[Latina] I: ROMA intervista a Jorge Giordani: «Porte aperte alle piccole e medie imprese italiane»



 

 

Da: Mario Neri [mailto:marneven at hotmail.com]
Inviato: sabato 14 dicembre 2013 18:24
Oggetto: ROMA intervista a Jorge Giordani: «Porte aperte alle piccole e medie imprese italiane»

 

 

From: marneven at hotmail.com
Subject: ROMA intervista a Jorge Giordani: «Porte aperte alle piccole e medie imprese italiane»
Date: Sat, 14 Dec 2013 17:21:32 +0000

 

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Jorge Giordani: «Porte aperte alle piccole e medie imprese italiane»

—Geraldina Colotti, 14.12.2013

Venezuela. Intervista al ministro della Pianificazione, presente alla VI Conferenza Italia-America Latina e Caraibi, organizzata alla Farnesina dal Ministero degli Esteri e dall'Ila

Immagine rimossa dal mittente. Il ministro venezuelano della Pianificazione Jorge Giordani
© Reuters

«Il nostro paese favo­ri­sce la cre­scita delle pic­cole e medie imprese, nel rispetto dei lavo­ra­tori e dell’ambiente. Lo abbiamo riba­dito a que­sta Con­fe­renza: pre­fe­riamo faci­li­tare il loro ingresso, non quello delle grandi mul­ti­na­zio­nali pre­da­trici». Così dice al mani­fe­sto Jorge Gior­dani, mini­stro della Pia­ni­fi­ca­zione vene­zue­lano, che ha rap­pre­sen­tato il suo governo alla VI Con­fe­renza Italia-America latina e Caraibi, orga­niz­zata alla Far­ne­sina dal mini­stero degli Esteri e dall’Ila. E domani, Gior­dani sarà a Bolo­gna per pre­sen­tare il suo libro La tran­si­zione boli­va­riana al socia­li­smo (edito da Natura Avven­tura) in un dibat­tito con l’economista Luciano Vasa­pollo (Rete dei comu­ni­sti). Figlio di un anti­fa­sci­sta ita­liano, Gior­dani è stato il pro­fes­sore di Hugo Chá­vez quando l’ex pre­si­dente vene­zue­lano (scom­parso il 5 marzo) era in car­cere come sov­ver­sivo: per aver diretto la ribel­lione civico-militare del 4 feb­braio ‘92 con­tro il governo di Car­los Andres Perez. Da allora, “il monaco” (come lo ha sopran­no­mi­nato l’opposizione per la sua lon­ta­nanza dai riflet­tori), ha accom­pa­gnato la sto­ria e la poli­tica eco­no­mica del Vene­zuela boli­va­riano, costruen­done il per­corso nel più stretto gruppo di col­la­bo­ra­tori di Chávez.
Dopo 14 anni di governo e seri pro­blemi ancora irri­solti, che bilan­cio fa delle poli­ti­che eco­no­mi­che messe in campo?
Il primo pro­blema che abbiamo affron­tato è stato quello dell’enorme debito sociale con­tratto con le classi popo­lari e con gli esclusi. Abbiamo distri­buito 550.000 milioni di dol­lari pro­ve­nienti dalla ren­dita petro­li­fera per la rea­liz­za­zione dei prin­ci­pali diritti umani, quelli eco­no­mici. Tutti gli indi­ca­tori sociali atte­stano i risul­tati rag­giunti nella lotta con­tro la povertà, l’analfabetismo e per il miglio­ra­mento della qua­lità della vita del nostro popolo. Però dipen­diamo ancora troppo dal modello petro­li­fero in un paese che pos­siede grandi ric­chezze pro­ve­nienti dagli idro­car­buri, ma anche da una natura pro­diga: che si estende su un ter­ri­to­rio di oltre un milione di km qua­drati e per quasi 600.000 km qua­drati di acque ter­ri­to­riali. Siamo quo­ti­dia­na­mente con­fron­tati alla rea­zione rab­biosa dei poteri forti: per­ché abbiamo seguito un altro indi­rizzo rispetto a quello impo­sto dal Fondo mone­ta­rio inter­na­zio­nale, dalla Banca mon­diale e dalla Banca cen­trale euro­pea. Noi non licen­ziamo, né ridu­ciamo le coper­ture sociali per far qua­drare i conti dei potenti. Quale paese capi­ta­li­sta può dire altrettanto?
