La nonviolenza e' in cammino. 322



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761/353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 322 del 25 dicembre 2001

Sommario di questo numero:
1. Movimento Internazionale della Riconciliazione e Movimento Nonviolento,
campagna di obiezione per il disarmo economico e militare
2. Lidia Menapace, amica fa rima con parola
3. Norma Bertullacelli, il 26 dicembre a Genova
4. Alessandro Marescotti, il sito di "Qualevita" e l'agenda "Giorni
nonviolenti"
5. Riccardo Orioles, tre notizie
6. Enzo Mazzi, Natale di guerra
7. Umberto Santino: mafia, mafie, crimine transnazionale
8. Alcune azioni nonviolente per la pace in Palestina ed Israele (parte
prima)
9. La "Carta" del Movimento Nonviolento
10. Per saperne di piu'

1. INIZIATIVE. MOVIMENTO INTERNAZIONALE DELLA RICONCILIAZIONE E MOVIMENTO
NONVIOLENTO: CAMPAGNA DI OBIEZIONE PER IL DISARMO ECONOMICO E MILITARE
[Dall'ottimo sito www.nonviolenti.org riprendiamo questa proposta formulata
dal Movimento Internazionale della Riconciliazione (MIR) e dal Movimento
Nonviolento (MN)]
Proposta per una campagna di obiezione dei cittadini.
Il no della coscienza alla violenza organizzata, all'omicidio come soluzione
dei conflitti, si esercitava fino ad ora, nel nostro paese, soprattutto
nella forma del rifiuto del servizio militare, cioe' dell'addestramento ad
uccidere.
La legge 230 del 1998, cosi' come quella piu' recente sull'istituzione del
"servizio civile nazionale", che compiono alcuni importanti passi avanti
nella cultura giuridica dell'obiezione al militare, sono arrivate
contemporaneamente all'abolizione pratica della leva e al passaggio graduale
all'esercito professionale.
Nella nuova situazione che si presenta, e' dunque il cittadino in quanto
tale che ha da esprimere il rifiuto della violenza strutturale e culturale,
non solo di quella diretta, e ha da costruirne il continuo superamento. Ci
sono da praticare obiezioni e da attuare programmi costruttivi sui due lati
della cultura del dominio: il modello economico (produzione, scambi e
consumi) e il modello difensivo (tutela da aggressioni e tutela del
diritto).
Percio' ci sembra urgente un rinnovato impegno, coordinato e coraggioso, per
una nuova "campagna di obiezione per il disarmo economico e militare" che
sia contemporaneamente di resistenza al nuovo militarismo e di costruzione
dell'alternativa nonviolenta.
La campagna e' centrata su tre punti:
1) Dichiarazione di obiezione del/della cittadino/a, nella quale ci si
dissocia dalla politica militare del nostro paese e della Nato, evidenziando
l'incostituzionalita', l'immoralita' intrinseca di scelte aggressive, la
funzionalita' al sistema economico di rapina. Da parte delle donne
accompagnata da una dichiarazione di rifiuto esplicito della cosiddetta
"pari opportunita'" di servire nell'esercito. Da parte dei/delle giovani che
scelgono il servizio civile accompagnata da una dichiarazione che evidenzi
che la scelta fatta e' intesa come inconciliabile con il servizio militare,
escludendo la possibilita' di "richiami" in caso di guerra.
2) una dichiarazione di opzione per la nonviolenza attiva, che si
concretizza attraverso uno (almeno) dei seguenti impegni:
- adesione e/o sostegno a movimenti nonviolenti organizzati;
- versamento e/o partecipazione ad un progetto di intervento nonviolento in
zona di conflitto (es. Operazione Colomba, Io donna vado in Palestina,
Caschi bianchi, Berretti Bianchi...);
- servizio civile o volontariato in progetti di difesa civile, mediazione,
formazione alla nonviolenza presso associazioni o "uffici della pace", in
Italia o all'estero;
- versamento sul Fondo nazionale per il Servizio Civile, come opzione o
anche obiezione fiscale, in vista del riconoscimento del diritto di opzione.
3) un impegno concreto a orientare i propri consumi tenendo conto dei
principi della semplicita' volontaria e del consumo critico, che boicotta e
cerca di sottrarre risorse a quei settori della produzione, del commercio e
della finanza che sono implicati in modo piu' evidente nel sistema
militare-industriale di dominio.

2. RIFLESSIONE. LIDIA MENAPACE: AMICA FA RIMA CON PAROLA
[Questa riflessione di Lidia Menapace abbiamo estratto dall'ottimo sito
femminista e pacifista "Marea" animato da Monica Lanfranco. Lidia Menapace
e' tra le figure piu' vive della cultura delle donne, della pace, della
liberazione, della dignita' umana]
"Ma che cosa avevate da dirvi durante la ricreazione?" mi chiede - ancora
curioso - un caro amico, uno di quegli uomini che si interrogano su se
stessi e ripassano le loro reazioni verso di noi, bambine ragazze donne. "Di
tutto, i vestiti, i compiti, i permessi e i divieti, le paure, i
pettegolezzi, insomma parlavamo!".
E mi accorgo di botto che "amicizia" tra donne significa "parlarsi". Invece
i ragazzini, che noi guardavamo con un po' di compatimento, non facevano
altro - durante la ricreazione nei grandi cortili delle scuole elementari di
un tempo - che gridare correre urtarsi andare in branco dietro un pallone e
via cosi'. Certo avranno avuto anche loro le loro amicizie, ma credo fondate
su altro che sul parlarsi. L'amico mi dice che erano molto invidiosi di quel
che ci dicevamo, pensavano che li criticassimo e per questo facevano di
tutto per essere notati, esagerati, visibili, rumorosi, che ridere postumo!
Da quella prima esperienza viene poi fuori la nota cultura dei generi, per
cui le donne parlano di se', si parlano tra loro, pensano se stesse, si
vedono, si giudicano, si costruiscono, si esprimono, e gli uomini parlano
d'altro: come diciamo malignamente noi femministe: "le donne parlano di se',
gli uomini di donne e di calcio".
Ma poi di che si parla con le amiche? Di tutto, appunto, vestiti incontri
litigi invidie amori emozioni speranze complicita' segreti, ma non in modo
generale astratto, sempre riferito invece a una vicenda in corso, con nomi,
cognomi, vicinanze.
Mi pare che non potrebbe mai succedere al parlare delle donne di produrre
eventi lontani, senza nessi con cio' che si dice: cerco di spiegarmi. Gli
uomini hanno inventato i comandi che si gridano a distanza e producono
effetti, lanci, bombe, sfilate ecc. ecc.: Bush dice "crociata" e in Pakistan
attaccano un luogo di culto cristiano e uccidono persone.
Non e' che le donne siamo piu' buone, anche il nostro parlare produce
inimicizie cattiverie dolori, ma in qualche modo connessi vicini visibili
concreti. Mi pare che non ci potrebbe mai succedere di trasformare una
amicizia da scambio di parlari in scambio di ordini a distanza, tra suono
delle voci, inflessione del dialetto, fiato sentore del corpo in
disincarnato messaggio. Non sta nell'ordine della nostra parlata...
E' vero che molte cose parlate tra noi amiche sono inessenziali, come vanno
d'accordo i colori, che senso ha cucinare, come si tolgono le macchie da un
vestito, come si compra meglio in un luogo ecc. ma anche che significa
vivere amare legarsi liberarsi da vincoli ecc. sempre pero' nella cerchia
del parlato.
Quando donne gridano, il suono si perde perche' le grida delle donne
significano qualcosa di triste pericoloso brutto per il gruppo coinvolto.
A me piace che amicizia significhi parlarsi, mi piacerebbe che anche gli
uomini imparassero a dire parole non definitive, non gridate, non scritte
subito su importanti documenti, che imparassero la lieve dimensione del
parlarsi, che puo' anche essere cattivo urtante insidioso, ma cui puo'
sempre essere opposto un gesto, un verbo, una smorfia, un'altra parola: il
loro linguaggio al contrario finisce sempre per avere un'eco definitiva, di
minaccia, ultimatum, fetore di morte non accolta, non accompagnata da
pieta', che orrore!  Per non avere appreso l'amicizia, per avere paura di
apparire meno virili perche' hanno amici con cui si parla con confidenza gli
uomini hanno inventato la guerra, il piu' tremendo dei silenzi non
comunicanti, la morte.

