una nuova politca e una nuova economia ispirate da un nuovo ambientalismo



Una proposta alla Fiom
Data di pubblicazione: 20.10.2010

Autore: Viale, Guido

Un intervento organico nella ricerca di un a nuova politica e una nuova
economia, ispirate da un nuovo ambientalismo. La discussione rimane aperta.
Il manifesto, 20 ottobre 2010

La riconversione ecologica del sistema produttivo e del modello di consumo
dominanti è un'utopia, come sostiene Asor Rosa sul manifesto del 14.10? Sì,
è un'utopia concreta, nel senso che aveva dato a questo termine Alex Langer:
un progetto radicalmente alternativo allo stato di cose esistente, ma
praticabile. Lo è perché prima o poi - più prima che poi, pochi decenni o
pochi anni - il pianeta Terra entrerà in uno stato di sofferenza
irreversibile e continuare con l'attuale regime produttivo sarà impossibile.
Per la prima volta la questione ambientale si combina in modo incontestabile
con quelle dell'occupazione; e con essa del reddito, dei consumi e
dell'equità sociale. La vicenda della Fiat di Pomigliano e Termini Imerese
rende tutto ciò evidente.

Il prodotto auto è inquinante, sia nell'utilizzo (contribuisce ad almeno il
14% delle emissioni climalteranti), sia nella produzione (dall'estrazione,
trasporto e lavorazione di materie prime e risorse energetiche alla
produzione e al montaggio di componenti: un impatto almeno equivalente), sia
nell'infrastrutturazione (strade, viadotti, gallerie, svincoli, parcheggi,
ma soprattutto assetti urbani impraticabili senza automobile: insieme si
arriva vicino al 50% delle emissioni).

La capacità produttiva del settore è e resterà sovradimensionata: in
Occidente e in Giappone la cosa è palese; nei paesi emergenti lo diventerà
presto: i loro programmi di sviluppo del comparto e di motorizzazione della
popolazione sono impraticabili. Infine, in questa industria la concorrenza è
spietata: impegna non solo le imprese, ma anche gli Stati e i sindacati e,
attraverso questi, i lavoratori; chiamati a schierarsi come soldati in
difesa della propria impresa, in una guerra contro altre imprese, altri
Stati, altri lavoratori. In questa competizione i contendenti sono destinati
a cadere uno a uno. Per primi i più deboli, e la Fiat tra questi: non prima
però di aver svenduto - se si segue il percorso proposto, volgarmente
chiamato Bau (business as usual) - diritti, livelli salariali, salute, vita
e famiglia. E portando allo sfacelo quanto resta della grande industria
italiana. La manifestazione del 16 ha offerto un riferimento a tutti coloro
che intendono opporsi a questa prospettiva. Il problema è collegare a questo
"no" un'alternativa e un percorso per realizzarla.

Nell'industria dell'auto ci sono risorse tecniche e umane per avviare
gradualmente produzioni diverse: soprattutto nel settore energetico, di
assoluta priorità nella riconversione: impianti di microcogenerazione
diffusa, turbine eoliche, microidrauliche e marine, pompe geotermiche,
pannelli fotovoltaici e impianti solari termici e termodinamici. Il mercato
di questi prodotti in parte si "paga da sé", con i risparmi che permette di
realizzare; in parte è incentivato, e potrebbe esserlo molto di più se si
rinunciasse a interventi "a perdere", come il nucleare e altre "grandi
opere". Ma a guidare un processo del genere certamente non potrebbe essere
l'attuale management della Fiat, tutto proiettato nella corsa verso il
baratro della competizione in un settore senza avvenire. Di fronte al
ricatto «o accettate questo diktat - e tutti quelli che verranno dopo - o si
chiude» l'unica risposta plausibile è contrapporre un'alternativa
praticabile: se l'azienda non è più in grado di garantire diritti e
occupazione ai dipendenti, passi la mano: accollandosi, almeno in parte, i
costi delle conversione.

Ma non sono solo l'auto e l'industria energetica a richiedere una
riconversione. Agricoltura e industria alimentare, edilizia e assetti
urbani, mobilità, gestione dei rifiuti, delle acque, del territorio, scuola,
ricerca e formazione sono tutti ambiti in cui un cambio di rotta è urgente,
mentre le condizioni di una conversione sono già in parte presenti in
competenze e impianti oggi impegnati nelle produzioni da abbandonare: basta
pensare al passaggio dalle "grandi opere" di ingegneria civile alla
salvaguardia del territorio e alla ristrutturazione e messa in sicurezza di
impianti ed edifici. In tutti i casi citati, il principio guida della
riconversione dovrà essere la "riterritorializzazione" di produzioni e
mercati attraverso una loro sempre più stretta prossimità: in agricoltura,
nella generazione energetica, nel recupero di scarti e rifiuti, nel
riassetto degli edifici e del territorio, nella formazione permanente. Un
sistema in cui a circolare per il mondo siano soprattutto informazioni,
saperi e culture - i bit - e sempre meno, anche per via dei costi e degli
impatti del trasporto, risorse e beni fisici: gli atomi.

È questa l'unica vera alternativa alle "guerre commerciali"; dal mero
protezionismo alla rincorsa delle valute, o alla gara a chi "esporta" di
più. Ed è anche la risposta alla teoria dei «vasi comunicanti» di Scalfari
ricordata da Asor Rosa. È giusto che le differenze tra salari, diritti e
livelli di vita dei paesi industrializzati e dei paesi emergenti si vadano
attenuando, come di fatto già avviene. Ma per rendere il processo graduale e
meno traumatico per tutti occorre guidare ogni territorio - che è cosa
differente da "ogni Stato" - verso la sicurezza alimentare,
l'autosufficienza energetica, il rispetto dell'ambiente, la promozione
sociale e culturale dei propri abitanti.

