Quanta e quale energia



Quanta e quale energia
 
da La Gazzetta del Mezzogiorno, martedì 26 luglio 2011

Giorgio Nebbia
nebbia at quipo.it

Ci siamo liberati, speriamo per sempre, dell’incubo della costruzione
di centrali nucleari e adesso l’Italia deve affrontare il problema del
suo futuro energetico.

L’energia non serve a niente se non è impiegata in qualche scambio e
servizio economico. L’elettricità di diecimila centrali eoliche non
riesce a far muovere neanche di un metro una automobile se il suo
motore funziona a benzina. Diecimila tonnellate di petrolio non
riescono ad accendere neanche una lampadina se non sono trasformate in
elettricità in una qualche centrale, e così via. Infine l’energia non
”si consuma” perché, dopo essere passata attraverso le “macchine” (che
siano automobili o motori elettrici o fornelli), alla fine si ritrova
tutta nell’ambiente come calore a bassa temperatura che non “serve”
più niente e che scalda l’aria e le acque e altera il clima.

Il futuro economico italiano presuppone la risposta alle seguenti
domande: di quanta energia totale ed elettricità avrà bisogno il paese
nei prossimi, diciamo, dieci anni ? L’energia è necessaria per fare
che cosa ? In quale modo i futuri fabbisogni di energia sono associati
alla possibilità di aumentare l’occupazione ? Da dove è possibile
ricavare l’energia totale e l’energia elettrica nell’orizzonte
temporale immaginato ? Quali effetti positivi o negativi la produzione
e il “consumo” di energia avranno sull’ambiente ?

Una risposta si può avere soltanto se si prendono in considerazione le
“destinazioni” delle varie fonti e forme di energia e l’utilità di
ciascuna destinazione. Per produrre una tonnellata di acciaio occorre
un certo numero di unità di energia e di ore lavorative; per produrre
una tonnellata di grano occorre un certo numero di unità di energia e
una certa quantità di concimi e di ore di lavoro.

Prendiamo il caso della transizione, proposta per diminuire
l’inquinamento delle strade urbane, dalle automobili a benzina o
gasolio a quelle elettriche. In Italia tale transizione farebbe
diminuire le importazioni di petrolio e l’occupazione nelle raffinerie
di petrolio e nei distributori. Nello stesso tempo aumenterebbe
l’occupazione nelle fabbriche di automobili elettriche che però
dovrebbero importare i materiali per i motori elettrici, dalle terre
rare cinesi al litio della Bolivia; aumenterebbe l’occupazione nella
rottamazione delle vecchie auto e nel riciclo dei relativi materiali e
dovrebbe aumentare la produzione di elettricità mediante nuove
centrali che sono inquinanti nelle zone in cui sono insediate.

L’elettricità potrebbe essere ottenuta col Sole e col vento, ma la
transizione verso un crescente uso delle fonti rinnovabili
richiederebbe delle macchine, dai pannelli fotovoltaici alle pale
eoliche, che devono essere fabbricate, in Italia o all’estero, e che
richiedono a loro volta materiali, energia e occupazione, prima di
cominciare a dare l’elettricità con le forze del Sole e del vento, le
uniche che sono davvero gratuite. In una ipotetica transizione dalle
auto a benzina a quelle elettriche come varierebbero i consumi di
energia complessivi, l’occupazione e l’inquinamento ?

Nel declino delle attività manifatturiere, metallurgiche, meccaniche,
chimiche, quelle che hanno assicurato finora gran parte
dell’occupazione, si cerca una soluzione per la “crescita” economica
nel turismo e nei servizi. Il turismo assicura un po’ di occupazione
ma comporta consumi di energia nelle costruzioni, che richiedono
cemento e vetri e infissi, spesso con effetti negativi sull’ambiente,
e presuppone un aumento dei consumi di energia nel settore dei
trasporti. Finora si è pensato che la crescita economica richieda un
crescente consumo di energia che a sua volta comporta inevitabili
danni ambientali.

E’ possibile piuttosto immaginare una politica diretta a diminuire i
consumi di energia con un aumento dell’occupazione ? Alcuni ritengono
che sia possibile ma bisognerebbe fare dei conti precisi per capire
quanta “intensità di energia” è associata ad ogni posto di lavoro in
ciascun settore economico.

Dopo di che si potrebbe cercare di capire quali merci l’industria
potrebbe produrre, con quali processi, con quali effetti sulle
importazioni e esportazioni; quali prodotti agricoli e zootecnici
conviene incentivare e scoraggiare; quali scelte assicurerebbero
migliori servizi nelle scuole, negli ospedali, nell’assistenza agli
anziani, nel turismo, come organizzare con minori sprechi la
distribuzione delle merci nei negozi, la mobilità con mezzi di
trasporto privati e pubblici, come distribuire abitazioni e uffici e
servizi nel territorio, sotto il vincolo di meno energia, meno danni
ambientali e più occupazione.

Le forze del libero mercato hanno finalità, pur legittime, che possono
essere in contrasto con i precedenti obiettivi realizzabili solo con
un intervento pubblico. Chi sa se qualche governo vorrà pensare alla
transizione sopra proposta, che probabilmente diventerà necessaria,
prima o poi, in tutti i paesi industriali.