navi cariche d'acqua dall'alaska all'india



da LA STAMPA
LUNEDÌ 25 OTTOBRE 2010

Navi cariche d'acqua dall'Alaska all'India

Un'azienda texana apre l'era dell'oro blu: 45 miliardi di litri prelevati ogni anno per venderli sui mercati dell'Oriente

LUIGI GRASSIA
L'acqua si avvia a diventare il petrolio del XXI secolo, un bene prezioso da trasportare in enormi navi-cisterna da un continente all'altro (e a caro prezzo) per sopperire a bisogni essenziali. Nello scorso weekend un'azienda del Texas ha annunciato l'avvio di un enorme progetto transoceanico, in base al quale, ogni anno, 45 miliardi di litri d'acqua verranno prelevati da un lago dell'Alaska, caricati su grandi serbatoi galleggianti, tipo petroliere, portati al di là dell'Oceano Pacifico e dell'Oceano Indiano fino a un enorme serbatoio vicino a Mumbai, in India, che servirà da «hub», cioè da centro di smistamento. Da qui l'acqua sarà distribuita nella stessa India ma soprattutto nei più assetati (e solvibili) fra i Paesi del Medio Oriente, a partire dall'Arabia Saudita e dai ricchi sceiccati del Golfo Persico. La
meta più distante (in una prima fase) sarà l'Iraq. Quest'acqua verrà in parte imbottigliata per essere bevuta, ma in grande misura sarà deviata a usi industriali, agricoli e di igiene pubblica. All'inizio, dato il costo non lieve dell'operazione, gli usi diversi dall'imbottigliamento verranno limitati ad attività sofisticate che richiedono molta acqua pulita, ad esempio l'industria farmaceutica, ma col passare degli anni e l'infittirsi del traffico di navi-cisterna diventerà sempre più comune utilizzare per gli scopi più vari, anche i più dozzinali, acqua proveniente da altri continenti.
L'azienda americana che avvia il business è la S2C Global Systems di San . Antonio, Texas. L'acqua verrà prelevata dal Blue Lake di Sitka, Alaska, in un'isola appartenente agli Stati Uniti, collocata nell'arcipelago di fronte alla costa orientale del Canada. Il Blue Lake ha il grande vantaggio che la sua acqua è pura e buona da bere (o da destinare ad altri usi che richiedano acqua pura) senza bisogno di essere depurata. Inoltre ce n'è in quantità, e al momen-
to è troppa per i bisogni dell'esigua popolazione locale.
L'oceano vicino al Blue Lake permetterà l'attracco e il caricamento di navi-serbatoio capaci di tenere in pancia.,302.833 metri cubi, come una grande* petroliera. Presto verranno predisposte le attrezzature di ormeggio. Ogni nave compirà il tragitto verso un'isolata a Sud di Mumbai (la vecchia Bombay) in 30 giorni, durante i quali un sistema di «ozonizzazione» manterrà il liquido puro. Poi l'acqua verrà scaricata in grandi serbatoi e da qui sarà in parte imbottigliata, in parte versata e sigillata in grandi ta-niche per usi diversi, in parte caricata su una flottiglia di navi-cisterna più piccole, che facendo la spola la porteranno al massimo entro 4 giorni alle destinazioni finali in Medio Oriente (la meta più lontana sarà il porto di Umm Qasr in Iraq).
Questa e consimili nuove rotte commerciali con l'acqua come merce trasportata disegneranno una geografia economica diversa da quella cui siamo abituati, con i flussi di risorse invertiti, non diretti dai Paesi in
via di sviluppo a quelli ricchi ma nel senso opposto. Infatti della risorsa acqua sono dotati, in misura sufficiente all'export su larga scala, soprattutto alcuni Paesi sviluppati: oggi tocca all'Alaska, domani probabilmente vedremo rotte dal Canada, dalla Scandinavia, dalla Nuova Zelanda, forse dal Cile e dall'Argentina, che so-
no Paesi semi-ricchi, ma più difficilmente dal Brasile, dal Congo o dall'Egitto, perché non basta avere molta acqua per esportarla. Deve anche essere disponibile in riserve naturali incontaminate, come i laghi vicino ai ghiacciai (depurarla prima di imbarcarla sulle navi-cisterna costerebbe troppo), e collocate in zone
montuose sì ma anche prossime al mare. Su questi aspetti la geografia favorisce pochi Paesi, che sono già favoriti dalla sorte per altre ragioni. Il destino spesso distribuisce le carte in modo ingiusto.
Il parallelo fra petrolio e acqua regge non solo per i trasporti via navi-serbatoio ma anche per le tubatu-
re a lunga distanza. C'è un progetto per portare in questo modo l'acqua attraverso il Mare Adriatico dai Balcani, che ne sono ricchi, all'Italia che ne ha bisogno; in questo caso si tratterebbe di un flusso di segno tradizionale, cioè con la materia prima che viene fornita dai Paesi più poveri a quelli più ricchi. Notevole però che il
trasporto internazionale su lunghissima distanza tramite tubi venga adesso concepito anche per l'acqua, mentre finora il costo di condotte molto lunghe si giustificava non per gli acquedotti ma solo per gli oleodotti, che trasportano un prodotto economicamente molto più pregiato.
Ovviamente il timore è che il pa-
rallelo fra petrolio e acqua si possa spingere anche oltre, e che così come si sono fatte guerre per il petrolio possano farsene, in futuro, anche per il controllo delle risorse idriche: tensioni sono già sorte fra Turchia, Siria e Iraq per le acque del Tigri e dell'Eufrate, fra Israele e gli arabi per il Giordano, fra i Paesi andini e il Brasile
per il Rio delle Amazzoni. Con la popolazione che cresce e i consumi agricoli e industriali in pieno boom, l'acqua potabile, o comunque pulita, sarà sempre più contesa. Si può desalare quella del mare, e questo già si fa, però richiede molta energia. Secondo la S2C il trasporto a lunga distanza è competitivo.
"No agli inganni
del finto sviluppo"

