cenone di fine anno



Cenone di fine anno
di lanfranco caminiti

Il compassato "Times" inglese rivela che squadre speciali di commandos
americani si aggirano nei meandri delle grotte di Tora Bora per tagliare
le dita dei caduti di Al Qaeda. Le dita vengono infilate in appositi
sacchetti, ibernate con un procedimento speciale e inviate a Fort
Langley, per la conservazione e classificazione. L'orrenda macellazione
si giustifica con l'acquisizione di codici DNA, ma non è chiaro a cosa
potranno servire: a identificare qualcuno, forse, a impedire che
qualcuno si spacci per qualcun altro, forse, a studiare la sequenza del
genoma di un terrorista, fors'anche. Magari per clonarlo. Se un domani
tornasse comodo - e tornano comodo sempre -, si fa presto a tirare fuori
da un laboratorio un clone allevato con meticolosa cura: si eviterebbe
anche il rischio evidente della mancanza di fedeltà mostrata da quelli
"originali" [da "faccia d'ananas" Noriega a bin Laden]. Benché, come le
macchine di Bradbury, i terroristi coltivati in provetta pare si
ribellino anch'essi: il caso dell'antrace diffuso da uno "scienziato
pazzo" della Cia [qui non so cosa virgolettare, se "scienziato" o se
"pazzo"] non lascia tranquilli.
I resti di quello che fu descritto come il più potente esercito
terrorista del mondo sono abbandonati a qualunque oltraggio, più
scientifico nel caso di cui sopra, più selvatico nel caso delle varie
bande che depredano qualunque cosa. E' una bella gara a chi fa il lavoro
sporco [e qui non virgoletto niente]. Sento tanta vergogna per tutto
questo. La pena l'avevo spesa tutta per i morti delle Twin Towers.
Vorrei avere un'alternativa tra pena e vergogna.
Ho guardato con notevole curiosità le foto, diffuse dalle agenzie di
stampa, dei corpi vivi di quello che fu descritto come il più potente
esercito terrorista del mondo, uomini catturati, inginocchiati a capo
chino, trascinati per le strade, incaprettati spesso - non è chiaro se
dagli afghani che furono pastori o dai Rangers che hanno imparato dalla
mafia a fare dei buoni nodi.
Uno aveva un maglione con più buchi lui di tutti i buchi che le bombe
americane hanno fatto sulle città afghane e pure sulle montagne.
Uno era magro che faceva spavento per quanto era magro.
Uno aveva le ciabatte - e ci andava per nevai - che da noi sono buone
per l'estate e nemmeno tutti i giorni, che certe volte i più anziani,
che sono anche i più saggi, ci mettono comunque i calzini, quelli bassi,
che con il pantaloncino corto ci fanno tutta una parure.
Uno aveva tutte le croste sulla faccia.
Uno purtava le scarp de tenis.
Uno era vestito di soli stracci, tanti, uno sull'altro.
Uno era giovane, troppo giovane, senza neanche un filo di barba e ho
temuto per la verginità del suo culo, per quel suo essere stato fra le
bestie omofobiche di quello che fu descritto come il più potente
esercito terrorista del mondo.
Uno aveva un cappello lercio in testa.
Uno puzzava che la puzza la sentivi fin da qua. E lo capisco: la doccia
dev'essere l'ultimo dei suoi problemi adesso, ammesso che prima per il
mullah Omar farsi la doccia non fosse troppo perverso.
Uno sembrava proprio me, quando c'ho la barba lunga di giorni. A parte
gli occhiali.
Questi, pochi, son quelli rimasti vivi, a portare negli occhi e nel
cuore e sulla lingua l'orrore dei morti macellati a migliaia,
prigionieri passati a fil di spada. Chissà come avranno fatto i macellai
a distinguere afghani da ceceni e da arabi, da pakistani e da
marocchini, da yemeniti e da egiziani: forse gli avranno chiesto di dire
qualcosa in pashtun: ai Vespri in Sicilia, li fecero fuori così ai
francesi che cercavano di mimetizzarsi tra gli indigeni, "dici 'u
ciceru" e quelli, i galli, "siserò" e zacchete che lo scannavano.
E ho pure guardato le foto di quello che è davvero il più potente
esercito del mondo: ragazzoni salubri, odorosi, possenti, puliti,
pasciuti, con tute bellissime, termiche, pance piatte e sode, ray ban in
guerra come al surf, avambracci di muscolatura evidente, facce rasate, a
mascella dura, con tutti quei segni degli indiani Iowa sul naso, sulla
fronte, che incattiviscono pure, se mai ce ne fosse bisogno. Me li
ricordo in Iraq, c'avevano le tende con l'aria condizionata, nel
deserto, le tende con l'aria condizionata.
Non c'era proprio partita per i taliban. E se quelli, gli straccioni,
potevano pure giocare qualche inning buono, non duravano alla lunga.
Qualunque cronista sportivo poteva dircelo prima: non c'era proprio