3. INIZIATIVE. NORMA BERTULLACELLI: IL 26 DICEMBRE A GENOVA
[Norma Bertullacelli, insegnante, amica della nonviolenza, e' impegnata
nella "Rete controg8 per la globalizzazione dei diritti" di Genova. Per
contatti: norma.b at libero.it]
Anche se e' un giorno festivo, anche mercoledi 26 dicembre si svolgera'
l'ora in silenzio per la pace che ormai da tre mesi i pacifisti genovesi
organizzano settimanalmente sui gradini del palazzo ducale.
Il perche' e' presto detto.
Continua una guerra: illegale, perche' esplicitamente vietata dalla nostra
Costituzione; criminale, perche' moltiplica ogni giorno le vittime
innocenti; inutile a perseguire il terrorismo internazionale ma utilissima
per moltiplicare i profitti dei fabbricanti d'armi (le azioni del settore
armiero sono salite del 25% dopo l'11 settembre).
In piu', si aggrava ogni giorno il dramma del popolo palestinese, per il
quale non valgono ne' le risoluzioni dell'Onu, ne' il diritto
internazionale: a tutt'oggi a Yasser Arafat viene vietato di recarsi a
Betlemme; un sopruso inaudito nei confronti di un capo di stato, ma anche
nei confronti di qualsiasi persona.
E, a fronte di tagli alla scuola, all'assistenza ed alla cooperazione
internazionale, prosegue tranquillamente, nei cantieri di Riva Trigoso, la
costruzione della seconda portaerei italiana, per la modica spesa di
quattromila miliardi.
L'appuntamento e' dunque per mercoledi 26 dicembre, dalle ore 18 alle 19,
sui gradini del palazzo ducale.

4. CULTURA DI PACE. ALESSANDRO MARESCOTTI: IL SITO DI "QUALEVITA" E L'AGENDA
"GIORNI NONVIOLENTI"
[Alessandro Marescotti e' il presidente di Peacelink, la principale rete
telematica pacifista italiana. Per contatti: e-mail:
a.marescotti at peacelink.it, sito: www.peacelink.it]
Cliccate su: www.peacelink.it/users/qualevita/
E' infatti stato creato su PeaceLink il sito Internet di Qualevita, l'ottima
casa editrice che da anni e' impegnata sulle tematiche della nonviolenza.
Qualevita distribuisce ogni anno un'agenda. Anche quest'anno quest'anno e'
possibile ordinarla (con sconti per ordinazioni di gruppi): "Giorni
nonviolenti 2002", Edizioni Qualevita, via Buonconsiglio 2, 67030 Torre dei
Nolfi (AQ), tel. 086446448, lire 16.000.
"Giorni nonviolenti 2002" e' l'agenda pensata per i pacifisti e i
nonviolenti. Ogni giorno una massima piu' un archivio finale di indirizzi e
informazioni utili. L'augurio che il curatore dell'agenda - il bravissimo
Pasquale Jannamorelli - offre per il nuovo anno e' racchiuso in questa frase
di Beltrand Russel: "Il mio sogno e' una societa' dove gli individui si
sviluppino liberamente e dove l'odio, l'avidita' e l'invidia muoiano perche'
non si possono nutrire di niente".
Per informazioni: e-mail: sudest at iol.it; tel. 086446448; cell. 3495843946.

