A Cochabamba, in Bolivia, ha inizio la Conferenza Mondiale dei Popoli sul Cambiamento Climatico e i Diritti della Madre Terra: il “piano B” per la salvezza del pianeta.



A Cochabamba, in Bolivia, ha inizio la Conferenza Mondiale dei Popoli sul Cambiamento Climatico e i Diritti della Madre Terra: il “piano B” per la salvezza del pianeta.

di Annalisa Melandri
www.annalisamelandri.it

La questione ambientale è clamorosamente scomparsa dall’agenda politica del nostro paese dopo il fallimento del vertice mondiale sul clima di Copenhagen”. E’ la denuncia che fa Giuseppe De Marzo, economista, attivista e portavoce dell’associazione ASud nel corso della  conferenza stampa che si è tenuta il 13 aprile scorso  presso la sede della FNSI (Federazione Nazionale della Stampa Italiana)  per il   lancio della Conferenza Mondiale dei Popoli sul Cambiamento Climatico e i Diritti della Madre Terra, che si terrà in Bolivia dal 19 al 22 aprile (giornata internazionale della Madre Terra) e alla quale hanno partecipato anche il giornalista Giulietto Chiesa e Padre Alex Zanotelli.
 
Alla conferenza mondiale di Cochabamba, fortemente voluta dal presidente boliviano Evo Morales, prenderanno forma proposte serie e concrete che verranno sottoposte poi al prossimo vertice internazionale di Cancún, in Messico, a  dicembre. A Cochabamba si va delineando un modus operandi contrapposto a quella “burocrazia del clima” che è andata di scena a Copenhagen lo scorso dicembre e poi ancora a Bonn all’inizio di questo mese di aprile dove si è tenuto il primo incontro dell’Unfcc,  il tavolo di lavoro dell’ONU sui cambiamenti climatici. Tavolo di lavoro alquanto traballante perché fondato  su un “accordo” tra Cina, Stati Uniti, Brasile, Sudafrica e India che è stato imposto all’assemblea dei paesei riuniti  a Copenhagen in modo non consono alla regolare procedura.
 
Proprio la Bolivia denunciò allora con forza questo accordo fraudolento tra i 5 grandi della Terra. A Copenhagen si è dimostrata ancora una volta l’assoluta incapacità dell’ONU di prendere accordi condivisi e si è reso evidente di come il  Diritto Internazionale stia diventando sempre di più  una sorta di “modello di tipo oligarchico-aristocratico”. D’altra parte era stato proprio Johnatan Pershing, vice inviato speciale per i cambiamenti climatici del Ministero degli Esteri degli Stati Uniti ad affermare che non era “possibile immaginare che 192 Stati siedano tutti attorno ad un tavolo per raggiungere il consenso su ogni dettaglio”. Più semplice, fare in modo che pochi, i soliti grandi, prendano decisioni valide per tutti, anche se non da tutti condivise. La chiamano democrazia.
 
Hanno partecipato alla conferenza stampa anche  il giornalista Giulietto Chiesa e Padre Alex Zanotelli.
E’ stato reso noto inoltre l’appello per la Giustizia Climatica e la Democrazia della Terra che molte personalità del panorama politico, culturale e dell’associazionismo italiano hanno sottoscritto.
 
I concetti sono nuovi e quindi rivoluzionari. Il primo consiste nel riconoscimento del debito ecologico, ma anche sociale (e quindi politico)  che il Nord del mondo ha con il Sud. Il debito ecologicocome lo ha definito Giuseppe De Marzo nel suo libro Buen Vivir (ed Ediesse) “è il debito storico e attuale accumulato dai paesi del Nord, dai governi e dalle multinazionali nei confronti dei popoli e dei paesi del Sud del mondo a causa dello sfruttamento, della depredazione e dell’usufrutto delle risorse naturali, dell’energia, dello spazio biorioproduttivo, dell’inquinamento e distruzione dei patrimoni naturali, culturali e delle fonti di sostentamento dei popoli del Sud”. “Ed è un debito” - spiega De Marzo- “che introduce l’elemento delle responsabilità di governi, politiche e imprese che hanno provocato  la progressiva degradazione della terra”.[1]
 
La Democrazia della Terra invece  è un paradigma che va applicato al più presto sia all’agire dei singoli individui ma anche e soprattutto nelle politiche economiche ed energetiche di tutti i governi se non si vuole intraprendere la strada di non ritorno verso la distruzione del pianeta.
 
