Fw: L'ipocrisia del "Yes, we can" sull'America Latina




Da: Giorgio Trucchi <gtrucchi at ibw.com.ni>
Oggetto: L'ipocrisia del "Yes, we can" sull'America Latina
A: Undisclosed-Recipient at yahoo.com
Data: Giovedì 17 dicembre 2009, 23:38


America Latina
L'ipocrisia del "Yes, we can" sull'America Latina
Honduras laboratorio per la nuova politica nordamericana nel continente

Indipendentemente da ciò che accadrà durante le prossime settimane e fino al 27 di gennaio, data in cui Porfirio Lobo Sosa, vincitore delle discusse elezioni in Honduras, prenderà possesso di una carica che fino a questo momento quasi nessun paese riconosce, risulta sempre più evidente che quanto successo lo scorso 28 giugno segnerà un significativo passo indietro per il consolidamento della democrazia nel continente latinoamericano. All'interno di questo contesto non si possono non prendere in considerazione le evidenti responsabilità del nuovo governo nordamericano e della sua offensiva per riposizionarsi all'interno del continente.

Con il colpo di Stato in Honduras, i poteri forti di questo paese che, insieme agli apparati repressivi e ai suoi alleati internazionali controllano l'economia e la politica honduregna, sono riusciti a frenare un processo emancipativo nel quale per la prima volta nella storia dell'Honduras, le forze vive del paese stavano collaborando con il potere Esecutivo per immaginare e programmare un futuro diverso, proiettandosi verso un progetto di Assemblea Nazionale Costituente includente e marcatamente popolare.

Parallelamente, l'Honduras aveva iniziato un percorso per rafforzare l'unità centroamericana e latinoamericana, aderendo al Sistema d'integrazione centroamericano, Sica, a Petrocaribe e all'Alba.

Sicuramente troppo per le forze retrograde del paese e del continente che vedevano minacciati i loro interessi storici e lo status quo mantenuto per decadi grazie alla violenza e alla repressione di apparati militari al servizio dei gruppi di potere e dei loro alleati internazionali.

In questo contesto non devono quindi sorprendere, ma sicuramente sì indignare, le recenti dichiarazioni della titolare della politica estera del governo nordamericano, Hillary Clinton, durante la sua relazione sui rapporti tra gli Stati Uniti e l'America Latina.

"Ci preoccupano i leader che vengono eletti in modo libero e legittimo, ma che poi iniziano a scalfire l'ordine costituzionale e democratico dopo essere stato scelti, il settore privato, il diritto dei cittadini a vivere liberi dalla persecuzione, repressione e di potere partecipare liberamente all'interno delle loro società", ha detto Clinton volgendo il dito accusatore contro il Venezuela, il Nicaragua e, pur senza menzionarli, tutti quei governi che non seguono fedelmente i "consigli" di Washington.

Sarebbe interessante potere domandare alla signora Clinton ed al fiammante Premio Nobel per la Pace, che cosa si è voluto dire con queste parole. O per caso non si sono accorti che in Honduras c'è stato un colpo di Stato e che il Presidente legittimo di questo paese continua a rimanere rinchiuso in un'ambasciata, subendo una costante persecuzione?

"Ciò che mi preoccupa è capire come riprendere la strada giusta (per chi?), in cui si riconosca che la democrazia non è un tema di singoli leader, ma di esistenza di istituzioni forti", ha sentenziato Clinton nel suo discorso.

Come classificherebbe l'amministrazione Obama, che immediatamente ha riconosciuto la legittimità di un processo elettorale spurio, senza osservatori, svolto in un clima di repressione, paura e violenza, in un contesto di rottura costituzionale della quale è stato parte lo stesso Tribunale supremo elettorale, lo stato di terrore in cui vive buona parte della popolazione honduregna che non riconosce l'attuale governo di fatto e che non ha voluto essere complice di questa farsa elettorale, che aveva l'unico obiettivo di legittimare e stabilizzare il colpo di Stato?

Sull'Honduras, la titolare del Dipartimento di Stato ha detto che il suo paese ha lavorato in funzione di "un avvicinamento pragmatico, di principi, multilaterale, che si prefiggeva la ricostruzione della democrazia". Di sicuro nessuno l'ha notato e l'unico risultato cercato ed ottenuto con questo "avvicinamento pragmatico" è stato l'annichilamento di tutti i processi di trasformazione avviati ed i risultati raggiunti negli ultimi anni, posizionando strategicamente le proprie pedine, prima su tutte il presidente del Costa Rica, Oscar Arias, per prendere il controllo della situazione a scapito degli sforzi fatti dal primo momento dalla Oea, Onu, i paesi del Sica, dell'Alba e dalle altre istanze del continente latinoamericano.