5. INFORMAZIONE. RICCARDO ORIOLES: TRE NOTIZIE
[Dal n. 106 della rivista telematica "Tanto per abbaiare" redatta da
Riccardo Orioles riprendiamo le seguenti note, ma l'intera rivista andrebbe
letta. Per poterlo fare basta inviare una e-mail all'indirizzo
ricc at libero.it e vi giungera' gratuitamente per e-mail. Riccardo Orioles e'
il piu' grande giornalista italiano vivente, e' impegnato contro la mafia
con la tenacia che era anche di Pippo Fava (suo amico e compagno di lotte
che la mafia assassino' vent'anni fa), ha la memoria lunga e il
caratteraccio dei vecchi militanti che non si sono mai arresi, e si batte da
una vita per la verita' e la giustizia. Per questo la sua firma non compare
mai sui mass-media che contano]
Informazione 1. Poco rilievo sui giornali italiani alle novita' nelle
indagini sulla morte del giornalista italiano Antonio Russo, assassinato
perche' indagava sulle atrocita' commesse da militari russi sulla
popolazione cecena. La madre del giornalista ha dichiarato che da qualche
parte deve esistere una videocassetta con immagini di bambini ceceni
sfigurati e uccisi dagli occupanti, e fa appello alle autorita' affinche'
questa cassetta venga ricercata. Ma i russi ora sono fedeli alleati e i
ceceni bruti terroristi; e il resto segue.
Antonio Russo lavorava per Radio Radicale, che appartiene a un partito che
detesto. Ma la verita', e i giornalisti che la servono, non hanno ne'
partito ne' bandiera.
*
Informazione 2. America. Il giudice ha bloccato - dopo molti anni di
rinvii - l'esecuzione di Mumia Abu Jamal, che nonostante il nome e' un
giornalista (nero) americano ed e' accusato di delitti di cui si e' sempre
proclamato innocente. "Mi vogliono condannare solo perche' scrivevo contro
il potere". Le prove infine emerse per la sua innocenza evidentemente non
debbono essere trascurabili se lo stesso giudice americano, e in un momento
come questo, ha sospeso il procedimento.
Io ne sono contento per due motivi: uno, che un innocente che si salva e'
sempre una bella cosa; due, che la salvezza di Mumia deriva in buona parte
dalla solidarieta' internazionale che ha impedito di farlo fuori aumma
aumma. Questa solidarieta' in buona parte e' venuta dall'Italia.
E in Italia a sollevare il caso e' stato Edgardo Pellegrini, un giornalista
(compagno: prima a Radio Popolare e poi ad Avvenimenti) che adesso non c'e'
piu' ma quando c'era faceva davvero bene il suo mestiere. E anche ora che
non c'e' piu', a pensarci bene, sta continuando a fare il suo lavoro, visto
che ha appena salvato un uomo.
*
Informazione 3. Condannati a centinaia di milioni Claudio Riolo
dell'universita' di Palermo e Umberto Santino del Centro Impastato.
Avevano scritto che Musotto (politico di Forza Italia) faceva male, come
avvocato, a difendere un mafioso mentre come politico rappresentava i
cittadini; e che alcuni mafiosi consideravano amico Mannino (ex ministro
dc). Sotto tiro, per le medesime "colpe" Alfredo Galasso.
Personalmente, sono stato querelato parecchie volte per aver scritto cose
simili (e anche piu' dure) contro altri esponenti politici. Alla fine, sono
sempre stato assolto. Qual e' il trucco? Ecco: grosso modo, se tu sei un
pubblico ufficiale (quasi tutti i politici lo sono) e quereli uno, gli devi
dare "facolta' di prova": se hai rubato davvero, il giornalista che ti ha
denunciato di solito viene assolto. Se invece ti fai furbo e gli chiedi i
danni civili, non hai bisogno di provare niente, ma viceversa. Il processo
e' piu' lungo, ma l'esito e' matematicamente favorevole al politico.
Esempio: "L'onorevole Al Capone ha a che fare coi gangster". Querela: il
giornalista presenta tutte le cronache di Chicago, le testimonianze, ecc; il
giudice decide e probabilmente il giornalista viene assolto.
Danni civili: l'avvocato di Al Capone dichiara "Il mio cliente e' un
politico galantuomo, difatti formalmente e' stato condannato solo per una
banale evasione fiscale e tutto il resto non interessa al processo". E il
giornalista viene condannato ad alcuni miliardi di risarcimento.
Quand'e' che un politico puo' querelare e quand'e' che puo' fare causa
civile? A capriccio suo: se e' abbastanza ricco da potersi permettere i
tempi lunghi della causa civile, di solito fa causa civile e non querela.
Cosi', fra l'altro, puo' annunciare di aver "denunciato il giornalista"
senza correre il rischio di una smentita immediata. Negli ultimi anni
giornali e tv si sono concentrati moltissimo (in Sicilia, addirittura, e'
rimasto un editore solo) e quindi i giornalisti che fanno informazione sono
sempre piu' isolati. I politici sono sempre piu' ricchi e forti e dunque un
sacco di notizie non arrivano semplicemente perche' il giornalista, anche
onesto, si spaventa a metterci il becco.
Chi ci va di mezzo, alla fine, e' il lettore che di tutto cio' di quel che
succede in Italia in sostanza e' autorizzato a sapere quanto segue: "La Roma
ha battuto il Chievo 3 a 0. Fighetto Fighetti e' il nuovo Grande Fratello.
Domani forse piovera'. Punto".
Puo' andarti bene cosi'? Oppure bisogna cambiare la legge e mettere il
giornalista in condizione di aspettarsi, quando scrive il pezzo, un'onesta
querela e non una gabola da venti miliardi? Io giornalista ho il dovere di
scrivere, il politico ha il diritto di difendersi, e soprattutto tu lettore
hai il diritto (e anche l'obbligo: se no non sei una persona civile ma un
talebano) di essere informato.
Bene. Ora qui c'e' un appello per "rivendicare il diritto e il dovere di
sottoporre l'operato di chi ricopra cariche pubbliche al vaglio
dell'opinione pubblica, con la consapevolezza che ciascun politico ha una
responsabilita' aggiuntiva rispetto agli altri cittadini nella misura in cui
coinvolge la credibilita' delle istituzioni. In particolare, sul terreno
della lotta contro la mafia, la piena liberta' d'informazione e di opinione
e' indispensabile per individuare e stigmatizzare tutti quei comportamenti
che configurino responsabilita' politiche e morali, indipendentemente
dall'accertamento di eventuali responsabilita' penali che spetta
esclusivamente alla magistratura". Lo firmano Arci, Centro Siciliano di
Documentazione "Giuseppe Impastato", Centro Sociale "San Francesco Saverio",
Il Manifesto, Libera, Mezzocielo, Micromega, Narcomafie, Palermo anno uno,
Promemoria Palermo, Scuola "Giovanni Falcone", Segno, Uisp.
Per saperne di piu': tel. 0916259789, 091333773 (Arci), e-mail: csdgi at tin.it
(Centro Impastato), redazione at scirocco-news.org

