Coordinamento docenti - Palermo: Documento approvato nell'assemblea che si è tenuta presso il liceo classico "G. Garibaldi" il 17/10/02



Documento del "Coordinamento Docenti" approvato nell'assemblea che si è
tenuta presso il liceo classico "G. Garibaldi" il 17/10/02.

Riteniamo il sistema nazionale di pubblica istruzione indispensabile per
l'educazione alla cittadinanza, alla memoria storica ed alla scienza,
convinti che su di esso si misura il grado di civiltà di una nazione.
 Infatti, l'idea di scuola che conosciamo e condividiamo è quella di una
scuola dove lo studio è finalizzato alla formazione culturale, cioè
formazione critica, possesso di conoscenze come strumenti di
interpretazione, risorsa per la società, diritto/dovere di tutti. Riteniamo
cioè di formare cittadini capaci di un consapevole esercizio critico della
propria autonomia culturale ed umana, coscienti dei problemi e dei
conflitti esistenti nella società e idonei a compiere libere e responsabili
scelte ideologiche. Cittadini che sappiano stabilire rapporti costruttivi
con gli altri senza omologarsi, sappiano raggiungere l'autonomia personale,
non solo come insieme di capacità intellettuali ma anche come costruzione
di valori su cui fondare la vita individuale e sociale e che sappiano
operare non per fini individuali egoistici ed utilitaristici, ma per
migliorare l'intera società.
	L'idea di scuola che si evince dalle proposte di revisione del
sistema educativo sembra essere quella di una agenzia di formazione di
consumatori inconsapevoli, basata sull'acquisizione di competenze
immediatamente spendibili sul mercato. E' un'idea che non condividiamo.

La formazione è una opportunità di crescita culturale ed educativa  sancita
dalla nostra Costituzione e dalla nostra storia e garantita per tutti i
cittadini: essa viene meno se deve passare da scelte "localistiche" di ogni
singola scuola e da ipotesi di finanziamenti locali condizionati dalle
realtà economiche del territorio: sono sotto gli occhi di tutti, nel nostro
paese,  le disuguaglianze persistenti tra i cittadini delle varie realtà
locali e delle varie scuole, pur nella stessa realtà. La scuola si
trasforma quindi, in mancanza di garanzie culturali e giuridiche, in
azienda finalizzata alla soddisfazione dell'allievo/cliente. Perciò siamo
contrari alla regionalizzazione della scuola .
Pensiamo che la libertà di insegnamento, principio sancito dalla
Costituzione, non può assoggettarsi, esclusivamente, in presenza di una
legislazione regionale concorrente a quella dello stato, all'esigenza di
formazione di un tot di soggetti richiesti dal mercato del lavoro. Vogliamo
inoltre che la scuola resti luogo di formazione e di pari opportunità. E'
necessario quindi che l'inserimento dei giovani nel mondo del lavoro sia
preceduto da un processo di vera formazione che è già proprio del
sistema-scuola e che può essere attuato solo con l'obbligo effettivo fino a
18 anni. Non sarà così con la scelta dell'identità lavorativa effettuata
precocemente, che attribuisce al canale professionale una dignità inferiore
a quello liceale (viene in mente l'antica divisione fra scuola media ed
avviamento professionale ormai obsoleta e superata dalla riforma della
scuola media unificata a partire dagli inizi degli anni '60).Non crediamo
infatti alla possibilità che  utopiche passerelle, sempre e comunque
praticabili, possano creare le condizioni per assicurare a tutti il
diritto/dovere di istruzione.



Crediamo alla promozione sociale attraverso lo studio, crediamo in una
scuola che educhi all'autonomia personale, che apra spazi di memoria e di
comprensione non appiattiti su ciò che è empiricamente presente ed utile.
Per continuare ad attuare le finalità che caratterizzano la scuola
democratica e pluralista, crediamo fermamente che i "Docenti" debbano
rimanere l'organismo collegiale centrale della didattica e siamo quindi
contrari ad essere relegati dalla riforma degli O.O.C.C. a semplici
redattori di POF, la cui organizzazione è, peraltro, demandata al Consiglio
di Amministrazione . I "Docenti" sono, per la loro professionalità,
l'organismo collegiale centrale e competente in materia di valutazione, che
non può essere identificata come attribuzione di un voto o giudizio, ma
come diagnosi di una situazione per potere formulare e verificare ipotesi
di lavoro. Rifiutiamo pertanto l'idea di Scuola in cui vengono a
confondersi i contenuti con le forme del sapere; se, quindi, il compito dei
docenti non può ridursi alla semplice trasmissione di nozioni e
somministrazione di test, la scuola, dal canto suo, non deve e non può
misurare e certificare tutto attraverso lo strumento del test e non è
pensabile potere equiparare giudizi tecnici e morali (debito sul
comportamento,che peraltro ripudiamo, di pari peso a quello di profitto).
Reputiamo che le modalità per le valutazioni periodiche degli alunni non
possano essere indicate da un regolamento di istituto deliberato dal
Consiglio di Amministrazione, ma che siano stabilite, come accade adesso,
dal Collegio dei Docenti.  Quanto al Consiglio di amministrazione, così
come appare una volta riformato, esprimiamo  il nostro fermo dissenso:
nella sua nuova strutturazione risulta deprivato della sua componente
essenziale, cioè di coloro che vivono nella scuola e ne sono quindi parte
attiva: gli alunni, i docenti, i genitori.

Pur ritenendo utile una informazione, basata su indagine statistica
nazionale, effettuata dal Sistema Nazionale di Valutazione sui livelli medi
di preparazione degli alunni e funzionale alla didattica, non
"promozionale", esprimiamo il dubbio che ciò possa trasformarsi in
ingerenza sul lavoro didattico quotidiano, che risulterebbe inevitabilmente
influenzato dalla paura di essere ultimi nelle graduatorie tra Regioni, tra
scuole, tra classi. Non vogliamo che la didattica  sia appiattita sullo
stile conoscitivo imposto dal modello tecnologico caratterizzato da
nozionismo e superficialità.
 In questa prospettiva, la strutturazione gerarchica dei concetti, la
capacità di lettura storica, la riflessione critica, l'atteggiamento
scientifico si sostituirebbero con la successione seriale delle
informazioni, la registrazione isolata di dati, la dicotomia nozionistica
chiusa vero/falso, cioè con un'alfabetizzazione elementare informatica e
linguistica come richiesta dal sistema economico. La didattica diverrebbe
così aproblematica, semplificativa, verrebbe a mancare la responsabilità
del dialogo dell'ascolto dell'autocritica. Una tale didattica formerebbe
studenti certamente abili ad indovinare quiz, ma incapaci di proporre e
sostenere una soluzione propria.


La diminuzione del tempo scuola effettivo, e dedicato per massima parte a
test, passerelle, orientamenti, svuoterebbe le discipline dagli elementi
concettuali di base, trasformandole in merce da acquistare
indifferentemente in qualunque scuola/azienda.

Ritenendo che l'esperienza religiosa abbia, in ogni caso, laicamente, una
valenza culturale, lo studio di essa dovrebbe configurarsi in termini di
Storia delle Religioni quale ulteriore apertura conoscitiva ai diversi
orizzonti di sensibilità e di pensiero.Inoltre, siamo convinti che
l'insegnamento della religione cattolica debba rimanere facoltativo, come
occasione di approfondimento in sintonia con l'idea di una scuola  che
formi un giovane che sia tollerante, accetti il diverso, comprenda le
culture differenti dalla propria e sia consapevole della necessità di
costruire una coscienza sovra-nazionale pluralistica e multietnica.