Chi farà tutto ciò? La road map deve partire da una constatazione: per
guidare, o anche solo concepire e progettare, un percorso del genere ci
vuole una nuova classe dirigente; quella attuale, sia di parte politica che
industriale, non è assolutamente all'altezza, né in grado di attrezzarsi per
esserlo: è imprigionata nel dogma tatcheriano secondo cui non ci sono
alternative al liberismo e al dispotismo di impresa. Nella formazione di una
nuova classe dirigente molte competenze potranno essere rilevate attingendo
al personale oggi al comando; ma solo se un magnete sufficientemente forte
riuscirà a staccarli, a pezzi e bocconi, dalla rete di complicità - e di
irresponsabilità - che attualmente li lega. Lavorare perché si crei, dentro
i rapporti di produzione e gli assetti politici attuali, una nuova e diversa
classe dirigente non è compito da poco né di breve durata, mentre il tempo
stringe. Ma proprio per questo bisogna cominciare subito. Aiuta, nel
definire una road map, il fatto che l'ambito privilegiato della
riconversione sia il territorio. Certamente il processo che non potrà avere
esiti positivi se non a livelli superiori: nazionali, continentali e
planetari. Ma è sui territori, a partire dalle loro specificità sia
geografiche e produttive che sociali, politiche e culturali, che le cose
devono partire; i livelli sovraordinati potranno esserne investiti e
coinvolti solo se i territori saranno in grado di esercitare su di essi
pressioni adeguate. Per fortuna non siamo soli, né in Italia, né in Europa,
né nel mondo. Molti altri sono al lavoro come noi, o come potremmo fare noi,
e meglio di noi.

Una nuova classe dirigente ha bisogno di saperi, sia tecnici sia sociali
(cioè conoscenza del proprio territorio e delle sue potenzialità); entrambi
sono abbondantemente diffusi tra la popolazione tanto che comitati,
associazioni, movimenti e organismi dell' "altra economia" sono cresciuti
attraverso la valorizzazione delle rispettive conoscenze. Ha bisogno di una
legittimazione, di finanziamenti e delle competenze presenti nelle
amministrazioni locali; cose che si possono ottenere solo con una adeguata
pressione dal basso. Ha bisogno di imprese e di imprenditori per mettere la
loro esperienza al servizio di nuovi progetti; e questi possono in parte
essere forniti - e formati - dal terzo settore; in parte dalle imprese messe
alle strette dalla crisi. E ha bisogno, infine, di una sede in cui queste
tre componenti possano aprire un confronto e provare a lavorare insieme alla
definizione di specifici progetti di riconversione. È questa la sede
privilegiata di selezione e formazione di una nuova e diversa classe
dirigente. La Fiom potrebbe farsi promotrice di alcuni incontri in questo
campo.

La vicenda Electrolux di Scandicci, riconvertita alla produzione di pannelli
fotovoltaici grazie alla lotta dei lavoratori, all'appoggio di sindacati e
Regione e all'impegno di molti Comuni toscani a installare gli impianti
prodotti nei propri edifici (a costo zero grazie agli incentivi) è
esemplare: di fronte alla prospettiva di un mercato di avviamento sicuro non
è stato poi difficile trovare anche gli imprenditori che ne assumessero la
gestione. Purtroppo i soggetti prescelti non sembrano all'altezza del
compito, ma ciò denuncia soltanto la debolezza di un processo di selezione
che avrebbe forse potuto essere più rigoroso se sottoposto a un controllo
pubblico più trasparente. Sbagliando si impara. Un'altra esperienza -
fallimentare - come quella del Forum rifiuti Campania, a cui ho partecipato
direttamente, aveva dimostrato a suo tempo che di fronte a situazioni
estreme la disponibilità a discutere e prospettare alternative matura anche
in seno ad alcune imprese e alcune amministrazioni pubbliche. Certamente è
mancato a quell'esperienza il sostegno dell'assessorato regionale, che pure
l'aveva promossa e poi l'ha lasciata cadere malamente; ma non quello di
molti sindaci e assessori volonterosi; ed era mancata in altri la capacità
di valutare le potenzialità di una sede del genere: anche in vista di future
scadenze, come quelle della Fiat di Pomigliano e del relativo indotto, che
avrebbero potuto esserne coinvolte.

Nel dibattito su proprietà pubblica e privatizzazioni, Stato e mercato, si
sta facendo strada una "terza via"; che non è quella di Tony Blair e Anthony
Giddens, ma quella del controllo dal basso di beni e risorse da acquisire
alla sfera dei beni comuni. Una sfera che non è un ambito definito una volta
per tutte, bensì il risultato possibile, e sempre a rischio, di
mobilitazioni, di lotte, e soprattutto di alternative progettuali. Il caso
dell'Elettrolux allude alle straordinarie potenzialità che un controllo dal
basso sui governi locali offre alla promozione di un mercato
riterritorializzato e alla rilocalizzazione delle relative produzioni. Ma la
legge che espropria definitivamente gli enti locali della possibilità di
dotarsi di strumenti di intervento economico instaura un regime di
predazione dove, in nome della concorrenza, l'unico soggetto a essere
privato della libertà iniziativa - e della possibilità di lavorare alla
riconversione produttiva del territorio - è il Municipio, l'amministrazione
che potrebbe e dovrebbe rappresentare più direttamente le istanze e i
bisogni dei cittadini. Il terzo passo della road map è sicuramente la lotta
contro questo sopruso.