6. RIFLESSIONE. ENZO MAZZI: NATALE DI GUERRA
[Enzo Mazzi e' da decenni una delle voci piu' autorevoli dell'impegno
cristiano per la pace e la dignita' umana. Questo intervento e' apparso sul
quotidiano "Il manifesto" del 23 dicembre. Tre sole osservazioni ci pare
necessario premettere. La prima: che alla domanda rammentata nel primo
capoverso Gandhi rispondeva che l'orrore della bomba atomica non soltanto
non aveva distrutto la sua fede nella verita' e nella nonviolenza "ma anzi
mi ha chiaramente dimostrato che la verita' e la nonviolenza costituiscono
la forza piu' potente del mondo" ed una scelta vieppiu' necessaria (Mohandas
Gandhi, Teoria e pratica della nonviolenza, Einaudi, Torino 1973, 1984, p.
352). La seconda, che sul concetto di "disobbedienza" ci sono non meno
equivoci che sul concetto di "obbedienza", e che certe pratiche odierne
spacciate sotto il nome di disobbedienza civile da personaggi irresponsabili
(talvolta benintezionati, piu' spesso neppure tali) sono il peggior
tradimento e la piu' inammissibile sfigurazione dell'autentica disobbedienza
civile. La terza, che l'iniziativa di cosiddetta obiezione alle spese
militari proposta dal settimanale "Carta", che nell'articolo si apprezza
citandola ad esempio, e' invece a nostro avviso un'iniziativa per piu' versi
equivoca, che non giova alla chiarezza e scandalosamente non tiene adeguato
conto di un'esperienza (appunto la pluridecennale campagna di obiezione alle
spese militari promossa dai movimenti nonviolenti) e di un dibattito (fin
lacerante, come e' noto a quanti di pace e nonviolenza si occupano con un
po' d'attenzione da un po' prima di quest'autunno) che negli utimi due
decenni in Italia sono stati importanti e non devono essere rimossi; il
fatto stesso di usare l'aggettivo "fiscale" da parte della certo utile e
interessante ma confusa, sovente assai discutibile e talora decisamente
irresponsabile rivista, e' sintomatico di un'ignoranza e un disprezzo che
noi troviamo assai gravi. Ma basta cosi' o l'introduzione diventa piu' lunga
dell'articolo]
Non credo di essere il solo a vivere con senso di grave disagio questo
Natale di guerra.
Di fronte alla esplosione della bomba di Hiroshima Gandhi si domando' e
domando' come era possibile continuare ad avere fede: fede nell'uomo,
nell'amore come anima del mondo, nella nonviolenza come forza spirituale che
abita tutti gli esseri umani. Le stesse domande scuotono oggi le nostre
coscienze o quantomeno rendono inquieti i nostri dormiveglia.
Non c'e' bisogno di essere cristiani o credenti per giudicare anche
laicamente l'inconciliabilito fra il "Natale-festa della vita" e questa
attuale festa di morte che accompagna ormai la nostra vita quotidiana.
Semmai per i cristiani tale inconciliabilita' e' piu' radicale. Un testimone
della pace, il cardinale Giacomo Lercaro, dopo la sua abdicazione-rimozione
dall'ufficio di vescovo di Bologna, avvenuta nel febbraio 1968, voluta fra
gli altri dal presidente Usa Johnson e dalla Cia a causa dalla forte
condanna dell'intervento militare americano contro il Vietnam, lasciava
quasi come testamento spirituale ai cristiani l'impegno a opporsi "con
rigore e intransigenza proprio in nome della fedelta' a Cristo" al "sistema
di guerra in cui viviamo", perche' "oggi l'obbedienza allo Spirito passa
attraverso il rifiuto del sistema di guerra e la riscoperta gioiosa della
pace come condizione umana di sviluppo e di adempimento della intera
creazione".
Tre anni prima don Lorenzo Milani, nel 1965, scrivendo la sua autodifesa,
nel processo per aver difeso l'obiezione di coscienza per cui fu condannato
in Corte d'appello, condensava lo stesso messaggio di Lercaro nella frase
"L'obbedienza non e' piu' una virtu'".
La disobbedienza dei pacifisti di oggi ha salde radici storiche in ogni area
culturale. Lo sapevamo, ma e' bene ricordarlo. Non basta dire "pace",
bisogna dire e fare "disobbedienza" per vivere con un minimo di coerenza il
Natale in tempo di guerra.
"Disobbedienza" e' noncollaborazione alla guerra in tutte le forme possibili
come ad esempio l'obiezione fiscale alle spese militari proposta da "Carta"
in forma nuova e piu' facilmente praticabile da tutti.
"Disobbedienza" e' opporsi alle cause della guerra, seminagione di
nonviolenza attiva, apertura alla solidarieta' universale, tolleranza come
accoglienza del "diverso", riscoperta del senso del limite del nostro
progresso e della nostra corsa al privilegio, rinuncia esplicita e attiva
agli assoluti religiosi, valorizzazione dell'incontro e della fecondazione
reciproca fra le diversita' culturali e religiose.
Questi semi di "disobbedienza creativa" diffusi ovunque, ma cosi' poco
visibili perche' oscurati da un clima di omologazione montante verso i
modelli di vita e il pensiero unico imposti dai poteri che dominano il
mondo, questi semi di speranza sono oggi, io credo, l'essenza del Natale.

7. MATERIALI. UMBERTO SANTINO: MAFIA, MAFIE, CRIMINE TRANSNAZIONALE
[Il seguente testo di Umberto Santino abbiamo estratto da un suo piu' ampio
scritto dal titolo "I crimini della globalizzazione. Voci per un glossario",
disponibile integralmente nel sito del Centro siciliano di documentazione
"Giuseppe Impastato". Umberto Santino, fondatore e presidente del Centro, e'
il piu' grande studioso del fenomeno mafioso e fondamentale figura di
riferimento del movimento antimafia. Per contatti: Centro Siciliano di
Documentazione "Giuseppe Impastato", via Villa Sperlinga 15, 90144 Palermo,
e-mail: csdgi at tin.it, sito: www.centroimpastato.it]
* Mafia: stereotipi e paradigmi
Il termine "mafia" prima impiegato solo per designare un fenomeno siciliano
da qualche tempo viene usato per indicare fenomeni criminali presenti
sull'intero pianeta.
La mafia siciliana e' l'organizzazione criminale piu' nota, spesso
attraverso rappresentazioni fuorvianti (stereotipi) o parziali (paradigmi).
Le idee correnti sulla mafia classificabili come stereotipi danno di essa
un'immagine apologetica (i mafiosi come "uomini d'onore", come essi stessi
si definiscono, eredi e custodi di una Tradizione ricca di valori positivi)
o negano l'esistenza di una struttura organizzativa e raffigurano la mafia
solo come una mentalita' e un codice comportamentale condivisi da un'intera
popolazione o da una parte rilevante di essa (subcultura).
I paradigmi piu' accreditati sono due: la mafia come associazione criminale
tipica e come impresa. La Legge antimafia del 13 settembre 1982 ha definito
per la prima volta l' associazione di tipo mafioso, caratterizzata dal fatto
che gli associati si avvalgono della forza di intimidazione del vincolo
associativo e della condizione di assoggettamento e di omerta' (la
cosiddetta legge del silenzio) che ne deriva per commettere delitti, per
acquisire la gestione o il controllo di attivita' economiche, di
concessioni, autorizzazioni, appalti e servizi pubblici o per realizzare
profitti ingiusti per se' o per altri. La legge e' stata approvata una
settimana dopo il delitto Dalla Chiesa, e' in ritardo di piu' di un secolo
rispetto all'esistenza documentata dell'organizzazione mafiosa ed e'
arretrata rispetto all'evoluzione del fenomeno mafioso, cogliendone solo il
ruolo nelle attivita' imprenditoriali, mentre gia' in quella fase erano
abbastanza sviluppate le attivita' finanziarie.
Successivamente, anche grazie alle dichiarazioni di mafiosi che hanno
collaborato con la giustizia, la mafia siciliana e' stata identificata con
Cosa nostra, organizzazione criminale piramidale e verticistica, cosi'
strutturata: alla base le famiglie, a livello intermedio i mandamenti, al
vertice una commissione provinciale o cupola e ancora piu' in alto una
supercommissione interprovinciale, diretta da un capo dei capi.

