Immigrati, ostaggi della politica: la separazione come nuova forma di integrazione



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Immigrati, ostaggi della politica: la separazione come nuova forma di integrazione

Da quando Berlusconi e la Lega hanno vinto le elezioni e si sono insediati nelle stanze del potere assistiamo, spesso increduli, ad una escalation di dichiarazioni ad effetto e di decisioni improvvide che, frequentemente, riguardano gli immigrati e gli stranieri.

Si è cominciato con la dichiarazione di guerra, senza esclusione di colpi, contro gli “immigrati (tutti) delinquenti”, i mendicanti, gli accattoni, i romeni e i rom. I conseguenti decreti sicurezza hanno legalizzato il tutto.

Si è passato, poi, all’annuncio, inizialmente, trionfale: “Con la Lega al governo, gli sbarchi di clandestini spariranno”; in seguito, dinanzi al perdurare degli arrivi, si è adottata la politica del far fare agli altri (Gheddafi), naturalmente in cambio di mezzi e soldi, il lavoro sporco atto a “trattenere” in Libia, uno dei paesi più impegnati nella difesa dei diritti umani, i potenziali immigrati. Quando ci si è accorti che Gheddafi non rispettava gli accordi, il leghista ministro degli Interni voleva recarsi personalmente in Libia per richiamare gli impegni presi, ma Gheddafi non è stato disponibile ad incontrarlo.

Sistemati gli immigrati delinquenti, fatti sistemare (da altri) quelli clandestini, la Lega ha pensato di occuparsi degli immigrati regolari chiedendo a gran voce l’introduzione del “permesso a punti”: se l’immigrato regolarmente residente delinque perde punti, se perde il lavoro perde punti, se ha un’abitazione inadeguata perde punti, se si ammala spesso perde punti, se i figli imbrattano i muri perde punti… Quando lo stock di punti è esaurito l’immigrato perde il permesso di soggiorno e, in teoria, dovrebbe lasciare l’Italia (non si è capito bene se da solo oppure accompagnato dalla famiglia) oppure diventa clandestino per (=in forza della) legge.

Sempre in tema d’immigrati regolari, al Lega, movimento caratterizzato da riconosciuti valori umani e religiosi, non poteva non difendere la religione cattolica dall’aggressione dei musulmani, che se vogliono pregare in Italia lo possono fare in privato oppure ritornando nel loro paese di origine, ed ha, perciò, proposto l'obbligo di referendum popolare prima della costruzione di una moschea.

In seguito, visto che parlare (e sparlare) d’immigrati aumenta la visibilità ed il gradimento, la Lega ha scoperto che sugli immigrati ci si poteva anche guadagnare. Ecco immediata la proposta di tassa sull'immigrato: ogni straniero dovrà versare 200 euro per chiedere il rilascio e il rinnovo del permesso o avviare la pratica di cittadinanza. Questa tassa si aggiunge ai 70 euro di costi fissi già sborsati dai lavoratori extracomunitari e servirà a finanziare un presunto “fondo per la prevenzione dei flussi migratori”: non si è capito bene se si tratta dello stesso fondo per pagare i servigi dei Gheddafi di turno.

Le classi separate per alunni stranieri

Questa feconda creatività anti-immigrati della Lega viene, in genere, accettata senza troppe remore dai partiti della Casa della Libertà che sembrano partecipare solo al triste gioco delle parti, alle spalle degli immigrati: non appena un esponente di AN o di Forza Italia accenna a qualche “pacata” riflessione sull’immigrazione, la Lega riparte a testa bassa contro gli immigrati.

L’ultimo esempio riguarda la mozione della Lega alla Camera sull'istituzione nella scuola dell'obbligo di classi riservate agli alunni stranieri che non parlano o parlano poco l’italiano. Tale decisione arriva il giorno dopo che Gianfranco Fini, Presidente della Camera aveva dichiarato: «La via italiana all’integrazione si ottiene combattendo la tendenza all’isolamento da parte delle minoranze di stranieri e impedendo il prodursi di razzismo e xenofobia, fenomeni che tendono ad aumentare per effetto di paura, ignoranza, degrado».

E proprio per “combattere la tendenza all’isolamento da parte delle minoranze di stranieri”, richiesta da Fini, il capogruppo della Lega alla Camera, Roberto Cota, propone la creazione di luoghi di apprendimento “separati” per i bambini immigrati, in modo che questi (senza italiani tra i piedi) possano apprendere meglio l’italiano e dichiara che la “proposta serve a prevenire il razzismo e a realizzare una vera integrazione”. Non si capisce bene come, visto che da sempre abbiamo stigmatizzato le scuole speciali tedesche piene di ragazzi italiani, che più frequentavano tali strutture, meno tedesco imparavano e più erano relegati alla marginalità sociale.

Il testo, approvato a Montecitorio, impegna il governo a “rivedere il sistema di accesso degli studenti stranieri alla scuola di ogni ordine e grado, favorendo il loro ingresso, previo superamento di test e specifiche prove di valutazione”. A chi non supera i test vengono messe a disposizione le “classi ponte che consentano agli studenti stranieri di frequentare corsi di apprendimento della lingua italiana, propedeutiche all'ingresso degli studenti stranieri nelle classi permanenti”.