Dopo la morte di Chá­vez e lo stretto mar­gine con cui Nico­las Maduro ha vinto le ele­zioni del 14 aprile, in molti hanno scom­messo che il socia­li­smo boli­va­riano non sarebbe soprav­vis­suto al suo lea­der. Qual è invece la situa­zione per il “governo della strada” di Maduro? 
Il socia­li­smo boli­va­riano si arti­cola in una demo­cra­zia testata in 19 tor­nate elet­to­rali: tutte vinte da noi, salvo per il refe­ren­dum costi­tu­zio­nale del 2007, perso di misura. L’ultima, ha colo­rato di rosso la mag­gio­ranza dei muni­cipi vene­zue­lani, impe­dendo all’opposizione di tra­sfor­mare le ammi­ni­stra­tive dell’8 dicem­bre in un “ple­bi­scito” con­tro il governo Maduro. Abbiamo vinto in 255 muni­cipi, il 76% del totale, la destra invece ne ha vinte 75, ovvero il 22%. Chá­vez è morto, ma il suo lascito poli­tico si evi­den­zia nel Plan della patria 2013–2019, con­ce­pito con lui in vita e ora appro­vato dall’Assemblea come pro­gramma di governo dell’attuale pre­si­dente Nico­las Maduro. Un pro­gramma a cui tutti i cit­ta­dini hanno potuto par­te­ci­pare inviando cri­ti­che e pro­po­ste, online o mediante appo­site cas­sette, dis­se­mi­nate in tutto il paese. Il Pro­gramma si arti­cola intorno a cin­que obbiet­tivi sto­rici che mirano a con­so­li­dare l’indipendenza nazio­nale, costruire il socia­li­smo boli­va­riano, tra­sfor­mare il Vene­zuela in un paese-potenza, con­tri­buire a una nuova geo­po­li­tica inter­na­zio­nale e alla difesa del pia­neta, gra­ve­mente minac­ciato dall’irrazionalità degli esseri umani. Obiet­tivi che impli­cano la difesa della demo­cra­zia vene­zue­lana, arti­co­lata nella costi­tu­zione del 15 dicembre’99. Allora, i cit­ta­dini l’hanno appro­vata con il 71,78% dei voti.
Que­sta VI Con­fe­renza ha riba­dito l’interesse del governo ita­liano per l’America latina, in cre­scita rispetto all’Europa in crisi. Il sot­to­se­gre­ta­rio Mario Giro ha pro­po­sto «un’agenda oltre la crisi per un par­te­na­riato allo svi­luppo». Qual è la rispo­sta del Vene­zuela bolivariano?
Noi rispet­tiamo le deci­sioni auto­nome dei governi e soprat­tutto dei popoli, anche quando esi­stono dif­fe­renze nei modelli di svi­luppo. Il capi­ta­li­smo vive una crisi strut­tu­rale che fa pagare ai popoli con guerra e bar­ba­rie. Il nostro modello mette al primo posto l’essere umano, non il pro­fitto dei sin­goli. In quest’ottica e sulla base di rela­zioni di reci­proco bene­fi­cio che però vada a van­tag­gio della col­let­ti­vità, c’è spa­zio per la col­la­bo­ra­zione tra unità pro­dut­tive: nel qua­dro della costru­zione di un’economia sociale basata, tra le altre opzioni, sulla pro­prietà col­let­tiva comu­nale. Con­clu­de­remo accordi con quel tes­suto pro­dut­tivo ita­liano che resi­ste all’attacco delle grandi imprese mono­po­li­sti­che e mul­ti­na­zio­nali e che non si sente a disa­gio in un modello poli­tico come il nostro: inclu­sivo, indi­pen­dente e sovrano».

 




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