* Il paradigma della complessita'
In realta' il fenomeno mafioso va oltre la dimensione associativa e
l'attivita' imprenditoriale ed e' piu' adeguatamente rappresentato
attraverso un "paradigma della complessita'", secondo un'ipotesi definitoria
cosi' formulabile: mafia e' un insieme di organizzazioni criminali che
agiscono all'interno di un contesto relazionale e si configura come un
sistema di violenza e di illegalita' finalizzato all'accumulazione del
capitale e all'acquisizione e gestione di posizione di potere, si avvale di
un codice culturale e gode di un certo consenso sociale.
I gruppi criminali non sono delle isole ma la punta emergente di un iceberg:
essi fanno parte di un blocco sociale transclassista, egemonizzato da
soggetti illegali e legali (capimafia, professionisti, imprenditori,
amministratori, politici) che costituiscono una frazione di classe dominante
(borghesia mafiosa). Pertanto la mafia non e' solo un gruppo criminale e una
fabbrica di delitti, ma un soggetto economico e politico, la cui
specificita' e' data dall'uso privato della violenza, cioe' dal non
riconoscimento del monopolio statale della forza, e da una lunga tradizione
di impunita', dovuta al ruolo della violenza mafiosa nei processi di
accumulazione e nel controllo sociale.
Per quanto riguarda l'evoluzione storica della mafia, al di la' dello
stereotipo generazionale circolante, secondo cui a una mafia vecchia
succederebbe una mafia nuova, la storia del fenomeno mafioso intreccia
continuita' e trasformazione, persistenze ed innovazioni, rigidita' formali
ed elasticita' di fatto, e sulla base della rilevazione degli aspetti
prevalenti e dei mutamenti del contesto e' possibile delineare una
periodizzazione: una fase di incubazione (fenomeni premafiosi), una fase
agraria, una fase imprenditoriale, una fase finanziaria.
Lo stereotipo che identifica la popolazione siciliana, o gran parte di essa,
con la mafia e' privo di fondamento: in Sicilia, in tutta la fase del
movimento contadino (dai Fasci siciliani dell'ultimo decennio del XIX secolo
agli anni '50 del XX secolo) ci sono state lotte di massa tra le piu' grandi
d'Europa, avendo coinvolto centinaia di migliaia di persone, che hanno avuto
un alto costo di sangue, scontrandosi con la mafia e con le istituzioni, e
si sono dissolte nell'emigrazione. Anche negli ultimi decenni, in risposta
all'incremento della violenza mafiosa, dovuta al lievitare
dell'accumulazione illegale e conseguentemente della richiesta di spazi di
potere e di occasioni d'investimento, c'e' stato un movimento antimafia che
ha avuto come protagonista la societa' civile e settori delle istituzioni,
anche se con forti limiti, come la precarieta', l'emotivita', la mancanza di
un progetto in grado di coinvolgere vasti strati della popolazione.

* Altre mafie
La legge antimafia ha esteso il modello mafioso siciliano ad altre
organizzazioni criminali italiane, storiche come la 'ndrangheta calabrese e
la camorra campana, e nuove come la Sacra corona unita pugliese o la mafia
del Brenta operante nel Veneto.
A livello internazionale si usa il termine mafie anche per organizzazioni
criminali complesse, attive da tempo, come le Triadi cinesi e la Yakusa
giapponese, o costituitesi recentemente, come i cartelli latino-americani,
la mafia russa, albanese, nigeriana ecc.
Questi gruppi presentano aspetti specifici, ma condividono con la mafia
siciliana aspetti costitutivi come l'esistenza, in forme diverse, di una
struttura organizzativa e la finalizzazione delle attivita' criminali
all'arricchimento e all'acquisizione di posizioni di potere attraverso il
controllo del territorio. Sono in atto processi di omologazione, in quanto i
gruppi criminali svolgono le stesse attivita', come il traffico di droghe,
si trovano ad affrontare gli stessi problemi, come il riciclaggio del
capitale illegale, e si avvalgono di un sistema relazionale, intrattenendo
rapporti con soggetti che rendono possibile l'utilizzazione di strumenti
della tecnologia avanzata, danno indicazioni sulle scelte piu' convenienti
per l'impiego dei capitali e assicurano i collegamenti con il contesto
sociale e istituzionale.
Fra i vari gruppi criminali ci sono forme di collaborazione e di divisione
del lavoro ma non risponde alla realta', almeno fino ad oggi, la
rappresentazione circolante sui media secondo cui esisterebbe una cupola
mondiale, una sorta di Supermafia, per di piu' egemonizzata dalla mafia
siciliana, raffigurata come una Piovra universale.

* Il crimine transnazionale
Da qualche tempo, in documenti ufficiali delle Nazioni Unite, si parla di
crimine transnazionale. Secondo la definizione adottata dalla Convenzione
contro la criminalita' organizzata transnazionale, firmata a Palermo nel
dicembre del 2000, un reato e' transnazionale se e' commesso in piu' di uno
Stato, e' commesso in uno Stato ma e' preparato, controllato e diretto in un
altro Stato, se vi e' implicato un gruppo criminale organizzato impegnato in
attivita' criminali in piu' di uno Stato.
La convenzione dispone l'introduzione negli ordinamenti degli Stati
firmatari del reato di associazione criminale di tipo mafioso, sul modello
della legislazione italiana e di quella degli Stati Uniti, che prevede il
reato associativo nella forma di conspiracy, norme contro il riciclaggio e
contro la corruzione, per la confisca dei beni derivanti da attivita'
illecita. Due protocolli aggiuntivi riguardano la tratta di persone, in
particolare di donne e bambini, e il traffico di migranti.
La Convenzione rappresenta il tentativo di creare un diritto penale
internazionale a partire dal tema dell'internazionalizzazione del crimine
organizzato, ma, a parte l'affidabilita' di vari Stati firmatari
direttamente o indirettamente coinvolti in attivita' criminali, non puo'
affrontare il problema della eziologia del crimine, prodotto dai processi di
globalizzazione e in particolare dall'aggravamento degli squilibri
territoriali e dei divari sociali, che rendono sempre piu' conveniente il
ricorso all'accumulazione illegale, e dalla finanziarizzazione che rende
sempre piu' difficile la distinzione tra capitali legali e illegali.

* Bibliografia
Santino Umberto, La mafia interpretata. Dilemmi, stereotipi, paradigmi,
Rubbettino, Soveria Mannelli 1995; Storia del movimento antimafia. Dalla
lotta di classe all'impegno civile, Editori Riuniti, Roma 2000; Dalla mafia
al crimine transnazionale, in "Nuove Effemeridi", XIII, n. 50, 2000, sito
Centro Impastato: www.centroimpastato.it.
Camera dei deputati - Senato della Repubblica, La costruzione dello spazio
giuridico europeo contro il crimine organizzato, Roma 2001: contiene il
testo in italiano della Convenzione delle Nazioni Unite sul crimine
transnazionale.