Vandana Shiva: l'acqua privatizzata porterà solo guerre
Chi ci guadagna:
Se diventa un genere scarso, chi lo controlla aumenterà i profitti. È ciò che accade se le risorse idriche diventano merce
Gli obiettivi
L'aqua industriale non serve per aiutare la gente colpita dalla siccità ma
L'ultimo pozzo
A BHOPAL, IN INDIA. SI RIEMPIONO I SECCHI CON L'ACQUA DI UN POZZO VECCHIO DI ISO ANNI, L'ULTIMO DELLA CITTÀ NON ANCORA PROSCIUGATO
ANDREA ROSSI
TORINO
Cita Gandhi: «La terra offre abbastanza per i bisogni df tutti, ma non per l'avidità di ciascuno». E lancia un'occhiata perplessa. Aveva visto giusto il Mahatma. Aveva visto giusto anche lei, Vandana Shiva, 58 anni, indiana di Dehra Dun, vice presidente di Slow Food e fondatrice di Na-vdanya, organizzazione non governativa a difesa della biodiversità, quando nel 2002 scrisse «Le guerre dell'acqua». Un libro che annunciava una tesi ben precisa: «Se i conflitti di fine del secolo scorso e d'inizio millennio sono stati combattuti per il petrolio, nel ventunesimo secolo si è aperta anche un'altra feroce battaglia: quella per l'acqua». Un salto all'in-dietro nel tempo: «La maggior parte delle guerre del passato furono combattute sui bordi dei fiumi, da popoli che si battevano per il possesso dei corsi d'acqua con cui coltivare le terre a ridosso. Ecco, è lì che stiamo tornando».
Tra Alaska, India e Medio Oriente, però, non si combatterà una guerra. E stato siglato un accordo. C'è una bella differenza, con crede? «No, non c'è molta differenza, perché la logica a cui rispondono tutti questi fatti - che siano conflitti o accordi - è la stessa. Si chiama sviluppo distruttivo ed è composta di molti tasselli: deforestazione che spezza il ciclo dell'acqua, attività estrattiva, diffusione dell'agricoltura industriale, sostituzione dei
per diffondere sempre più l'agricultura intensiva
L'uso della terra
Si vuole favorire il business delle monoculture, ma l'agricoltura tradizionale usa un quinto dell'acqua con gli stessi risultati
sistemi delle comunità locali con la logica della produzione intensiva. Infine, privatizzazione dell'acqua. Queste azioni, combinate, hanno favorito fenomeni come la desertificazione e la salinizzazione di mole aree del pianeta».
Con quali conseguenze? «Portare il mondo all'attuale crisi idrica e alle guerre. L'acqua è diventa scarsa. Ed è diventata merce. Si sta privatizzando nel silenzio dei governi. E tra gli effetti c'è l'aumento
delle tariffe e la mancanza di garanzie sulla qualità. Se l'acqua diventa una risorsa scarsa chi la controlla può moltiplicare i profitti. È quel che sta accadendo».
Che male c'è se chi non dispone di adeguate risorse idriche si rifornisce da chi ne ha in abbondanza? «Centinaia di navi a solcare gli oceani e macinare petrolio, tanto per fare un esempio. Senza contare che la tesi di fondo va ribaltata: quell'acqua non servirà per aiutare alcune
popolazioni a sopravvivere, ma per dare linfa all'agricoltura intensiva».
Più cibo per tutti, no? «No. So che sembra paradossale ma è così. Tutta quell'acqua a cosa servirà? Ad alimentare il grande business legato alle monoculture là dove invece, ci sarebbe bisogno di preservare la biodiversità. Monoculture come la soia non risolvono i problemi legati al cibo. Li creano. È un circolo vizioso: il circuito della produzione industriale ha bisogno dello spreco per creare surplus. L'agricoltura meccanizzata e la vendita di massa richiedono uniformità, che si traduce in ulteriore spreco: frutti e ortaggi che non rispettano le misure standard devono essere buttati via. Non è l'unica dilapidazione di risorse».
C'è dell'altro? «L'agricoltura industriale utilizza il quintuplo dell'acqua rispetto alle colture tradizionali per ottenere gli stessi quantitativi di grano e riso. In India, ogni anno il 75 per cento della nostra acqua, 536 miliardi di litri, viene utilizzato per irrigare i campi. E questo perché si è imposto di sostituire colture come il miglio con la canna da zucchero, che per crescere consuma risorse in quantità esponenziali. Come minimo siamo di fronte a una rivoluzione inefficiente, regressiva».
Produzioni intensive, milioni di litri d'acqua in fumo, cibo buttato via. Sembra un controsenso: come è possibile questo controsenso? «Le multinazionali detengono il monopolio dei semi e lo impongono a chiunque voglia coltivare. Prezzi altissimi per sementi "suicide" che non si riproducono, ma vanno ripiantate ogni anno, e per produrre hanno bisogno di enormi quantità d'acqua. Ecco perché quindici anni di coltivazioni intensive hanno saccheggiato le falde acquifere. Ora chi è rimasto senza e può pagare è costretto ad acquistare acqua da chi ne ha in abbondanza. Chi è senza soldi resta a bocca asciutta.
E quando il denaro finirà per tutti, spunteranno le armi».