich il volume Illich risponde
dopo "Nemesi medica", Cittadella, Assisi 1978. Utile anche il volume di AA.
VV., Le professioni mutilanti, Cittadella, Assisi 1978 (che si apre con un
intervento di Illich).

8. RILETTURE. ROBERT JUNGK: L'ONDA PACIFISTA
Robert Jungk, L'onda pacifista, Garzanti, Milano 1984, pp. 256.
L'indimenticabile Robert Jungk, con la sua lucidita', con la sua tenacia.
Era nato a Berlino nel 1913, abbandonata la Germania nel 1933, va in esilio
prima in Francia, poi in Svizzera, poi in America. Successivamente ha
vissuto a Vienna. Giornalista e saggista impegnato nella coscientizzazione e
nei movimenti ecologisti e pacifisti. Opere di Robert Jungk: presso Einaudi
sono stati pubblicati Il futuro è già cominciato, Gli apprendisti stregoni
(storia degli scienziati atomici), Hiroshima il giorno dopo, La grande
macchina, L'uomo del millennio, Lo stato atomico; presso Garzanti L'onda
pacifista.

9. RILETTURE. NUTO REVELLI: L'ULTIMO FRONTE
Nuto Revelli, L'ultimo fronte, Einaudi, Torino 1971, 1989, pp. 424. Lettere
di soldati caduti o dispersi nella seconda guerra mondiale raccolte e
presentate dall'eroe della Resistenza e testimone della memoria popolare.
Nuto Revelli e' nato a Cuneo nel 1919, ufficiale degli alpini nella tragedia
della campagna di Russia, eroe della Resistenza, testimone della cultura
contadina e delle sofferenze delle classi popolari in guerra e in pace. Le
sue opere non sono letteratura, ma grande testimonianza storica, lucido
impegno civile, e limpida guida morale. Opere di Nuto Revelli: La guerra dei
poveri, La strada del davai, Mai tardi, L'ultimo fronte, Il mondo dei vinti,
L'anello forte, Il disperso di Marburg, Il prete giusto, tutti pubblicati
presso Einaudi.

10. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

11. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: http://www.nonviolenti.org ;
per contatti, la e-mail è: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
http://www.peacelink.it/users/mir . Per contatti: lucben at libero.it ;
angelaebeppe at libero.it ; mir at peacelink.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: http://www.peacelink.it . Per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761/353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 338 del 10 gennaio 2002