8. INIZIATIVE. ALCUNE AZIONI NONVIOLENTE PER LA PACE IN PALESTINA ED ISRAELE
(PARTE PRIMA)
[Dal sito del Movimento Nonviolento (www.nonviolenti.org) riportiamo una
serie di comunicati concernenti varie iniziative nonviolente congiunte tra
israeliani e palestinesi per la pace e la convivenza]
La regione del Sussya diventa zona militare
Nella settimana tra il 17 e il 23 settembre scorso, 118 abitanti della
regione di Sussya (sulle montagne dell'Hebron meridionale) sono stati
sfrattati dalle loro case dalle forze militari israeliane, e le case sono
state distrutte dai soldati.
Per protesta, il 24 settembre circa 80 attivisti di Ta'ayush, ICAHD, Bat
Shalom, Gush Shalom, Peace Now, B'Tselem, The Women's Coalition e RHR hanno
raggiunto l'area e hanno aiutato gli abitanti a riparare parte dei danni
ricevuti. Un piccolo gruppo e' rimasto per tutta la notte, per garantire che
gli abitanti non venissero nuovamente espulsi, in attesa che una loro
petizione formale venisse giudicata dalla Corte Suprema di Israele. Difatti,
il giorno seguente l'esercito israeliano ha cercato di espellere i
palestinesi dalla zona. Gli attivisti di Ta'ayush erano presenti e i soldati
hanno ritrattato.
Il 26 settembre la Corte Suprema di Israele ha riconosciuto alla popolazione
il diritto a rientrare nella propria terra.
Lo stesso giorno, quando i palestinesi hanno cercato di raggiungere le loro
case, sono stati fermati dai soldati israeliani. L'area e' stata dichiarata
zona militare e chiusa fino al 26 dicembre - cioe' per i successivi tre
mesi.
Questa evidente violazione dei diritti umani del popolo palestinese,
dell'esplicita decisione della Corte Suprema, e delle promesse pubbliche
rese dalle autorita' civili e militari, rendono esplicito che l'espulsione
e' un passo preliminare alla annessione di quest'area da parte di Israele.
*
Una campagna di protesta contro 4 nuovi insediamenti
La stazione radio "Channel 7", che trasmette illegalmente ma senza alcun
impedimento proprio a pochi passi dalla sede dell'esercito israeliano nella
West Bank, aveva annunciato con qualche anticipo che la domenica 7 ottobre
sarebbero stati creati quattro nuovi insediamenti israeliani in territorio
palestinese.
La radio aveva chiamato a raccolta i nuovi coloni e i loro sostenitori per
prendere parte in massa alle cerimonie di istituzione, con la partecipazione
di esponenti religiosi.
Due dei quattro insediamenti - sotto il nome di "Har Ephraim" e "Har
Hemed" - dovevano essere localizzati vicino a quello gia' esistente di
Kdumim, ad ovest di Nablus, sulla West Bank. Un terzo insediamento doveva
trovarsi vicino a Beit Hagai, nell'Hebron, e l'ultimo nella striscia di
Gaza, sulla riva mediterranea, a poca distanza dalla citta' palestinese di
Rafah, al centro dell'attenzione dei recenti fermenti tra la popolazione
palestinese e le forze armate israeliane. L'emittente radiofonica
trasmetteva perfino il numero verde dei coordinatori dell'azione, a cui
unirsi e richiedere ulteriori informazioni. Secondo il comunicato, i quattro
nuovi insediamenti erano gia' stati approvati dal governo Sharon, che aveva
garantito protezione militare.
Una richiesta ufficiale inviata in proposito da Gush Shalom al Ministro
della Difesa non ha ottenuto risposta, pertanto si stava organizzando
l'intervento di gruppi pacifisti per prendere le difese della popolazione
residente. Gush Shalom riteneva che l'approvazione del governo ci fosse
realmente, dato il record di insediamenti del governo attuale. Ad esempio,
pochi mesi prima il ministro della Difesa Ben Eliezer aveva incoraggiato
l'occupazione di El Khader Village, vicino a Betlemme, per la creazione
dell'insediamento di Giv'at Ha'atamar, tra le proteste, violentemente
disperse, dei palestinesi legittimi proprietari delle terre e dei pacifisti
israeliani.
Il primo ottobre i coloni di Ma'on, vicino a Uata, sul lato meridionale
della West Bank, hanno occupato una parte di terra appartenente al villaggio
palestinese di Umm al Shuhan per ergervi, con il supporto militare, una
grande cisterna per l'acqua, una casa mobile e un generatore elettrico.
La richiesta di charimenti di Gush Shalom ammoniva il Ministro Ben Eliezer e
il governo intero che "la decisione di creare nuovi insediamenti sara' una
ulteriore provocazione nel momento piu' delicato e pericoloso. Potrebbe
portare ad un fallimento irrevocabile tutti gli sforzi per stabilizzare il
cessate il fuoco ed aprire la strada ad una nuova, sanguinosa escalation.
Renderebbe chiaro, inoltre, che il governo di Israele non ha reale
intenzione di aderire al Rapporto Mitchell che ha verbalmente accettato; un
elemento fondamentale di quel rapporto e' il totale congelamento delle
costruzioni israeliane nei territori occupati, giudicato una condizione
indispensabile per riprendere i negoziati di pace".
*
Dopo la morte del Ministro Rehavam Zeevi
Le organizzazioni pacifiste israeliane che aderiscono alla Coalizione Gush
Shalom di Donne per una Pace Giusta (Bat Shalom, MachsomWatch, NELED, New
Profile, Noga, TANDI, WILPF, Women and Mothers for Peace, Women Engendering
Peace, and Women in Black) chiedono di scrivere o telefonare a Colin Powell
e ad altre autorita', per chiedere di porre fine all'incubo di violenza nei
territori seguiti alla morte del Ministro israeliano Rehavam Zeevi.
*
In ricordo dell'ottobre 2000
Per ricordare le violenze perpetrate dalla polizia contro la popolazione
araba in Israele nell'ottobre 2000, con l'uccisione di 13 civili palestinesi
da parte della polizia, gruppi pacifisti israeliani e palestinesi hanno
organizzato una marcia congiunta di protesta (il 29 settembre) e una
giornata di sciopero generale (il primo ottobre). Oltre a fare memoria, lo
scopo delle manifestazioni e' chiedere che si arrivi ad una convivenza
pacifica, democratica e giusta per tutti gli abitanti dello stato di
Israele, ed esprimere il proprio no alla guerra in Afghanistan.
*
Ricostruzione di una casa
Durante il giorno intermedio di Sukkot, il 3 di ottobre scorso, un gruppo di
ebrei e palestinesi si e' incontrato per ricostruie la casa della famiglia
di Muhammed Ali di Shuafat, sulle colline meridionali dell'Hebron.
*
Per una cultura di pace
Due organizzazioni attive nella regione di Misgav - "Another Voice in
Galilee" e "Misgav Sikkuy" - hanno preso un'iniziativa mirante ad estendere
la collaborazione tra ebrei ed arabi nella comune lotta nonviolenta per la
giustizia. All'interno di questa campagna hanno eretto una Tenda per
l'Uguaglianza a Sakhnin Yuvalim Junction dal 29 settembre al 6 di ottobre,
con volontari che accoglievano i visitatori e con iniziative culturali
quotidiane (letture, performance artistiche e dibattiti).
*
Le donne ebree e palestinesi di Bat Shalom (nel nord di Israele) hanno
