Campagna continentale contro l'ALCA



L’ALCA: una grande truffa –tratto da “Latinamerica e tutti i sud del mondo”,
di Gianni Minà
“L’unica scelta razionale nella situazione attuale e in vista delle
apocalissi del futuro, è ritornare alla messa sotto tutela degli stati del
terzo mondo che minacciano la sicurezza dell’occidente”, Sebastian Mallaby,
editorialista del Washington Post, sulla rivista “Foreign Affairs” lo scorso
marzo.
“Un’entità politica che dispone di una potenza militare schiacciante e che
utilizza questo potere per influire sul comportamento di altri stati, non
può che definirsi impero…Il nostro scopo non è combattere un rivale, poiché
non ve ne sono, ma conservare la nostra posizione imperiale e mantenere l’
ordine imperiale”, Stephen Rosen, direttore dell’Istituto Olin per gli studi
strategici presso l’Università di Harvard, sulla rivista dell’istituto lo
scorso maggio-giugno.
La legittimazione di questa nuova ideologia imperiale ed il suo
mantenimento, sono gli elementi base che spiegano la necessità dell’
istituzione dell’ALCA (accordo di libero scambio delle Americhe).
L’Alca è un trattato commerciale tra i 34 paesi di tutte le Americhe incluso
i paesi caraibici, con la sola eccezione di Cuba. Il numero di cittadini che
andrebbero a costituire questa area è di oltre 800 milioni, segnando un
primato senza precedenti in termini di mercato potenziale. L’Alca è anche, e
soprattutto, un trattato economico che consente agli investimenti ed ai
capitali di circolare in assoluta libertà e senza nessuna limitazione.
Questo progetto ha incontrato le fortissime resistenze di fasce ampissime
della società latinoamericana, spaziando da vasti settori della chiesa, a
quelli delle piccole e medie imprese, per arrivare a tutte quelle realtà
politiche e sociali che si riconoscono nel cammino iniziato a Porto Alegre
con il Foro Sociale Mondiale. Questa grandissima ed eterogenea alleanza
contro l’Alca, si regge essenzialmente su ragioni molto semplici: se il
trattato entrasse in vigore gli effetti sarebbero devastanti da tutti i
punti di vista. L’accordo di libero commercio siglato fra Stati Uniti,
Canada e Messico il primo gennaio del 1994 (NAFTA) testimonia i tragici
effetti delle politiche economiche neoliberiste di integrazione, avendo
lasciato il Messico in una condizione molto peggiore rispetto al suo
ingresso nell’area, avendone condizionato completamente la sua politica
commerciale e avendone ridotto i salari medi. Quello che è stato definito il
“Nafta-Plus”, cioè l’Alca, rappresenta un trattato ben più ampio ed
integrale.
Nove sono i gruppi di negoziazione implementati sul trattato che si occupano
di altrettanti temi, tra i quali non figurano: ambiente, lavoro, diritti
umani, condizione femminile e altri temi ancora, fondamentali per una
politica di reale integrazione dei popoli. Il lavoro dei gruppi di
negoziazione, invece, si svolge fra i ministeri del commercio con l’estero
dei 34 paesi ed avviene a porte chiuse. E’ facile immaginare i pesanti
condizionamenti subiti da paesi in situazione di debolezza e dipendenza
economica. Dei 34 paesi, 32 detengono solo il 20% del prodotto interno lordo
dell’intero continente, lasciando il restante 80% all’economie statunitensi
e canadesi. Condizione oggettiva, questa, che evidenzia già di partenza una
grande asimmetria. In questo contesto sarebbero stati indispensabili delle
politiche di integrazione in grado di colmare o quantomeno diminuire le
differenze in termini industriali, economici e tecnologici così come fece in
parte l’Unione Europea con l’ingresso di Spagna e Grecia, comprendendo i
pericoli di una instabilità sociale che avrebbe causato un’integrazione in
blocco senza nessuna politica di accompagnamento. Di questo nell’Alca non vi
è traccia, trasformando di fatto il significato di integrazione in
“annessione”, avendo come effetto quello di impedire lo sviluppo autonomo
dei singoli paesi con la conseguenza che aumenta per l’economia più forte la
possibilità di offerta delle proprie imprese, generando maggiore esclusione
sociale, più disoccupazione, più povertà e più indebitamento. Le aspirazioni
delle grandi “corporation” si evincono dal discorso pronunciato dal
segretario di stato USA, Colin Powell, durante il Terzo Vertice delle
Americhe a Quebec, il quale dice chiaramente come “l’obiettivo dell’Alca è
di garantire alle imprese statunitensi il controllo di un territorio che va
dal polo nord fino all’Antartide ed il libero accesso senza alcun ostacolo o
difficoltà per prodotti, servizi, tecnologie e capitali statunitensi in
tutto l’emisfero”. Le dichiarazioni e le intenzioni trovano riscontro anche
nei nove gruppi di negoziazione costituiti per elaborare il trattato.
Nel gruppo sul “libero accesso dei prodotti importati” viene sancita la
progressiva riduzione e infine abolizione delle barriere tariffarie e non, o
altri mezzi restrittivi come le clausole ambientali o sanitarie per il
commercio. Si garantisce libero accesso agli investitori stranieri
obbligando i governi nazionali a non fare differenze nel trattamento tra le
imprese straniere e quelle nazionali, rinunciando ai meccanismi regolatori a
favore dei settori più deboli o per adeguare le esportazioni alle necessità
interne o per aumentare le risorse strategiche o per salvaguardare gli
interessi e la salute pubblica. Questa clausola la si stipula mentre
