un po' alla volta contro la cultura dell'usa e getta



da  Eddyburg.it
 
Un po’ alla volta, contro la cultura dell’usa e getta
Data di pubblicazione: 12.05.2012

Autore: McGrane, Sally

La rete indispensabile, le capacità e l’abitudine alla manutenzione, sono un fenomeno squisitamente metropolitano, almeno ai nostri tempi. The New York Times, 9 maggio 2012 (f.b.)

Titolo originale: An Effort to Bury a Throwaway Culture One Repair at a Time - Scelto e tradotto da Fabrizio Bottini

AMSTERDAM — Arrivano nell’ordine un disoccupato, un farmacista in pensione, un tappezziere, e prendono posto ai tavoli ricoperti di percalle rosso. A portata di mano cacciaviti e macchine da cucire. Non mancano caffè, tè e biscotti. Hilij Held, un’abitante del quartiere, trascina dentro una scatola a strisce su rotelle da cui estrae un ferro da stiro con l’aria vissuta. “Non funziona più” spiega. “Non esce il vapore”. La signorina Held ha scelto il posto giusto. Qui al primo Caffè delle Riparazioni di Amsterdam, una iniziativa partita dall’ingresso di un teatro, poi in una stanza di un ex albergo presa in affitto, e ora in un centro di quartiere due volte al mese, la gente può portare qualunque cosa per farsela sistemare gratis, da volontari che lo fanno per il gusto di aggiustare.

Pensato per aiutare chi vuole ridurre ciò che buttiamo, il Caffè della Riparazione ha funzionato bene da subito all'inizio un paio d’anni fa. La Repair Cafe Foundation ha ottenuto circa mezzo milione di euro dal governo olandese, oltre che da associazioni e offerte minori, che servono per il personale minimo, la promozione, e anche un Pulmino della Riparazione. Ci sono trenta gruppi diversi che hanno avviato dei Caffè della Riparazione in tutta l’Olanda, in cui i vicini uniscono competenze e disponibilità per offrire qualche ora al mese a ricucire strappi nella stoffa o ridar vita a qualche caffettiera, lampada, aspirapolvere o tostapane, praticamente qualunque apparecchiatura elettrica dalle lavatrici agli spremiagrumi.

“In Europa si buttano via tante cose” racconta Martine Postma, ex giornalista che ha ideato il concetto dopo la nascita del secondo figlio e qualche riflessione in più sull’ambiente. “È una vergogna, visto che si tratta di cose del tutto riutilizzabili. Al mondo c’è sempre più gente, e noi non possiamo continuare così. Volevo fare qualcosa di concreto, non solo scrivere”. E però la tormentava la domanda: “È possibile farlo come persona normale, nella vita quotidiana?” Ispirata da una mostra sui vantaggi culturali ed economici di riparazione e riciclaggio, ha deciso che per evitare sprechi inutili si potevano aiutare praticamente le persone a sistemare le cose. “Quando si parla di sostenibilità spesso ci si limita a prospettare degli ideali. Si fanno magari una serie di laboratori su come coltivarsi da soli i funghi, e la gente si stufa. Questo invece è un modo di impegnarsi molto immediato e concreto. Si fa qualcosa insieme, qui e ora”.

L’Olanda già contiene lo smaltimento in discarica a meno del 3% dei rifiuti urbani, ma si può fare anche di meglio secondo Joop Atsma, ministro delle infrastrutture e dell’ambiente. “Il Caffè della riparazione è un modo molto efficace di aumentare la consapevolezza del fatto che ci sono tante cose che buttiamo e invece funzionano benissimo” ha scritto Atsma in una e-mail. “La ritengo una ottima idea” aggiunge Han van Kasteren, professore all’Istituto di Tecnologia di Eindhoven specializzato nel settore rifiuti. “C’è anche un importante aspetto sociale. Quando si lavora insieme per l’ambiente si fa crescere la consapevolezza. Sistemare un aspirapolvere fa bene”. Di sicuro l’ha fatto alla signora che un giorno ha portato il suo aspirapolvere che aveva quarant’anni, comprato da sposina, qui al Caffè della Riparazione. “Sono contenta, tanto contenta” commenta mentre John Zuidema, 70 anni, sta eliminando il condotto spezzato. “Mio marito non c’è più, e restano in giro tutte queste cosec he un tempo lui riparava”.