organizzato tre giorni di dialogo, dibattito e educazione politica, sui temi
del processo di pace e delle alternative offerte dalle donne.
*
Fac simile di lettera per chiedere di porre fine alle violenze seguite alla
morte del ministro Rehavam Zeevi.
Testo in italiano:
Egregio Signore,
approfittando dell'assassinio del Ministro israeliano del Turismo Rehavam
Zeevi, il governo del Primo Ministro Ariel Sharon sta conducendo un attacco
militare alle citta' palestinesi che potrebbe continuare per giorni, se non
per mesi. Il Primo Ministro Sharon ha storicamente condotto una politica di
oppressione e supremazia del tutto avventata. Gli attacchi piu' recenti
esprimono l'intento di sfogare l'ira degli israeliani ai danni della
popolazione palestinese, e il perpetuamento di 34 anni di occupazione, una
politica considerata positiva in Israele dagli uomini attualmente al
governo, che distrugge le possibilita' di un negoziato, considerato
negativamente.
La nuova occupazione delle citta' di West Bank mette in pericolo il futuro
di entrambe le nazioni, e la stabilita' della regione. Per questo chiediamo
urgentemente il Suo intervento.
Distinti saluti,
Firma
Testo in inglese, da spedire:
Dear Sir,
Using the assassination of the Israeli Minister of Tourism Rehavam Zeevi as
an excuse, the government of Prime Minister Ariel Sharon has embarked on a
wanton military attack of Palestinian towns, which may continue for days if
not months. Prime Minister Sharon has historically been committed to
reckless supremacist and oppressive policies. This most recent attack
represents a policy of wreaking damage on the Palestinian population, and
perpetuating their 34 year occupation, a policy which is considered good for
Israel by the policy-makers in power; and disrupting chances for
negotiations, which are considered bad. The reoccupation of West Bank cities
endangers the future of both nations, and the stability of the region.
We urgently request your intervention.
Respectfully,
Indirizzare a:
- Secretary of State Colin Powell, e-mail: secretary at state.gov, fax: (202)
261-8577
- President George W. Bush, e-mail: president at whitehouse.gov, fax: (202)
456-2461
- European Union President Mr. Romano Prodi, romano.prodi at cec.eu.int
- Mr. Terje Rod Larsen, Personal Representative of the Secretary General to
the UN in Palestine, tel: + 972 8 282 2914, fax: + 972 8 282 0966, e-mail:
unsco at palnet.com
- United Nations High Commissioner for Human Rights, e-mail:
webadmin.hchr at unog.ch, fax: +(41-22) 917-9016
- Israeli Foreign Minister, Shimon Peres, fax: +972-2-5303704, e-mail:
sar at mofa.gov.il
- Israeli Defense Minister, Benyamin Ben Eliezer, fax: +972-3-6916940,
6976990, e-mail: sar at mod.gov.il
- Prime Minister Ariel Sharon, fax: (+972-2) 566-4838 or 651-3955 or
651-2631
*
Donne palestinesi prigioniere politiche torturate nel carcere di Neve Tirza
Giovedi 13 settembre i guardiani della prigione di Neve Tirza sono entrati
nelle celle delle donne prigioniere politiche, hanno preso tutte le loro
cose e hanno condotto in isolamento Maha Al-Ok (22), Abeer Amer (21), Suad
Ghazal (18), Wijdan Buji (22) e Rab'a Hamael (14). Poi hanno portato Amne
Muna (25) in una sezione completamente diversa, dove sono rinchiusi solo
prigionieri criminali. La spiegazione dei guardiani: solo Amne Muna non si
era alzata in piedi all'appello. Maha, Abeer, Suad, Wijdan, e Rab'a temevano
per Amne, urlavano, gridavano il suo nome. Piu' tardi, quella stessa sera,
guardiani e poliziotti uomini e donne sono entrati nelle celle di isolamento
delle cinque donne ed hanno cominciato a picchiarle. I poliziotti e i
guardiani le hanno legate, hanno spalancato loro braccia e gambe legandole
ai letti con manette di plastica, strette al punto di causare gonfiori e
forti sofferenze. Mentre erano incatenate al letto, i guardiani hanno
coperto il volto di Wijdan e Suad con i veli, cosi' che avevano difficolta'
a respirare. Solo dopo due ore di sofferenza e di agonia, i guardiani sono
tornati nelle celle e hanno aperto le manette, ma le hanno lasciate
incatenate ai letti in quella posizione umiliante per l'intera notte.
Il trattamento di Amne e' stato ancora piu' severo. E' stata battuta
spietatamente, le hanno rotto un dito della mano e le hanno spruzzato per
due volte il gas a breve distanza. Durante l'incontro con l'avvocato Allegra
Pacheko, Amne ha descritto cosi' gli abusi subiti: "Hanno cercato di
attaccarmi con i loro scudi di plastica. Io tentavo di proteggermi. La cosa
successiva che ricordo, e' che io ero sul pavimento, mi proteggevo la testa
e tre uomini mi picchiavano sulla testa e su tutto il corpo. Mi hanno
spruzzato il gas sul volto. Ho pensato che stavo per morire. Non potevo
respirare e urlavo. Uno dei poliziotti mi ha schiacciato le mani con gli
stivali e io ho cominciato a sanguinare. Mi hanno spinto la faccia contro il
pavimento e hanno continuato a picchiarmi. Poi mi hanno afferrata per le
gambe e i piedi e mi hanno trascinata nella stanza accanto, mentre con la
testa battevo sul pavimento. Le mani sanguinavano. Poi Miri, una donna
guardiano, mi ha spruzzato con il gas ancora una volta. Pensavo di morire.
Poi mi hanno messo su un letto e mi hanno legato mani e piedi, tutto questo
continuando a picchiarmi e costringendomi la testa e il collo in una
posizione soffocante". Durante la visita del procuratore, i guardiani hanno
rifiutato di liberare le gambe di Amne dalle catene. Nella cella non c'e'
acqua e all'ora della visita, le 13,45, Amne non aveva ancora ricevuto acqua
in tutto il giorno. Un dito della mano destra era gonfio, malamente contuso
e sanguinante.
Il 16 settembre, quando l'avvocato ha incontrato le donne, erano ancora
tutte in isolamento e avevano escoriazioni, ferite e segni bluastri sulla
faccia e sul corpo.
La situazione e' estremamente seria. Gush Shalom chiede di scrivere alla
direttrice della prigione per e-mail o (preferibilmente) via fax, per fare
pressioni affinche' cessi ogni violenza. Nel contempo, sul posto si stanno
organizzando manifestazioni di protesta nonviolenta, la prima delle quali e'
avvenuta venerdi 5 ottobre di fronte a Neve Tirza.
Esempio di lettera da inviare alla direzione della prigione.
Testo in italiano:
Luogo e data.
Oggetto: violenze e trattamenti degradanti alle donne palestinesi
prigioniere politiche
Egr. Signora Sagy,
Le scrivo per esprimere la mia profonda preoccupazione per le continue
violenze, gli abusi e i trattamenti degradanti delle donne palestinesi
prigioniere politiche che sono rinchiuse nella prigione da Lei diretta.
Numerose organizzazioni israeliane e palestinesi per i diritti umani ne
hanno riferito negli ultimi quattro mesi.
I guardiani uomini e donne e i poliziotti hanno assalito e battuto
brutalmente le prigioniere per svariate volte, provocando loro ferite,