Per completare la farsa montata dal governo di fatto, ora gli Stati Uniti stanno chiedendo che venga messo in pratica il fumoso Accordo Tegucigalpa-San José, installando un governo di unità e riconciliazione che non prevede la presenza di Manuel Zelaya e nemmeno quella dei suoi ministri e consulenti, la maggior parte dei quali costretti a vivere in esilio. Allo stesso tempo, il governo di fatto di Roberto Micheletti ha inviato al Congresso Nazionale un disegno di legge di amnistia, per "ripulire" l'immagine di chi ha violato sistematicamente i diritti umani durante gli ultimi cinque mesi.

Una nuova pantomima che si prefigge l'obiettivo di legittimare in modo definitivo il colpo di stato, e che pretende di creare un precedente che sia esempio per il resto del continente. Un manuale del perfetto colpo di Stato stile "ventunesimo secolo", che invia un messaggio molto chiaro su quale sarà la politica dell'amministrazione Obama per l'America Centrale e per il Sud America.

Non una guerra aperta e diretta come in Iraq ed Afghanistan, e nemmeno attraverso minacce come la riattivazione dopo 50 anni della famigerata IV Flotta nell'Oceano Atlantico e nei Caraibi, l'installazione delle basi militari in Colombia o con parole dirette come quelle che Hillary Clinton ha rivolto contro chi oserà iniziare o mantenere relazioni d'amicizia con l'Iran. In questo caso si tratta di una guerra subdola, di "bassa intensità", muovendo i fili più infimi della diplomazia e delle catene di agenzie preparate per infiltrare paesi, governi, processi elettorali e movimenti.

Una "guerra necessaria e giustificabile", direbbe il presidente Obama.

La Resistenza: un bastione necessario

Se c'è una cosa che i poteri forti e gli stessi Stati Uniti non avevano calcolato è stata sicuramente la grande capacità di reazione e resistenza del popolo honduregno.

Dopo il 27 di gennaio, l'Honduras dovrà necessariamente voltare pagina, entrando in una nuova tappa della sua tormentata storia. Concluso il periodo presidenziale di Manuel Zelaya, sarà il turno di Porfirio Lobo.

Un governo molto debole, in mezzo ad una violenta crisi economica, con uno scarso riconoscimento a livello internazionale e ostaggio dei principali autori del golpe del 28 giugno, Stati Uniti inclusi. Proprio in questi giorni Lobo sta disperatamente cercando di convincere Roberto Micheletti - e più di lui chi davvero manovra i fili dietro il Presidente fantoccio - ad abbandonare la carica prima del suo insediamento. Spera così di essere un po' più presentabile agli occhi della comunità internazionale.

Di fronte a questo scenario, quella che è stata la Resistenza contro il colpo di Stato, oggi convertitasi nel Fronte nazionale di resistenza popolare, Fnrp, dovrà prepararsi per entrare in questa nuova tappa della lotta e le difficoltà sono già evidenti. La costante e selettiva repressione denunciata a livello internazionale dalle organizzazioni dei diritti umani è un chiaro segnale di quanto i settori retrogradi tradizionali temano questo processo.

Lo scorso 4 e 5 dicembre 2009, delegati e delegate di organizzazioni provenienti da tutto il paese hanno iniziato una storica seconda fase della lotta, per rafforzare il processo organizzativo in vista della creazione di una forza politica alternativa ai partiti tradizionali, capace di condurre il paese verso una Assemblea Costituente.

Durante queste due giornate di lavoro sono state create varie commissioni e gruppi tematici che hanno iniziato a preparare il lavoro per i prossimi mesi. Al termine dell'attività, il dirigente sindacale e coordinatore del Blocco Popolare, Juan Barahona ha spiegato che "la prima fase della lotta è finita ed ora dobbiamo lavorare su un progetto ideologico e politico, affinché tutti i settori organizzati conoscano a fondo la strada da percorrere insieme.

Dobbiamo conoscere a fondo questo percorso ed abbiamo bisogno di una metodologia che ci permetta di arrivare a tutti i settori che si sono schierati contro il colpo di Stato. Una strategia come quella della lumaca (caracol), dal basso verso l'alto, e creare un movimento che faccia tremare i settori golpisti. Dobbiamo approfondire questa nuova strategia - ha continuato Barahona - e proporci di prendere il potere pacificamente prima o durante il prossimo processo elettorale.

Per fare ciò dobbiamo lavorare e con molto impegno. Non possiamo dormire sugli allori, ma al contrario dobbiamo mettere questo progetto al primo posto delle nostre priorità", ha concluso.

Una nuova tappa della lotta del popolo honduregno è iniziata.

© (Testo Giorgio Trucchi - Lista Informativa "Nicaragua y más" di Associazione Italia-Nicaragua - www.itanica.org )

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