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Ripensare energia, edilizia e trasporti favorisce la ripresa
di Vittorio Cogliati Dezza*
Lunedí 13 Ottobre 2008

Già in altre epoche l'Italia è stata salvata dai Comuni. Certo non sarà come ai tempi del Barbarossa, ma davvero oggi il Paese ha qualche motivo in più per puntare sulla capacità di iniziativa dei propri sindaci per risolvere i problemi. In questo momento di particolare attenzione agli effetti dei cambiamenti climatici si dimentica spesso un dato: circa un terzo delle emissioni di CO2 è causato dai trasporti, il 70% degli spostamenti si svolge su percorsi inferiori ai 10 chilometri, ossia in ambito urbano o periurbano.

Se a questo aggiungiamo che l'Italia è il Paese europeo, dopo il Lussemburgo, con il più alto tasso di motorizzazione (598 auto ogni mille abitanti) e che ogni giorno si muovono tra i 13 e i 14 milioni di persone tra comuni limitrofi, ma soltanto il 15% utilizza il treno, si disegna un quadro ben definito: il traffico urbano è un grande protagonista nelle emissioni di anidride carbonica.

Molto si può fare su scala locale, come dimostrano le pratiche virtuose di alcune città italiane, prima fra tutte Belluno, che quest'anno si aggiudica la classifica di Ecosistema urbano. Anche se dobbiamo dire che le politiche locali sono state fortemente penalizzate dai governi nazionali, che poco o nulla hanno investito in infrastrutture per il trasporto pubblico e nel miglioramento delle condizioni dei pendolari. Occorre che i nostri sindaci, però, non usino l'assenza di una politica nazionale come un alibi.

Molte cose utili si possono fare a costo zero, o addirittura producendo risorse per il trasporto stesso, ad esempio moltiplicando le corsie preferenziali, coordinando i diversi sistemi di mobilità urbana, incrementando il car sharing, o ancora introducendo il ticket nelle aree esterne ai centri storici, seguendo l'esempio di Londra e di Milano.

Pensare al rinnovamento del trasporto urbano vuol dire ridiscutere il modello di urbanizzazione dominante, fatto di disordinato e invasivo consumo di suolo, di congestione e consumi energetici, che hanno trasformato le città in vere e proprie isole di calore. Significa ad esempio rilanciare l'edilizia su parametri diversi da quelli della cementificazione selvaggia (331mila unità abitative solo nel 2006, di cui 30mila circa abusive, 7mila capannoni, 813 chili di cemento a testa, contro una media europea di 625).

Se si imboccasse con coraggio questa strada, la città moderna potrebbe diventare in poco tempo luogo privilegiato di produzione di energie pulite, di realizzazioni tecnologiche per il risparmio energetico, di assorbimento della CO2 attraverso la riqualificazione delle aree degradate che, in troppe città, sembra non possano avere un destino diverso da quello di essere invase dal cemento.

La riqualificazione energetica degli edifici è la vera grande infrastruttura che può far bene all'economia e al clima. Un volano per la ricerca e l'innovazione, per la proliferazione di nuove imprese in grado di intervenire nella riqualificazione energetica e nella manutenzione degli edifici, formando nuove professionalità, anche con il coinvolgimento delle Università. Per muoversi in questa direzione occorrerà abbattere il tanto brutto esistente, rigenerando le città, e "densificare" il tessuto urbano, in prossimità degli assi ferroviari.

Intorno a questa idea di città, intorno a un'edilizia moderna, dinamica e capace di competere sul piano delle innovazioni richieste dalle nuove emergenze, si possono costruire alleanze per rendere più significativo il contributo delle città alla lotta contro i cambiamenti climatici e per venire incontro alle esigenze dei cittadini.

In collaborazione con gli agricoltori, ad esempio, favorendo la filiera corta, si possono diffondere i "mercati agricoli permanenti", dove i contadini vendono i loro prodotti direttamente ai consumatori. O, ancora, si possono premiare i cittadini virtuosi e gli stili di vita meno energivori, utilizzando a questo fine la leva fiscale.

La direzione virtuosa da imboccare è quella di spostare la fiscalità dal territorio (come è fino ad oggi per gli oneri di urbanizzazione vero grimaldello nell'insensato e irreversibile consumo di suolo che ha colpito l'Italia) e dal lavoro al consumo di energia e di risorse (come l'acqua) e alla penalizzazione dell'inquinamento.

Anche nella gestione dei rifiuti possono venire vantaggi ai cittadini e alla lotta contro il clima. Non serve moltiplicare ovunque i termovalorizzatori. Occorre piuttosto costruire per intero la filiera giusta, favorendo la riduzione della produzione di rifiuti (a partire dagli imballaggi), la raccolta differenziata, il compostaggio, che consente l'assorbimento di quote rilevanti di CO2, e infine, solo per la quota residua, discariche e recupero energetico. Un sistema funzionante potrebbe infine far decollare il passaggio, fino a oggi sempre rinviato, da tassa a tariffa, che premierebbe i cittadini più virtuosi.

È questo il momento giusto per accelerare, per realizzare un salto di qualità, perché, dopo la tragedia campana, stiamo registrando ovunque una maturazione improvvisa, una nuova consapevolezza sulla possibilità di fare la raccolta differenziata e sui vantaggi che ne deriverebbero a tutti. Un po' come l'uragano Katrina ha spostato l'attenzione degli statunitensi verso la gravità dei cambiamenti climatici. Muovendosi in questa direzione le amministrazioni locali possono fare molto per l'interesse generale del Paese.

* Presidente nazionale Legambiente