escoriazioni e lacerazioni su tutto il corpo.
I guardiani e i poliziotti le hanno anche umiliate e degradate sessualmente.
Hanno spalancato loro le gambe e le braccia e, per mezzo di manette
strettissime, le hanno incatenate ai letti per 24 ore. Poi le hanno
trascinate sul pavimento tirandole per le catene delle manette e per i
capelli, e hanno coperto loro la faccia con il velo per impedire loro di
respirare.
Le relazioni piu' gravi riguardano la leader delle donne prigioniere, Amne
Mona, che e' stata aggredita con il gas e battuta molte volte ed e' ora in
totale isolamento con un dito rotto a causa delle percosse.
Sono preoccupato/a per la sua vita e per le minacce di morte dei prigionieri
criminali di Neve Tirza.
La mia preoccupazione e' rafforzata dal fatto che, sebbene sia stata aperta
una inchiesta, non un solo guardiano coinvolto negli abusi e' stato sospeso
o trasferito. Piuttosto, questi guardiani e ufficiali uomini e donne - Miri
Weitzman, Vered, Yehudit, Alex, Uri ed Erez - sono in contatto con le donne
prigioniere 24 ore su 24 e le sorvegliano durante tutto il giorno.
Le relazioni delle organizzazioni umanitarie hanno sottolineato inoltre che
i medici e gli infermieri non hanno denunciato adeguatamente le ferite e gli
abusi, ed hanno collaborato con il personale della prigione per coprire le
violenze perpetrate.
Poiche' come paese occupante il governo di Israele non ha l'autorita' legale
per imprigionare persone palestinesi nelle sue carceri, finche' le donne
prigioniere rimarranno sotto la sua custodia, lei e' pienamente responsabile
della loro incolumita'.
Sono consapevole che le donne hanno rifiutato i loro diritti basilari di
prigioniere ed hanno attivato numerose azioni nonviolente di protesta
durante questo periodo. Cio' nonostante, le violenze e gli abusi diretti
alle donne prigioniere rimangono ingiustificati ed illegali secondo tutti
gli accordi internazionali.
"Principio 6: Nessuna persona soggetta a qualsiasi forma di detenzione o
prigionia potra' essere soggetta a tortura o a trattamenti o punizioni
disumani e degradanti. Nessuna circostanza potra' essere invocata a
giustificazione di torture o di trattamenti e punizioni disumani o
degradanti.
Dai Principi per la Protezione di tutte le Persone Soggette a Detenzione o
Prigionia, Assemblea Generale delle Nazioni Unite, Risoluzione 43/173,
dicembre 1988".
"33. Strumenti di restrizione, come manette e catene, non potranno essere
applicati come punizione.
53. Le donne prigioniere devono essere sorvegliate soltanto da ufficiali
donne.
Standard Minimi per il Trattamento dei Prigionieri, Consiglio di Sicurezza
delle Nazioni Unite, Risoluzione 663, 1957 e 1977".
Le chiedo di agire di conseguenza e assumersi le Sue responsabilita'
mettendo fine immediata agli abusi, alle violenze e alle umiliazioni
sessuali avvenute nella prigione di Neve Tirza.
Distinti saluti,
firma
Testo in inglese, da spedire:
Ms. Debbie Sagy, Director, Neve Tirza Prison, P.O. Box 229, Ramle 72101,
fax: +972-8-9776652
e, p. c. all'Ambasciata o al Consolato di Israele.
Re: Violence and Degrading Treatment of Palestinian Women Prisoners
Dear Ms. Sagy,
I am writing to express my deep concern about the ongoing violence, abuse
and degrading treatment of the Palestinian political women prisoners held in
your prison. Numerous Palestinian and Israeli human rights organizations
report that in the last four months, male and female wardens and riot police
brutally assaulted and beat the women prisoners several times resulting in
injuries, bruises and lacerations on their bodies. These wardens and police
also humiliated and sexually degraded the women. Using unbearably tight
handcuffs, they spread their arms and legs and chained them to the bed for
24 hours, dragged the women on the floor by the chain of the handcuffs and
by their hair, and they also tied the women's veils over their faces to
cause them difficulty in breathing.
The worst reports concern the leader of the Palestinian women prisoners,
Amne Mona, who was gassed, beaten several times and is now in total
isolation with a broken finger from the assault. I am fearful for her life
as criminal prisoners in Neve Tirza continue to threaten to kill her. My
concern is augmented by the fact, that though an investigation has been
opened, not one warden allegedly involved in the beatings and assault has
been suspended or transferred. Rather, these male and female wardens and
officers - Miri Weitzman, Vered, Yehudit, Alex, Uri, and Erez- continue to
have 24-hour contact with the women and oversee their day-to-day activity.
Reports have also surfaced that the nurses and medics have not adequately
reported the abuse and injuries and have participated with the prison
personnel in covering-up the violence in the prison. Though as an occupying
power the Israeli government has no legal authority to imprison Palestinians
inside Israeli prisons, as long as the women prisoners remain under your
custody, you are fully responsible for their welfare. I am aware that the
women have been denied their most basic rights as prisoners and have
undertaken several non-violent protest actions during this period.
Nevertheless, the prison violence and abuse directed against the women
prisoners remains unjustified and illegal under all international standards.
"Principle 6: No person under any form of detention or imprisonment shall be
subject to torture or to cruel, inhuman or degrading treatment or
punishment. No circumstance whatever may be invoked as a justification for
torture or cruel, inhuman or degrading treatment or punishment.
Body of Principles for the Protection of All Persons Under Any Form of
Detention or Imprisonment, UN General Assembly Res. 43/173, Dec. 1988".
"33. Instruments of restraint, such as handcuffs, chains shall never be
applied as a punishment.
53. Women prisoners shall be attended and supervised only by women officers.
Standard Minimum Rules for the Treatment of Prisoners (UN ESC, Res. 663,
1957 & 1977)".
I request that you fulfill your responsibilities accordingly, and put an
immediate end to the abuse, violence, and sexual humiliation occurring in
the Neve Tirza prison.
Yours truly,
firma

9. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

10. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: http://www.nonviolenti.org ;
per contatti, la e-mail è: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
http://www.peacelink.it/users/mir . Per contatti: lucben at libero.it ;
angelaebeppe at libero.it ; mir at peacelink.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: http://www.peacelink.it . Per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761/353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 322 del 25 dicembre 2001