paradossalmente lo scorso maggio gli USA hanno garantito sussidi per 180
miliardi di dollari al loro comparto agricolo per i prossimi dieci anni,
settore già enormemente più avanzato rispetto a quello latinoamericano.
Sull’agricoltura l’Alca prevede proprio la limitazione degli appoggi dei
governi locali ai piccoli e medi agricoltori in modo da rafforzare il potere
agroindustriale. La conseguenza sarebbe il fallimento di milioni di
coltivatori latinoamericani che si vedrebbero incapaci di competere con le
transnazionali del settore. Scomparirebbero l’agricoltura familiare e
indigena ed aumenterebbero le dipendenze dai prodotti agricoli statunitensi;
un ulteriore conseguenza sarebbe la dislocazione di produzioni
industrializzate e standardizzate ad alto rendimento basate sulla
biotecnologia e sulle manipolazioni genetiche ed una totale liberalizzazione
della coltivazione dei consumi di semi e prodotti transgenici. Questo
porterebbe inevitabilmente ad una perdita della sovranità alimentare e della
sicurezza alimentare di ogni paese coinvolto dall’Alca.
Nel gruppo di negoziazione sugli “investimenti”, invece, si sta cercando di
far passare un capitolo molto simile a quello dell’accordo multilaterale
sugli investimenti (MAI) rifiutato nel 1998, in cui si concede il potere
alle transnazionali di processare i governi per il mancato profitto.
Anche nel campo del “commercio dei servizi” gli interessi sono enormi. La
lista dei servizi è stata ampliata al punto da includervi settori pubblici
essenziali come educazione, forniture e distribuzione di acqua ed energia,
salute, telecomunicazioni, trasporti, ambiente, assicurazioni, pubblicità,
turismo ed altro ancora. I paesi dell’Alca dovranno aprirsi in tutti questi
“settori”, in modo che i “servizi” elencati possano diventare semplici merci
che obbediscono alle leggi del mercato. Basterebbe pensare che la spesa
mondiale per la sanità ammonta a circa 3,5 trilioni di dollari per capire il
giro d’affari che creerebbe la privatizzazione di certi servizi pubblici.
Per quello che riguarda l’energia in quanto servizio, è già in vigore un
accordo anticipato di totale liberalizzazione che non tiene conto di nessun
criterio di protezione o conservazione della natura. Nel gruppo di
negoziazione sulla “proprietà intellettuale” si procede verso la
brevettabilità di tutti gli esseri viventi, comprese le piante delle
comunità locali, che vedranno brevettate e commercializzate le loro
conoscenze millenarie al solo scopo da parte delle multinazionali di
ricavare il massimo profitto possibile.
Sul campo delle “politiche di concorrenza” l’Alca assicura il principio
della libera concorrenza e impedisce pratiche di protezione e
anticoncorrenziali delle imprese nazionali o pubbliche, colpendo
pesantemente i settori parastatali che dovranno limitarsi a perseguire
esclusivamente fini commerciali, slegando lo sviluppo economico da qualsiasi
impegno di natura pubblica o sociale.
Nell’ultimo gruppo di negoziazione, quello sulla “soluzione di controversie”
, come per il Nafta, viene concessa alle multinazionali la capacita di
dirimere eventuali conflitti con gli stati attraverso l’utilizzo di “istanze
supernazionali di arbitrio” che tecnicamente consentirebbe alle grandi
corporations di sfuggire al controllo dei cittadini e delle autorità dei
governi i quali non potrebbero più bloccare produzioni o merci che violino
le leggi locali o pregiudichino la salute pubblica o l’ambiente.
Alla luce dei fatti l’Alca si tradurrebbe in un’annessione commerciale e
produttiva, in una dipendenza dai capitali stranieri, in un maggiore
indebitamento, a cui si accompagnerebbe una diffusa militarizzazione,
requisito fondamentale per garantirsi il controllo delle risorse naturali
del continente.
In questa ottica ci appaiono più comprensibili le reali motivazioni alla
base del “Plan Colombia” o “dell’iniziativa Andina regionale” o del “Plan
Puebla Panamà” o del fallimento del vertice di Johannesburg. La volontà dell
’Alca di raddoppiare lo sfruttamento petrolifero per il 2005 spiegherebbe il
perché sia stato “impossibile” a Johannesburg trovare un accordo per ridurre
le emissioni di anidride carbonica in atmosfera, così come il rifiuto da
parte degli Stati Uniti di firmare la Corte Penale Internazionale sia da
considerarsi una scelta “conseguente”, visto l’aumento della
militarizzazione necessaria per il controllo del continente, e non solo.
Quello che conta, come ci spiegano i saggisti o gli editorialisti o i centri
di studi strategici negli USA, è il mantenimento e la conservazione dell’
ordine attuale e per farlo si deve procedere alla realizzazione di un nuovo
ordine giuridico internazionale, dove vengono fatti salvi unicamente i
trattati internazionali che rispondono alla logica del “mantenimento dell’
ordine imperiale” e vengono stralciati tutti quegli accordi ritenuti
sconvenienti.
In questo quadro di riferimento l’Accordo di libero scambio delle Americhe
assomiglia piuttosto ad un “ossimoro”; non è un “accordo” perché è imposto;
non è “libero” perché schiaccia ed annichilisce la libertà di vivere secondo
le proprie tradizioni, economie, culture, stili di vita; non è uno “scambio”
perché c’è solo una parte che prende ed in cambio non dà nulla.

Giuseppe De Marzo
Campagna Continentale contro l'Alca

Per info: www.asud.net
             info at asud.net