Scuola: la grande lezione del '68






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Scuola: la grande lezione del '68
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Nella scuola ed università finto pubbliche in mano agli statali, questi impediscono l'emergere della consapevolezza che alla fine della seconda guerra mondiale la dittatura fu, sì, decapitata ma il suo apparato tirannico rimase tal quale era. Una complessiva funzione pubblica, appositamente concepita per addomesticare, controllare, schedare e vessare nonché gabellare la popolazione, non fu nemmeno scalfitta dall'avvento della democrazia. L'apice della dittatura cadde, ma gli statali, i fedelissimi servi del tiranno che quello stesso regime avevano realizzato, poiché esso di sicuro non si creò da solo, rimasero quasi tutti in carica. La figura istituzionale dello statale riuscì poi a sopravvivere fino ai nostri giorni per via della ben nota, usuale politica di baratto di impieghi, ironicamente definiti pubblici, con preferenze elettorali.

Per via delle ingiustizie derivanti da questo complessivo stato di cose, ad un certo punto, più di quarant'anni fa, molti giovani si ribellarono iniziando col porsi contro le Università, a quel tempo proprietà soprattutto degli statali di destra. In molti si espressero come ad esempio fece con felice sintesi Guido Viale, leader della protesta studentesca nel '68, quando scrisse: "l’università funziona come strumento di manipolazione ideologica e politica teso ad installare negli studenti uno spirito di subordinazione rispetto al potere (qualsiasi esso sia) ed a cancellare, nella struttura psichica e mentale di ciascuno di essi, la dimensione collettiva delle esigenze personali e la capacità di avere dei rapporti con il prossimo che non siano puramente di carattere competitivo." ( http://it.wikiquote.org/wiki/Guido_Viale )


Dopo quel magico momento, molti di quei giovani accettarono, però, di divenire professori e statali essi stessi, non avendo colto la pur non sottile differenza tra tirannia e democrazia. Il tiranno impera a vita. Secondo questo modello i tirannini statali s'insediano anch'essi a vita in ruoli che così non sono più definibili pubblici ma regni personali. Il cittadino governa invece per un certo numero di anni, dopodiché restituisce al popolo ciò che a questi appartiene. Secondo questo modello i ruoli pubblici sono svolti anch'essi dai cittadini per un tempo limitato, dopodiché ognuno torna in una condizione alla pari con chiunque altro. Questo sarebbe dovuto essere il logico proseguio politico del '68. I sopraggiunti statali di sinistra, invece, si guardarono bene dal compierlo, dirottando l'attenzione verso obiettivi pure di rilievo ma meno centrali e di sicuro non risolutivi, ultimo dei quali la difesa dell'ambiente.

Oggi, dopo la distraente ebbrezza collettiva dataci dal forte e prolungato sviluppo economico, occorre riprendere la grande lezione fornitaci dal '68, integrandola con quanto più avanti abbiamo potuto osservare. Alle illuminanti parole scritte da Guido Viale 43 anni fa: "l’università funziona come strumento di manipolazione ideologica e politica teso ad installare negli studenti uno spirito di subordinazione rispetto al potere (qualsiasi esso sia) ed a cancellare, nella struttura psichica e mentale di ciascuno di essi, la dimensione collettiva delle esigenze personali e la capacità di avere dei rapporti con il prossimo che non siano puramente di carattere competitivo" oggi possiamo aggiungere: o buonista caritatevole, senza mai approdare ad una trasformazione istituzionale in grado di sanare e far ben procedere la società.


Eccolo il magico punto di svolta: diveniamo veri cittadini esigendo una piena partecipazione, ognuno secondo preparazione ed esperienza, in una Funzione Pubblica non più perseguente retrogradi fini tirannici bensì il reale benessere collettivo fornendo essa per prima, in leale competizione con il settore privato, beni e servizi di individuale e pubblica utilità. Gli statali della scuola finto pubblica continuano a difendere lo status delle cose creato al loro tempo da monarchi e tiranni. Fondano il loro gioco sull'equivoco generato dal cattivo uso della parola pubblico riducendo tutto ad una contrapposizione col settore privato. Ebbene: non esistono solo statali e privati, esistono anche e soprattutto cittadini maturi, coinvolti e responsabili che intendono fare la parte che spetta loro per diritto costituzionale nel creare e mantenere una società davvero democratica della quale essere finalmente fieri.

Gli statali ci hanno insegnato l'alfabeto e la grammatica ma non cosa farne di buono. Ripartiamo allora dalla grande lezione del '68 ed andiamo oltre capendo che gli statali, che siano di destra o di sinistra, sempre statali sono ed i loro interessi di casta dispotica non possono che fare. Non lasciamoci ingannare dalla difesa dell'ambiente condotta dai baroni e baronesse di sinistra. L'ambiente si è così ridotto proprio per via della mancanza di un nucleo pubblico centrale ben fatto, in grado di tenere a bada ed in periferia il settore economico privato. Continuiamo a tenerci gli statali e l'ambiente, tanto per la vorace destra quanto per la mendace sinistra, andrà completamente in rovina così come tutto il resto. Democratizzando la Funzione Pubblica faremo invece sì che un effettivo ricambio democratico si affermi anche nell'ambito di Governo e le decisioni vengano prese per il bene di tutti, non più per soddisfare gli interessi di pochi.


Solo
scacciando via
i servi del tiranno
eviteremo che essi
lo riconducano
al potere.


Danilo D'Antonio

Monti della Laga
Italia  Centrale

tel. 339 5014947



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