Possibilmente cominciando dal renderlo parte integrante delle Carte Costituzionali di ogni paese come già hanno fatto la Bolivia e l’Ecuador in questi ultimi due anni.
 
Bisogna assolutamente “superare la visione antropocentrica che continua a guardare alla natura esclusivamente in base al valore d’uso che egoisticamente se ne può trarre… Riconoscere i diritti della natura, così come avvenuto nelle due nuove costituzioni di Bolivia ed Ecuador, affronta finalmente due temi centrali per allargare il campo della giustizia e della partecipazione: la titolarità e la tutela. La titolarità viene riconosciuta quando si è portatori di diritti propri. Così come sono stati riconosciuti titolari di diritto società anonime o commerciali, allo stesso modo è indispensabile che la natura sia titolare di diritti propri.”[2]
 
Ed è per questo che proprio a Cochabamba durante la Conferenza Mondiale dei Popoli sul Cambiamento Climatico,  dal 19 al 22 aprile di discuterà e verrà redatta la Dichiarazione Universale per i Diritti della Madre Terra, un documento di portata storica che segna uno spartiacque in quella che fino ad oggi è stata la visione generale del concetto di diritti umani: per la prima volta si pensa anche al diritto all’esistenza delle generazioni future e all’obbligo che abbiamo di assicurare loro la vita in un pianeta ospitale e sano.
 
Abbiamo soltanto 10 anni” ammonisce Giulietto Chiesa nel suo intervento, venato da un più che condivisibile pessimismo lucido e razionale, frutto della ragione, per invertire la corsa folle verso l’autodistruzione oramai intrapresa dall’umanità.
L’impegno fondamentale che ognuno di noi può dare consiste soprattutto nel  non lasciarsi intorpidire coscienza e intelletto dal bombardamento mediatico al quale siamo sottoposti. Abbiamo il diritto ma anche il dovere di pretendere di fruire di un’informazione corretta. “Le persone non sanno niente” afferma Giulietto Chiesa puntando il dito contro i mezzi di informazione servi di un sistema economico che vende lucciole per lanterne allo scopo soltanto di favorire i grandi piani industriali e capitalisti del governo. La propaganda rispetto al nucleare è emblematica a questo proposito: stiamo investendo 30 miliardi  di euro per costruire dei “monumenti alla nostra imbecillità” che lasceranno tracce  velenose sul nostro territorio per circa 100 mila anni. Le scorie nucleari verranno smaltite infatti  in altri paesi, sicuramente appartenenti alla sfera di quelli sotto sviluppati o in via di sviluppo, continuando così ad accrescere il nostro debito ecologico con loro. Investendo 30 miliardi di euro nelle energie alternative si avrebbero invece immediatamente migliaia di posti di lavoro in più e nel futuro  un immenso ritorno in termini di possibilità per la continuazione della vita sul nostro pianeta.
La conferenza internazionale di Cochabamba sicuramente rappresenta una grande possibilità, il “piano B” per la salvezza del mondo, come lo definisce De Marzo, dopo il clamoroso fallimento di tutti i piani e programmi portati avanti dai governi, da Kyoto in avanti.
Programmi dai  quali,  fino a questo momento i movimenti sociali, le associazioni di cittadini, i gruppi ambientalisti e la società civile in genere, sono  stati sempre esclusi, e che  a Cochabamba  invece, sono diventati protagonisti, a fianco,  ed è questa la vera novità,  di un governo. Quello della Bolivia di Evo Morales.
 


[1] Giuseppe De Marzo, Buen Vivir – Ediesse, 2009 pag. 63 e seg.
[2] Giuseppe De Marzo – op. cit. pag. 249


Annalisa Melandri
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