partita. I barboni non vinceranno mai contro una squadra di strafichi.
E' la legge che governa i campionati e il mondo.
Ho visto pure la foto emblematica della caduta del governo del mullah
Omar: c'era un gruppo di uomini armati, mujaheddin, stesi sul suo letto.
La presa del potere, la caduta di Kandahar, da parte dei nuovi
governanti afghani è simbolizzata da quel pugno d'uomini armati su un
letto, il letto del mullah Omar. Quello è il palazzo d'inverno di questa
guerra: un letto. Con il materasso pure. Non c'è la bandiera rossa che
sventola sul Reichstag della Berlino nazista [pure evocata spesso
quest'ultima], non c'è la bandiera a stelle e strisce issata
plasticamente sull'isolotto giapponese di Iwo Jima: c'è invece un pugno
d'uomini stravaccati su un letto.
Avevano anch'essi, i nuovi vincitori, maglioni coi buchi, scarp de
tenis, cappelli lerci; erano troppo giovani, erano magri da far spavento
e puzzavano, e uno sembrava proprio me quando ho la barba lunga di
giorni, a parte gli occhiali. Credo sinceramente che per quegli uomini
aver conquistato un letto equivalga alla presa di un potere. Io spero
proprio che se lo tengano quel letto. E pure il materasso. Gli
toccherebbe e se lo sono guadagnato.
Poi, ho visto le foto del signor Karzai, con le sue belle stole di
cashmere, la sua barba sottile ben curata e le mani eleganti, i suoi
cappelli che deve averne una cifra e se non ci stanno attenti finirà con
il mandargli in rosso il bilancio del nuovo stato, come Imelda Marcos
con le scarpe, e un cappotto oversize di buona fattura comprato in
fretta per venire in occidente, ho sentito il suo fluid english e c'è
qualcosa - non so bene cosa - che non mi torna. Che c'azzeccano questi
altri barboni, i nuovi vincitori - pure quelli che sembrano ripuliti con
le giacche militari americane, come i nostri sciuscià del '45 -, che
c'azzeccano con Karzai?
Così, mi sono detto, mo' glielo propongo a quelli della Comunità di
sant'Egidio: quest'anno, il cenone di fine anno coi barboni fatelo a
Kabul, coi taliban e i mujaheddin, i pashtun e gli uzbeki, con tutti
quei barboni lì, con le loro scarp de tenis, le croste sulla faccia, i
cappelli lerci, i tanti stracci addosso e magri da far spavento.
Portategli il tacchino e le lenticchie, che ne mangino tante che vengono
soldi, il torroncino e il panettone, i mandarini e i datteri. Bisogna
portargli tutto, lì non c'è un supermercato da assaltare come in
Argentina. Le televisioni però ce le avranno presto, gliele ha promesso
il sciur Berlusca, e così tra l'Hindu Kush e la valle del Panshir, e nel
Bamiyan dove c'erano i Buddha fioriranno le parabole, come in tutti i
paesi poveri, come in Albania, in Romania, in Tunisia, a sognare gli
altri mondi. Potranno guardarsi anche loro Vespa e Costanzo, letterine e
quiz, la Ventura e Gasparri che litigano in diretta. A sognare questi
altri mondi. Circola voce che tanti televisori sono già pronti per la
Somalia e lo Yemen, per il Sudan e l'Iraq, alla faccia dell'embargo. E
pure le parabole sono pronte. Tante. Ma dopo. Dopo le bombe. Tante.
Se si fa questo cenone di fine anno a Kabul, ci vengo anch'io a dare una
mano ai tavoli, che c'ho pure un'esperienza. Però, ecco, non invitiamoli
i Fini e i Veltroni, i Rutelli e i Scajola, i Karzai. Lasciamoli fuori,
così quei barboni afghani mangiano in pace. Che mangino in pace. Poi
andranno a buttarsi sul letto del mullah Omar, tutti assieme, taliban e
mujaheddin, a scorreggiare lenticchie e panettone, che la puzza quando è
tutta assieme non ci fai caso più di tanto.
Dicono che a New York quest'anno ci siano in giro tanti barboni come non
se ne vedevano da tempo, di più anzi: ed è l'unico dato statistico che
non si riesce a far quadrare con l'11 settembre, la madre di tutti i
guai americani. Ma dicono siano tanti anche a Chicago e San Francisco, e
che comincino a circolare a Des Moines e Saratoga. Se avessi voce in
capitolo nella Comunità di sant'Egidio, inviterei pure loro a Kabul, al
cenone di fine anno con taliban e mujaheddin: con tutti quei B52 ci
mettono un attimo ad arrivare, da Des Moines e Saratoga. E magari, si
potrebbe chiedergli di fare un salto a Cordoba e Buenos Aires, prima. Si
capiranno tutti a gesti, e poi, quando stai con la testa nel piatto, ti
frega poco far conversazione col vicino.
Buon anno nuovo a tutti i barboni, a tutti gli homeless del mondo. Che
ovunque possano arraffare il materasso del letto del proprio mullah Omar
o la busta piena di bendidio del supermercato. Prima che ci taglino le
dita. Da vivi.

Roma, 24 dicembre 2001