Riflessione. Da un quadro di Lee



Agli amici di PeaceLink

Mi sono imbattuto in un testo bellissimo di Walter Benjamin che sottopongo alla riflessione di voi tutti. Benjamin, filosofo, citando un quadro di Lee che si intitola Angelus Novus, vuole spiegare che cosa sia la storia: questa nostra storia. Nel quadro, spiega Benjamin, c’è un Angelo che “sembra in atto di allontanarsi da qualcosa su cui fissa lo sguardo. Ha gli occhi spalancati, la bocca aperta, le ali distese.” Bellissima questa immagine con la quale si cerca di raffigurare una storia che è storia di catastrofi, guerre, una storia di oppressi, di poveri. L’angelo della storia non può non distogliere lo sguardo da tutto ciò. I suoi occhi sono paralizzati sull’indicibile inumano, sulle sofferenze di sempre.

Quanto abbiamo dimenticato che la storia non è progresso, emancipazione. Ci hanno insegnato a credere che l’uomo è migliore più di quanto non lo sia. E’ il mito di Sisifo. L’uomo è sempre quello e sempre lo sarà. Sofferenza e morte…anche se è difficile da accettare. L’angelo di Klee, infatti, vorrebbe “destare i morti e ricomporre l’infranto” ma una tempesta lo prende per le ali e lo porta via. Questa tempesta è il progresso, afferma Benjamin, la fame di progresso che domina ogni epoca. Non si ha il tempo o non si vuole fermarsi a “ricomporre l’infranto” perché bisogna andare avanti. Ci interessa il futuro, il nostro futuro.

Questa raffigurazione della realtà sembra spietata! Ma io vi colgo qualcosa di molto realistico se non di interessante e positivo. Mi riferisco allo sguardo dell’angelo. Mi ricorda l’angelo di cui si parla in un Midrash (un commento rabbinico) al “libro di Ruth” , ricordato da Scholem in uno dei suoi studi sulla Kabbalah. E’ l’angelo del giudizio, l’ultimo giudizio, il giudizio finale. Un angelo, tuttavia, che non pronuncia alcun giudizio trovandosi dinanzi a tale sciagura. Dovrebbe spietatamente accusare, condannare…ed invece emette solo un lamento. Piange ed è sbigottito: è l’angelo di Dio.

Al di là di quella che potrebbe essere la bellissima riflessione teologica in merito vorrei condividere l’insegnamento che traggo da questa immagine. Il silenzio dell’angelo frammisto al terrore è “giudizio” ed è l’atteggiamento più bello che ciascuno di noi possa nutrire dinanzi alla storia e ai poveri che ne sono i protagonisti. Lo sguardo del messaggero di Dio invoca giustizia. Ha la capacità di sbigottirsi, di provare terrore dinanzi alle tragedie. Detto in altre parole: la memoria, il ricordo di tutte le guerre forse possono preservare il futuro. Se solo ci si fermasse a guardare! Se solo aprissimo gli occhi dinanzi alle miserie saremmo più disillusi sull’uomo. Soprattutto, saremmo più disillusi sulla storia e in merito alle nostre pretese su di essa. Le nostre velleità, le nostre politiche dovrebbero avere quello sguardo sempre attento al passato, prima di volgersi al futuro.

Quando ho detto ciò ad alcuni ragazzi, mi hanno chiesto se ciò possa garantire un futuro di giustizia e di pace. Ho risposto seccamente: “No”. Non ho la pretesa di essere il detentore della verità. Penso però che la storia ci riserverà sempre questo angusto spettacolo. Credere altrimenti vuol dire “chiudere gli occhi” ed è ciò che abbiamo fatto sin’ora. Perché la storia debba andare in questo modo, perché esista la sofferenza…sono domande alle quali non so rispondere.

Tuttavia, ho detto ai ragazzi di tenere gli occhi sempre aperti e di chiedere e di avere sempre “fame e sete” di ciò che è promessa per l’uomo e di ciò che di più bello un popolo possa sperare “la giustizia e la pace”.

Ogni notte mi addormento con una preghiera ed una domanda: il giorno dopo mi alzo, leggo il giornale, leggo notizie da qualche mailing e riscopro che quella preghiera e quella domanda sono state disattese. E so che sempre lo saranno se penso di poter rivedere il “giardino dell’Eden”. E’ il mistero dell’uomo. Che bella situazione! Ma so che “Giustizia e Pace” sono ciò che di più bello un uomo possa chiedere al buon Dio e in cui si possa impegnare. E che sono realtà concesse, sperimentabili. Proprio nel momento in cui la “fame e la sete” divengono estenuanti, nelle sofferenze, nell’ingiustizia più manifesta ad un uomo, paradossalmente, è concesso di sperimentare giustizia e pace.

Mi piacerebbe sapere cosa ne pensano i tanti amici che condividono questa ricerca. La mia visione della storia è un ipotesi, smentibile. Vi chiedo un confronto. Certo che “dove si cerca la giustizia, si difende la verità e ivi regna la pace”. Ciao

Don Daniele D’Elia

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