Da Angela Lano: due articoli di repubblica.it



Ciao a tutti,
sono una giornalista ed ero presente alla manifestazione di Genova. Vi
invio due pagine della cronaca torinese di Repubblica. Una delle due
storie l'ho raccolta personalmente. Attraverso di loro fornisco la mia
testimonianza di profonda ansia per ciò che sta avvenendo nel nostro
paese.
A presto,
Angela

"Io, mamma tranquilla massacrata dalla polizia"
lettera da genova

ANGELA LANO

«Ero in terra con la faccia piena di sangue e urlavo: perché mi colpite, non ho fatto nulla. Ma le manganellate e i calci sembravano non finire mai». Rita Sieni, 39 anni, educatrice pinerolese, madre di un ragazzino, parla con fatica: ha la mandibola sinistra fratturata, un trauma cranico e frontale, problemi all'apparato dentale, una gamba tumefatta e il resto del corpo pieno di lividi. Prognosi: trenta giorni. Non può ingerire cibi e deve parlare il meno possibile. Due giorni fa era a Genova, insieme con migliaia di persone che, da Torino e provincia, hanno partecipato alla manifestazione organizzata dal Social Forum. Questo è il suo racconto. «Camminavo all'interno del gruppo, formato da centinaia di persone giunte da Pinerolo, quasi in testa al corteo. Con noi c'erano famiglie intere, giovanissimi e anziani. Ci trovavamo in corso Italia, sul lungomare. Cento metri più in là, gruppi di black bloc stavano distruggendo tutto ciò che trovavano. La polizia non interveniva. Ad un certo punto, il corteo si è fermato a causa dei disordini e molti di noi si sono seduti per terra. Aspettavamo che le forze dell'ordine intervenissero per fermare quei delinquenti. Poco dopo, però, hanno iniziato a piovere lacrimogeni e un cordone di poliziotti ha preso ad attaccarci. Tutto intorno a me era il caos: molti tornavano indietro correndo, altri scappavano verso la spiaggia. Mentre fuggivo insieme al mio gruppo, mi sono ritrovata sola, in mezzo alla strada. Mi sono girata indietro e ho visto alcuni poliziotti venirmi incontro con spranghe e bastoni. Uno mi ha colpito alla testa e sono caduta a terra: una decina di poliziotti, lanciati all'inseguimento della folla, arrivava correndo e mi travolgeva. Ognuno di loro mi dava un colpo: testa, gambe, addome». «Non so quanto sia durato. Era irreale: proprio a una come me, che non si è mai occupata di politica, che non ha mai militato in un partito! Ero incredula. Avevo deciso di aderire alla manifestazione insieme ad alcuni amici dell'Arci, perché mi sembrava una bella iniziativa. Ora mi trovavo lì, con la faccia piena di sangue, con un dolore lancinante alla testa e alla mandibola. Stesa per terra, vicino a me, c'era Chiara, una ragazza di 23 anni, di Pinerolo. Ha ricevuto bastonate e calci, soprattutto sul petto. Penso sia stata lei, ad un certo punto, a trascinarmi sulla spiaggia, dove, prima di venire soccorsa da un gruppo di manifestanti, un altro poliziotto mi ha spruzzato addosso del gas lacrimogeno che mi ha impedito di vedere per un bel po'. Finalmente, qualcuno mi ha buttato dell'acqua sulla faccia e ha chiamato l'ambulanza».

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Vi racconto quindici ore di umiliazioni
la lettera

EVANDRO FORNASIER

Ero a Genova sabato 21 luglio, sfilavo pacificamente con amici e la mia fidanzata. Ci siamo trovati al fondo di corso Italia quando il corteo è stato spezzato in due dal lancio di lacrimogeni. Nel panico generale, con la mia fidanzata sempre per mano, ci siamo trovati assolutamente scoperti, fra gas lacrimogeno, col timore di colpi vaganti e che la polizia potesse caricare senza alcuna distinzione. Abbiamo riparato, insieme ad altre manifestanti del corteo pacifico, in una piccola via laterale infilandoci in un garage sotterraneo. Di lì a poco è arrivata la polizia in tenuta da guerriglia: due poliziotti puntandoci in faccia le armi ci hanno ordinato di indietreggiare all'interno del garage. Ancora qualche attimo ed è sopraggiunto un commando armato di manganelli che ha fatto irruzione picchiando. Io con le mani alzate in segno di resa urlavo «lei no» ripetutamente e questo ci ha salvati dalle botte. Siamo stati fatti inginocchiare fuori dal garage sul marciapiede con le mani dietro la testa: il gruppo al quel punto era costituito da noi due, due ragazzine, un fotografo accreditato anch'egli trattenuto, alcune altre persone, tutti evidentemente senza alcun segno od elemento che potesse farci ritenere «facinorosi». Siamo stati tutti caricati sulle camionette e portati al presidio di forze dell'ordine lì vicino. Dopo un breve controllo la mia fidanzata è stata rilasciata con le altre donne.

Noi uomini invece siamo stati perquisiti sul marciapiede, stretti i polsi con lacci di plastica strettissimi, caricati su pullman e portati a quello che è poi sembrato un centro di reclusione temporanea a Bolzaneto. Giunti alla caserma di Bolzaneto siamo stati uno ad uno scaraventati giù dal pullman in mezzo ad un gruppo di poliziotti che ci infierivano colpi di vario genere. All'interno della caserma siamo stati tutti messi in grandi stanzoni in piedi con la faccia contro il muro e le mani alzate e ci hanno costretto in questa posizione per quasi tutto il tempo in cui siamo rimasti lì (circa 15 ore). Tolto tutto dalle tasche e i lacci dalle scarpe. A turno entravano militari a usarci violenze di vario genere: sbatterci la testa contro il muro, calci sui testicoli, schiaffi, colpi al torace. E insulti continui: «Comunisti di merda, froci» oppure «perchè non chiamate Bertinotti o Manu Chao? Adesso, per cinque anni sono cazzi vostri». Ci facevano sentire con le suonerie dei cellulari «Faccetta nera», ci hanno cantato una litania che ho memorizzato: uno due tre viva Pinochet, quattro cinque sei a morte gli ebrei, sette otto nove, il negretto non commuove, siegheil apartheid. In uno di questi uffici mi hanno ordinato di fare delle flessioni, nudo, e poi raccogliere l'immondizia che c'era per terra. Al rientro nello stanzone di nuovo contro il muro braccia alzate, qualcuno in ginocchio faccia a terra, altri semplicemente in mezzo alla stanza faccia a terra e braccia alzate. Per tutte quelle ore non abbiamo avuto nè acqua, nè cibo, nè potuto dormire. Al mattino, credo verso le otto, siamo stati portati, ammanettati due a due, al carcere di Alessandria. All'arrivo siamo stati tutti picchiati e manganellati come «di prassi». In tarda serata io ed altri siamo stati rilasciati per mancata convalida dell'arresto. Non mi sono stati restituiti gli effetti personali ad eccezione della carta d'identità e di una collanina. Ho 39 anni, sono un impiegato, senza alcun precedente penale.

EVANDRO FORNASIER