Inoltre, la mozione impegna inoltre il governo “a non consentire in ogni caso ingressi nelle classi ordinarie oltre il 31 dicembre di ciascun anno, al fine di un razionale ed agevole inserimento degli studenti stranieri nelle nostre scuole”. Infine, prevede “una distribuzione degli studenti stranieri proporzionata al numero complessivo degli alunni per classe, per favorirne la piena integrazione e scongiurare il rischio della formazione di classi di soli alunni stranieri”.

Quali sono i problemi che si vogliono risolvere? Si tratta del bisogno dei bambini stranieri di imparare l’italiano? Si tratta, inoltre, della necessità di non creare classi di (quasi) soli stranieri? Certo, non si risolve con la separazione il bisogno di sostenere l’apprendimento dei bambini stranieri e, soprattutto, non si eliminano i ghetti scolastici creandone o legalizzandone altri.

Comunque, quando si legifera per tutti, è sempre consigliabile confrontarsi con la realtà generale e non solo sulla situazione della scuola o della classe che si conosce.

Secondo gli ultimi dati MIUR, in Italia nell’anno scolastico 2007/08 gli alunni con cittadinanza non italiana presenti nel sistema scolastico nazionale erano 574.133 e rappresentavano il 6,4% del totale degli alunni.

Tra questi, i bambini e ragazzi stranieri nati in Italia (quelli generati “in italiano”), iscritti a scuola, erano 199.120 e costituivano il 35% degli alunni stranieri. Naturalmente la loro maggiore concentrazione si rilevava tra i bambini della scuola dell’infanzia (71,2%) e primaria (41,1%), dove come gli altri bambini italiani si avvicinano all’apprendimento (lettura e scrittura) dell’italiano.

Gli alunni stranieri entrati per la prima volta nel 2007/2008 nel sistema scolastico italiano, erano, invece, 46.154 (8% di tutti gli alunni stranieri), di cui 23.650, più della metà, inseriti nella scuola primaria. Per questi ragazzi, nessuno mette in dubbio che ci sia necessità di un sostegno scolastico, ma questo si deve aggiungere alla normale programmazione delle attività e deve essere inserito in un quadro di sostegno all'integrazione che vede il “normale” inserimento in classe con gli altri bambini e non la separazione in “classi speciali”, più o meno ponti verso l’emarginazione.

La cittadinanza più rappresentata è quella rumena con 92.734 alunni pari al 16,15 % del totale degli alunni stranieri, seguita da quella albanese (85.195 alunni, pari al 14,84%) che insieme a quella marocchina (76.217 alunni, pari al 13,28%) coprono il 44,27% (quasi la metà) delle presenze straniere nella scuola italiana. Ora, gli operatori scolastici sono concordi nel rilevare che i ragazzi provenienti dall’Est Europa hanno più facilità di apprendimento dell’italiano.

L’incidenza degli alunni con cittadinanza non italiana è particolarmente significativa in Emilia Romagna, Umbria, Lombardia e Veneto dove essi rappresentano più del 10% della popolazione scolastica regionale (raggiunge il 12% in Emilia Romagna). Nel Mezzogiorno l’incidenza percentuale varia tra l’1,3 e il 2,3% ad eccezione dell’Abruzzo con il 5%. E’ utile, comunque, notare che la maggiore concentrazione di alunni con cittadinanza non italiana entrati per la prima volta nel sistema scolastico nazionale avviene soprattutto nelle regioni del Mezzogiorno, dove le percentuali superano sempre il valore nazionale (10%). Nel Centro-Nord, invece, le incidenze percentuali sono tutte inferiori, con l’eccezione del Lazio (12,9%), la Valle d’Aosta (11,7%) e il Friuli (10,7%).

La mancanza di regolarità scolastica tra gli studenti con cittadinanza non italiana rappresenta un dato particolarmente preoccupante dovuto sia a difficoltà legate alla conoscenza della lingua italiana, sia a problemi di integrazione sociale. In media, il 42,5% di alunni stranieri non è in regola con gli studi e il crescere dell’età aumenta il loro disagio scolastico. Questo dato, fra l’altro, contraddice le motivazioni addotte a sostegno del provvedimento finalizzato a test di primo ingresso che, come visto, non sono rispondenti alla realtà dei fatti.

Introdurre, allora, una pericolosa discriminazione anche a scuola, istituzionalizzando “classi differenziali”, non solo non risponde ai problemi che si pretende risolvere, ma rivela – per l’ennesima volta – che l’immigrazione (e gli immigrati) è uno degli argomenti che ben si prestano alla strumentalizzazione di politici che, incapaci di fornire risposte efficaci, si limitano ad indicare capri espiatori ad un’opinione pubblica esasperata da problemi veri e da paure create ad arte.

 

Roma, 15 ottobre 2008
 
Lorenzo Prencipe
Presidente del CSER - Centro Studi Emigrazione Roma
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