Per qualcuno gli aspetti sociali vangono almeno tanto quanto quelli ambientali. “La cosa interessante è che si creano degli spazi di incontro, per chi magari abitava vicino da estraneo” commenta Nina Tellegen, direttrice della Fondazione DOEN che ha garantito dal progetto un finanziamento da più di 200.000 euro nel quadro dei programmi di “coesione sociale” iniziati dopo l’omicidio politico di Pim Fortuyn, nel 2002, e quello del regista Theo van Gogh, nel 2004. “Il fatto che si leghi anche alla sostenibilità lo rende ancora più interessante”. La Tellegen è convinta che serva soprattutto agli anziani. “Hanno delle conoscenze che stanno sparendo. Una volta si facevano tanti lavori manuali, mentre oggi c’è questa società dei servizi.”

Evelien H. Tonkens, professore di sociologia all’Università di Amsterdam, concorda. “È proprio un segno dei tempi”. Secondo Tonkens, il Caffè della Riparazione è anticonsumista, anti-mercato, propone un’etica del fai da te e si inserisce in una cultura in crescita nel paese, per migliorare la vita quotidiana a partire dal basso e dalla partecipazione. “Sicuramente non funziona come un’impresa” aggiunge la Postma. Ci si rivolge a chi considera costoso far riparare le proprie cose, non deve far concorrenza agli esercizi del genere che già esistono.La Repair Cafe Foundation dà informazioni per iniziare l’attività, gli strumenti necessari, dritte per i finanziamenti, la promozione. Sono arrivate richieste anche da Francia, Belgio, Germania, Polonia, Ucraina, Sud Africa e Australia.

Tijn Noordenbos, sessantaduenne artista di Delft, ha fondato un Caffè della Riparazione quattro mesi fa. “Mi piace aggiustare le cose” spiega, ricordando come i negozi del genere che c’erano un tempo siano tutti spariti. “Oggi se si rompe qualcosa e si prova a riportarlo al negozio, ti rispondono che va rispedito al fabbricante e costa cento euro solo il controllo, meglio comprarne uno nuovo”. L’architetto William McDonough continua “L’obsolescenza pianificata ha raggiunto un livello di pazzia, si deve buttar via tutto senza neppure pensarci”. Lui propone una filosofia progettuale “dalla culla alla culla” dove gli oggetti si possono anche smontare e riutilizzare per parti (o materie prime, non si deve per forza riparare ad nauseam), ed è servita a ispirare l’idea della signora Postma. “Col Caffè della Riparazione la gente capisce di avere un rapporto con quei materiali” conclude McDonough.

Come ad esempio la minigonna H&M di Sigrid Deters strappata. “Costa 5-10 euro” e lei è troppo goffa per provarci da sola a ricucirla. “Adesso non vale nulla, si potrebbe buttarla e comprarne una nuova. Ma se la riparano posso indossarla di nuovo”. Marjanne van der Rhee, volontaria in uno dei Caffè per far promozione e distribuire bevande calde, racconta: “Arriva tanta gente diversa. In qualche caso si può pensare che vengano perché sono davvero poveri. Altri hanno un aspetto più agiato, ma si preoccupano per l’ambiente. Altri ancora sembrano solo un po’ matti”.

Theo van den Akker, che normalmente fa il contabile, adesso deve occuparsi del ferro a vapore senza più vapore. Avvolto nella sua T-shirt con scritto “Mr. Repair Café”, van den Akker apre l’involucro di plastica, mettendo a nudo un intrico di fili elettrici colorati. Intanto la signora Held chiacchiera con la van der Rhee dei veli tradizionali del Suriname che lei, nata laggiù, vende. Una volta che van den Akker ha finito col ferro a vapore, avanzano due pezzi: magari non erano così importanti. Infila la spina, si accende una luce verde, gorgoglia dell’acqua rugginosa e finalmente inizia ad uscire il vapore.